Detroit: Become Human

David Cage sta per tornare. Non si conosce ancora la data di rilascio del nuovo lavoro di Quantic Dream ma a Parigi abbiamo avuto di avere un periodo orientativo: primavera 2018. La versione demo di Detroit: Become Human gira ad ogni modo per varie fiere del settore, e farsi scappare l’occasione di giocarla sarebbe stato davvero da incoscienti.

La demo mette a disposizione una singola missione, Hostage, della durata di poco più di 10 minuti. Il personaggio di cui abbiamo il controllo è Connor (interpretato da Jesse Williams), un androide specializzato in mediazioni inviato in un appartamento dove ha avuto luogo il massacro di una famiglia e quel che rimane da fare è salvare una ragazzina, unico membro scampato al pluriomicidio e adesso tenuto in ostaggio dall’assassino. Capiamo ben presto che il probabile motivo per cui Connor è stato inviato è molto semplice: chi tiene in ostaggio la ragazzina è un altro androide.
Fin dall’ingresso nella casa sarà possibile esplorare gli ambienti e familiarizzare con i controlli di base, soprattutto su ciò che riguarda l’acquisizione di informazioni semplici che potranno tornare utili nella trattativa.
All’interno dell’appartamento capiamo un’altra cosa: l’atteggiamento della polizia nei confronti degli androidi non è benevolo, né tantomeno di collaborazione e fiducia. Toccherà a Connor ricostruire l’intera scena del delitto con le sue sole capacità, iniziando però col parlare col capo delle operazioni. I dialoghi si basano su un sistema che prevede quattro scelte multiple (fra domande e risposte) fra le quali scegliere in un tempo limitato.

Il resto delle informazioni dovremo raccoglierle nel resto dell’appartamento, analizzando gli oggetti ma soprattutto soffermandoci sulle vittime: qui la visuale passa dalla terza all prima persona e torna qualche meccanismo classico di casa Quantic Dream: soffermandoci sulle ferite presenti sui corpi e, muovendo gli stick analogici, sarà possibile “unire i punti” e ricostruire l’intera dinamica di ogni omicidio, acquisendo nel frattempo altre preziose informazioni. Maggiori saranno i dati acquisiti, più alta sarà la probabilità di successo nella trattativa, come ci segnalerà di volta in volta un indicatore sullo schermo dopo ogni interazione.
Del countdown non avremo contezza, verremo solo avvisati che non c’è più tempo e saremo costretti a iniziare le trattative: essere tempestivi nelle indagini sarà importantissimo.
Il rapitore si trova al bordo del terrazzo, tiene in braccio la ragazzina puntandole contro una pistola. Starà a noi scegliere la migliore strategie tramite le risposte che selezioneremo, le cui combinazioni porteranno a esiti diversi: potremo puntare sull’empatia fra androidi, mostrarci cinici e razionali o addirittura minacciosi. In base alle informazioni acquisite, avremo a disposizione alcune frasi che potrebbero rivelarsi carte importanti da giocare e che porteranno a diversi finali. Tornano in questa fase anche i classici quick-time event a cui la casa transalpina ci ha abituati nei precedenti titoli, dunque anche qui bisognerà tenersi pronti a rispondere ai comandi.

Quel che resta di questa demo è un insieme di impressioni che potrebbero dar adito a speculazioni di vario genere. Quel che pare indiscutibile è il comparto tecnico dell’opera: se nei vari video rilasciati negli ultimi due anni abbiamo potuto saggiare un aspetto grafico di riguardo, dove le animazioni facciali si fanno sempre più accurate, gli scenari più ricchi di dettagli, e dove la tendenza al fotorealismo si fa davvero concreta, rendendo i personaggi mimetici rispetto agli attori che li impersonano, adesso abbiamo anche potuto testare il sistema di controlli che, fin da questa demo, pare rispondere benissimo, garantendo fluidità al titolo nel direzionamento del personaggio fra i vari ambienti, nella fase di esame di oggetti e situazioni e nella ricostruzione delle dinamiche partendo dai singoli dati.
L’engine proprietario di Quantic Dream sembra insomma lavorare bene, delineando una netta crescita qualitativa di titolo in titolo, qui impreziosita da un art-style che riprende rispettosamente i canoni della cinematografia sci-fi, trasportandoci in una megalopoli futuristica e caotica che richiama i grandi classici del genere.
Quel che ovviamente resta ancora da capire è cosa ne verrà fuori: la società di David Cage mostra ancora il suo forte interesse per la narrazione e per lo sviluppo di storie in cui le scelte del giocatore si rivelino il core dell’esperienza videoludica. Plot, dialoghi e azione sembrano finora ben bilanciati, anche tenendo presente il video mostrato all’E3, che mostra un altro pezzo di storia.
Quantic Dream si confronta questa volta con una serie di cliché di genere fantascientifico, che apre le porte a varie domande: quale futuro per l’intelligenza artificiale? Se lo sviluppo tecnologico porterà alla creazione di esseri senzienti, dotati di quella che potremmo chiamare coscienza, come gli umani si rapporteranno agli androidi? E, se questi saranno una realtà, gli riconosceremo un’anima?
Temi antichi, a cui hanno dato risposte decani della fantascienza letteraria come Philip K. Dick, Isaac Asimov e John W. Campbell, per citarne alcuni, ma non solo loro, diranno gli amanti di Ghost in The Shell e Terminator (e qui fermiamo immediatamente il flusso citazionistico, perché la lista sarebbe lunghissima). Ma sono argomenti al contempo attualissimi e ancora affrontabili senza cadere nel banale, come ci dimostra l’ultimo Blade Runner 2049 (non perché speculi in maniera approfondita su questa tematica, ma perché il risultato finale sul piano narrativo e visivo è di riguardo).

David Cage si ritrova dunque tra le mani una patata bollente, e dovrà maneggiarla con cura: il fatto che siano temi enormemente visti e sentiti non significa che Detroit: Become Human sia condannato a perpetuare cliché all’interno della storia cadendo nella banalità di genere; al contempo, sarà importante calibrare le scelte narrative, ricordando che un gioco per molti versi straordinario come Farhenheit, che rimane a oggi un eccellente prodotto sul piano della regia e della giocabilità, inciampa inesorabilmente in fase di scrittura, prendendo una piega quasi grottesca nell’ultima parte a causa di scelte posticce, probabilmente operate proprio per rifuggire la banalità, che si sono rivelate un boomerang.
Ad ogni modo, ogni lavoro di Quantic Dream merita certamente attenzione, per un approccio alle storie mai superficiale e in grado di fornire ampia capacità di scelta al giocatore, elementi che, uniti a un cast che ogni volta coinvolge attori di buon rango, ci inducono ad attendere con gran curiosità un titolo che, a un primo assaggio, ha tutto il potenziale per diventare un’opera da ricordare.




Gran Turismo Sport

The real driving simulator. Probabilmente questa definizione sta un po’ stretta a un titolo che ha fatto la storia dei racing game ma che, negli ultimi anni, anche per via di una concorrenza sempre più aggressiva, ha cominciato a faticare, non riuscendo più a sostenere i ritmi sempre più accelerati dell’era digitale moderna. Gran Turismo Sport si presenta ufficialmente come uno spin-off dedicato interamente – o quasi – alle competizioni e-Sport, sfruttando anche l’importante partnership con la FIA, la Federazione Internazionale dell’Automobile. Anche se a molti potrà sembrare Gran Turismo 7 Prologue, il titolo si discosta abbastanza da ciò per cui questa saga è divenuta un cult nel mondo videoludico, differenze che, se mal gestite, potrebbero far storcere un po’ il naso. Ma andiamo con ordine.

E quindi!?

