Red Faction: Guerrilla Re-Mars-tered Edition – Comunisti su Marte

Sin dal 2001, la serie Red Faction non si è mai distinta particolarmente nel panorama videoludico, non solo a livello qualitativo ma soprattutto di vendite. Per ben quattro capitoli, i lavoratori di Marte hanno lottato per i propri diritti, portando in salsa fantascientifica la Rivoluzione d’Ottobre al suo compimento ultimo, anche se probabilmente Karl Marx, avrebbe sperato in esiti meno roboanti. Ha quindi incuriosito questa remastered, non dei primi capitoli ma del terzo, quel Red Faction: Guerrilla (2009) che nonostante qualche buona idea non riuscì a far breccia tra i videogiocatori. Che THQ Nordic stia tastando il terreno per un eventuale nuovo capitolo? Non c’è dato saperlo, ma il suo arrivo potrebbe segnare la svolta.

Zone of the Enders

Marte. Questo pianeta probabilmente è il nostro prossimo passo, ma già qualche scrittore si è portato avanti col lavoro, immaginando la nuova colonia umana come fonte di futuri problemi. L’indipendenza di Marte dalla Terra è stata trattata in così tante salse che non basterebbe questa recensione per elencarle tutte, eppure in questa terza versione di Red Faction possiamo trovare delle particolarità: nel 2075 parte la colonizzazione del Pianeta Rosso grazie alla Ultor Corporation che, vedendo le risorse della Terra pian piano sparire, decide di sfruttare fino al midollo la nuova colonia. Dopo un processo di terraformazione, migliaia di coloni si trasferiscono, pentendosene ben presto. I lavoratori infatti, vengono sfruttati così tanto da richiedere l’intervento dell’EDF (Earth Defense Federation) per ripristinare l’ordine. I salvatori diventano così però i nuovi tiranni, e per i lavoratori di Marte l’unica speranza risiede in Alec Mason.
Questo è l’incipit di Guerrilla, la cui narrazione è affidata a cutscene (semplicemente “ripulite”) e molti dialoghi, alcuni di questi interessanti e presenti solo in incarichi secondari. Purtroppo sia la scrittura che la caratterizzazione dei protagonisti non eccelle, non si ha mai la sensazione di fare qualcosa d’importante, nonostante si operi per cambiare le sorti di un intero pianeta. Ma la particolarità – dicevamo – risiede nella simbologia, che sta tutta appunto nella riproposizione di quanto avvenuto il secolo scorso in Russia, quanto nei simboli, addirittura con le musiche di sottofondo, come vedremo in seguito. Questa è la vera nota dolente, perché sarebbe bastato davvero poco a rendere il tutto un po’ più intrigante e memorabile. A questa campagna se ne aggiunge una “mini”, un prequel che racconta la storia dei Marauder, popolo che ha deciso di rendersi indipendente dalla comunità marziana e che risulta interessante solo per il diverso equipaggiamento a disposizione.
A completare l’offerta interviene la massiccia dose di multiplayer, con sette modalità diverse e tutte all’insegna della distruzione. A dir la verità trovare una partita a disposizione non è facile, forse a dimostrazione del fatto che le vendite non stiano andando poi così bene.

Wolverine!

L’ambiente di gioco, suddiviso in sei settori, è teatro delle nostre battaglie e distruzioni. Tutto il gameplay fa perno sull’essere “caciaroni” e il passaggio alla terza persona (avvenuto appunto con Guerrilla) non fa altro che esaltare il tutto. Diversi sono gli incarichi che, una volta completati e raggiunto l’azzeramento delle forze EDF, permetteranno di conquistare l’intera zona e liberare quindi il popolo marziano dalla tirannia. Questo è in sostanza il da farsi, suddiviso tra incarichi primari e secondari abbastanza vari per natura ma tutti tendenti alla ripetitività: ogni settore, infatti, verrà liberato con quasi le stesse modalità e, salvo la parte finale, in cui accade qualcosa di realmente nuovo, tutto è all’insegna della “imperfezione di Matrix” (déja vù). Un minimo di varietà è regalato solo dagli incarichi principali, anche se inficiati da una cattiva e imprecisa gestione dei checkpoint che, a volte, vi costringerà a rifare un’intera missione da zero nonostante cambino alcune modalità d’azione. Gli incarichi secondari invece si suddividono in una manciata di missioni che vanno dalla guerriglia per conquistare determinati avamposti alla distruzione caotica senza fare domande. Capiterà inoltre di trovarci di fronte a incarichi random come la difesa dei rifugi o catturare dei traditori. Insomma, siamo di fronte a un titolo che propone tante ore di gioco ma anche divertimento se approcciato col giusto spirito. Ovviamente non poteva mancare il gunplay, arricchito da numerose bocche da fuoco e diversificate per natura e potenza. Rimanere a corto di munizioni non è difficile, per cui sarà importante raccogliere armi e proiettili dai nemici sconfitti. L’intelligenza artificiale è su livelli standard e fa specie pensare che dal 2009 sia cambiato poco su questo fronte: i nemici cercheranno di aggirarvi per mettervi in difficoltà mentre, i vostri compagni, non saranno che carne da macello. Mal che vada c’è sempre il nostro martello ad accompagnarci: come dei novelli Thor, potremmo colpire con brutalità i nostri avversari ma soprattutto distruggere interi edifici. La distruzione è dunque un punto cardine e può avvenire in diversi modi, sfruttando appunto il martello ma anche esplosivi, disgregatori e, perché no, auto.
Red Faction: Guerrilla è anche un open world e spostarsi da un luogo all’altro può divenire tedioso senza un mezzo a disposizione, tutti con un modello di guida basilare ma abbastanza diversificato. È possibile prendere possesso anche di mezzi EDF come enormi carri armati o Exo-Suit militari o da lavoro. Questi mezzi regalano forse i momenti migliori, scatenando un putiferio GTA-style in grado di regalare grosse soddisfazioni.
Per essere un titolo del 2009 dunque riesce a intrattenere, ma dal punto di vista strettamente ludico sente il peso degli anni, un po’ come nel comparto tecnico.

