Videogiocare è soprattutto imparare

Durante un’intervista rilasciata a GameInformer, il creative chief officer di Ubisoft Serge Hascoet, è sembrato molto emozionato riguardo al futuro del settore videoludico.

«Questa è un’industria fantastica» afferma Hascoet, secondo lui il settore è in un momento di crescita esponenziale, l’anno scorso il VR era una tecnologia da poco, ma adesso sembrerebbe prendere piede ed è fantastico che ci sia l’avanzare di giochi come Fortnite, che portano uno “svecchiamento” delle normali tematiche videoludiche.
Tuttavia, secondo il creative chief officer, al settore manca qualcosa di molto importante: un’anima. Il suo pensiero è che, al momento, non si stia facendo abbastanza per migliorare l’esperienza dei giocatori, visto che molti videogiochi sono basati sull’intrattenimento ma, invece, dovrebbero inoltre far apprendere qualcosa ai giocatori.

Il suo principale “punto di riferimento” sono i giochi da tavolo e i card game, i quali, oltre a divertire, aiutano a comprendere il comportamento umano, stimolando la comprensione degli avversari e quanto siano veritieri i loro comportamenti. Infatti, queste nozioni vengono imparate divertendosi, quindi si dovrebbe cercare un modo di portare questo tipo d’insegnamenti all’interno dei giochi.
«I videogame riguardano il gaming, e il gaming non è solo entertainment: riguarda soprattutto l’apprendimento learning. Quando impari, puoi divertirti. Quando il gioco si ferma all’intrattenimento stiamo dunque perdendo qualcosa. Ragiono sempre col team riguardo i benefit che il giocatore trarrà dal gioco per usarli nella vita reale: allo stato attuale stiamo facendo poco in tal senso. Quel che mi emoziona è invece pensare di fare qualcosa che diverta e al contempo che abbia benefici nella vita reale.»
Hascoet ha continuato dicendo che si dovrebbe puntare alla creazione di giochi con modalità simili a quella introdotta in Assassin’s Creed: Origins, cioè, la modalità Discoverydove gli utenti possono effettuare un “tour” delle creazioni storiche egiziane.
Infine, Hascoet ha affermato che Ubisoft è piena di marchi adatti a formare i più giovani, come Child of Light, Rayman, Mario+Rabbids: Kingdom Battle,  ma sono giochi che non vendono tanto quanto giochi del calibro di AC. Infatti, è per questo motivo che i team di sviluppo della software house tendono a cercare di accettare tendenzialmente più titoli che coinvolgano un audience più adulta.




Ha ancora senso Assassin’s Creed?

Sin dalla sua comparsa, Assassin’s Creed è stato capace di dividere il pubblico, anche se per motivi diversi. Se il capitolo originale veniva criticato per l’eccessiva ripetitività o elogiato per le novità apportate ai free roaming e per la narrativa, i successivi hanno cominciato a esser presi di mira per le mancate novità, per la poca incisività della trama, pur comunque mantenendo una buona dose di vendite e di critica in generale. Oggi, con l’avvento di Odyssey, la questione è un’altra: il nuovo capitolo, può essere definito Assassin’s Creed? La mancanza della famosa setta e l’andare così a ritroso nel tempo, ha cominciato a far venire dubbi persino ai fan più accaniti, ma oggi vedremo di analizzare la situazione, concentrandoci prevalentemente sulla narrativa.

Un passato pericoloso

Partiamo con i periodi storici, punti focali nella saga di Assassin’s Creed: siamo passati dalle Crociate all’Italia Rinascimentale a varie rivoluzioni sino a scoprire l’origine della Setta degli Assassini, nell’Egitto Tolemaico. C’è stato un periodo in cui, a seguito dell’avanzare nel tempo da parte di Ubisoft, il cui sviluppo dei titoli della saga sembrava seguire un progressione temporale costante, molti fan hanno cominciato a sospettare che il brand un giorno avrebbe calcato palcoscenici moderni, magari vedendo Desmond come Maestro Assassino del XXI secolo. Ovviamente sappiamo che non è andata così; Desmond ha trovato il suo destino e con lui la specie umana. Ma se c’è una cosa che è finita nel dimenticatoio, anche per colpa degli stessi sceneggiatori, è un piccolo, grande particolare: la storia degli Assassini ha inizio molto prima della creazione della setta. Se, appunto, in Assassin’s Creed: Origins abbiamo visto la creazione “ufficiale” della congregazione, in realtà l’essere Assassini ha risvolti molto più antichi, un ordine sparso, travagliato, ma con radici molto profonde. Ma ne parleremo dopo.
Assassin’s Creed: Odyssey, come sappiamo, è un prequel di Origins e la domanda posta da molti utenti è stata: qual è il senso di un Assassin’s Creed ambientato prima della creazione del Credo? Prima di rispondere con la parola “soldi”, scendiamo un attimo sui particolari: avete notato come, in Origins, Bayek entri in possesso di una Lama Celata? Se ne entra in possesso, quella lama, deve avere qualche origine. Guarda caso Odyssey è ambientato quasi nello stesso periodo in cui la lama fece la sua prima comparsa per opera di Dario, che con quest’arma eliminò Re Serse I. Questo accadde per una ragione semplicissima: Templari e Assassini esistevano già. Il focus non deve andare dunque sul nome, ma sul credo in sé; l’ideologia, così simile eppure così diversa tra le due sette, è antica come il mondo e poco importa il nome a cui fanno riferimento.
Questo dunque ci porta a un altro elemento: andare ancora a ritroso, prima ancora dell’Antica Grecia ha indubbiamente senso e questo potrebbe portare alla prima civiltà umana conosciuta come i Sumeri ad esempio. Eppure non sarebbe ancora abbastanza.
Grazie ai ricordi ricostruiti dal Soggetto 16Clay Kaczmarek, altra cavia dell’Abstergo oltre a Desmond, sappiamo che gli “Assassini” hanno un’origine risalente a più di 75000 anni fa (no, non è un errore di battitura).
Che Ubisoft sotto sotto voglia portarci tra le città della prima civilizzazione? Non è da escludere a priori anche se potrebbe essere un titolo ben diverso da come lo conosciamo, per via della tecnologia estremamente avanzata che renderebbe questo ipotetico Assassin’s Creed praticamente fantascientifico. Potete già immaginare lame laser e qualunque cosa partorisca la vostra immaginazione.
Assassin’s Creed: Odyssey ha dunque senso senza la setta degli Assassini/Occulti? Certo che sì, e la risposta è contenuta già nel titolo: il Credo degli Assassini è il vero punto focale dell’opera e, volendo essere ancor più precisi, è la parola Creed su cui si concentra davvero tutto il franchise.
Cambiare nome del brand è un’altra possibilità ma questo dipende dalle direttive di Ubisoft per il futuro della serie, se si vuole proseguire o meno nella direzione sopracitata o creare titoli prettamente “usa e getta”, con i piccoli collegamenti necessari per giustificare l’utilizzo della proprietà intellettuale.

Adamo ed Eva

Coloro che vennero prima” è il fantomatico nome della prima civilizzazione sul pianeta Terra, antecedente ovviamente alla razza umana. Durante gli eventi della prima trilogia di Assassin’s Creed, ovvero dall’originale, ai capitoli dedicati a Ezio Auditore e al terzo episodio, sappiamo abbastanza di questa civiltà grazie ai vari documenti presenti ma soprattutto grazie al racconto diretto delle coscienze preservate di Minerva, Giunone e Giove, in grado di raccontare a grandi linee quanto è successo. La razza umana venne creata da Coloro che vennero Prima (da adesso CVP, per facilità d’uso), per utilizzare gli umani come schiavi, controllandoli attraverso il potere dei Frutti dell’Eden. Ma a un certo punto la ribellione di due di loro, Adamo ed Eva appunto, segnò l’inizio della guerra tra le due specie, distraendole da quanto stava per avvenire sulla Terra, una sciagura conosciuta come Catastrofe di Toba, che portò alla quasi estinzione di entrambe le razze. Come sappiamo grazie ad Assassin’s Creed II, tutto ha inizio nell’Eden, alle falde del Kilimangiaro (del resto si presuppone che la razza umana abbia avuto inizio proprio in Africa), in cui possiamo osservare due individui (Adamo ed Eva appunto) scappare da qualcosa o qualcuno con in mano un Frutto dell’Eden, rimanendo immuni ai sui effetti. La loro agilità e forza, nonché l’immunità agli effetti della tecnologia “ancestrale” ci dice due cose: la loro natura è molto probabilmente ibrida, data dall’unione di geni umani e di CVP, e poi, cosa ben più importante, gli Assassini iniziano da loro. Ma attenzione: anche i Templari.
Nulla è reale, tutto è lecito” ha inizio molto probabilmente in questo frangente, più di 75000 anni fa: liberati dall’influsso della tecnologia, gli esseri umani per la prima volta conoscono il libero arbitrio, scoprendo la menzogna posta ai loro occhi con la forza. Le differenze tra Assassini e Templari sono ovviamente post-catastrofe, vedendo la pace in modi diametralmente opposti: grazie alla libertà per i primi, imposta con la forza per i secondi.
Come potete aver capito, parlare del “senso” di Assassin’s Creed ha davvero poco significato. Essere Assassini o Templari è qualcosa che va al di là del nome, mettendo l’accento sul Credo e sul suo significato. Kassandra (semplificando) crede nella pace e nella libertà? È un’Assassina, come lo furono Altaïr ed Ezio Auditore. È altresì vero che questo filone narrativo purtroppo è stato un po’ tralasciato nel corso degli ultimi anni, soprattutto dal termine della trilogia. Che Odyssey sia dunque un piccolo segnale? Non ci resta che attendere ma è davvero un peccato che la saga, narrativamente parlando, abbia perso un po’ la rotta, senza concludere o per lo meno ampliare quanto già narrato. Appuntamento dunque al 2020, con un Assassin’s Creed di nuova generazione.