Partiamo subito dal menù. Benché a un primo impatto risulti molto elegante e pulito, non appena si comincia a navigare cominciano i problemi: tutto sembra disorganizzato, con modalità sparse e scritte fin troppo piccole per essere lette (chi scrive ha 10/10 di vista). Nonostante ciò, questo menù formato desktop, è già un elemento in grado di farci capire la passione di Kazunori Yamauchi per il mondo delle auto, con didascalie sulla storia e aneddoti sul mondo del motorsport. Uno degli elementi caratteristici dei Gran Turismo è sicuramente lo Showroom, forse il fiore all’occhiello del franchise ma in cui, ancora una volta, non è possibile esplorare i modelli in libertà, come avviene per esempio per Forza Motorsport. In ogni caso si presenta come una vera e propria enciclopedia dell’automobile, ognuna con la propria descrizione, con canale YouTube ufficiale della casa costruttrice interessata annesso. Abbiamo modo di vedere la vettura in diversi modi, sfruttando temi dinamici pre-renderizzati o all’interno di uno studio fotografico. Non manca nemmeno un intero spazio dedicato alla storia di Gran Turismo, un vero e proprio museo associato a eventi storici di un certo peso. È uno Yamauchi che inneggia a se stesso? Può darsi, ma per tutti gli amanti di questa saga avere la possibilità di osservare elementi dei capitoli precedenti in una una sorta di collezione d’epoca, è di certo un colpo dritto alla nostalgia.
Una delle novità annunciate, e richiesta a gran voce dai fan, è l’editor, che già a partire da questa demo, risulta ben realizzato: è possibile creare livree completamente da zero, sfruttando non solo classiche forme geometriche e numeri ma anche uno sconfinato numero di sponsor e altri elementi da gara che possono rendere la nostra vettura assolutamente unica. Oltre alle auto, è possibile personalizzare il casco e la tuta del nostro pilota. Tutto risulta molto completo e profondo e probabilmente diventerà una delle modalità più utilizzate dagli utenti. Tutto questo si presenta quindi come un vero car porn a tutti gli effetti ed elemento distintivo, capace di interfacciare nella maniera  più passionale l’uomo all’auto.
Tra le modalità presenti – una volta trovate – abbiamo la classica modalità arcade, dove cimentarsi in gare singole scegliendo l’auto tra le presenti o tra quelle possedute nel nostro garage, e selezionando una tra le tre difficoltà disponibili che andrà ad influenzare la quantità d’esperienza e crediti acquisiti. Possiamo cimentarci in una gara a tempo, una prova personalizzata, una gara di derapata e lo schermo condiviso per giocare con un amico.
Si arriva così alla Campagna, in cui possiamo imparare le basi della guida e partecipare a delle Missioni, in cui completare obbiettivi specifici. L’Accademia di guida prende il posto delle storiche Licenze, con una struttura abbastanza simile; in questo contesto dovremo cimentarci via via in percorsi di guida più complessi sino alla totale padronanza della vettura. Le prove a disposizione sono tantissime e, una volta completate, sbloccheranno premi in denaro e punti esperienza. Le missioni riprendono quanto iniziato da Gran Turismo 4, una serie di prove ambientate in contesti particolari che, al loro completamento, sbloccheranno punti esperienza e denaro. Infine, per la campagna, troviamo Esperienza di guida sui circuito, utile per familiarizzare con le piste presenti e affinare le tecniche di guida.
Ma il punto focale è – o comunque dovrebbe essere – Sport, vero e proprio hub centrale delle competizione online. Fanno il loro ingresso una sorta di patenti atte a descrivere il livello del giocatore e la sua correttezza. Viene tutto classificato in base a un ranking, dalla E alla S, dove, la Classificazione Pilota, migliora via via con l’ottenimento di risultati positivi mentre, la Classificazione di Sportività, è influenzato dalla condotta del giocatore, il numero di urti, uscite di piste, etc. All’interno del menù Sport troviamo le Gare Quotidiane, eventi in cui sfidare piloti dal nostro stesso livello e aumentare il nostro prestigio. Almeno in questa demo gli eventi a disposizione erano soltanto tre e accessibili solo dopo aver aspettato anche decine di minuti. Le vetture che andremo a utilizzare saranno penalizzate o potenziate in base alle media delle vetture presenti e si dovrà seguire un rigido regolamento in cui, la maggior parte delle volte, vieterà di modificare mescola delle gomme e addirittura l’assetto. Nonostante ciò il comparto multiplayer sembra già pronto e maturo, senza problemi particolari per questa demo. I veri problemi sorgono quando si cerca di identificare la vera natura di questo titolo, in bilico tra single e multiplayer, rischiando di non accontentare nessuno.

The almost real driving simulator

Una volta scesi in pista possiamo gestire molti parametri pre-gara, come il tipo di aiuti e soprattutto la gestione dell’assetto. Nulla di particolarmente approfondito, ma capace di adattare l’auto al nostro stile di guida e, eventualmente, alle condizione del tracciato.
Il modello di guida di Gran Turismo Sport è sicuramente il fulcro del titolo, ma lascia anche spazio a qualche perplessità: si presenta come un’evoluzione di Gran Turismo 6 e, se da un lato può accontentare un buona parte di pubblico, risultando particolarmente immediato, con un tocco di profondità per quanto basta, dall’altro, si rischia di allontanare videogiocatori del settore navigati e in cerca di qualcosa di più appagante. In un mondo che ha visto l’entrata in campo di numerosi racing game, GT Sport è quello col modello di guida meno rifinito e soprattutto non in grado di differenziare come si dovrebbe le diverse vetture presenti, particolarmente nella stessa classe di vetture. Fa specie – all’alba del 2018 – guidare alla stessa maniera vetture GT3 di conformazione completamente diversa come Audi o Jaguar, praticamente allo stesso modo, inficiando , non solo sul realismo ma anche nell’immedesimazione. Non stiamo parlando di un Arcade, ma sembra mancare di profondità, necessaria e ormai base di qualunque racing game moderno. Portare l’auto al limite sembra fin troppo semplice, anche senza aiuti di guida attivati, e il tutto fa fatica a restituire sensazioni particolari, come quel “pizzicorino” di cui parla James May, ex co-conduttore di Top Gear.
Interessante e molto utile invece, è la possibilità di attivare, attraverso la croce digitale, sotto-menù in cui sono indicati classifiche e tempi, un radar ma, soprattutto, la possibilità di regolare in tempo reale controllo di trazione e bilanciamento dei freni.
La fisica continua a essere l’elemento meno convincente: il peso delle vetture non risulta verosimile, fin troppo leggero e con reazioni quantomeno curiose agli urti. Anche le dinamiche di guida risultano “forzate”, come se il controsterzo non fosse una conseguenza di un nostro errore ma ci sia soltanto perché deve esserci, dando così l’impressione di essere “simulativo”. Molti elementi risultano dunque posticci, mancano di amalgama e naturalezza con una ciliegina sulla torta data dai sorpassi usando altre vetture avversarie come sponda; un piccolo revival dall’originale Gran Turismo.
Grande mancanza di questi tempi è il meteo dinamico ma con la possibilità di scegliere, prima della gara, l’orario di partenza; inoltre non c’è stato modo di provare il modello dei danni che comunque, a gioco finito, dovrebbero esserci.

L’evoluzione dà i suoi frutti

Dal punto di vista tecnico, GT Sport ha fatto un bel salto avanti rispetto alle prime demo proposte. La modellazione delle auto appare sublime per quanto concerne lo showroom mentre, colpiscono meno in gara, dove si notano elementi altalenanti e qualche piccolo difetto, soprattutto nelle zone arrotondate. Anche gli interni, benché modellati squisitamente, fanno fatica a emergere, risultando spenti, probabilmente per un utilizzo di shader non proprio azzeccato. Quello che colpisce maggiormente però è il sistema di illuminazione, tra i migliori in circolazione e che mostra i muscoli soprattutto durante i replay, vicini al fotorealismo. Meno d’impatto i tracciati, di qualità altalenante. Diversi settaggi disponibili per HDR e risoluzione 4K checkerboard, permettono a chiunque di adattare il gioco all’hardware in possesso.
La gestione della telecamera risulta abbastanza limitata: all’interno, qualora volessimo vedere attraverso gli specchietti o soltanto osservare caratteristiche degli interni, essa si disancorerà dall’orizzonte in maniera fin troppo brusca, dando l’impressione di essere una camera secondaria. Anche all’esterno non è possibile gestirla, non possiamo ad esempio girare intorno al modello  e vedere chi ci affianca. Le diverse visuali sono del tutto classiche anche se, quella più esterna, forse un po’ troppo lontana dalla vettura.
Le soundtrack – anche se andrebbero disattivate in gara – sono una raccolta di tutti i brani presenti nei precedenti Gran Turismo più qualche inedito, mentre l’audio generale e soprattutto delle vetture fatica a lasciare il segno. Il miglioramento è evidente ma siamo ancora lontani dalle produzioni concorrenti.