Rosso ruggine

Questa remastered ha apportato diversi miglioramenti ma, nonostante ciò, gli anni passati dall’uscita del titolo originale si sentono, eccome. Il gioco adesso supporta il 4K ma già a 1080p si notano tutti gli upgrade, a cominciare da un framerate molto stabile con texture più definite e un aumento dei poligoni su diversi elementi. Se a un primo colpo d’occhio le differenze posso risultare minori, basta guardare i dettagli per capire come l’impianto luci sia stato potenziato, restituendo ambienti più credibili e ombre più realistiche in tutte le condizioni, essendo presente anche un ciclo giorno-notte. È un peccato che dal punto di vista artistico non si sia fatto di più: nonostante la maggiore distanza dal Sole e due piccole lune (Phobos e Deimos), Marte sembra fin troppo simile alla Terra, ma rossa. Stessa questione si può aprire per la gravità (0,4 rispetto quella terrestre), elemento non considerato e forse troppo complesso da replicare. Va bene la terraformazione, ma la massa del pianeta rimane comunque invariata…
Tutto è comunque incorniciato da filtri migliori e soprattutto da un’occlusione ambientale più precisa che cambia visibilmente la visione degli interni. Ma la particolarità tecnica di Guerrilla risiede nel suo motore fisico, innovativo e capace di restituire ottimi feedback. Il GeoMod 2.0 garantisce la massima distruttibilità ambientale, non solo dei vari edifici ma anche di vetture, piccole strutture e oggetti.
Come si comprende, dunque, si tratta di una “rimasterizzazione”, e quindi di un miglioramento di tutti gli aspetti tecnici del titolo. Fa specie dunque poter osservare alcuni glitch e bug dovuti essenzialmente alla fisica ma anche all’intelligenza artificiale, per non parlare dell’eccessivo pop-up degli elementi in lontananza. Sono difetti che in questo processo pesano molto di più.
Concludiamo con il comparto sonoro, abbastanza nella media e purtroppo non implementato in questa versione. Il doppiaggio, completamente in italiano tranne l’episodio sui Marauder, risulta di buon livello, anche se si nota un certo riciclo di voci dei vari NPC. Le musiche invece spaziano dall’anonimo all’interessante, e in questo range c’è spazio anche per alcune chicche precedentemente accennate come temi epici che richiamano la grande Rivoluzione d’Ottobre, ma purtroppo l’audio rimane un aspetto poco sfruttato. Come detto, il paragone con la Rivoluzione Russa poteva elevare questo titolo rispetto alla mediocrità generale ma forse questo va rinviato a un futuro capitolo.

In conclusione

Riprendere dopo quasi dieci anni Red Faction: Guerrilla nella sua versione rimasterizzata è stata una buona occasione per accorgerci di quanto sia cambiato il mondo videoludico, non solo nell’aspetto tecnico ma anche nella gestione di alcune meccaniche o incarichi secondari e non. Nonostante questo però, Guerrilla rimane un titolo interessante per chi ama passare le ore a distruggere qualunque cosa venga in mente in attesa, forse, di un futuro capitolo alla quale THQ starà probabilmente pensando.

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.




Gamescom 2018: la ricostruzione è protagonista in Fallout 76

Fallout 76 è in arrivo e tra le sue nuove peculiarità potrà vantare la possibilità di ricostruire le fondamenta dell’America, distrutta dai bombardamenti nucleari. Riprendendo quanto visto in Fallout 4, in 76 sarà possibile sfruttare il C.A.M.P. un dispositivo in grado di costruire armi, oggetti, equipaggiamento e tanto altro, una volta posseduto i materiale necessari. Il meccanismo di costruzione sembra abbastanza semplificato rispetto al capitolo precedente, con anche la possibilità di trasportarlo e costruire nuovi accampamenti altrove.
Fallout 76 arriverà il 14 Novembre su Xbox One, PlayStation 4 e PC ma sulla console Microsoft si avrà la possibilità di giocare la beta con accesso anticipato.




Il gaming estivo di un musicista ramingo

La vita del musicista, d’estate, è la più bella che ci sia: fare chilometri e chilometri con l’auto piena a tappo di strumenti, casse e costosissime apparecchiature per poi ripercorere le strade a ritroso in tarda notte; quando la musica finisce, le vie sono vuote e la gente esausta torna a casa. Ogni sera un luogo diverso, gente diversa e mangiare diverso, notti fatte di scoperte, conoscenze e, talvolta, anche assurdi imprevisti.
Tuttavia, per un giocatore quel tempo investito in musica si traduce anche nel dover mettere da parte la propria console e nel giocare quando il tempo lo permette, nelle rare serate quando nessun pub, bar, chiosco o comune richiede la presenza della propria band; ci si sveglia tardi per la stanchezza della sera prima, ci si prende un caffè, si va a pranzare poco dopo e presto bisogna fare una doccia perchè la prossima serata è ormai a un paio d’ore. La console rimane impolverata accanto allo scaffale e la pila di giochi che hai comprato rimane lì, in attesa che tu possa prendere il controller e passare delle sane ore di gaming.