Football Manager 2019: in arrivo la nuova versione dello storico gioco manageriale

Ormai sulla cresta dell’onda da più di 10 anni, Football Manager può essere definito il simbolo dei giochi manageriali di calcio, un vero e proprio simulatore gestionale per aspiranti commissari tecnici, caratterizzato da un ricchissimo database e da numerose e realistiche funzioni. L’edizione 2019 di quello che è uno dei videogames più amati dal grande pubblico è in uscita il prossimo 2 novembre: scopriamo alcune delle novità già annunciate, ripercorrendo anche le tappe principali di una storia di incredibile successo.
Fortemente atteso dagli amanti del genere, Football Manager 2019, sembra già promettere diversi interessanti ritocchi. È proprio di questi giorni, infatti, il comunicato lanciato da Sega e Sports Interactive, che hanno presentato alcune delle principali novità che interesseranno la nuova versione del gioco, a partire dalle numerose opzioni introdotte negli allenamenti delle squadre.
Dopo un attento studio sul campo, gli sviluppatori delle due case produttrici hanno realizzato importanti modifiche proprio sulle sessioni di allenamento, rese più complete e realistiche grazie a programmi del tutto simili a quelli portati avanti nel mondo reale. Non sono però solo queste le novità che gli appassionati troveranno all’interno del loro gioco preferito: anche la modalità partita vedrà Football Manager 2019 avvicinarsi sempre più alla realtà calcistica a 360 gradi.

A livello tattico, i manager avranno la possibilità di scegliere tra opzioni preimpostate oppure sviluppare un proprio sistema di gioco, con la massima flessibilità nelle istruzioni da impartire ai giocatori in ogni fase di gioco. Proprio come veri allenatori in panchina, gli utenti potranno comunicare ai calciatori in campo le variazioni tattiche in tempo reale, modificare lo schema in base all’andamento della partita e scegliere di puntare sull’attacco o chiudersi in difesa per portare a casa il risultato desiderato.
Sta proprio nella vastità di informazioni gestibili uno dei principali pregi di Football Manager 2019, che riesce a trasferire su un videogame in maniera quasi completa tutte le emozioni del vero sport, inclusa la tanto discussa innovazione del VAR (Video Assistant Referee).
Altra importante novità è l’accordo di licenza finalmente chiuso con la Bundesliga e la Bundesliga 2, che consentirà per la prima volta ai giocatori di scegliere la propria squadra tra quelle delle due principali serie del campionato tedesco, con tanto di divise originali, distintivi e tratti somatici dei calciatori.
Nel presentare i cambiamenti apportati, Miles Jacobson, Director di Football Manager, ha affermato: “Nell’ultimo anno abbiamo affrontato un importante cambiamento come studio, spostando gli uffici, migliorando le nostre pratiche lavorative e passando una grande quantità di tempo a effettuare ricerche. Il risultato di tutto questo lavoro può essere visto in Football Manager 2019 – ha un look pulito e anche molta freschezza, non solo con le nuove funzionalità, ma anche attraverso molte altre modifiche che lo rendono un’esperienza ancora più avvincente da giocare: siamo tutti molto orgogliosi di ciò che abbiamo ottenuto con FM19 e non vediamo l’ora di ascoltare ciò che i nostri fan hanno da dire”.
Oggi Football Manager può essere considerato il titolo più importante nell’ambito dei giochi manageriali: ma come si è arrivati a tanto successo? Nato come rivale dell’altro must del genere, ossia Championship Manager, uno dei videogames più amati degli anni ’90, Football Manager ha saputo scalzare la concorrenza del suo avversario sfruttando da un lato il lento declino del gioco di casa Eidos e dall’altro l’attento lavoro di ricerca e sviluppo portato avanti negli anni dai suoi programmatori.
Se da un lato, titoli come Pes e Fifa tengono incollati i videogiocatori al monitor per l’aspetto quasi esclusivamente tecnico, fatto di colpi di classe e giocate imprevedibili, i giochi di tipo manageriale ampliano lo spettro di situazioni vivibili coinvolgendo temi fino ad alcuni anni fa considerati poco attraenti.
La gestione completa di un club di calcio, dagli aspetti economici a quelli tattici, può infatti sembrare tutt’altro che coinvolgente, ma basta calarsi per pochi minuti nei panni del presidente/allenatore di turno per trasformarsi in accaniti manager alla Gaucci, pronti a cercare i talenti del futuro nelle serie minori dei paesi più improbabili e a spingere la propria squadra verso traguardi fino a quel momento impensabili.
Mentre in Italia, sin dai primi anni ’90, tale modalità veniva introdotta dall’indimenticato PcCalcio, fu la serie di giochi conosciuta come Championship Manager (Scudetto nel nostro Paese) a toccare l’apice all’inizio degli anni 2000. La rottura tra Sports Interactive ed Eidos nel 2004, con il successivo accordo tra i primi e la Sega, fu però l’evento che spinse i fan di CM a tuffarsi sulla completezza e sulla giocabilità proprio di Football Manager.

In pochi anni, Football Manager ha finito per diventare un must non solo tra i fan dei giochi manageriali ma anche tra gli stessi addetti ai lavori, che più di una volta hanno ammesso di aver attinto all’infinito database del videogame per scoprire i campioni del futuro. Addirittura poi, c’è chi utilizza il gioco per i propri pronostici, affidandosi ai risultati da questo elaborati per scommettere sugli eventi sportivi reali: basti pensare a quando, in un simpatico “esperimento” FM 2018 ha suggerito la mancata qualificazione dell’Italia agli ultimi mondiali, azzeccando in pieno questo e altri avvenimenti della stagione in corso.
Le premesse per divertirsi, dunque, ci sono tutte: Football Manager 2019 sarà disponibile sia per PC che per Mac, oltre che in versione Mobile e Touch, già dai primi giorni di novembre, mentre la versione per Nintendo Switch sarà probabilmente rilasciata a fine novembre. Ancora solo pochi giorni di attesa e potremo valutare i progressi fatti in quest’ultima edizione.




Assassin’s Creed: vita e morte di un credo

Durante lo speciale dedicato alla storia di Tomb Raider  e alla sua eroina Lara Croft, vi fu un piccolo passaggio in cui si misero in parallelo le travagliate vicende del brand Core Design con saghe successive come Call of Duty o Assassin’s Creed. Per la serie “la storia si ripete” e in concomitanza con l’arrivo di Assassin’s Creed: Odyssey, ripercorriamo le gesta e gli alti e bassi di una delle saghe più famose degli ultimi anni. Sin dalla sua comparsa, Assassin’s Creed è entrato prepotentemente nell’immaginario collettivo, subito riconoscibile e trasposto in innumerevoli modi, tra videogame (ovviamente), romanzi, fumetti, fino al lungometraggio con Michael Fassbender del 2016. Assassin’s Creed è anche il simbolo estremo del cambiamento del mercato videoludico, fatto di serializzazioni, che a lungo andare hanno finito per corrompere la qualità dei titoli, fino al radicale cambiamento avvenuto con Origins e Odyssey, fresco fresco di uscita.

L’inizio è già il futuro?

La crescita di Ubisoft come compagnia accelerò improvvisamente nel 1997, quando a Montréal venne aperto il suo studio più importante, contando all’attivo più di 2100 dipendenti. La svolta reale però, si ebbe con l’acquisizione dei diritti di Prince of Persia, brand storico creato da Jordan Mechner, debuttato nel 1989 e rivoluzionario per l’epoca, creando di fatto gli action moderni e sdoganando l’uso del mo-cap nei videogiochi. La voglia di creare un titolo nuovo di zecca era molta e capo del progetto venne nominato Patrice Désilet che con Prince of Persia: Le Sabbie del Tempo (2003) cambiò per sempre il genere action, divenendo ispirazione per tutti i suoi simili sino ai giorni nostri. Il successo e la stima acquisita dai numerosi riconoscimenti, convinse Ubisoft a dare carta bianca a Désilet per un nuovo progetto, un Prince of Persia (con successivo sottotitolo Assassins) da far uscire sulle console di nuova generazione: PlayStation 3 e Xbox 360. Al suo fianco entra in scena anche Jade Raymond, che nel frattempo si era fatta un nome soprattutto per il successo di The Sims Online (2002). Nel frattempo Patrice si interessò molto alla storia degli ḥashāshīn, una setta che operava durante la Terza Crociata e che sarebbe stato il punto focale del nuovo gioco. Ben presto si accorsero che con Prince of Persia il nuovo progetto aveva ben poco in comune e decisero così di creare una nuova IP: Assassin’s Creed. C’è da notare sin da subito come questo processo potrebbe di nuovo avverarsi, ma lo vedremo meglio in seguito. Mentre lo sviluppo del nuovo brand andava a gonfie vele, un piccolo team era stato preposto alla realizzazione di un progetto parallelo, un Assassin’s Creed da proporre per PlayStation 2 e Xbox. Di questo progetto non se ne seppe più nulla e, stranamente, non fu l’unica volta.
Benché controverso, con alcuni difetti rilevanti, il primo concept è probabilmente il vero e unico Assassin’s Creed, partendo da un ottimo incipit di trama in cui chiunque ha la possibilità di rivivere i ricordi dei propri antenati memorizzati nel D.N.A. attraverso una macchina denominata Animus. Il protagonista era Desmond Miles, un giovane barista rapito dalla Abstergo Industries, con l’intento di trovare un manufatto prezioso perso in medio oriente. Desmond ha un antenato, vissuto all’incirca nel 1191 che potrebbe sapere dove si trova, Altaïr Ibn La-Ahad.
Quando uscì, nel 2007, questo gioco spaccò la critica: chi lo ritenne un capolavoro, chi mediocre a causa di una certa ripetitività. In ogni caso fece segnare un record di vendite. Tecnicamente eccezionale, con texture dettagliate e tanti personaggi su schermo il perno centrale del progetto era però tutt’altro:

«Quando gli altri seguono ciecamente la verità, ricorda: nulla è reale. Quando gli altri si piegano alla morale e alle leggi, ricorda: tutto è lecito. Agiamo nell’ombra per servire la luce. Siamo Assassini. Nulla è reale, tutto è lecito.»