In conclusione

Gran Turismo Sport si appresta ad arrivare e questa demo, quasi in veste definitiva, ci ha lasciato qualche perplessità: i pochi contenuti in singolo e il numero risicato di vetture (160 nel titolo finale) tradiscono la sua natura in favore di campionati e-sport il cui interesse da parte del pubblico è tutto da verificare. Servirà sicuramente una prova approfondita del gioco per valutare il tutto ma, con la concorrenza spietata, capace di far uscire un titolo nuovo ogni biennio, forse è arrivato il momento di cambiare qualcosa in casa Polyphony Digital.




The Kindred

Se la vostra vita ruota attorno al “farm and craft” e… e basta, non potrete che apprezzare il lavoro svolto da Persistent Studios con The Kindred, un simpatico, cubico e coloratissimo sandbox gestionale con il quale ci potremo cimentare nella fondazione di una cittadina agricola.

Prima una premessa

The Kindred è stato rilasciato nel febbraio 2016, ed è ancora in early access. Il gioco di per sé è sviluppato in maniera troppo semplicistica, forse si potrebbe definire  anche un po’ “nudo”. Non ci sono infatti obiettivi, missioni o sfide che possano mantenere viva la voglia di continuare a giocare. Questo è un po’ il motivo per cui alla lunga il gioco rischia di risultare noioso, ripetitivo e stancante sotto ogni aspetto: a conti fatti, The Kindred non rimane che un semplice e simpatico gestionale. Bisogna considerare  che il panorama indie videoludico, in questo momento, vede la presenza di diversi titoli dello stesso stampo già in commercio, ragione per cui il team di sviluppo dovrebbe impegnarsi a offrire un’esperienza il più variegata possibile, in modo da farsi strada tra gli altri concorrenti.

Mine & Craft

Lo scopo del gioco, a questo punto, diventa unicamente quello di far lavorare forsennatamente dei piccoli omini cubettosi chiamati “kin”. Inizialmente a ognuno di loro dovremo assegnare dei lavori in base alle loro caratteristiche: mining, crafting, researching, milking, etc… Questo perché durante il gioco, quando con l’ausilio del mouse si andrà a sezionare una  determinata azione da compiere (per esempio: far legna, cacciare, creare oggetti al banco da lavoro o cucinare) verrà svolta dal primo kin a disposizione a cui, in precedenza, sia stato assegnato quello specifico compito/lavoro.
Il fine ultimo di questo genere di giochi è sicuramente quello di stimolare l’estro creativo di ogni giocatore, dando libero sfogo alla fantasia, nella costruzione degli edifici e dell’intera struttura del piano di gioco.
L’interfaccia grafica è molto intuitiva, ci sono solo poche icone tra cui muoversi ma questo non limita la grande quantità di operazioni possibili durante il gioco, in effetti chi ha giocato almeno a uno dei capitoli di The Sims, noterà una leggera somiglianza con alcune funzionalità dell’editor.

Tirando le Somme

A dirla tutta The Kindred sarebbe potuto andare bene anche così com’è, qualora ci fossero stati almeno degli eventi o degli imprevisti che avessero messo un po’ di pepe al gameplay ma, ahimè, il casuale cambiamento climatico o il ciclo giorno/notte o ancora l’arrivo di un nuovo kin nella nostra comunità, non sono abbastanza per dare carattere al gioco che, purtroppo, rimane ancora povero di contenuti.
Dopo parecchie ore di pesante attività agricola rimane l’amarezza di non avere avuto mai uno scopo per tutta la durata dell’esperienza di gioco, ma non dimentichiamo che The Kindred è pur sempre un titolo ancora in fase di sviluppo, quindi non è detta ancora l’ultima parola: si spera che Persistent Studios abbia modo di farci ricredere con la versione definitiva.




Genomia (Tech Demo Alpha)

Da qualche anno a questa parte, anche il nostro paese comincia a dire la propria nel mondo videoludico, proponendo titoli ricercati e, in qualche caso, di successo. Abbiamo già parlato di come l’Italia si sia evoluta negli ultimi anni e di come alcune software house stiano crescendo, cercando di portare titoli all’altezza della concorrenza. Oggi è il turno di Evocentrica e del suo Genomia, platform 2.5D con elementi da rhythm game. La versione testata è una Tech Demo Alpha, per cui abbastanza lontana da quello che sarà il gioco finale; in ogni caso le linee guida sembrano già tracciate per cui possiamo già ricavarne delle prime impressioni.

Gli alieni siamo noi

Tra i punti cardine del titolo sembra esserci un’attenta stesura della trama, ricca di elementi diversi e soprattutto costellata di una buona crescita e caratterizzazione dei personaggi, dialoghi contestuali e scelte morali che andranno a modificare alcuni intrecci narrativi. Dalla breve alpha provata, tutto questo viene fuori molto parzialmente: solo una manciata di dialoghi tra Artico e Naida, i protagonisti di questa demo, daranno modo di saggiare una base di narrazione, buona comunque per ricavare alcune indicazioni.
Una cosa che salta all’occhio è la diversa caratterizzazione di entrambi i personaggi, Artico dalla spiccata intelligenza ma probabilmente più immaturo ed egoista, Naida  più consapevole di se stessa ma tendente alla presunzione. I dialoghi tra i due cambieranno in base al personaggio scelto, e fanno intravedere una lore che si spera sia approfondita nel gioco finale.
Le caratteristiche di Artico e Naida non si fermano però soltanto alla caratterizzazione psicologica e caratteriale: le differenze si faranno notare in termini di gameplay in quanto Naida sarà in grado di saltare più agilmente ma con il malus di correre più lentamente. Del tutto speculare Artico che sembra essere anche più resistente ai danni, anche se si tratta di una pura impressione.
Insomma, la demo provata lascia molto all’immaginazione, basata soprattutto sull’intenzione degli sviluppatori. Se tale idee verranno confermate potremmo trovarci un titolo molto profondo e probabilmente con un’alta percentuale di rigiocabilità.