Quando finalmente il calendario non segna un impegno della tua band, ci si chiude in camera, si regola il condizionatore a 18°, si mette il cellulare in modalità silenzioso e via, soli con l’avventura del momento e il caldo afoso fuori, fino a quando il sole non si fa color porpora; dopo tante serate passate a suonare per il divertimento dei clienti in un locale, del tempo per noi stessi in cui goderci quel gioco compato a inizio estate e che fino a quel momento non si è riusciti a giocare.
Quando questa speciale sessione a tu per tu con la console termina si fa un salto da qualche parte con gli amici e si finisce ancora a parlare di quella avventura che si sta giocando e che nel frattempo sta affrontando anche l’altro amico: ci si confronta su chi è andato più avanti, chi ha preso quell’arma, chi ha incontrato quel NPC…

E poi finalmente – abbastanza assurdo d’estate – si va a letto a un orario abbastanza decente e ci si sveglia beatamente l’indomani. Ma la quiete viene interrotta dagli amici che bussano a casa per giocare a Donkey Konga fino a farsi diventare le mani rosse, sapendo peraltro che quella sera ci si ritroverà nuovamente a suonare! Anche quando tenti di tenerla fuori, la musica continua sempre a inseguirti e, per quanto bella, quando incontra i videogiochi può esserlo ancora di più.




Un’estate al nerd

La spiaggia, strade assolate, vento che sferza in faccia durante un giro in motorino, arrivare al mare, distendersi e dimenticare ogni cosa: la scuola, il lavoro, inverni e autunni di pensieri, responsabilità e preoccupazioni. L’estate è questo, ed è serate nei chioschi, chitarre davanti a un falò, baciarsi distesi sulla battigia e andare a dormire soltanto al palesarsi dell’alba. Per alcuni è i giochi all’aperto quando si è piccoli,  per altri le passeggiate in bicicletta, per altri le birre, le prime limonate… ha il sapore di ogni età, l’estate, e c’è sempre spazio per ogni cosa, e c’è il tempo per farla, quella cosa, nella calma placida di ogni ora libera e vacanziera.
In questo abbondare di tempo libero, volete non si trovi spazio per i videogiochi? Perché fra una pausa e l’altra del dolce far niente, tra una partita a pallone e una gara di tuffi, il tempo per una partitina in formato handheld o per un giro di joypad nella propria stanza si è sempre trovato. O, se si era in giro, non si lesinava una visita alla sala giochi, per chi abbia vissuto quell’epoca d’oro di luccicanti coin-op.

Per l’estate vogliamo regalarvi uno spazio amarcord, un momento dedicato ai ricordi estivi, piccoli racconti che testimoniano un altro frammento della nostra passione per i videogiochi. Passione che non ha tempo, né stagioni deputate, che se ne infischia del caldo boia e delle ore che passano fino a che si è fatta notte fonda, istanza del cuore che ti dice: gioca, tanto tornerà un altro inverno, gioca e non pensare ai mille petali di rose.

E quei giorni noi siamo qui a ricordarli, noi che abbiamo una redazione che spazia dai 17 ai 40 anni. Vogliamo raccontarveli tutti, questi decenni di differenza, queste estati che, pur segnando un arco lungo quasi un quarto di secolo, ci hanno riunito qui, sotto l’emblema di una bussola, uniti da un’unica passione. Dunque sedetevi con noi in riva al mare, prendete una bevanda gassata, mettete le cuffie e lasciatevi trascinare indietro nel tempo questi brevi racconti fatti di pixel e parole, righe che raccontano di estati al sapore di nerd.




Cloud gaming = futuro?

Lo scorso giugno, Yves Guillemot, CEO di Ubisoft, ha rilasciato delle dichiarazioni destinate a far discutere: secondo il fondatore dello studio francese, la prossima generazione di console sarà l’ultima per come la conosciamo, destinata a lasciare il posto al cloud gaming. E in effetti il futuro sembra volgere verso questo tipo di servizio, come lasciano intuire gli interessamenti da parte di Activision, Sony col suo PlayStation Now (e prima ancora, l’acquisto di Gaikai), più una miriade di servizi recenti come Nvidia Grid, Liquidsky, Vortex o Snoost. Ma la “bomba di mercato” maggiore proviene da Redmond, Washington; infatti, secondo le ultime voci, pare che Microsoft voglia creare due versioni della nuova Scarlet, nome in codice della prossima Xbox: una console “classica” e l’altra, più economica e completamente incentrata sul GooS (gaming as a service), ovvero, il cloud streaming.

Certo, le intenzioni sono interessanti, e anche sotto il profilo del progresso tecnologico sembra che il GooS rappresenti il futuro prossimo, con servizi più vicini a ciò che offre Netflix: Snoost, per esempio, prende pesantemente ispirazione dal servizio di streaming cinematografico e televisivo californiano, con piani di abbonamento che partono da 12,95€ al mese per un’esperienza a 480p, fino ad arrivare a pagare 38,85€ mensili per il gaming a 1080p. Ma il nodo gordiano della questione cloud gaming è rappresentato sempre dalle infrastrutture di rete, dove i lag spikes la fanno da padrone: prendendo per esempio il nostro paese, secondo il report dell’AGCOM scopriamo che solamente il 25% della popolazione ha accesso a una connessione internet che supera i 100Mbps, e un fortunato 2% che usufruisce di una rete FTTH (fiber to the home). Dato parecchio sconfortante, reso ancora più deprimente se controlliamo la classifica della velocità delle connessioni mondiali pubblicata da M-Lab, dove l’Italia si assesta al 43° posto, quart’ultima nazione europea.