Ma cosa vuol dire “nulla è reale tutto è lecito”? In poche parole, tutto ciò che viviamo, osserviamo e facciamo è ciò che genera in noi il senso di libertà, facendoci credere che solo noi siamo artefici del nostro destino ma, in realtà, è solo una mera illusione. Ogni nostra azione è controllata, tutto ciò che vediamo è solo ciò che ci è stato posto davanti per nascondere la verità. “Tutto è lecito” deriva da questa consapevolezza, che il mondo che vediamo sia finzione e che dobbiamo fare tutto il possibile per trarcene fuori al fine di riconquistare la libertà, prendendo coscienza delle nostre azioni e accettarle, siano esse positive o negative. Ma, come ogni cosa su questa terra, anche il Credo vive di profonde contraddizioni, dove ad esempio si promuove la pace ma si agisce tramite assassinii. Anche il Credo in sé si scontra con la promulgazione del libero arbitrio e la fede assoluta, dato che i membri seguono un rigido regolamento, dando piena fedeltà alla setta.
Sia ben chiaro, non si tratta di errori o disattenzioni nello stilare la sceneggiatura: l’opera di Désilet è ricca di profonde tematiche, sia filosofiche che umastiche che, sommate a un gameplay che prevede un’accurata ricerca di indizi su come approcciare l’assassinio di turno, è ripreso solo successivamente in Dishonored, forse più Assassin’s Creed di molti titoli della saga Ubisoft. Anche lo scontro con i Templari, fazione nemica del gioco, sia in Terra Santa che ai giorni nostri, non è mai mostrato come un semplice “buoni contro cattivi” presentandosi come uno scontro di filosofie diverse: entrambi vogliono la pace ed entrambi, uccidono per ottenerla. Benché si potesse osare di più narrativamente parlando, la sfida tra le due fazioni rimane uno degli elementi più interessanti, pur risultando standardizzato nei capitoli successivi.
L’importanza dell’entrata in scena di Assassin’s Creed la vediamo tuttora: tutti i free roaming successivi prendono in qualche modo spunto dal lavoro di Ubisoft Montréal che è riuscita a rivoluzionare il genere portando su schermo centinaia di NPC, un mondo vivo e variegato oltre alla possibilità di esplorare l’intera mappa nelle tre dimensioni visto che Altaïr è anche un ottimo scalatore. A tal proposito, AC ha anche il merito di aver sdoganato la moda del parkour, dove tantissimi traceur hanno cercato di emulare le gesta degli assassini tra i tetti e le mura delle città moderne; tutto questo rientra nell’iconicità di un brand divenuto uno dei più importanti videogiochi della storia. Ma a proposito di storia: una delle caratteristiche del brand, visibile sin da subito, è lo sfruttamento delle informazioni storiche al fine di ricreare un contesto autentico. È così che gli ambienti, a cominciare da Gerusalemme, agli avvenimenti e personaggi, sono studiati per dare un senso di autenticità. Certo, alcuni avvenimenti sono “romanzati” e adattati alle esigenze videoludiche ma, in generale, già dal primo capitolo, Assassin’s Creed viene utilizzato come supporto alle lezioni di storia nelle varie università.
Con 8 milioni di copie vendute Ubisoft non poté che spremere il brand fino al midollo, ripetendo la storia di Core Design. Poco dopo, infatti, arrivò per Nintendo DS Assassin’s Creed: Altaïr Chronicles, prequel diretto del titolo originale. E siamo solo all’inizio.

Uno tira l’altro

Si arriva così al secondo capitolo, ritenuto dai più il migliore della saga. Si passa dal Medio Oriente con Altaïr all’Italia rinascimentale di Ezio Auditore, che ci accompagnerà per tanto tempo, forse troppo. Siamo nel 2009 e il gioco, anticipato da ottimi trailer in CGI, viene contornato da tre corti in live action, Assassin’s Creed: Lineage, primo tentativo di sfruttamento del brand al di fuori del meta videoludico. Sviluppato da Ubisoft Digital Arts e Hybride Technologies (300, Sin City), riesce nell’intento di introdurre in maniera quasi perfetta le nuove vicende che affrontiamo all’interno del gioco. Assassin’s Creed II rappresenta anche una grande risposta alle tante critiche ricevute al rilascio dell’opera originale, migliorando tutti gli aspetti possibili, dalla componente tecnica, al gameplay passando alla trama, più ricca e coinvolgente, grazie anche a un team composto da 450 persone, numeri difficilmente raggiungibili da altre produzioni. Le tematiche fondanti del franchise erano ancora visibili, ma si cominciava a delinearsi la standardizzazione delle due fazioni, Assassini e Templari, come un mero scontro tra bene e male, alla stregua di Autobot e Decepticon. Ambientato tra la congiura dei Pazzi nei confronti di Lorenzo il Magnifico e il regno di Rodrigo Borgia, il gioco si dipana tra FirenzeVenezia e altre ambientazioni italiche tra cui Monteriggioni, luogo di nascita di Ezio e hub centrale sia nel passato che nelle vicende contemporanee. A colpire è la caratterizzazione di Ezio Auditore, un uomo che vediamo letteralmente nascere e pian piano crescerà sino a diventare un Maestro Assassino. Le sue convinzioni e motivazioni evolveranno nel corso dell’opera e questo, assieme alle splendide ambientazioni e un gameplay estremamente appagante rendono il secondo capitolo una forte rivincita.
Assassin’s Creed II è ricordato anche per il suo finale, coraggioso e rivelatorio, mostrando uno scopo che nel primo Assassin’s Creed  era appena accennato: conosciamo per la prima volta la funzione di Ezio Auditore e di Desmon Miles, chi realizzò i manufatti chiamati Frutti dell’Eden e soprattutto la consapevolezza che la saga sarebbe durata davvero tanto. Inoltre, elemento che diverrà centrale è il cosiddetto Effetto Osmosi che permette a Desmond (ma effettivamente a chiunque interagisca con l’Animus) di assimilare le abilità dei propri antenati e divenire quindi un Assassino a tutti gli effetti.
Per esser stato il gioco più presente sulle copertine di settore, Assassin’s Creed II è entrato nel Guinness World Record, che si aggiunge ai tantissimi riconoscimenti ricevuti in quel periodo. Anche il compositore danese Jesper Kyd, che si è occupato della colonna sonora del prequel, arrivò alle luci della ribalta per la realizzazione del tema Ezio’s Family e le musiche presenti all’interno del gioco. Questo gli diede l’opportunità di dedicarsi ai futuri Assassin’s Creed sino a Revelations. Il suo tema è divenuto così importante da essere associato immediatamente al brand soltanto ascoltando qualche nota ed è divenuto base sulla quale sviluppare i temi successivi , ri-arrangiati per l’occasione. Quasi contemporaneo al capitolo principale, Assassin’s Creed: Bloodlines è il primo titolo di questo franchise ad approdare su PSP e sequel diretto del capostipite, con protagonista Altaïr, accompagnato anche da Assassin’s Creed: Discovery per Nintendo DS e iPhone.
Anticipato dal corto animato Assassin’s Creed: Ascendance, l’approccio alla serializzazione si materializza nel 2010 con Assassin’s Creed: Brotherhood, che introduce per la prima volta elementi multiplayer, mettendoci nei panni di un Ezio divenuto capo della setta di Roma, comandando un manipolo di sottoposti.
La trama, che segue direttamente gli eventi del secondo capitolo, forse è meno coinvolgente, ma è in grado di dare nuovo peso a Desmond e al destino del mondo, tutto ambientato (tranne nel finale) nella sola città di Roma. La nostra Capitale è stata ricostruita minuziosamente, enorme e percorribile interamente a cavallo, altra novità del franchise. Anche qui il finale è riuscito a far parlare di se, essendo a tutti gli effetti un grosso cliffhanger che a molti utenti non è andato giù. Questo espediente, nel bene e nel male ha reso Assassin’s Creed un’enorme “serie TV” e i risultati di questa scelta si sarebbero visti molto presto. Grazie a questo nuovo sequel, lo sceneggiatore Jeffrey Yohalem, vinse il premio per la migliore sceneggiatura.

Ma il 2010 segna anche un addio importante: Patrice Désilet, autore e mente creativa della serie, si dimette, in cerca di maggiore libertà creativa che troverà in THQ lavorando sull’ormai mitologico 1666 Amsterdam  mentre, Jane Raymond viene promossa e messa a capo della produzione di Sprinter Cell: Blacklist.
Senza un timone definitivo e passato a Ubisoft Sofia, il 2011 è il turno di Assassin’s Creed: Revelations. Forse non tutti sanno che le idee alla base di quest’ultimo capitolo sono ricavate da un titolo previsto per Nintendo 3DS, Assassin’s Creed: Lost Legacy, presentato all’E3 2010 ma senza mai vedere la luce.
In questo capitolo diventa centrale scoprire la vera natura del Credo e del reale scopo di Ezio Auditore. Interessante è la possibilità del protagonista di rivivere i ricordi di Altaïr attraverso un Frutto dell’Eden, una sorta di Animus vecchio stampo. Suddivisi in cinque ricordi, le storie dedicate all’Assassino originale restituiscono un personaggio ben più complesso di quanto fatto intravedere in precedenza, mostrando una forte umanità, rappresentando forse il vero pregio di Revelations.
Sotto la guida del nuovo direttore creativo Alexandre Amancio, pur non vantando una trama molto elaborata, questo capitolo riesce ancora a fare centro, non solo per la ricostruzione della vita di Altaïr ma anche per approfondire ulteriormente Desmond Miles, nel frattempo in coma e tenuto in vita dall’Animus. Finalmente si scopriranno innumerevoli segreti e le ragioni per cui si è arrivati a questo punto, aspettando l’ultimo e ufficiale terzo capitolo.
Gli ultimi giorni di Ezio Auditore sono racchiusi in un corto, Assassin’s Creed: Embers, un ultimo saluto a un uomo che abbiamo visto nascere, crescere e maturare fino a diventare una leggenda.