Ho il ritmo nei fuidi

Ma veniamo al gameplay puro e semplice. Tutto si basa esclusivamente su due componenti: l’utilizzo e la miscela tra i fluidi e i combattimenti ritmati contro i vari nemici. Ma andiamo con ordine.
I fluidi sono una componente essenziale degli alieni di cui prendiamo i comandi; sono suddivise in quattro tipologie, evidenziati da altrettanti colori: Blu per l’intelligenza, giallo per il coraggio, rosso per l’indole violenta e infine verde per la capacità di ingannare. Questi prenderanno le sembianze dei filamenti di DNA della loro specie, i Dermonoidi, che, attraverso una macchina chiamata per l’appunto Genomia, sono in grado di gestire indipendentemente tali feature. Purtroppo non abbiamo avuto modo di testare tutto ciò, nonostante i menù appositi.
Questi quattro fluidi consentono inoltre di generare altrettanti poteri diversi che saranno utili in caso di aperto combattimento, premendo il tasto digitale corrispondente: il coraggio ci permetterà di generare uno scudo, l’intelligenza di rallentare i colpi nemici mentre, gli altri due, una sfera distruttrice generata dalla violenza e diventare invisibili dall’inganno.
Questi poteri consumeranno di volta in volta i vari fluidi che, una volta prosciugati, renderanno il nostro personaggio debilitato e non più in grado di correre e di compiere lunghi salti. Proprio questo è uno degli aspetti che probabilmente richiede maggior lavoro e studio: se da un lato la scelta di far stancare Artico o Naida risulta molto appropriata, dall’altro questo aspetto si scontra con le esigenze di gameplay in quanto, molto spesso, ci si ritroverà in zone in cui l’unico modo per uscirne è compiere dei salti che per il personaggio risultano impossibili. Il level design in questo caso mal si sposa con questa idea, e rischia di diventare un po’ il cane che si morde la coda.
Dicevamo della caratteristica di rhythm game, la quale è il cuore del combat sistem del gioco: una volta incrociato il nemico di turno, si avvierà una sorta di minigioco in cui saremo avvolti da degli scudi energetici concentrici i grado di assorbire i colpi dei nemici ma se – e solo se – saremo in grado di premere i corrispettivi tasti col giusto tempismo. I colpi inferti dai nemici  sono assimilabili a forme energetiche in grado di prosciugare i nostri fluidi, e quindi evitare di farsi colpire sarà fondamentale se non si vuole rimanerne a secco.
I nemici sono abbastanza vari e il modo in cui ci affronteranno sarà determinato da loro caratteristiche intrinseche: velocità d’attacco, movimenti, e potenza di fuoco dunque ci costringeranno ad adattarci decidendo se usare o meno i poteri a disposizione oppure se evitare di combattere qualora ce ne sia la possibilità. È un sistema che lascia però alcune perplessità, in quanto non sembra sempre ben amalgamato col resto: controbattere i colpi non di rado sembra un’operazione casuale, non sorretta da un ferreo rapporto di logica o di causa-effetto individuabile dal giocatore, tanto da poter combattere a tratti senza guardare lo schermo e vincere ugualmente. Su questo aspetto probabilmente lo sviluppatore dovrà certamente lavorare, al fine di non far risultare gli scontri forzati e più un fastidio che una reale sfida.
Genomia, in ogni caso, ha anche un interessante lato platform e questo aspetto sembra ben studiato: la piccola mappa provata permette di affrontare diversi percorsi utili magari a raccogliere risorse oppure per eludere nemici potenti. Il percorso potrebbe essere intervallato anche da piccoli enigmi ambientali, ma questo aspetto sarà da approfondire in seguito. Non si presenta affatto come un gioco semplice: le morti (ammesso che lo siano) saranno frequenti e bisognerà dosare bene fluidi ed energie per riuscire ad avere la meglio.

Vecchio e nuovo

Genomia è un titolo che sfrutta Unity, un motore non particolarmente potente, ma comunque adattabile alle diverse esigenze a partire dalla gestione della telecamera (del tutto automatica) che molte volte ci aiuterà a capire come muoverci sulla mappa, allontanandosi e cambiando prospettiva. Questo non solo, come detto, permette un attento sguardo d’insieme ma anche di rendere tutto ciò che vediamo a schermo più vario e soprattutto vivo.
L’ambiente di gioco gode di una discreta modellazione, contornata da texture che a volte si ripetono più del dovuto e che peccano di dettaglio. Nonostante ciò, la visione d’insieme risulta ampiamente godibile, con una buona varietà di sfondi ed elementi che arricchiscono la mappa. Probabilmente è proprio la componente artistica a far uscire fuori questo titolo dalla monotonia, probabilmente legata a elementi di lore che – speriamo – siano ben implementati.
Da segnalare – anche se ricordo che ci troviamo nel contesto di una tech demo alpha – qualche bug e glitch fastidiosi, come ad esempio il freeze del gioco saltando in prossimità dei computer e movimenti, soprattutto durante il salto, che non sempre risultano precisi.

In conclusione

Genomia è un prodotto in divenire con molte buone idee alla base, tra cui una solida struttura narrativa e il sistema dei fluidi, elementi che, se verranno sviluppati a dovere, daranno a Evocentrica buone soddisfazioni. Su altri aspetti che dicevamo bisogna certamente lavorare, e serviranno ulteriori prove approfondite delle prossime versioni per sapere se tutto sta andando nel verso giusto. Noi saremo ben lieti di seguire questa nuova software house romana, sperando che Genomia mostri in futuro il suo indiscusso potenziale.




Conan Exiles

Quando si parla di Conan la prima cosa che viene in mente è il film con Arnold Schwarzenegger del 1982. Ma la storia di questo personaggio ha origini molto più antiche, risalenti agli anni trenta, in una serie di romanzi scritti da Robert Ervin Howard.
Il mondo nel frattempo è andato avanti e oltre a libri e film, ritroviamo Conan il Barbaro anche nel videogioco a lui dedicato: Conan Exiles. Il progetto Funcom – ancora in early access – si presenta come un survival-open world, dove, da esiliati e condannati a morte, dovremo riuscire a sopravvivere in mondo quanto mai pericoloso.

Fin troppa libertà

I nostri primi passi nel mondo di gioco cominciano non appena scesi dalla croce alla quale siamo appesi, in mezzo al deserto. Ma prima di questo abbiamo l’occasione di creare il nostro personaggio, sia maschile che femminile, sfruttando un editor che permette una buona personalizzazione: la razza, caratteristiche del volto, corporatura fino alla quantità di “grazie” da mostrare in bella vista. Oltre a questi, ci accompagna una pergamena su cui sono scritte le nostre colpe e il motivo per cui siamo finiti in quella croce. I nostri misfatti sono a scelta, anche se, non sembra influire sul mondo di gioco, almeno per il momento.
Una volta in piedi, ci troviamo più o meno nudi, in mezzo al deserto: da questo punto in poi possiamo dirigerci dove vogliamo, per lo meno entro la zona delimitata da una specie di scudo energetico che, una volta oltrepassato, ci condurrà alla morte. Proprio la caratteristica da survival esce prepotente fin da subito, in cui abbiamo la possibilità di salvare i nostri progressi solo se abbiamo la possibilità di costruire un riparo in cui riposare. L’andare dove si vuole all’interno di un enorme mappa è una gioia per gli occhi, anche perché il mondo di gioco è caratterizzato da diversi ambienti ben caratterizzati e mai fuori contesto. Il rischio è quello di imbattersi immediatamente in nemici dal livello eccessivamente alto e di conseguenza impossibili da eliminare. La fuga diventa, in questo caso, l’unica via d’uscita, anche se i nemici, non sono l’unica cosa a cui prestare attenzione: rimanere a corto di cibo e acqua significa morte certa per cui, bisognerà stare attenti a quanto ci muoviamo e per dove. Questi elementi vengono accompagnati da elementi RPG classici, con presenza della stamina, punti esperienza e di un menu di “soulsiana” memoria, dove possiamo utilizzare ciò che troviamo lungo il cammino, ma anche costruire vestiario o armi, a patto di trovare gli elementi giusti. Qui viene influenzato anche il peso trasportabile e se aggiungiamo anche l’influenza della temperatura esterna sulla nostra salute, capiamo molto bene che Conan Exiles non è un titolo semplice. Le morti saranno frequenti e se non saremo in grado di costruire un rifugio, per avere il tanto agognato checkpoint, dovremmo rifare tutto dall’inizio.
Una volta andati avanti e aver progredito, si aprirà un enorme ventaglio di possibilità: potremmo ingrandire il nostro accampamento e schiavizzare NPC (personaggi non giocanti ndr) per fare in modo che lavorino per noi. Questo non farà altro che aumentare la nostra influenza e la possibilità di aumentare le nostre risorse. Un altro elemento importante è ovviamente il sistema di combattimento, che sarà punto focale del gioco. Il moveset è abbastanza basilare, costituito da colpi leggeri e pesanti e diverse armi, tra cui appartenenti alla mitologia creata da Howard, adatte ai diversi frangenti.
Un elemento che però fa la differenza rispetto alla concorrenza è il lato narrativo che, sfruttando le storie all’interno dei romanzi, crea un mondo con una sua identità, con un suo passato, dando un contesto a ciò che vediamo su schermo. La storia si presenterà con testi trovati in giro per mappa e ognuno di essi farà parte di una storia ancor più grande. Ma i dubbi cominciano a farsi strada macinata qualche ora di gioco: benché si tratti pur sempre di un accesso anticipato, con uscita prevista per inizio 2018, il titolo fatica ad appassionare. Sono tanti i giochi che sfruttano le stesse meccaniche e, nonostante gli sforzi si vedano, cercando di creare ambientazioni uniche e variegate, la sensazione di già visto è molto forte. Resta dunque da attendere la pubblicazione finale per trarre le dovute conclusioni.
Il titolo è giocabile anche in co-op anche se non c’è stato modo di trovare altri giocatori con cui condividere una partita.