Tornando all’attualità del cloud gaming, al momento abbiamo qualche timido servizio, come quelli citati all’inizio, e tante promesse: è il caso di Microsoft. La voce di una nuova Xbox dedicata solo ed esclusivamente allo streaming potrebbe essere la svolta decisiva per un nuovo modo di intendere i videogiochi. Non a caso, da qualche giorno molte sono le notizie che vedono l’azienda di Bill Gates intenta a tornare nel settore degli smartphone, nonostante il fallimento di Windows Phone e di Surface Phone (che, a inizio anno, rappresentavano solamente lo 0,15% della fetta di mercato!): alla fine, il motto che ha contraddistinto Xbox One è “play anywhere”, con una sorta di interconnessione tra la console e i PC con Windows 10: e se questa connessione si allargasse anche agli smartphone, così come fa Remotr? Rientrerebbe nelle classiche innovazioni a cui Microsoft aspira fin dagli inizi della sua storia.
Ma vi è anche un pericoloso precedente andato male, che riguarda una console dedicata esclusivamente allo streaming: è il caso di PlayStation TV, un piccolo media center creato da Sony per poter giocare sui televisori di casa con i titoli PlayStation Vita, coadiuvato anche dal supporto a PlayStation Now. Fu un fallimento commerciale: la piccola scatolina nera di Sony non aveva nessun appeal per i giocatori, con un costo elevatissimo per ciò che veniva offerto, e il progetto venne accantonato dopo soli due anni dall’uscita nei negozi.

Non basta il caso di PlayStation TV a rendere dubbia l’effettiva funzionalità del GooS; prendiamo sempre come esempio l’ipotetica “doppia” Xbox: come verrebbe impostato il marketing di Microsoft? Quale sarebbe la vera differenza delle due versioni, all’infuori del costo meno elevato per la versione dedicata allo streaming? E se quest’ultima avesse più problemi rispetto a una console classica, essendo legata a doppio filo dalle infrastrutture di rete del proprio territorio? Sarebbe devastante per una Microsoft non più disposta a inseguire le concorrenti nella prossima generazione di console. Certo, in caso contrario verrebbe fuori qualcosa di rivoluzionario, e rappresenterebbe davvero l’inizio di una nuova era nel gaming, ma al momento è tutto un grande “se”, visto che non si sa se effettivamente negli studi di Redmond si stia progettando una Xbox dedita esclusivamente alle funzionalità cloud.
Più concreta, invece, sembra la linea intrapresa da Activision; pochi giorni fa, il COO Coddy Johnson ha rilasciato le seguenti dichiarazioni a proposito del cloud gaming:

«Pensiamo che sul lungo termine l’impatto del gaming basato sul cloud e sullo streaming sarà positivo sia per noi che per l’intera industria videoludica. Innanzitutto perché ha il potenziale di accrescere la base di videogiocatori, raggiungendo quelli che non possono permettersi una console o un PC all’ultimo grido. E, in secondo luogo, venendo in aiuto di chi gioca già, offrendo esperienze più accessibili. C’è ancora tanto lavoro da fare prima che la tecnologia possa essere disponibile per la maggior parte del pubblico, ma crediamo che prima o poi accadrà, probabilmente non a breve, ma quando verrà il momento anche Activision ci sarà.»

Insomma, i piccoli passi verso il futuro, che sia prossimo o più in là nel tempo, ci sono tutti: servizi in abbonamento come Vortex, Snoost o Gamefly sono già disponibili, mentre i giganti del settore come Sony, Microsoft e Activision guardano con interesse il gaming as a service. Il futuro del settore si giocherà su questo campo, e il calcio di inizio aspetta solamente di essere battuto.




Overcooked 2

Sono trascorsi esattamente due anni dal lancio su PC del primo capitolo di Overcooked, adrenalinico party-game culinario sviluppato da  Team17 e Ghost Town Games. Oggi, visto l’enorme successo raccolto dal predecessore su tutte le piattaforme, esce OverCooked 2, riproponendo un invariato stile di gioco accompagnato da nuovissimi livelli e con una veste grafica leggermente più curata sotto certi aspetti.