Il paradosso storico

Nonostante le ottime vendite, il pubblico sentiva l’esigenza di qualcosa di realmente nuovo. Assassin’s Creed III (2012), il titolo più ambizioso di sempre nella storia di Ubisoft era la risposta, con la produzione passata da Alexandre Amacio ad Alex Hutchinson.
Nuova ambientazione e nuova location, all’interno della Rivoluzione Americana, che vede Connor Kenway, il nuovo protagonista, muoversi tra le fila degli schieramenti. Per i nativi americani Ratonhnhaké:ton, figlio del templare Haytham Kenway e di una nativa americana Kanien’kehá:ka, Connor è il figlio di due mondi contrapposti. Dopo la distruzione del villaggio dove cresciuto e la morte della madre, egli cerca vendetta unendosi così alla causa degli Assassini. Purtroppo la sua caratterizzazione è forse quella meno riuscita: di potenziale da vendere ce n’era, vista la sua doppia origine (da un lato nativo americano, dall’altro inglese), che avrebbe potuto portare a conflitti interiori del tutto trascurati, come del resto remore sulle idee del Credo visto che il padre ricopre il ruolo di Gran Maestro dei Templari.  Fortunatamente la parte riservata a Desmond è ben gestita, ed è possibile vederne i miglioramenti da Assassino del terzo millennio.
Impianto tecnico ragguardevole con l’avvento del nuovo motore grafico denominato Anvil Next, che ha permesso l’utilizzo di tantissimi personaggi su schermo, animazioni migliori e miglior definizione in generale più l’introduzione della navigazione a bordo di un piccolo vascello, contornati da cambiamenti meteorologici in grado di influenzare il gameplay. Il finale di Assassin’s Creed III è quello che tutti i fan aspettavano e funziona, fino a un certo punto. La conclusione della saga di Desmond Miles trova compimento, anche se tutto risulta forse un po’ troppo accelerato e senza il giusto pathos ad accompagnarci tra le scene. Purtroppo, il post credit non lascia adito a dubbi: la saga di Assassin’s Creed continuerà, anche senza Desmond.
Un piccolo sospetto poteva già nascere una volta notata l’uscita contemporanea di Assassin’s Creed: Liberation per PlayStation Vita, con protagonista la prima donna Assassina Aveline De Grandpré di origini franco-africane e del tutto contemporaneo al terzo capitolo ufficiale. Passa poco più di un anno e la serializzazione comincia a mostrare i primi segni di cedimento. Assassin’s Creed IV: Black Flag (2013) stravolge totalmente le fondamenta del franchise, proponendosi come un prequel del terzo capitolo in cui abbiamo come protagonista Edward Kenway, padre di Haytham e nonno di Connor. L’ambientazione totalmente piratesca a prima vista sembra rappresentare il classico “salto dello squalo”, con scelte che mal si sposano con quanto visto finora. Eppure funziona, dando focus alle prime vere battaglie navali del franchise, estremamente coreografiche e molto belle a vedersi grazie anche alla splendida realizzazione dell’acqua, da qui vero fiore all’occhiello per tutte le produzioni Ubisoft. Purtroppo si riscontrano alcune semplificazioni narrative dovute principalmente a un accelerato effetto osmosi e al quasi totale abbandono della componente moderna.
La serializzazione raggiunge il picco nel 2014 quando, oltre al capitolo ufficiale Unity, arriva anche Rogue, col senno di poi, il più interessante dei due. Assassin’s Creed: Rogue parte da una premessa interessante: Shay Patrick Cormac è un giovane assassino che pian piano comincia a dubitare del Credo. Dopo una serie di vicissitudini decide di passare all’altra sponda, entrando a tutti gli effetti nell’Ordine dei Templari e da qui purtroppo, le cose cadranno nell’anonimato  sul piano narrativo. Interpretare l’altra faccia della moneta è stata un’ottima idea e forse in qualche modo studiata a suo  tempo: impersonare non solo un Templare, ma un ex Assassino che ha rinnegato la causa, nelle mani giuste sarebbe potuto essere un colpo da maestro, mettendo i giocatori nella difficile e “reale” scelta tra le due fazioni, così come nell’idea originale. Piccola nota: Rogue è a tutti gli effetti un prequel di Unity.

Ma tutte le attenzioni, ovviamente, erano su Assassin’s Creed: Unity, nel bene e soprattutto nel male.
Il primo vero passo falso di Ubisoft avviene paradossalmente quando sembrava aver portato le giuste novità e riavvicinare così il franchise alla sua epoca d’oro, al primo debutto sulle console di nuova generazione, PlayStation 4 e Xbox One. È ricordato per aver introdotto il co-op online, una reale modalità stealth e soprattutto la possibilità di variare approccio durante le missioni principali, sfruttando vari elementi dovuto ai tumultuosi giorni della Rivoluzione FranceseArno Victor Dorian, il protagonista storico, rappresenta un’altra occasione mancata, simile negli aspetti caratteriali sia a Ezio Auditore che Altaïr ma, come avvenuto per i recenti predecessori, perso in un bicchier d’acqua. Anche la nuova ambientazione, chiamata a gran voce dal pubblico, non risulta incisiva dando la spiacevole sensazione che le vicende di Assassin’s Creed: Unity sarebbero potute funzionare anche in altre epoche, senza risentirne. Ma i problemi erano ben altri: il poco tempo a disposizione si fece sentire questa volta, portando un gioco affetto da numerosi glitch e bug che diedero al pubblico e alla critica un buon pretesto per affossare il titolo. Fu una mazzata, con il CEO di Ubisoft Yannis Mallat costretto a scusarsi personalmente, oltre che una forte perdita di valore in borsa.
A questo punto, chiunque avrebbe imparato la lezione. Critica e pubblico si erano fatti più esigenti ma, nonostante questo, l’anno dopo (2015) ci fu tempo per un altro Assassin’s Creed. Inizialmente conosciuto come Victory, questo nuovo capitolo si basa su un piccolo aneddoto interessante. Non è stato accennato in questo testo ma, ogni anno, a un certo punto e come ormai una tradizione, scattava il “toto ambientazione” del nuovo Assassin’s Creed e le proposte erano davvero innumerevoli e forse potrete trovare piccole correlazioni con quanto accaduto: chi urlava alla Rivoluzione Francese, chi a quella Russa, chi all’Antico Egitto, al Giappone Feudale e chi altri ancora alla Londra Vittoriana. Proprio su quest’ultima uno sviluppatore interrogato sulla possibilità di vedere il prossimo titolo ambientato in tale epoca lo escluse, facendo notare come l’epoca vittoriana era già stata fin troppo trasposta nei vari media. Ecco dunque Assassin’s Creed: Syndicate, ambientato – pensate un po’ – nella Londra Vittoriana, portando una grandissima novità, probabilmente figlia del successo di GTA V: i protagonisti questa volta erano due, una coppia di gemelli di nome Jacob e Evie Frye, intercambiabili e con missioni dedicate a ognuno di essi. Le loro caratteristiche così diverse rendono questo titolo uno dei più vari del franchise, potendo contare sulla forza bruta di Jacob o sulla furtività letale di Evie. Nonostante in fin dei conti sia uno dei migliori Assassin’s Creed, le vendite non furono all’altezza: il ricordo di Unity era ancora troppo fresco e quindi, fu presa una forte e drastica decisione. Basta. Stop alla serializzazione annuale e puntare su un nuovo capitolo, con nuove idee e soprattutto, più tempo per svilupparle.
Si arriva così al paradosso. Ubisoft ha creato una serie di titoli basati su fatti storici realmente accaduti eppure dalla propria storia non è riuscita a imparare la lezione più importante: bisogna sapersi fermare.

Il futuro è già accaduto?

Prima di arrivare al cambiamento radicale e probabilmente irreversibile, c’è tempo per Assassin’s Creed: Chronicles, una piccola trilogia composta da avventure nella Cina del XVI secolo, nell’India britannica del XIX secolo e nella Russia del XX secolo. I tre protagonisti,  Shao Jun (presente in Embers), Arbaaz Mir e Nikolai Orelov, sono immersi in ambientazioni 2.5D, un esperimento riuscito e piccolo segnale di cambiamento per il franchise.
Il tempo passava, il 2016 non vide sulla scena alcun titolo fino a quando cominciarono ad apparire in rete alcuni leak riguardanti la nuova ambientazione e nuove modalità di gioco. Origins, questo era il nome del nuovo capitolo, estremamente diverso dai suoi predecessori e che avrebbe permesso di scoprire come la Setta degli Assassini mosse i suoi primi passi. Ambientato quasi interamente nell’Antico Egitto, questo Assassin’s Creed ci metteva nei panni di Bayek di Siwa ma anche di sua moglie Aya (colei che diede davvero il via a tutto) immersi nei classici stilemi di vendetta nei confronti di cospiratori sparsi per le vie egiziane e non solo. Viene rintrodotta una trama parallela contemporanea con protagonista una ricercatrice dell’Abstergo Leyla Hassan che contravvenendo agli ordini di Sophia Rikkin (antagonista nel lungometraggio) si reca in Egitto per trovare uno dei Frutti dell’Eden. In questa fase i collegamenti diretti ad Assassin’s Creed III si fanno più evidenti, dimostrando la voglia di riprendere quanto lasciato in sospeso precedentemente. In questo capitolo viene introdotto un nuovo tipo di Animus, in grado di far rivivere ricordi anche senza l’uso del proprio D.N.A.
Le novità di Assassin’s Creed: Origins sono molteplici, a cominciare dalla maggior enfasi alla componente RPG, integrata quasi alla perfezione, con la presenza di livelli per il protagonista e nemici, livello di rarità per l’equipaggiamento e molto altro. Anche il criticatissimo combat system viene stravolto, avvicinandosi più a un souls like. La rappresentazione dell’Egitto del Medio Regno è poi da mozzare il fiato, con scorci idilliaci, ambienti molto vari e in grado di restituire quella “magia” che si prova stando ai piedi dei giganteschi monumenti egizi. Viene inoltre introdotto il Discovery Tour, una sorta di visita guidata alla storia dell’Antico Egitto, possibile grazie alla collaborazione con storici e archeologi del settore.
Grazie a queste implementazioni, Assassin’s Creed: Origins è riuscito a riportare quasi in auge il valore del brand, venendo valutato molto positivamente da critica e pubblico.
Ma, nel frattempo, le notizie su un nuovo Assassin’s Creed si facevano sempre più concrete, rimettendo ansia ai fan con un possibile capitolo ogni anno. Arriviamo dunque ad Assassin’s Creed: Odyssey, che fin da subito si presenta molto controverso.
Se i fan si aspettavano un sequel di Origins per ovvi motivi narrativi, Odyssey è invece un prequel sviluppato in contemporanea al suo predecessore. Ambientato nell’antica Grecia di 300 anni prima rispetto agli eventi egizi, la prima novità che salta all’occhio è la possibilità di scelta del sesso del personaggio a inizio partita, simil Fallout 4. Nonostante sia stato specificato dalla stessa Ubisoft che Kassandra è la vera protagonista del gioco, avremo la possibilità di impersonare anche Alexios; entrambi mercenari spartani e discendenti di Leonida I, combatteranno nella Guerra del Peloponneso contro l’esercito ateniese. A livello di gameplay non sembrano esserci grosse novità se non per una maggiore presenza di elementi RPG ed elementi sovrannaturali associati agli dèi greci (quasi sicuramente Frutti dell’Eden). Quello che cambia realmente l’intera natura del brand e che ha lasciato interdetti molti fan è la presenza dei dialoghi a scelta multipla, alla stregua di un Mass Effect: la loro presenza si scontra quasi “violentemente” con quanto narrato finora, in cui, chi rivive i ricordi dei propri antenati, non può in alcun modo alterarne gli eventi. Essendo presente anche la possibilità di mentire al proprio interlocutore, crea un problema di continuity e forse giustificabile in un solo modo: più si va a ritroso, più difficile è la ricostruzione degli eventi dal D.N.A. Che i dialoghi a scelta multipla siano un sistema dell’Animus per riempire le falle? Si tratta di pura e semplice speculazione e non ci resta che verificarlo giocando.
Ma, a questo punto, ritorniamo alla prima domanda; del resto non abbiamo fatto altro che notare come la storia in qualche modo si ripeta. Abbiamo parlato di come Assassin’s Creed sia nato da un Prince of Persia molto diverso dai suoi predecessori e proprio per questo si decise di creare questa nuova IP. E se, appunto, la storia si ripetesse? Assassin’s Creed: Odyssey è qualcosa di completamente diverso, non un frutto di una semplice evoluzione come lo furono Unity o Syndicate. Ha quindi ancora senso sfruttare un brand sì famoso, ma forse stantio? Sappiamo già che nel 2019 non uscirà nessun Assassin’s Creed, dandoci probabilmente appuntamento per il 2020 e la nuova generazione di console. Che sia il primo di una nuova stirpe?