Contiamo i granelli di sabbia

Nonostante manchino mesi al lancio finale il titolo, almeno tecnicamente, si presenta abbastanza bene. Il colpo d’occhio generale è molto buono e i diversi ambienti sono riprodotti con sufficienti dettagli; sono realizzati con una buona mole poligonale e accompagnate da texture e shader di discreta qualità anche se, a volte si notano difetti come eccessivi pop-up e pop-in. Gli ambienti, soprattutto dove la natura ha preso il sopravvento, sono ricchi di vegetazioni e creature diverse, anche ben animate e senza limiti di inseguimento: se infatti infastidissimo una di queste, ci darebbe la caccia per tutta la mappa se non incontrasse ostacoli insormontabili.
Filtri che fanno il loro lavoro e un comparto luci che non fa gridare al miracolo completano la parte visiva del titolo che comunque può vantare fin da ora un’ottimizzazione di buona fattura, anche su PC di bassa fascia.

In conclusione

Conan Exiles è uno di quei titoli che potenzialmente durano qualche centinaio di ore. Se all’inizio però si è invogliati a proseguire, spinti anche dalla voglia di accrescere il proprio personaggio, alla lunga l’interesse comincia a scemare, notando la mancanza di collegamento tra le nostre azioni e il mondo di gioco. Sia ben chiaro però, Conan non è un brutto gioco, anzi, sembra bene strutturato, con un mondo affascinante e che sfrutta a pieno le storie scritte da Howard in tutto e per tutto. Il problema è che, ora come ora, non riesce a spiccare rispetto alla concorrenza, mostrandosi come un titolo sì dalle enormi potenzialità ma che non vengono sfruttate adeguatamente.
Appuntamento dunque al 2018 con la recensione della versione finale del gioco, sperando che tutto sia stato sistemato a dovere.




Pro Evolution Soccer 2018: le impressioni dalla Demo

Dopo tanta attesa, Konami ha reso disponibile la demo di Pro Evolution Soccer 2018 – o PES 2018 per gli amici –  anche su PC. Questo è un evento importante, in quanto, negli ultimi anni, questa versione si è rivelata essere un semplice porting dai titoli rilasciati per Xbox 360 e PlayStation 3, nemmeno di ottimo fattura. Questa situazione non ha fatto altro che indispettire gli utenti per Personal Computer, che sono spesso passati a un prodotto più curato come FIFA. Ecco dunque che finalmente Konami sembra aver capito l’importanza di questo mercato e, da ora in poi, anche qui la concorrenza si farà sempre più serrata.

Piccoli passi avanti

La demo testata non presenta grossi contenuti: semplici amichevoli e il co-op 3vs3 le uniche modalità con cui cimentarsi. Tra le squadre presenti troviamo top team come Barcellona, Borussia Dortmund e Inter, squadre sudamericane e tre nazionali come Brasile, Argentina e Germania. Se il 3vs3 si presenta molto divertente, dove è essenziale far gioco di squadra per riuscire a portare a casa il risultato e soprattutto punti esperienza per migliorare l’affinità tra i calciatori, le semplici amichevoli sono un ottimo modo per testare le nuove caratteristiche che la versione 2018 riserva.
Da notare immediatamente è il migliorato sistema di controllo dedicato al primo impatto col pallone, dove il calciatore selezionato, nel caso di una cosiddetta “palla sporca”, proverà a stopparla in qualche modo. Ne conseguono quindi nuove animazioni, più complesse, che rendono sicuramente più veritiero quello che stiamo vedendo. Tutto il gameplay di PES 2018 è un insieme di piccoli, ma ragionati, miglioramenti come ad esempio un rallentamento della velocità di gioco e i contrasti, decisamente più realistici e che rispondono della stazza dei diversi giocatori. Diventa così più facile vedere un Miranda sovrastare un povero Rakitic o Coutinho fare fatica a contrastare Piqué.  Rispetto all’edizione scorsa, dunque, sarà essenziale avere un po’ più di pazienza, anche in vista di un miglioramento sostanziale dell’intelligenza artificiale, sia avversaria che dedicata ai nostri compagni. I primi, da un paio d’anni, godono del cosiddetto Team ID, almeno per i team più blasonati, dove le squadre rispondono realisticamente al nostro modo di giocare, sfruttando le routine comportamentali studiate dalla controparte reale. Anche se a un primo sguardo risulta meno accentuato del concorrente, tutto questo fa sì che ogni partita avrà una sua identità e non sarà mai uguale a un’altra. Giocare contro il Barcellona o contro l’Inter risulta sicuramente un’esperienza diversa, in grado di regalare grosse soddisfazioni una volta segnato un gol.
Un bel lavoro sembra esser stato fatto anche sull’intelligenza artificiale dei nostri compagni, pronti a inserirsi negli spazi o aiutarci in caso di difficoltà. I movimenti del nostro team saranno quindi corali, dove diventa più semplice imbastire azioni d’attacco. Questi movimenti automatici però, hanno un rovescio della medaglia: qualora in fase difensiva cominciamo a faticare, subendo ripetutamente percussioni da parte degli attaccanti avversari, i difensori controllati dalla CPU andranno sì a coprire gli spazi ma in modo da risultare distanti e soprattutto poco reattivi nel caso in cui l’azione cambi lato. A complicare ulteriormente le cose ci pensa il dorsale adibito alla selezione del calciatore, davvero impreciso. Si tratta pur sempre di una demo ma sono situazioni che se non corrette possono inficiare la qualità del titolo finale.
Un’ulteriore novità è riservata ai calci piazzati, dove spariscono le poco eleganti traiettorie, in favore di uno stile molto vicino al titolo Electronic Arts. Sarà la postura a fare la differenza e dovremo essere noi a capire come calciare il pallone e quale traiettoria assumerà. Questa feature è qualcosa che migliora sensibilmente l’immedesimazioni ma, come per FIFA, anche qui serve la giusta dose d’allenamento. Un tocco di classe è dato dalla fisica del pallone, ulteriormente migliorata e – tralasciando piccoli svarioni – sempre pronta a rispondere ai tocchi, più o meno potenti, dati dai calciatori. Da verificare meglio a titolo completo è però la fisica del pallone sui campi bagnati dove la sfera non sembra essere influenzata dalla pesantezza del campo ì, né ben che meno da eventuali zolle o difetti di quest’ultimo.
Purtroppo ci sono da segnalare anche alcuni punti deboli ormai classici della serie: animazioni, sicuramente migliorate, ma dove si notano frame di collegamento tra i diversi movimenti, arbitri abbastanza timidi e soprattutto i portieri, a cui a volte manca il senso dell’orientamento.

La next-gen su PC

Ovviamente la prima cosa che balza all’occhio è il comparto tecnico. Finalmente anche i “PCisti” possono godere dei progressi fatti nella tecnologia digitale degli ultimi anni, trovando un prodotto sicuramente ben realizzato. Il colpo d’occhio generale è davvero molto buono, soprattutto nella riproduzione degli stadi delle migliori squadre, con un’ottima mole poligonale accompagnata da texture in alta definizione. Anche la resa del pubblico è di ottima fattura anche se si presenta meno movimentata rispetto al nuovo FIFA, dove è stato fatto un lavoro apposito per renderlo sicuramente più realistico. Calciatori più famosi perfettamente riprodotti, con quelli dei team legati dalla partnership esclusive davvero eccezionali, non solo per la ricostruzione digitale ma anche per le movenze in campo. Sembrano di molto trascurati invece i giocatori di seconda fascia, poco curati e difficilmente riconoscibili.