Master Chef

Nel primo Overcooked abbiamo dovuto cimentarci in una folle corsa contro il tempo e in un durissimo allenamento per poter arrivare all’ultimo stage e batterci con il terribile appetito del final boss per salvare il mondo, passando attraverso coloratissimi livelli fuori di testa del Regno delle Cipolle. Sicuramente Overcooked è stato – ed è tutt’ora – uno di quei giochi dell’universo indipendente che ha lasciato a bocca aperta per la sua unicità, per una riuscitissima meccanica di gioco e per le tantissime ore di divertimento che è in grado di regalare. È possibile giocarlo da soli nella modalità campagna o in compagnia di uno o più giocatori, dividendo il joypad o la tastiera metà per uno o utilizzando una periferica per ognuno. In Overcooked 2 conosceremo tanti nuovi e bizzarri chef che si aggiungeranno a quelli già conosciuti nel primo capitolo, con piatti nuovi ed elaboratissimi che metteranno a dura prova le nostre doti culinarie!
Ogni livello nasconde nuove insidie e piatti sempre più elaborati che renderanno difficile la preparazione delle nostre ordinazioni. Lo scopo dei giocatori per ogni livello, sarà quello di completare più piatti possibili in un tempo limite senza troppi errori, in modo da poter guadagnare più stelle possibile – massimo 3 stelle per livello che serviranno per lo sblocco degli stage successivi.
Overcooked 2 è a tutti gli effetti il sequel del primo capitolo, o dovremmo forse dire, la continuazione?
Sì perché a conti fatti, anche i primi livelli di questo nuovo capitolo, potrebbero sembrare un po’ ostici per chi non abbia avuto la fortuna di potersi infarinare con le meccaniche di gioco del primo, quasi come se gli sviluppatori diano per scontato che l’utente debba conoscere il gioco. La complessità di alcuni livelli spesso impedisce di prendere al primo tentativo le agognate 3 stelle, costringendo anche i giocatori che hanno già approcciato al primo capitolo a dover ritentare per sperare in un risultato migliore. Sin dall’inizio vengono richiesti una forte dose di manualità con i comandi base del gioco e un altissimo spirito di squadra, in una eventuale modalità cooperativa, per poter completare i vari stage.

Il Co-Op: la morte sua

Chi abbia giocato al primo Overcooked e ai suoi DLC potrà notare facilmente le doti richieste da questo secondo capitolo. Per il primo, come per il secondo, la modalità “giocatore singolo” a volte potrebbe risultare troppo macchinosa e complessa, tra lo switch dei 2 personaggi e l’organizzazione delle pietanze ci si confonde con molta facilità. In definitiva, la modalità vincente è sicuramente quella cooperativa: completare la campagna in multiplayer, non ha prezzo. Anche per il nuovissimo Overcooked 2, che abbiamo giocato su PC, con joypad per uno e tastiera per l’altro giocatore, la massima espressione risiede nella modalità multi-giocatore. Giocando in compagnia le ore trascorreranno talmente veloci tra urla, spintoni e risate, che non vorrete più staccarvi dalla TV. C’è da dire che è un gioco studiato per l’utilizzo di joypad, ragion per cui la tastiera è altamente sconsigliata, devo ammettere di aver avuto non poche difficoltà nel controllare il mio personaggio.

Cosa puzza di bruciato?

Nonostante io adori questo gioco in tutte le forme, c’è da dire che forse qualcosa non è proprio come dovrebbe essere. Partiamo dalla mappa, che con la sua nuova veste grafica è tanto bella quanto confusionaria, uno zoom troppo vicino impedisce di trovare subito i nuovi livelli sbloccati, che seguono una curiosa numerazione che avanza per multipli (1-2, 1-4, 1-6, 2-3, 2-6). Non è chiaro il motivo di questa scelta considerato che nel primo Overcooked erano numerati normalmente. In secondo luogo, come già detto, il livello di difficoltà si mostra sin da subito eccessivo, diventando ancora più impegnativo avanzando nel gioco, caratteristica questa che potrebbe far desistere chi si affacci per la prima volta alle meccaniche di Overcooked – fuoco sul pavimento che impedisce il movimento, automobili che investono il giocatore e tantissime altre insidie che non fanno ben sperare già dai primissimi livelli.

Tecnicamente

Il comparto tecnico è ineccepibile, il gameplay è rimasto invariato e altrettanto ben congegnato, molto fluido e semplice. Graficamente le migliorie sono visibili nei piccoli dettagli, shader più elaborati e texture più definite, soprattutto nella mappa di selezione dei livelli che vede un nuovo tabellone sviluppato su più livelli, per il resto il gioco non sembra aver subito significativi cambiamenti in questo versante. La colonna sonora cavalcante, chiaramente ereditata dal primo capitolo, è azzeccatissima e accompagna il gioco col giusto ritmo incalzante, rendendolo ancor più adrenalinico di quanto già non sia.

Tirando le somme

In definitiva questo nuovissimo Overcooked 2, a differenza del primo, non è un gioco proprio per tutti. Perché questa scelta? Selezione naturale? Mi rendo conto solo a posteriori che, se non avessi giocato il primo capitolo, con molta probabilità non avrei potuto apprezzare davvero il lavoro svolto da Team17 in questo secondo OverCooked. A ogni modo, se vi piacciono i party-game in locale e un alto livello di sfida che nei suoi picchi massimi potrebbe rasentare la frustrazione, sento di potervene consigliare caldamente l’acquisto, perché credo che, nonostante le sue imperfezioni, al momento la serie Overcooked, per la sua extra-dose di divertimento, detenga il titolo di “Re dei party-game” su ogni piattaforma.

Update After Launch: E luce fù!