E fummo tutti assassini

Come già accennato, l’impatto di Assassin’s Creed nella cultura pop è stato un fulmine a ciel sereno. Sin dalla presentazione di Altaïr, del suo cappuccio bianco, delle sue acrobazie, del Salto della Fede e soprattutto della Lama Celata, tutto è divenuto ben presto elemento d’ispirazione per tanti fan e non solo. Proprio la caratteristica arma, la sua meccanica ed estetica, sono diventati uno dei punti di forza del brand, e uno degli elementi più iconici della storia dei videogame. Anche il Parkour è stata disciplina passata dalla nicchia all’esplosione mediatica, con innumerevoli traceur in cosplay da Assassino, realizzare le stesse evoluzioni tra i tetti e i muri delle città. Assassin’s Creed era ovunque, anche all’interno di altri videogiochi: famoso è l’easter egg dedicato al franchise da The Witcher II, in cui era possibile trovare Altaïr a seguito di un salto della fede mal riuscito, steso morente su un pagliaio. Ma anche Kojima si è divertito in tal senso, sfruttando una partnership tra Konami e Ubisoft e il Pesce d’Aprile: in un trailer presentato da Jade Raymond, era possibile osservare un assassino utilizzare armi da fuoco moderne, facendo presagire un Assassin’s Creed ambientato nel futuro. Ma di lì a poco l’inganno venne svelato, mostrando sotto la famosa tunica, niente meno che Solid Snake. Il costume di Altaïr infatti, era una delle skin sbloccabili in Metal Gear Solid 4: Guns of Patriots.
Non sono mancati nemmeno i classici romanzi, da Assassin’s Creed: Rinascimento, il primo della serie, ad Assassin’s Creed: Forsaken, tutti scritti con la speranza di approfondire e ampliare quanto avveniva all’interno del videogioco, anche se non riuscendoci pienamente mentre, sicuramente più interessanti sono i fumetti, come la serie dedicata a Nikolai Orelov con Assassin’s Creed: The Fall, ambientato negli anni antecedenti alla rivoluzione russa con lo scopo di fermare lo Zar Nicola II. Le serie sono molteplici e tutte di discreto successo, come anche Aquilus, ambientato in epoca romana e sempre oggetto di speculazione da parte dei fan su un possibile nuovo capitolo videoludico.
Il successo del brand venne sfruttato sino allo svilimento e in concomitanza con la diminuzione delle vendite e dei risultati deludenti degli ultimi capitoli come Syndicate, la forza di Assassin’s Creed pian piano cominciò a scemare. A mitigare un po’ la situazione intervennero 20th Century Fox e Michael Fassbender, produttore della trasposizione cinematografica del videogioco. Interpretando Callum Lynch e Aguilar, assassino spagnolo durante il periodo di inquisizione spagnola, Fassbender non è riuscito a far centro nel cuore dei fan e soprattutto ad attirare nuovi “credenti”, per via di una sceneggiatura travagliata e la mancanza di spessore dei protagonisti, pur vantando nel cast  Marion CotillardJeremy Irons. Il tentativo di creare dunque un universo espanso si è spento sul nascere e anche le notizie sui futuri sequel non sembrano suggerire il contrario.

Giunti alla fine del nostro viaggio ci accorgiamo di una cosa: le epoche cambiano ma il concetto di saturazione evidentemente, è faticoso da comprendere. Per chi vi scrive, passando dal racconto di Tomb Raider ad Assassin’s Creed, la sensazione di déja vù è lampante, e sono solo due dei tanti brand presenti sul mercato. Perché dunque si ricade negli stessi errori? Avidità? Potrebbe essere una risposta semplice ma forse è proprio la natura dell’Animus a fornirci la risposta: siamo programmati per fare le stesse scelte, indipendentemente dal contesto; a meno che non giochiate Odyssey, sia chiaro.
C’è da dire però che nonostante Assassin’s Creed goda di amore e odio in egual misura, non si può trascurare la forza mediatica e l’importanza che la sua realizzazione ha portato all’interno del mondo videoludico, non solo all’interno degli ambienti free roaming, ma a tutto il panorama, dando il via definitivo all’aumento di personale, costi e contorno nella realizzazione di un videogioco.
Non ci resta dunque che attendere il nuovo capitolo, cercando di capirne il destino e se mai avrà una fine.

 




L’evoluzione della Overwatch League

Fino a non troppo tempo fa era era quasi impossibile pensare di poter fare carriera grazie agli esport, diventando uno streamer o un giocatore professionista (o perché no, anche entrambe le cose); ma il loro imponente impatto mediatico e la conseguente popolarità stanno letteralmente spianando la strada a chi vuole far parte di questo mondo tuttora in piena espansione, che siano singoli giocatori, squadre o come in questo caso specifico, leghe.
La Overwatch League inizia ufficialmente la sua stagione inaugurale il 10 Gennaio 2018 e vede al suo interno 12 team provenienti da tutto il mondo, ognuno dei quali legati alla città di provenienza, che si contendono a suon di match il titolo di campioni di Lega, un po’ come accade nell’NBA per il basket americano o nella nostrana Lega Serie A per il calcio; non a caso la OWL è attualmente la lega nel campo esport ad avvicinarsi di più a quelle degli sport tradizionali. La stagione si è conclusa lo scorso 28 Luglio con la vittoria dei London Spitfire.

Non si sa ancora quando comincerà la prossima, ma l’aggiunta di otto nuove squadre è sicuramente un buon punto di partenza e dimostra come questo primo “anno di rodaggio” abbia avuto un riscontro decisamente positivo. Nate Nanzer, Commissioner della Overwatch League, si è mostrato molto ottimista durante un’intervista rilasciata a Gamesindustry.biz.
Fra i temi trattati, si è parlato del rapporto tra esport e Olimpiadi: Nanzer era presente al meeting di Losanna tenutosi la scorsa estate e l’ha visto come una grande opportunità per poter finalmente parlare dell’argomento in materia approfondita ma, a parer suo, a causa dell’enorme quantità di variabili di cui tener conto, è ancora presto per vedere i videogiochi competitivi tra le discipline olimpiche.
Per quanto riguarda invece ciò che non è andato bene nella stagione ormai conclusa, quello della tossicità della community è stato uno dei problemi più grandi. Giusto per tirare fuori qualche esempio, un giocatore dei Dallas Fuel è stato temporaneamente allontanato dalla lega e dalla squadra stessa dopo aver fatto dei commenti omofobi durante uno stream e una commentatrice è stata più volte offesa e minacciata di morte sotto un suo tweet durante il giorno della Festa della Donna. Secondo Nanzer non è un problema legato strettamente alla community o al gioco stesso, ma riguarda più il rapporto tra le persone e Internet, che può far diventare tossico qualsiasi ambiente. A prescindere da ciò, all’interno della lega si cerca sempre di creare un posto che sia il più sicuro e tranquillo possibile per chiunque.

E parlando di donne, una domanda che gli è stata spesso posta è il perché della presenza marginale di figure femminili nelle competizioni, visto che solo due ragazze in tutta la lega hanno partecipato quest’anno. A nome di tutta la OWL, Nanzer ha detto che non si è ancora trovata una risposta, e che si sta cercando un modo per cambiare le cose. Una possibile soluzione è quella di creare una “lega in rosa” che comprenda solo squadre al femminile, ma perché dividere i due sessi se nel giocare ai videogiochi non ci sono caratteristiche fisiche particolari che li rendono diversi? C’è da dire però, che molte giocatrici professioniste hanno deciso di proposito di non partecipare per la paura di essere facili bersagli per la community.
È un tema spinoso e la questione non può essere completamente risolta solo dalla Overwatch League o dalla Blizzard stessa, ma possono diventare un punto di riferimento non solo per le donne che vogliono entrare nel mondo degli esport, ma per qualsiasi tipo di minoranza e si spera di poter iniziare a far qualcosa già a partire dal prossimo anno.




Quando i Pokémon arrivarono in occidente

Quello del 1998 è un periodo che purtroppo non posso ricordare, essendo nata in quell’anno, ma posso ben immaginare ciò che provarono quei bambini e ragazzi americani quando a maggio seppero, grazie a un annuncio durante l’E3 di Atlanta, che quel gioco che tanto aveva venduto e stava vendendo in Giappone, sarebbe arrivato nel loro continente nel giro di pochi mesi: chi già dall’anno prima non aspettava altro (poiché era già stato mostrato in piccola parte), chi non aveva idea di cosa si trattasse ma rimase incuriosito, chi esaltato, chi scettico, chi vedendo per la prima volta la serie animata mandata in onda pochi mesi dopo implorò i genitori di spendere quei quasi 30 dollari per la cartuccia ed eventualmente anche un grosso extra per lo stesso Game Boy e chi invece andò a rompere il salvadanaio a forma di maialino per tirare fuori i risparmi.  Quando poi arrivò quel 28 settembre, i mostri tascabili entrarono di fatto nel mercato occidentale con Blu e Rosso, ma anche nei cuori di moltissimi giocatori: 151 esserini che aspettavano solo di essere catturati e allenati, luoghi da scoprire, nemici da sconfiggere; un replay del rilascio originale, ma in un altro continente e a oltre due anni di distanza, mentre l’Europa ne avrebbe dovuto aspettare ancora un altro.