In conclusione

Anche quest’anno lo scontro finale tra PES 2018 e FIFA 18 si fa più acceso che mai. Il titolo Konami ha puntato sul miglioramento di alcune caratteristiche di gameplay e sulla fisica, facendo piccoli passi avanti verso la simulazione ma mantenendo intatta la sua indole. Su PC risulta finalmente un bel titolo da gustarsi anche con gli occhi ma, complice una serie di difetti storici che sembrano non essere spariti, contenuti da valutare a pieno e la necessità di vedere quanto la mancanza di licenze influisca sul titolo, aspettiamo di provare il gioco completo per le dovute conclusioni. In ogni caso il lavoro sembra promettente.




FIFA 18: le impressioni dalla Demo

Come ogni anno, il mese di settembre è dedicato ai calcistici per antonomasia: Pro Evolution Soccer e FIFA. Nella veste 2018, entrambi i titoli presentano grosse novità che analizzeremo nel corso dell’intero mese, cominciando il percorso con la Demo di FIFA 18, uscita su PlayStation 4, Xbox One e PC. Alla fine, dopo anteprime e recensioni ci sarà uno speciale per eleggere, anche quest’anno, il miglior titolo calcistico della stagione.
Al suo secondo anno di Frostbite Engine, il titolo EA implementa alcune feature che arricchiscono ulteriormente il senso di realismo e una rinnovata modalità “The journey” nella quale Alex Hunter, ormai affermato, dovrà confrontarsi con le difficoltà che deve affrontare un calciatore professionista.

Hai voluto la bicicletta?

Partiamo proprio con il viaggio di Alex Hunter, giunto – per così dire – alla seconda stagione. Non è più un pivello arrivato dai bassifondi, bensì un calciatore professionista di prospettiva, cercato da moltissime squadre, non solo in Premier League, ma anche all’estero. Questa è una delle tante novità di questa modalità: non saremo più relegati al solo campionato inglese ma potremmo giocare in squadre blasonate dei campionati più importanti d’Europa. PSG, Bayern Monaco, Real Madrid sono solo alcuni dei club di cui potremo vestire la maglia, aumentando a dismisura la profondità della narrazione e soprattutto la varietà. La scrittura di Tom Watt si arricchirà di ulteriori colpi di scena e momenti drammatici e, come visto nella brevissima demo, situazioni che faranno rischiare la carriera al giovane Alex. “The Journey” è sicuramente un ottimo modo per vedere il calcio da un altro punto di vista, il cosiddetto dietro le quinte di un mondo vasto e pieno di sfaccettature. Anche tecnicamente risulta migliorato, con cutscene più pulite e definite e soprattutto con maggiori dettagli negli spogliatoi  che, nella prima iterazione risultavano davvero vuoti. Da segnalare qualche piccolo calo di frame durante gli intermezzi, ma ricordo che non si tratta di una build finale. Questa seconda stagione de “Il viaggio” sembra davvero migliorata e comincia davvero ad appassionare come se fosse una buona serie TV e, se aggiungiamo la possibilità di personalizzare Alex, più l’incontro con calciatori del calibro di Cristiano Ronaldo, ne vedremo delle belle.

Un deciso passo avanti

FIFA 18 presenta diverse novità in termini di gameplay, non solo dedicate al gioco in senso stretto ma anche strutturalmente. Un’innovazione che balza subito all’occhio è la possibilità di decidere prima dell’inizio della partita le tre sostituzioni disponibili: direttamente dal menu della gestione della squadra possiamo scegliere chi sostituire con chi in modo da snellire i tempi di gioco. Si avrà così, nel corso della partita e solo durante le pause, la possibilità di effettuare una sostituzione veloce indicata dall’icona in basso a destra. Una volta premuto il grilletto destro del vostro joypad ecco che si avvierà istantaneamente la cutscene della sostituzione senza dover mettere in pausa il gioco. Questo è un elemento importante soprattutto nelle modalità online in quanto possono venir annullate le strazianti pause che possono inficiare il ritmo della partita. Qualora non decidessimo i cambi in ogni caso la CPU ci suggerirà quale scelta effettuare e starà a noi scegliere se procedere o meno.
Scesi finalmente in campo, notiamo subito delle differenze: il ritmo di gioco è decisamente diminuito e anche la fisica del pallone ha subito una vistosa variazione, risultando più pesante. Questo porta a un gameplay molto più ragionato, in cui il centrocampo diventa fulcro essenziale delle nostre giocate. Galoppate sulla fascia ridotte al minimo ma controlli migliorati sui giocatori  portano il titolo EA su un altro livello rispetto alla concorrenza: si ha davvero l’impressione del controllo totale, e l’abilità col pad sarà decisiva se si vogliono ottenere risultati. A complicare ulteriormente le cose, le squadre si arricchiscono di un’IA più evoluta e soprattutto più caratterizzata in base alla squadra contro cui giocheremo: il nuovo Real col suo rinnovato tiki-taka, il catenaccio juventino, la forza dell’Atletico di Madrid cambieranno drasticamente il nostro modo di approcciarci alle partite contro la CPU. Diventa fondamentale studiare un minimo l’avversario e modificare opportunamente le nostre strategie di gioco. A questa caratterizzazione delle squadre, si unisce anche il cosiddetto Real Player, il nuovo sistema di scan Electronic Arts, che replica al dettaglio le movenze dei calciatori più famosi, distinguendoli letteralmente dalla massa. Ecco quindi Cristiano Ronaldo correre con la sua caratteristica postura ed esultare con il suo urlo dopo un gol; Robben che dopo una lunga falcata rientra per provare il tiro e Neymar  un vero funambolo che non sta mai fermo. Tutto ciò porta a un livello superiore il titolo, aumentando la verosimiglianza alla controparte reale.
Fortunatamente le nuove animazioni sono disponibili, in generale, al resto dei giocatori, con soluzioni più varie per tiri, cross e passaggi.
Ovviamente non parliamo di un titolo perfetto: almeno in questa demo risulta difficile non notare qualche sbavatura del comparto animazioni e soprattutto nei contrasti, a volte un po’ innaturali.
Resta comunque da vedere il gioco finito, in uscita il 29 Settembre, in cui potremmo vedere se queste ottime premesse saranno confermate.

Tutti allo stadio

Tutte le novità apportate l’anno scorso con il FrostBite Engine sono state ulteriormente migliorate: tutto risulta più definito già a partire dalla demo, con una migliore gestione dell’antialiasing che regala una maggiore pulizia generale. Il nuovo sistema di scan ha inoltre permesso una gestione maggiore dei dettagli sui volti dei giocatori più blasonati; la verosimiglianza è ormai vicina al fotorealismo, anche se la differenza tra che gode di questa feature e chi no risulta più netta: calciatori di secondo piano ma anche, almeno per adesso, giocatori di un certo livello come Gonzalo Higuaìn sono ancora molto indietro rispetto ai loro omologhi reali.
Una delle novità visive più acclamate è la nuova gestione del pubblico e delle atmosfere da stadio. Le partite risultano così più coinvolgenti con un pubblico sempre in movimento e che non si limiterà solo ad alzarsi o sedersi. Se, ad esempio, una nostra bordata finirà sugli spalti, la parte del pubblico in traiettoria si affretterà a prendere il pallone, ammassandosi in prossimità della sfera. E ancora le esultanze, diverse da stadio a stadio e tanti piccoli dettagli rendono il tutto più emotivo.

In conclusione

La demo di FIFA 18 ci lascia con ottime impressioni. Le novità sono tutte chiaramente visibili e innalzano di molto il livello qualitativo. Partite senza dubbio più reali grazie alle nuove movenze di calciatori e team, unita al nuovo pubblico negli stadi arricchiscono di molto l’atmosfera generale, avvicinandosi così a una partita trasmessa in TV. Anche Alex Hunter e il prosieguo del suo viaggio ci hanno incuriosito, esplorando zone nascoste del calcio e che senza dubbio, non vediamo l’ora di approfondirle.
Restiamo dunque in attesa del gioco completo e, di conseguenza, della recensione finale.