Ed è come l’arcobaleno dopo la tempesta che Overcooked dopo la release ufficiale al day one, da bruco si fa farfalla e spicca il volo come prima era stato capace di fare il suo predecessore. La versione inviataci prima del rilascio sul mercato deludeva sotto vari aspetti.
Andando sullo specifico, dopo la data di uscita sono stati inseriti diversi elementi, uno su tutti diverse possibilità di gioco in multiplayer, organizzando partite pubbliche o private; All’inizio del gioco in modalità “storia” è stata aggiunta una clip iniziale che funge da breve premessa agli avvenimenti che spingeranno i nostri mini-chef, a intraprendere quest’avventura.
Il più importante cambiamento lo vediamo sulla mappa, in cui adesso l’avanzamento dei livelli avviene in modalità naturale, seguendo l’ordine numerico 1-1, 1-2, 1-3 e così via. Un’ altra delle mancanze sottolineate nella versione inviataci, è stata fortunatamente colmata e anche qui, come nel primo capitolo di Overcooked, dopo ogni stage completato avremo un percorso da poter seguire con il nostro furgoncino – senza perderci, come capitava spesso nell’anteprima – fino al prossimo livello appena sbloccato.
Insomma, a guardarlo adesso Overcooked 2 è quasi un altro gioco, degno erede di quello che prima di lui conquistò secondo noi il titolo di party game definitivo.
Non è la prima volta che videogame a rilascio sia sostanzialmente diverso rispetto all’anteprima: un altro chiaro segno della necessità Per ogni professionista di settore di rivedere un gioco più volte – al netto Dunque di patch e aggiornamenti – prima di poter emettere un verdetto definitivo.




Fortnite “cannibalizza” utenti da altri titoli

Il successo di Fortnite è stato accolto bene anche da compagnie come EA, Activision Blizzard e Take-Two, le quali ritengono che il gioco attiri nuovi giocatori sul mercato videoludico invece che rubare i loro (giocatori).
Ma secondo una ricerca di Superdata ci sarebbero di indizi di «materiale cannibalizzazione dei migliori franchise» e che quindi il titolo di Epic Games stia in realtà danneggiando il successo di giochi del calibro di  League of Legends, Counter-Strike: Global Offensive, e Overwatch.
Superdata ha anche notato che il pubblico di questi giochi generalmente guarda anche altri giocatori in streaming su Twitch, in termini di visualizzazioni possiamo osservare che nei mesi di aprile, maggio e giugno c’è stato un incremento del 59% per Fortnite, paragonato al -19% di  League of Legends, al -51% di CS:GO e al -16% di Overwatch.
Inoltre  la ricerca ha messo in risalto che le vendite di titoli digitali  su console hanno subito un duro colpo a causa di Fortnite.
Le vendite digitali totali per console, in questa ricerca definite come un combinato di titoli premium e free to play per Playstation e Xbox, sono salite al 49% nel giro di un anno, rispetto al secondo trimestre del 2017 ,afferma Superdata, e le vendite di questo trimestre sono salite dall’1 al 7% per lo stesso periodo rispetto allo scorso anno. Non considerando gli incassi generati da Fortnite sul controllo il quadro cambia di molto. Senza Fortnite le vendite totali digitali per console nel secondo trimestre 2018 calano del 6% rispetto allo scorso anno.

 




Wreckfest

Se dicessi Destruction Derby, buona parte della nuova generazione di gamer non saprebbe di cosa io stia parlando, ma di sicuro gli “anzianotti” invece – come il sottoscritto – ricorderanno con sommo rispetto uno dei giochi più divertenti di sempre, che si fece spazio nei nostri cuori a suon di sportellate. DD era una delle IP più importanti, per l’epoca, di Ubisoft Reflection: uscito inizialmente su PSOne, potremo considerarlo il capostipite del suo genere, con la sua fisica pazzesca e la gestione dei danni magistrale che fu d’esempio per tutti quelli che furono successivamente i suoi epigoni e surrogati.

Qualcuno di voi ricorderà invece Bugbear Entertainment comela software house che ha sviluppato una delle IP più folli di sempre: Flatout, una serie di corse automobilistiche puramente arcade, pubblicata nel 2004 sui sistemi PS2 e Xbox, per arrivare poi nel 2017 con il quarto capitolo, Fl4tout Total Insanity.

Oggi il team di Bugbear, in collaborazione con THQ Nordic, ci sta riprovando lanciando sul mercato Wreckfest, un motoristico totalmente off-road – o quasi, se non fosse per qualche lingua d’asfalto presente qua e là – che rimane sì in linea con il vecchio brand, ma aggiungendo un po’ di “serietà” racing (più che altro stilistica e fisica) alle sfrenate corse che hanno da sempre contraddistinto le loro produzioni.

A tutto gas!

In Wreckfest esiste un solo mantra: A TAVOLETTA!
Di fatto difficilmente farete uso del freno in questo gioco; infatti basterà semplicemente togliere il piede dall’acceleratore e dosare un po’ di freno a mano per riuscire a sfruttare al meglio la corda della curva (fondamentale, se non vorrete avere nuovamente alle calcagna i vostri rivali).
L’IA dei concorrenti non è niente male, ben bilanciata, bastarda al punto giusto e mai scontata. Frequentemente ci capiterà di venire ribaltati o di finire fuori pista a causa di un comportamento scorretto ma chi si lamenta? Questo è Wreckfest!
Sin da subito avrete la possibilità di lanciarvi nella mischia online ma, vi assicuro, sarà un bell’azzardo: il livello dei player online è infatti altissimo e le auto sono quasi del tutto potenziate, se vi andrà bene ìriuscirete a terminare la gara senza essere doppiati e restando tutti interi. Per questo è doveroso consigliare prima un piccolo training, con l’altrettanto divertente modalità single player/carriera. Un percorso, quello della carriera, che vi condurrà ad affrontare diverse discipline in tantissimi tracciati – anche se sono tanti, alla lunga sembrerà di correre quasi sempre nello stesso luogo, probabilmente a causa dei percorsi off-road che non si distinguono molto l’uno dall’altro – guadagnare stelle in base alle prestazioni in pista e agli obiettivi portati a termine, in modo da poter sbloccare gli eventi successivi. Affrontare le gare è importante soprattutto per iniziare a guadagnare anche valuta di gioco (dollari, nel dettaglio), per poter acquistare nuove e più potenti auto o modificare quelle già in vostro possesso per rosicchiare secondi preziosi sul tempo in pista.
Il gioco risulta molto alla mano anche per chi non è avvezzo ai giochi motoristici.
Personalmente ho giocato il titolo con la mia postazione di guida, con volante Thrustmaster T300RS, e dopo tanta pazienza il gioco si è comportato molto bene; ho dovuto perdere un po’ di tempo per regolare il punto morto dello sterzo che inizialmente risultava essere troppo sensibile, influendo negativamente sulla giocabilità, ma una volta trovato il giusto compromesso Wreckfest mi ha davvero regalato ore di puro divertimento. Per correttezza e completezza, ho deciso di giocarlo anche con il joypad e il risultato è il medesimo, semplice, intuitivo e divertente (sicuramente di più facile utilizzo).