Filmato iniziale di Pokémon Rosso, che presenta qualche differenza rispetto a quello di Pokémon Blu

E rieccomi quindi a parlare di Pokémon, la saga che mi ha accompagnata sin da quando ho mosso i miei primi passi nel mondo dei videogame. Ma questa volta cercherò di non fare la nostalgica, a differenza di come feci quando parlai di Pokémon Giallo (dove ho anche parlato della trama e che quindi salterò) e della mia esperienza su Pokémon ArgentoVediamo piuttosto cosa avevano di così tanto speciale questi primi due capitoli, che avrebbero poi reso unico il brand intero.


Gli  “Originali 151”

Gotta catch ‘em all!

Il primo aspetto unico – manco a dirlo –  sono proprio i Pokémon: l’idea che ci sia un ecosistema vario all’interno di un gioco è qualcosa che intriga molto ancora oggi e immaginate cosa poteva significare per un ragazzino negli anni ’90 sapere di poter avere una così vasta scelta di personaggi da collezionare, poterli allenare come meglio credeva, decidere se allenare i più forti, i più rari, o semplicemente i preferiti, insegnare o meno determinate mosse, decidere o no se farli evolvere, equipaggiare determinati strumenti che aumentavano certi parametri piuttosto che altri; con una personalizzazione così, che ai tempi non riusciva a offrire neanche un Final Fantasy, letteralmente ci si affezionava a quei piccoli mostri. E non dimentichiamo che tutto questo era possibile per la prima volta all’interno di una console portatile. Non è solo il come si gioca a rendere unico e bello un titolo, ma anche il dove.

Gli scambi e le lotte

Questi sono ancora oggi gli aspetti più “social” della serie. Come tutti i giocatori che hanno provato almeno un capitolo sapranno, è impossibile completare il Pokédex “da soli”, o comunque senza aiuti esterni alla cartuccia di partenza, poiché ogni versione ha dei Pokémon esclusivi che non si possono trovare nell’altra. I metodi leciti per acchiapparli tutti erano due: trovare qualcun altro con la versione opposta e scambiarsi i Pokémon desiderati attraverso il cavo Game Link o essere abbastanza ricchi (o tremendamente soli, a seconda dei punti di vista) da poter acquistare due Game Boy e due cartucce diverse, e fare il procedimento in solitario. Ma cose tristi a parte, probabilmente era la prima volta che l’intervento di qualcun altro fosse fondamentale al completamento del gioco, e non poteva essere diversamente dato che adesso come allora, uno dei pilastri fondamentali di Pokémon è l’interazione con gli altri; come il nostro personaggio in giro per Kanto incontra una moltitudine di NPC diversi durante il suo viaggio il giocatore non deve essere da meno, con la console in tasca e un mondo intero a disposizione.
E cosa si fa quando non si ha più niente da scambiare ma ancora tanto tempo a disposizione? Ovviamente si combatte per vedere chi dei due ha la squadra migliore, e per quei pochi minuti i Pokémon si fanno vivi, la tensione è vera, la voglia di vincere è tanta. Che si vinca o si perda, alla fine della lotta ci si stringe la mano o ci si da il cinque, magari può pure volare qualche parola di troppo, ma alla fine si torna amici come prima, almeno fino alla prossima battaglia.

Facile ma non troppo

Ultimo ma non per importanza è il fattore difficoltà. Il gameplay intuitivo e gli obbiettivi chiari sin da subito stimolano il giocatore giovane e inesperto, che si trova davanti a un percorso di crescita graduale, con momenti mai eccessivamente impegnativi se preceduti da una buona dose di grinding. Le cosiddette fasi “post game” (ovvero tutto ciò che accade dopo aver battuto la Lega), sicuramente più ardue, attirano invece chi già mastica un po’ di giochi di ruolo; non si parla però di livelli di difficoltà troppo alti per il tipo di giocatore in questione. Menzione speciale per il glitch di Mew, che richiede una serie di azioni molto specifiche per farlo apparire, che ha portato ad avvicinarsi al brand una categoria d’eccezione, quella che raggruppa chi ama trovare buchi nella programmazione e “rompere i giochi”.

Pokémon Rosso e Blu non sono certo dei giochi privi di difetti a differenza di come li definiscono alcuni fan particolarmente nostalgici, essendo fortemente limitati dalla memoria delle cartucce e dalle capacità di calcolo del Game Boy, e da un sistema di combattimento sicuramente ben studiato, ma ancora allo stato grezzo e che sarebbe migliorato solo col tempo. Ricordare fa bene, ma idealizzare secondo la logica del “i primi sono sempre migliori dei seguiti” è un pensiero privo di senso critico e forse anche egoista, poiché chiuso a ogni tipo di critica. Nella società come nei videogiochi, il cambiamento non va rifiutato a priori.
Che celebriate oggi l’anniversario di questi due pionieri o il 27 febbraio, che i suddetti giochi vi piacciano o meno, è sempre giusto pensare ogni tanto a quando tutto è partito.




Kingdom Hearts III: tutti i mondi possibili

Mancano oramai pochissimi mesi dall’uscita del nuovo capitolo di Kingdom Hearts, che andrà a terminare la saga di Xehanort, ma proprio durante il Tokyo Game Show è stato confermato che comunque la storia di Sora continuerà. Kingdom Hearts III è atteso per il 25 gennaio, nella terra del Sol Levante, mentre quattro giorni dopo, il 29 gennaio, sarà disponibile nel resto del mondo. La community, sin dal suo annuncio, ha sempre creato e sviluppato ipotesi e teorie su probabili colpi di scena della trama e soprattutto, con l’acquisizione da parte di Disney di moltissime società di produzione, tra cui Pixar, Marvel e la più recente 21st Century Fox, su i possibili mondi che si potranno visitare e tutti i personaggi giocabili.
In questo articolo stileremo una lista di quelli, che secondo noi, potrebbero essere dei mondi inediti all’interno del nuovo gioco di Tetsuya Nomura; ovviamente ogni mondo dovrà avere delle caratteristiche specifiche, come una boss fight finale, una data di pubblicazione non troppo recente e soprattutto la possibilità di utilizzare i diritti dell’opera da parte di Square Enix.
ATTENZIONE: l’articolo potrebbe contenere dei piccoli spoiler sulle trame dei film Disney e del mondo di Kingdom Hearts.

Fantasia

Fantasia e Fantasia 2000 sono due film d’animazione pubblicati da Walt Disney rispettivamente nel 1940 e nel 1999, già apparsi in Kingdom Hearts Dream Drop Distance. Questi due film non presentano un’unica e vera e propria trama, ma tutte le storie sono raccontate attraverso traccie di musica classica presenti, da Johann Sebastian Bach fino a Ludwig Van Beethoven e Igor Stravinskij. In Kingdom Hearts III, questo mondo si potrebbe presentare infestato dai Nessuno o dagli Heartless, come in 3D, oppure sottoforma di mondo musicale, come fu per Atlantica in KH II, riuscendo a coniugare un gameplay d’azione a un semplice music game.

WALL-E

Un lungometraggio pubblicato nel 2008, che si presta molto ai temi trattati in Kingdom Hearts: quello della ricerca degli amici. Infatti il mondo di WALL-E potrebbe essere ambientato sulla Axiom, la navicella spaziale in cui il tenero robottino si avventura per trovare la sua amica EVE. I luoghi sarebbero un po’ monotoni, ma se si fosse in grado di gestire le aree della nave in modo da avere circa tre luoghi ampi, si potrebbe candidare come possibile mondo. Oltretutto il nemico sarebbe AUTO, un “timone” che esegue tutte le direttive assegnategli, magari potenziato dall’oscurità o corrotto dai bug di Kingdom Hearts Coded (confermata la loro presenza anche nel terzo capitolo).

Ralph Spaccatutto

Di Ralph sappiamo che sarà presente come evocazione in Kingdom Hearts III, ma non abbiamo la conferma di un possibile mondo dedicato all’omonimo film. Come nel mondo di Agrabah, in cui otterremo Genio come evocazione, Ralph potrebbe seguirci dopo aver liberato e chiuso la serratura del suo mondo. Il lungometraggio uscì nel 2012 nelle sale e proprio nel quest’anno uscirà il secondo capitolo. I luoghi potrebbero essere molteplici e soprattutto inerenti a molti giochi arcade famosi in tutto il mondo, ma purtroppo, c’è l’incognita dei diritti: nel film compaiono alcuni personaggi Nintendo e di altre società, che potrebbero non dare il consenso per il loro utilizzo. Le ambientazioni visitabili potrebbero andare dalla Game Central Station ai vari stage dei giochi e, anche in questo caso, trattandosi di video games, potrebbero essere presenti i bug di KH Coded o  un cattivo affiliato a Malefica, che possa utilizzare il potere oscuro oppure l’antagonista del film stesso, ovvero Re Candito; staremo a vedere.

Le follie dell’imperatore

Ebbene sì, secondo noi il mondo de Le follie dell’imperatore potrebbe esserepresente in Kingdom Hearts III. Le follie dell’imperatoreA scuola con l’imperatore sono opere piene di ironia, che potrebbe smorzare la trama cupa e oscura di KH, inserendo quel pizzico di ilarità all’universo creato da Nomura. Come alleato potrebbe essererci Pacha, che dovrà salvare l’imperatore dalla malefica Yzma, che con le sue pozioni e con l’aiuto dell’oscurità potrebbe mettere in pericolo l’intera popolazione Inca.

Il pianeta del tesoro

Uno dei migliori film d’animazione targati Disney preferiti, forse perché la storia, i personaggi e l’intero universo in cui vive Jim Hawkins sono rimasti memorabili, oppure perché l’accoppiata pirata-spazio è uno dei sogni di tutti i bambini.
Il pianeta del tesoro è uno dei mondi che farebbe piacere ritrovare in Kingdom Hearts III, con la possibilità di visitare Montressor, Crescentia e lo stesso Pianeta del tesoro. Il problema sorge con il cattivo di turno da dover battere in cui John Silver non è assolutamente un personaggio papabile (lo scoprirete guardando il film). Si potrebbe avere un Heartless o con più probabilità, un membro dell’Organizzazione in cerca del forziere che Luxu, che come si vede in Kingdom Hearts X Back Cover, si portava dietro. Quest’ultima potrebbe essere interessante come teoria, visto che nell’ultimo trailer rilasciato da Square Enix, un membro dell’Organizzazione stava proprio cercando questo misterioso forziere nel mondo dei Pirati dei Caraibi. Incrociamo le dita.