Einar

Qualche settimana fa sullo store di Steam, si è aggiunto alla sezione Free To Play, un nuovo interessante gioco, che con un buon sviluppo e con il giusto tempo potrebbe anche risultare un titolo innovativo. Einar è una beta sviluppata e rilasciata da DreamPunks, sviluppatore indie dei Paesi Bassi, è un gioco single-player di genere hack ‘n’ slash basato sulla mitologia norvegese. Nel gioco il giocatore assume il ruolo del guerriero Einar, che sta cercando di uccidere gli abitanti di un villaggio di pescatori infetti da un meteorite misterioso schiantatosi nei paraggi. Nel gioco vi sono diverse armi di cui si è in possesso dall’inizio della beta come l’arco, il martello e l’ascia con lo scudo che ci serviranno a liberare il villaggio dai mostri, affrontando anche dei boss. Questa piccola beta è nata come demo universitaria e creata insieme a un team di 40 studenti universitari del NHTV University of Applied Sciences di Breda come esperimento per capire come vengono creati i giochi AAA. Come detto in precedenza, nel gioco assumiamo il ruolo di un guerriero vichingo di nome Einar che nella beta dovrà farsi strada da una spiaggia fin dentro al villaggio, per arrivare a una piccola arena dove finirà la beta del gioco. Sono disponibili solo 3 tipi di mostri, quelli “base”, alcuni nemici da affrontare a distanza che ci lanceranno contro palle infuocate, e infine i boss, che incontreremo in sole due occasioni. La demo dimostra che usando un buon motore grafico, avendo un buon team e la voglia di creare qualcosa di buono e di nuovo è possibile creare un gioco che non sfiguri al confronto con i tripla A anche non avendo a disposizione un grosso budget.

Combattimento

Einar è un gioco d’azione dal sapore soulslike, con roll, parate e attacchi in pieno stile; se giocato con mouse e tastiera risulta molto legnoso, è consigliabile usare un pad. I combattimenti risultano ben fatti: vi sono solo 2 tipi di attacchi per ogni arma, l’ascia con lo scudo permette di dare dei colpi a ripetizione veloci e potenti e si può finire il gioco anche usando questo solo attacco; lo scudo dopo aver ricevuto un paio di colpi, si distrugge e bisognerà aspettare alcuni secondi perché si rigeneri. Il martello è l’arma pesante e viene usata o con il colpo normale o con il colpo caricato che, grazie alle rune, rende l’arma magica e capace di arrecare maggior danno; l’arco ha anch’esso il colpo normale e il colpo caricato e, come per il martello, anche qui le rune possono potenziare il colpo: l’utilizzo di quest’arma risulta buggato e non ben congegnato, non sempre i colpi possono andare a buon fine (e non sarà per forza colpa del giocatore).

Grafica e Sonoro

Il motore grafico del gioco viene gestito da Unreal Engine 4, le texture sono ben curate, dall’erba, agli alberi sino all’ambiente circostante, compresi i colori, gli effetti e i filtri; a voler essere pignoli, un risultato non ottimale si è avuto nella cura dei capelli del personaggio, i quali risultano poco belli da vedere nonostante l’antialiasing accentuato, e anche in alcune texture che presentano risultati di scarsa qualità – le assi di legno risultano ad esempio sgranate e sfocate – ma non sono molte le sbavature di questo tipo. Il gioco non è esente da bug e glitch, notiamo vari glitch grafici, linee che sembrano artefatte, una fisica del gioco che a volte pare deliberata: un esempio su tutti, i mostri che, una volta morti, volano in aria non appena attacchiamo altri nemici vivi nei paraggi, senza alcuna giustificazione. Un altro piccolo problema – anche se qui non si può parlare propriamente di bug – riguarda ancora i mostri che quando sono in modalità “pacifica” – e quindi non ci vedono – laggano non poco nella camminata, finendo col “teletrasportarsi” di qualche passo. Sul piano sonoro invece è stato fatto un buon lavoro, ogni traccia audio è stata creata in collaborazione con Moana Production e il risultato pare appropriato all’ambiente di gioco.

Ottimizzazione

Sul piano dell’ottimizzazione è stato fatto un lavoro notevole, e il risultato non era scontato con un motore che, se non gode di un buon lavoro, risulta pesante e rischia di penalizzare il gameplay. Giocato al massimo delle prestazioni, con dettagli “Epic” da scegliere tra le impostazioni, in 1080p, si è avuta una media di 70/80 FPS con dei minimi di 50 FPS, parametri normali, considerando anche che il gioco pesa solo 1,15 GB e la zona giocabile è piccola, con pochi caricamenti da effettuare nonostante le texture siano ben fatte.
Doppiaggio e testo sono 
solo in inglese, l’unica voce che si sente è quella del personaggio che useremo, una voce molto corposa che rende l’idea di uomo forte e ricorda vagamente quella di Duke Nukem.

Conclusioni

Tirando le somme, la demo beta di Einar da ben sperare, e fa piacere un simile risultato – pur non esente da difetti – considerando che si partiva da un esperimento universitario. Il tempo di completamento è di quasi 1 ora e mezza, tempo che si allunga se si vogliono cercare gli Easter Egg di cui il gioco è pieno. Con del lavoro adeguato, si potrà avere un prodotto finale interessante e vario. Einar ricorda in qualche modo Dark Souls in versione nordica, e proprio l’ambientazione nelle terre norrene sarebbe una ventata di aria fresca in giochi di questo genere.
Aspettando la versione definitiva,
Einar è consigliabile a chiunque voglia provare dei nuovi indie e cerchi un gioco d’azione divertente e dall’ambientazione non consueta.

Processore: Intel Core i5 6600K @4,60 GHz
Scheda video: NVIDIA GeForce GTX 960 2 GB Gigabyte Mini ATX OC Version
Scheda Madre: MSI z270 Gaming M7
RAM: G.SKILL Trident Z RGB 2×8 GB 3200 MHz DDR4
Sistema Operativo: Windows 10 Home 64 Bit




Die Young

In un mondo in cui tutto sembra scorrere inesorabile verso un’unica direzione, scontata, prevedibile e noiosamente tranquilla, ci sono persone che cercano invece di vivere la propria vita “day by day”, attimo dopo attimo, all’insegna dell’avventura; una vita ricca di emozioni e alla costante ricerca di quelle forti sensazioni che ti fanno sentire realmente VIVO.
Non vi sto rifilando una filippica sul senso della vita: vi ho appena illustrato il background della coraggiosa protagonista di Die Young, survival-thriller-horror (e chi più ne ha più ne metta) della giovane software house IndieGala.

Tasselli Mancanti

Siamo su un imbarcazione in compagnia di 5 amici, ci dirigiamo verso un’isola, sarebbe stata la cosa più cool dell’estate diceva uno di loro, poi… il buio. Ci ritroveremo all’interno di un pozzo buio, qualcuno ne sposta il coperchio e lascia cadere al suo interno una mappa disegnata a mano con diversi punti di interesse; sul retro, un volto nascosto da un velo ci lascia intendere che quella mappa ci è stata consegnata in segreto per aiutarci a muoverci sull’isola. La nostra missione sarà quella di trovare i nostri compagni di viaggio – ovviamente dispersi – e di abbandonare quella maledetta isola.