Le gare vanno dalle semplici corse su pista, agli scontri in arena – i miei preferiti – in cui vincerete solo resistendo senza venire distrutti fino alla fine.
La personalizzazione delle automobili è davvero originale, sia per quanto riguarda le livree, perfettamente in linea con lo stile “dirty” del gioco, sia per quelle estetiche, in egual modo interessanti e accattivanti: chi non vorrebbe un V8 con gli scarichi aperti sulle fiancate?

Che bella carrozzeria!

Il comparto grafico di Wreckfest, risulta essere stato molto più curato rispetto alle precedenti produzioni di Bugbear. Il team di sviluppo ha concentrato le proprie energie per cercare di sfornare qualcosa di diverso dal loro standard, pur rimanendo concentrato sul progetto nella sua totalità e devo dire che ci sono riusciti egregiamente. Effetti grafici all’altezza di ogni situazione, scontri, ribaltoni, sportellate ed esplosioni non fanno che aumentare la spettacolarità delle corse per la loro ottima qualità. Difficilmente mi stupisco per certe chicche grafiche, ma se c’è una cosa che è riuscita a colpirmi più d’ogni altra in Wreckfest sono il fango e il comportamento delle gomme delle automobili a contatto con esso, davvero molto realistico, fondamentale su giochi di questo genere. In precedenza solo Mud Runner, altro titolo dal carattere forte e al contempo “ignorante” come pochi, era riuscito ad impressionarmi a tal proposito.

Note positive anche per il comparto sonoro: rombo dei motori molto fedele, pieno e cattivo, riesce a entusiasmare durante le sgasate per mantenere la curva; forse potrebbe diventare “fastidioso” in gare un po’ più piatte, con poche curve e tanti rettilinei, dove la macchina raggiunge in breve tempo la velocità massima facendoci sentire solo il motore a palla. Colonna sonora invece semplicemente pazzesca, si sgomma a suon di punk-rock di prima scelta.

In conclusione tirando… il freno a mano

Wreckfest è un ottimo gioco che sicuramente regalerà parecchie ore di divertimento agli amanti del genere arcade, soprattutto per chi, come il sottoscritto, da tempo attendeva il ritorno di un dignitoso erede di Destruction Derby.
Consigliato a tutti gli amanti delle corse off-road per l’altissima qualità dei circuiti, delle vetture e degli effetti grafici ad hoc.
Ah e mi raccomando! Se doveste acquistarlo… niente freno!




Videogames e disabilità: i passi avanti di Microsoft

Di recente, Microsoft è divenuta punto di riferimento contro la disabilità. Infatti, il colosso californiano, ha recentemente mostrato al pubblico l’ Xbox Adaptive Controller, accessorio che permette agli utenti disabili di poter giocare grazie alla possibilità di modificare i vari input a seconda delle loro necessità. Tara Voelker, gestore del progetto, ha rivelato la sua intenzione di creare dei “corsi” per gli sviluppatori, così da poter dare loro dei consigli al fine di rendere anche i giochi stessi più accessibili. La stessa, ha inoltre ribadito:

«I giochi non sono solo intrattenimento, fanno parte della nostra cultura, sono un modo di socializzare e persino un mezzo di fuga: i giochi possono essere terapeutici e possono aiutare nella gestione del dolore.»

Il dispositivo creato da Microsoft, durante l’E3, ha riscosso tantissimi feeback positivi e ha, inoltre, vinto tantissimi premi.

Secondo la Voelker, l’aggiunta da parte della società di avatar che possono usufruire di una sedia a rotelle o un arto artificiale è importante tanto quanto il loro controller. Infatti, secondo quest’ultima, la possibilità di poter inserire questi “accessori” al proprio avatar può dare una possibilità d’espressione in più, cioè, è un modo di mostrare la propria identità.
Durante un’intervista, Phil Spencer, direttore della società nel settore gaming, ha mostrato la sua disponibilità nel condividere gli insegnamenti derivanti dall’Adaptive Controller con chiunque voglia imparare e perfezionare quello che ha creato la sua compagnia. Voelker, ha inoltre affermato che le piacerebbe vedere un feedback da parte degli sviluppatori stessi con l’aggiunta dei controlli rimappabili. Secondo Tara Voelker, gli sviluppatori possono fare la loro parte anche senza la necessità di un hardware specializzato, integrando più personaggi affetti da disabilità così da agevolare l’ingresso nel mondo del gaming.