Polymega: la nuova frontiera del retrogaming

Le librerie digitali di PC e console sono inondate da titoli dall’aspetto vintage ma per ora, dopo la chiusura di LOVEroms e LOVEretro e dell’effetto domino che si è venuto a creare, gli interessati a riscoprire i veri e propri titoli del passato per ora non vivono giorni facili. Sia Steam che gli store digitali delle console non stanno offrendo una vera alternativa alle tanto amate ROM e i rivenditori su eBay sembrano voler girare il coltello nella piaga. Per quanto nero possa sembrare lo scenario attuale qualcuno si sta già muovendo e un ambiziosissimo progetto avviato un anno fa sta per vedere la luce: stiamo parlando della Polymega, una console di una nuova compagnia chiamata Playmaji e fondata da ex dipendenti di Insomniac e Bluepoint games (senza contare che questi hanno lavorato a giochi tripla A come Ratchet & Clank e Titanfall) e che promette compatibilità con ben 13 sistemi (in realtà 30 se contiamo che questa “frankenmacchina” è region free). Questi, per la gioia dei più appassionati, sono:

  • Sony PlayStation
  • Neo Geo CD
  • Turbografx 16/PC Engine
  • Turbografx 16 CD/PC Engine CD-ROM2
  • Supergrafx
  • Super CD ROM2
  • NES
  • SNES
  • Sega Mega Drive
  • Sega CD
  • Sega 32X
  • Sega CD32X
  • Sega Saturn (quest’ultima annunciata a sorpresa con il trailer di lancio per l’apertura dei preorder)

Chiunque di fronte una tale lista rimarrebbe senza fiato e i retrogamer di tutto il mondo potrebbero ritrovarsi un sistema che potrebbe risolvere un’infinità di problemi, dallo spazio in casa ai soldi da spendere per i sistemi, i giochi ed eventuali pezzi di ricambio o per la manutenzione di quest’ultime (specialmente per le console a CD costruite con un sacco di pezzi mobili o batterie RAM da cambiare). Ma cosa è esattamente questa macchina? Come può promettere una compatibilità così ampia e come risolverebbe l’attuale fame del retrogaming?

I can make this work

Il termine “frankenmacchina” che abbiamo usato poco fa descrive perfettamente la natura di questo prodotto – cara Accademia della Crusca, il mio codice IBAN è… –: la console è composta da una base, il cuore della macchina, in cui è presente il lettore CD che permette di leggere tutti i sistemi a supporto ottico (dunque ben sei sistemi) e a questa possono essere aggiunti dei moduli che leggeranno le cartucce originali, le cui ROM verranno caricate nel sistema interno per essere emulate (pertanto non sarà necessario inserirle ogni volta che vogliamo giocare con un determinato gioco), e saranno compatibili con i controller originali. Nella base troveremo inoltre due porte USB (come spiega la sezione FAQ del sito di Polymega e da come possiamo vedere dal trailer introduttivo), sarà compatibile con bluetooth e, visto che gli sviluppatori promettono aggiornamenti per il sistema operativo interno, sarà possibile connettere la macchina a internet per accedere a un futuro store, che verrà lanciato nell’ultimo quarto del 2019, dove poter scaricare giochi e, se l’obiettivo dei 500.000$ verrà raggiunto nei primi 35 giorni, persino mandare il proprio gameplay in streaming su Twitch e YouTube. Il sito ha da poco aperto i preorder: il modello base, che comprende un controller standard simil PlayStation 4 per giocare ai sistemi CD, costa 249,99$ (al cambio attuale, in Euro, sono circa 215,60€) mentre i singoli moduli, che verranno venduti insieme a dei controller cablati simili a quelli dei sistemi emulati, costeranno 59,99$ (attualmente 51,74€) e al loro interno saranno caricati ben cinque giochi. Essendo un sistema moderno, l’attacco principale della console sarà l’HDMI ma, come un NES mini o SNES mini ci permette, sarà possibile regolare l’immagine e pertanto decidere se scegliere il formato 4.3 o 16:9, se mostrare tutti i pixel, mostrare gli “scalini” o avere un’immagine “pixel perfect“. Come già accennato, questa console estrarrà le ROM dalle cartucce per poi, essenzialmente, emularle all’interno dei moduli (e permettere tutto quello quello che permettono gli emulatori: save e load state, fare screenshot, registrare il gameplay, etc) ma gli sviluppatori hanno promesso di creare degli emulatori da zero, senza l’ausilio di altri software preesistenti.

Cosa significa Polymega per l’industria?

Prima di sottolineare come Polymega potrebbe incidere sul mercato vogliamo, per prima cosa, evidenziarne alcuni aspetti. Innanzitutto, questa console viene incontro alle richieste dei retrogamer finora rimaste inascoltate; nessuna terza compagnia, le molte che operano nel campo del retrogaming per offrire nuovi dispositivi per le vecchie macchine, aveva finora pensato alle piccolezze di alcune di queste, come offrire la compatibilità con il 32X per i cloni del Sega Mega Drive, offrire un’alternativa moderna agli ormai costosissimi Turbografx 16/PC Engine, senza contare che il loro modulo leggerà, praticamente, le sei cartucce del Supergrafx (console che si sarebbe dovuta comprare a parte anche possedendo una delle due versioni della console NEC), ma soprattutto offre la prima vera soluzione per i giochi su compact disk la cui compatibilità, grazie agli aggiornamenti firmware, potrà essere espansa a ben altre console a supporto ottico in futuro come il Sega Dreamcast (continuamente citato nella sezione FAQ) il 3DO o persino la PlayStation 2. Non dimentichiamoci inoltre che l’annunciata compatibilità con i giochi per Sega Saturn è molto importante perché da sempre questa console ha avuto la negativa fama di essere la più difficile da emulare per via del suo arduo sistema dual core, parallelamente all’essere una delle più ricercate fra i retrogamer. Similarmente, i moduli da comprare a parte, che potranno anche essere sviluppati da altre compagnie, continueranno ad uscire per offrire ai giocatori nuove soluzioni per console come il Nintendo 64, Atari 2600 o chissà cosa!
La console, diversamente da altre come il Retron 5 di Hyperkin o l’AVS di Retro USB, vuole porsi letteramente come un faro per i retrogamer e, come già citato precedentemente, vuole lanciare uno store digitale dove offrire legalmente tutte le ROM apparse finora nei maggiori siti di emulazione come emuparadise.me; questo significa anche, e soprattutto, raggiungere gli sviluppatori originali e coinvolgerli in tutto e per tutto nel progetto Polymega, ponendosi come una quarta console attuale ma dedicata esclusivamente al retrogaming. Alcune grandi compagnie come Capcom o Irem hanno già espresso interesse verso questo particolare mercato fornendo, pur sempre in quantità limitate, delle cartucce commemorative funzionanti e operative prodotte da RetroBit di Street Fighter II, Mega Man 2 e Mega Man X, R-Type III e Holy Diver (ebbene sì, un gioco ispirato a Ronnie James Dio e ai Black Sabbath! Un giorno ne parleremo), senza contare che altre compagnie, anche senza il consenso dei publisher, hanno prodotto molte reproduction cartridge per giochi ormai andati persi nelle obbrobriose aste eBay come Nintendo World Championship. Grazie a Polymega potrebbe esserci un rinnovato interesse in questi prodotti repro che potrebbero persino coinvolgere i giochi su disco, cosa che finora nessuna compagnia ha mai preso in considerazione, e dunque vedere delle nuove stampe – dei reproduction disk oseremo dire – di molti giochi per Saturn, Neo Geo CD o TG16/PC Engine CD, spesso dimenticati nel vastissimo oceano retrò. Playmoji, probabilmente visti i recenti sviluppi, non si è espressa sul tema ROM da caricare via USB o backup, per ciò che riguarda i giochi su CD, però hanno lasciato intendere che una volta caricata l’immagine sul sistema, potranno essere patchati; questo aprirebbe Polymega all’intera scena hack e delle traduzioni. Che dunque che potrà esistere un modo per permettere tutto questo? Probabilmente lo sapremo solo una volta che metteremo le mani su questo fantastico prodotto.

Questioni sul sito e il chip FPGA

Un po’ di tempo addietro, il sito è stato chiuso per qualche giorno e, alla riapertura, che ha lanciato definitivamente i preorder, sono state cambiate alcune specifiche del sistema: tutti i cambiamenti sono stati spiegati in un articolo su Nintendolife, redazione molto vicina alla compagnia che sta producendo il Polymega. Playmoji ha aperto uno stand durante l’ultimo E3 in cui era possibile provare la base della console e alcuni moduli, il tutto ancora in stadio di prototipo; lì hanno raccolto i primi feedback dei potenziali consumatori e in molti si sono lamentati dei lag durante l’emulazione dei giochi per PlayStation. Gli ingegneri hanno considerato attentamente l’opinione dei giocatori e così si è optato per ottimizzare l’hardware della console cambiando il vecchio processore FPGA quad core Rockchip RK3288 di 1.8Ghz che emula i sistemi in questione, un tipo di chip montato in console come l’Analogue NT o l’AVS; per spiegarlo in breve, le schede madre delle vecchie console non vengono ricreate da capo o in una maniera diversa per evitare questioni con le case produttrici originali, ma l’intero hardware viene emulato all’interno di un processore chiamato FPGA. Adesso, all’interno del modulo base, il chip in questione è stato sostituito da un più potente Intel CM8068403377713 dual core, il ché dovrebbe un fattore positivo (e che avrebbe probabilmente permesso l’emulazione per Sega Saturn) ma non è un chip specifico FPGA che permette l’emulazione ibrida dei sistemi sopracitati; per altro, questi chip dovrebbero essere inseriti all’interno di ogni modulo ma adesso il tutto grava sul nuovo chip montato all’interno della base. È possibile che il cambio del processore non gravi per nulla sull’emulazione dei sistemi e che i competenti sviluppatori in questione sanno quello che fanno (senza contare che un prototipo funzionante è apparso all’E3 e presentava solamente problemi per l’emulazione PlayStation) ma dalla riapertura del sito Playmoji non ha rilasciato nessuna dichiarazione ufficiale oltre all’articolo su Nintendolife e le domande degli appasionati alla ricerca dell’emulazione perfetta sono ancora senza una risposta ufficiale. Ad alcuni non interessa e sono certi, visto che il nuovo processore è più potente del precedente (e dunque semplicemente facendo 2 + 2), che il sistema possa essere addirittura migliorato ma ad altri sorgono altri dubbi, specialmente visto lo strano silenzio della compagnia dopo il rilascio dell’articolo e la riapertura del sito. Bisogna dire che la zona FAQ del sito è veramente esaustiva ma ancora molte domande necessitano di una risposta abbastanza tempestiva.
Vale ricordare inoltre, che il Polymega non è un kickstarter o un crowdfunding ma c’è un reward system dalla quale, in base alle prevendite, si raggiungeranno degli obbiettivi che permetteranno di creare nuove feature per gli acquirenti, come compatibilità espansa per il lettore CD e nuovi moduli; se l’obiettivo minimo di 500.000$ non verrà raggiunto le console verranno richiamate e rilanciate successivamente seguendo il feedback dei compratori ed è per questo che Playmoji, ora più che mai, deve garantire una buona comunicazione con chi sta per prendere in considerazione l’acquisto del sistema. Di certo non si tratta di una truffa come il Coleco Chameleon (tratteremo questo tema in futuro) in quanto il sistema è già stato mostrato funzionante all’E3 e le persone dietro al progetto sono davvero competenti ma le uniche domande che per ora gli appassionati si pongono sono: sarà un sistema all’altezza delle aspettative? Vale la pena comprare questo sistema al lancio? E se il lancio va male?