Nonostante la storia possa sembrare solamente un mero pretesto giusto per contestualizzare la nostra protagonista sull’isola, è meglio non fermarsi alle apparenze e cercare di andare oltre il piccolo dettaglio riguardo il perché questi ragazzi si trovino su un minuscolo gommone, diretti verso un’isola di cui non si sapeva nulla in mezzo all’oceano e riguardo perché tutti scompaiano inspiegabilmente ancor prima di arrivare mettere piede sull’isola stessa . Insomma, roba di poco conto…

Salta qui, aggrappati lì

Ovviamente uno dei punti forti di Die Young dovrebbe essere il gameplay. Dico “dovrebbe” perché gli assets delle animazioni non danno alcuna sensazione di feeling, anzi a volte risultano frustranti perché poco precisi; risulta quasi ingiocabile con il joypad per via di alcuni movimenti – soprattutto in fase di scalata – che in alcune circostanze saremo costretti a fare con tanta minuzia, essendo presente anche una barra di “stamina” che spesso e volentieri si scaricherà facendoci cadere rovinosamente. Saltare, aggrapparsi, scalare… sembrano quasi le stesse animazioni di Sniper Ghost Warrior 3 (gioco che abbiamo recensito qualche mese addietro). Oltre al fatto che non aggiunge nulla di nuovo alle animazioni di un normale action-FPS, giocando a Die Young non facciamo altro che avere sensazioni di “déjà vu”, forse perché in questi ultimi tempi, il genere “survival” in prima persona sembra essere diventato il re della scena.
All’inizio del gioco potremo scegliere se cominciare la partita in modalità “adventure” o “survival“, la prima all’insegna dell’esplorazione, la seconda invece per chi ama un elevato grado di sfida nel giochi. Una delle cose più rilevanti del gioco è infatti è proprio questo altissimo livello di sfida offerto dalla modalità “survival“. I nemici in questo gioco sono molto pericolosi e le armi a nostra disposizione sono ridicole e quasi del tutto inutili contro alcuni di loro. Ci potremo limitare a eliminare qualche serpe che vorrà addentarci durante le nostre passeggiate nell’erba alta o al massimo qualche grosso topo che salterà fuori dagli edifici abbandonati sparpagliati sull’isola; per il resto, che sia un cane, o uno degli omoni giganti incappucciati, la cui presenza sull’isola rimane un mistero, il mio consiglio è quello di correre, correre, correre, a trovare un appiglio da scalare o un riparo come se non ci fosse un domani, perché in un confronto diretto non avrete scampo. Stranamente in questo gioco (rispetto ad altri survival) pur dovendo mantenere alto il livello di energia e idratazione, non avremo alcuna difficoltà a farlo, si troverà acqua in abbondanza e potremo craftare noi stessi le medicazioni necessarie per curarci. Forse un po’ troppo striminzito l’inventario che infatti ci darà la possibilità di portare solo pochi pezzi per ogni tipo di item. Il crafting dovrebbe essere al centro di ogni survival che si rispetti ma, proprio a causa del ristretto numero di oggetti che si possono stivare, l’uso di questa skill rimane spesso marginale; eppure il gioco ci offre lo spunto per creare altri oggetti o armi, ma spesso ci sarà impossibile per via dei materiali mancanti che magari abbiamo utilizzato un attimo prima per creare un kit medico.

Uno dei punti a favore del gioco è l’ambientazione, molto curata e piacevole da esplorare.
È doveroso sottolineare che Die Young al momento è in versione in early-access, quindi ancora in fase di sviluppo. Proprio per questo motivo riponiamo fiducia nel team di IndieGala confidando in qualche buon aggiornamento che possa migliorare quelli che sono gli aspetti più deboli del gioco e le lacune narrative. Sì, il mistero spesso nutre noi avventurieri digitali, ma purché sia sempre giustificato da una buona storyline atta a supportarlo.

Tirando le somme, al momento il gioco appare un’accozzaglia di materiale di vario tipo, buono, per carità, ma purtroppo mal contestualizzato, un cattivo mix di elementi che lo fanno risultare forse pretenzioso. Mi domando se non sarebbe stato meglio, a questo punto, sviluppare il titolo seguendo un’unica direzione, quella di un adventure game in prima persona – mettendo così da parte il crafting, che purtroppo rimane spesso inservibile – oppure un survival puro al 100%, ma studiato con criterio e dovizia.
Ad ogni modo, attenderemo la versione definitiva del gioco per poterlo rigiocare ,sperando che IndieGala possa farci cambiare idea.




Next Up Hero

Oggi giorno sono realmente pochi i giochi che riescono ad amalgamare egregiamente il genere roguelike con la modalità multiplayer, e tra questi si può sicuramente annoverare Next Up Hero.
Con questo titolo dalle tinte retrò, la Digital Continue catapulterà in un gameplay degno dei cabinati anni ’80 con annesse gioie e frustrazioni. Il gioco ci darà la possibilità di scegliere tra uno dei 7 personaggi selezionabili ogni volta che inizieremo una partita, ognuno dei quali avrà diverse abilità, attacchi e peculiarità con ampia scelta tra un approccio ravvicinato o a distanza. Una volta selezionata la partita da fronteggiare, ci si ritroverà in un classico beat em’up dalla visuale isometrica, dalle mappe procedurali  e divise per livelli colme di mostri di vario genere pronti a farci a pezzi. Ma il gioco non è così basilare come appare: è proprio qui che la componente multiplayer ha la sua maggior funzione. Durante i piani della nostra run, potremmo trovare i cadaveri degli eroi di altri giocatori che sono caduti in battaglia in quel preciso punto e sarà proprio lì che il nostro personaggio griderà «NEXT UP HERO!», riuscendo a resuscitarlo per farlo così combattere al proprio fianco in veste di NPC.

Insomma, più giocatori avranno fallito durante l’avventura, più possibilità avremo di sopravvivere. In compenso, ogni dungeon avrà una difficoltà crescente facendoci arrivare al Boss finale in preda al panico, con la consapevolezza che sia impossibile terminare la partita con un good ending. Ma non disperate, il gioco è stato appositamente programmato per avere un’estrema difficoltà nel Boss finale proprio perché questi sarà l’unica creatura che condividerà i punti vita con la community: ogni giocatore che arriverà a fronteggiarlo toglierà infatti permanentemente vita al boss creando una sorta di raid, una volta morto, ogni giocatore riceverà una somma di monete dipendente dalla percentuale di vita tolta. Una volta finita la run, che l’abbiate completata o meno, riceveremo per l’appunto una somma di monete che ci permetterà di fare un upgrade del personaggio cambiando skin o acquistando abilità; ma non è la sola cosa acquistabile. Esiste infatti un sistema di achievement che ci permetterà di acquisire dei bonus permanenti durante le nostre avventure: questi si acquisiranno uccidendo un certo numero di mostri e, una volta raggiunta la somma richiesta, potremo usufruire del potere speciale del mostro e usarlo con qualsiasi eroe selezionato. Prima ho parlato di selezione dell’avventura poiché nel gioco non esistono mappe pre-costruite dagli sviluppatori ma solo dungeon creati da altri giocatori, essendo possibile cambiare la difficoltà, i numeri dei piani e la possibilità di incontrare mosti rari, ovviamente, pagando una cospicua somma di monete.

Ma non è tutto oro ciò che luccica: il gioco nonostante, sia ancora in fase beta, appare ancora in uno stato embrionale al punto da rendere impossibile intravedere il risultato finale. Tutte le modalità sono ancora bloccate facendoci solo lontanamente percepire una ipotetica profondità nel multiplayer, le mappe sono ancora molto spoglie e visibilmente monotone, alcuni personaggi non sono ancora selezionabili ma soprattutto il gameplay risulta profondamente squilibrato in relazione al personaggio che si usa. Durante le nostre run non avremo quasi mai la possibilità di curarci, questo rende l’approccio ravvicinato coi nemici totalmente evitabile poiché uno scambio di colpi non eguaglierà mai un personaggio in grado di colpire da lontano, con maggior danno e senza essere mai colpiti.

Nel complesso il gioco si presenta con un’idea originale ma al contempo molto scarna: per quanto sia stato lanciato come beta, il contenuto attuale lo rassomiglia più a un’alpha.
Le premesse per renderlo un gioco di rango ci sono tutte, e speriamo che Digital Continue riesca a riempire tutte le falle presenti nel titolo prima del lancio ufficiale.
Next Up Hero arriverà nei primi mesi del 2018 su PC, Linux, PS4, Xbox One e Nintendo Switch.
Non ci resta che aspettare.