Aggiornamento del 13/09/2018

Proprio di recente, per fortuna, gli sviluppatori hanno dato prova della potenza del loro  sistema e tutto sembra essere tornato alla normalità. Sul loro canale YouTube sono apparsi ben tre video di gameplay di alcuni giochi per Sega Saturn, che si avviano dalla selezione dei titoli nel sistema operativo; con questa mossa gli sviluppatori hanno dimostrato che il processore è in grado di emulare perfettamente questa macchina problematica (visto che alcuni si sono lamentati del fatto che alcuni video di gameplay mostrati nel trailer di lancio appartenessero ad alcune controparti arcade) e perciò, se è in grado di emulare il Saturn, è fondamentalmente in grado di emulare tutto il resto. In breve, la console 32 bit di Sega era la prova del nove e Polymega l’ha superata. Il primo video mostra un gameplay variegato: vengono caricati Guardian Heroes, Sega Rally Championship, Panzer Dragoon Zwei, Fighting Vipers, Dungeons and Dragons Collection: Shadow Over Mystara (questo titolo è molto importante poiché richiede l’esclusiva cartuccia RAM da 4 Mb da inserire nel Saturn, dunque questa è la prova che è anche in grado di emulare questo hardware esterno) e House of the Dead (giocato col controller, visto che le lightgun dei tempi non funzionano più coi televisori nuovi). Il secondo e il terzo video mostrano un ulteriori gameplay di Sega Rally Championship e Fighting Vipers girare a 60 FPS, meglio di come potrebbe fare un Sega Saturn originale. In tutti i video, insieme al gameplay cristallino, viene inoltre mostrata la capacità di creare dei save state e ricominciare esattamente dal punto in cui si lascia l’azione, sottolineando dunque che la macchina estrae letteralmente l’immagine per poi emularla. A questo punto, tutti i peccati di Playmoji sono stati assolti ma rimane giusto qualche dubbio: l’ultima cosa che gli utenti vorrebbero solamente vedere, stando ai commenti sui video, è uno stream su Twitch/YouTube in cui mostrano gli sviluppatori giocare effettivamente con la Polymega, inserire qualche disco e vedere il sistema che estrae l’immagine, provare e scambiare qualche modulo, etc… Si spera dunque che gli sviluppatori diano ancora più prove a sostegno della versatilità di Polymega (anche se, in realtà, ne hanno date abbastanza all’ultimo E3) ma a ogni modo, finalmente, alla preoccupazione più grande, ovvero l’efficienza del nuovo chip, è stata data una risposta molto esaustiva.
Per le comunicazioni ufficiali da parte degli sviluppatori vi basterà seguirli sul loro canale YouTube e sulla loro pagina Facebook.

(video del gameplay variegato)

(Sega Rally Championship a 60 FPS)

(Fighting Vipers a 60 FPS)



Il mercato delle licenze nei videogame

C’era un periodo, tra gli anni ’80 e i primi 2000, in cui il videogioco rientrava ancora tra quegli hobby di nicchia e veniva poco considerato o addirittura schernito dai media. Non che oggi non si trovino articoli o notizie al telegiornale che tendono a mettere i videogiochi in cattiva luce ma, se un tempo c’era solo poca consapevolezza, ora è l’ignoranza a guidare la mano di certi giornalisti che poco informati.
Piccoli sfoghi a parte, in quegli anni c’era anche chi aveva visto del potenziale in quegli ammassi di pixel, specie se abbinati a prodotti più di successo come i film. Fu Atari Games ad avere l’idea per prima, e sfruttando il successo di Indiana Jones ottenendone la licenza, pubblicò nel 1982 Raiders of the Lost Ark per Atari 2600, un anno dopo l’uscita dell’omonima pellicola di Spielberg. Il gioco ricevette un buon feedback da pubblico e critica ed è considerato uno dei migliori per la console. A partire da lì altre aziende seguirono l’esempio del colosso arcade, che continuò la pubblicazione di titoli su licenza tra cui rientra – ahimè – E.T. the Extra-Terrestrial, considerato da molti come il più grande fallimento videoludico di tutti i tempi.
Qualche anno più tardi, molti produttori si dedicarono invece sui film d’animazione Disney creando giochi degni di menzione, come Disney’s Aladdin e Disney’s Tarzan, rispettivamente prodotti da Capcom ed Eurocom, The Jungle Book The Lion King di Virgin Interactive, THQ si occupò invece del lato Pixar con Finding Nemo, Cars e Ratatouille.


Screenshot preso da Disney’s Tarzan per PlayStation, uscito nel 1999.

Anche Electronic Arts approfittò delle pellicole più famose uscite in quegli anni, portando su console e PC l’intera saga di Harry Potter. E non scordiamoci della trilogia di Spider Man, trasformata in videogioco grazie ai molteplici titoli di Activision.
Di giochi su licenza insomma ce ne sono a bizzeffe, alcuni degni del confronto con l’opera da cui sono tratti, altri dei flop totali. Ancora oggi continuano a uscirne ma a differenza delle generazioni precedenti, questi sembrano rappresentare un successo quasi assicurato, come i Batman: Arkham, Star Wars: Battlefront, La terra di mezzo, South Park; perché i developer di sobbarcano il rischio dei costi ingenti per l’acquisto di una licenza?
A rispondere a questa particolare domanda è Mark Caplan, presidente di BDLabs, un’azienda specializzata nel fare da tramite o mettere in contatto i possessori intellettuali di una determinata opera con chi voglia acquistarne la licenza: interpellato da GamesIndustry, Caplan ha spiegato che, grazie alla diffusione di molteplici piattaforme di gioco, oggi ci sono molte più opportunità per chi voglia entrare nell’industry e creare qualcosa di nuovo, e se questa rappresenta da un lato anche un’ottima occasione per i publisher di investire sulle loro IP, dall’altro molte case produttrici sentono il bisogno di acquistare delle licenze per espandere il proprio business. E questo vale da entrambi i fronti: se un tempo erano solo gli operatori dell’industry videoludica a comprare le licenze da altri settori, adesso cinema ed editoria acquistano diritti per trasporre opere videoludiche.
Per quanto possa sembrare rischioso comprare i diritti di un’opera senza sapere se questa sarà un “acquisto azzeccato”, vale la pena tentare il tutto e per tutto;: pensiamo all’attualissimo Spider-Man di Insomniac Games. Davvero niente male come inizio per essere il loro primo gioco su licenza, no?




Entro il 2020 i CCG fattureranno 2 miliardi di dollari

I Giochi di Carte Collezionabili (TCG) sono da sempre ottimi passatempi per tutte le fasce d’età, sia nel mondo reale, con Pokémon, Yu-Gi-Oh, Magic e molti altri brand cartacei, sia nel mondo virtuale creato dai videogame. A oggi i TCG videoludici sono giocatissimi, e permettono di avere centinaia e centinaia di carte in un solo dispositivo da portare sempre con noi e, soprattutto, danno l’opportunità di duellare contro altri giocatori da ogni parte del mondo, partecipare a tornei e molto altro, cosa che sarebbe molto difficoltoso da  realizzare fisicamente.
Il valore commerciale dei giochi di carte collezionabili digitali si aggira intorno a 1,5 miliardi di dollari fatturati nel 2018, cifra che punta ad aumentare a 2 miliardi entro il 2020. È il Nord America a fatturare quasi un terzo del totale, soprattutto grazie a  titoli come Hearthstone, famosissimo gioco di carte sviluppato e pubblicato da Blizzard.
Pian piano i giocatori hanno deciso di utilizzare gli smartphone per giocare, molto meno ingombranti di PC e console, ma soprattutto perché camminare con un portatile dietro non è comodissimo. Per questo i giocatori utilizzano sempre più gli smartphone e tablet piuttosto che le classiche piattaforme da gaming, che si sono rivelate le ultime scelte in questo campo.

Con Hearthstone, Magic The Gathering, Pokèmon TCGe il recente Gwent, il mercato videoludico dei giochi di carte collezionabili sta registrando una grossa crescita (degna di nota è l’uscita di Card Thief, card game mobile rilasciato lo scorso anno) grazie agli acquisti in-app degli stessi giocatori, che comprano pacchetti e nuove espansioni per migliorare sempre più il proprio mazzo di carte. Come riporta SuperData, tre giocatori su quattro hanno speso 10$ o più su TCG digitali negli ultimi tre mesi.
Una mossa furba è stata quella di Nintendo, che ha deciso di inserire un codice promozionale nei pacchetti fisici che servirà per sbloccare la relativa copia in digitale all’interno del gioco.
Oltre a ricoprire un ampio spazio nel mercato videoludico, i Trading Card Game sono famosi per i tornei che si tengono nelle varie nazioni e a livello mondiale. Uno dei tornei più famoso è quello di Pokémon TCG, che si tiene sia in versione fisica, sfruttando veri mazzi da gioco, sia online.
L’ultimo torneo mondiale si è disputato a Nashville, nel Tennessee, dal 24 al 26 Agosto e offriva ai vincitori un montepremi di ben 500.000$. Una cifra che tende sempre di più a crescere, grazie all’affluenza di giocatori da ogni parte del mondo, rendendo più appetibile il titolo di campione. Ma non esistono solamente tornei mondiali o nazionali: come ogni campionato si disputano anche le regionali e le provinciali, che offrono l’opportunità, ai più giovani e promettenti giocatori, di eccellere e costruirsi una strada verso i tornei più prestigiosi.