Dusty Rooms: uno sguardo al MSX

L’obiettivo di questa rubrica è principalmente quello di far scoprire quelle parti di retrogaming curiose, interessanti e, possibilmente, non ancora prese in esame. Oggi, qui a Dusty Rooms, daremo uno sguardo ai computer MSX, un sistema ancora non comune e che forse non lo sarà mai, probabilmente per via della sua scheda madre, un prodotto da vendere su licenza a terze parti affinché la producessero con i loro mezzi. Certo, il Commodore 64, l’Amstrad, l’Apple II e i computer Atari sono stati sicuramente i più popolari negli anni ’80 ma se oggi lo scenario dei personal computer è come lo conosciamo, lo si deve principalmente a queste favolose macchine MSX che finirono per dettare degli standard in quanto a formati e reperibilità dei software. Per capire l’innovazione portata da questi computer, utili sia per il gaming che per la programmazione, bisogna dare uno sguardo allo scenario tecnologico di quegli anni.

Non fare il Salame! Compra un computer!

Negli anni ’80 i computer cominciarono a far parte della vita di milioni di persone e, sia in termini di costi che di dimensioni, erano decisamente alla portata di tutti; in Nord America si assistette a un’impennata per via del crollo del mercato dei videogiochi del 1983, in quanto i genitori erano più propensi a comprare un PC per i loro figli con la quale poter sia giocare che studiare, e in Europa, e molte altre parti del mondo, avevano preso piede ancor prima delle console rudimentali come Atari 2600, Philips Videopac (Magnavox Odyssey 2 in Nord America) o il Coleco Vision. Tuttavia, in negozio, scegliere un computer rispetto a un altro era un impresa tutt’altro che facile: ogni macchina era in grado di leggere videogiochi e eseguire programmi gestionali, creativi o educativi ma, ogni compagnia, proponeva il proprio sistema e linguaggio di programmazione e perciò, senza uno standard, la compatibilità fra le macchine era pressoché nulla; il tutto era aggravato inoltre dalle centinaia di pubblicità che proponevano sempre il loro computer come il più veloce e generalmente migliore rispetto alla concorrenza. Lo scenario era ben diverso da quello odierno in cui sono presenti principalmente due sistemi operativi dominanti e, indipendentemente dal modello fisico che si prende in esame, è molto più facile orientarsi in un mercato che dà meno alternative e in cui la compatibilità è sempre più ampia.

(Pensate, compravate un Commodore 64 per la vostra azienda ma poi, una volta a casa, accendevate la TV e c’era Massimo Lopez che vi proponeva il suo migliore computer SAG e voi entravate in paranoia!)

Negli anni ’70 un giovane Kazuhiko Nishi, studente dell’Università di Waseda, cominciava a interessarsi al mondo dei computer, software ed elettronica con il sogno di costruire una console con i propri giochi e poterla rivendere ma, dopo una visita alla fabbrica della General Instruments, capì che non poteva comprare dei chip in piccole quantità per poter sperimentare e perciò dovette rinunciare momentaneamente al suo sogno. Cominciò a scrivere per alcune riviste d’elettronica affinché potesse mettere a disposizione la sua conoscenza per la programmazione ma, se voleva trarne il massimo vantaggio da questa attività, doveva necessariamente fondare una sua compagnia e fare delle sue pubblicazioni. Dopo aver lasciato l’università, Nishi fondò la ASCII per poter pubblicare la sua nuova rivista I/O, che trattava di computer, ma nel 1979 la pubblicazione cambiò nome in ASCII magazine che si interessava più generalmente di ogni campo dell’elettronica, inclusi i videogiochi. Con il successo della rivista Kazuhiko Nishi poté tornare al suo progetto originale, ovvero creare una macchina tutta sua, ma per farlo aveva bisogno di un linguaggio di programmazione; egli contattò gli uffici Microsoft riuscendo a parlare, con la prima telefonata, con Bill Gates e più tardi, quello stesso anno, riuscirono a incontrarsi. Entrambi avevano la stessa passione per l’elettronica, più o meno lo stesso background sociale (entrambi avevano lasciato gli studi accademici) e dopo diversi meeting aderirono per fare del business assieme. ASCII diventò la rappresentante di Microsoft in Giappone e Kazuhiko Nishi divenne vicepresidente della divisione giapponese della compagnia americana. Grazie a questa collaborazione Nishi poté inserire il BASIC nel PC 8000 di Nec, la prima volta che veniva incluso all’interno di un computer, ma nel 1982, quando Harry Fox e Alex Weiss raggiunsero Microsoft per poter creare dei software per il loro nuovo computer chiamato Spectravideo, egli vide le basi per coniare il suo progetto iniziale e cominciare a produrre una linea di PC compatibili fra loro visto che la macchina era costruita intorno allo Zilog Z80, un processore che faceva da punto in comune fra diversi computer e persino console (essendo incluso nel Coleco Vision, console che, prima dell’avvento del NES, andava molto forte). Kazuhiko Nishi voleva che il suo computer fosse piccolo, come quelli che aveva prodotto alcuni anni prima per Kyocera, doveva contenere almeno uno slot per delle cartucce ROM, essere facilmente trasportabile ed espandibile e doveva contenere una versione di BASIC migliore dei computer IBM; così composto era la sua perfetta visione di computer in grado di poter garantire uno standard fra queste macchine. Poco dopo Nishi contattò tutte le più grandi compagnie giapponesi come Casio, Mitsubishi, Fujitsu, Kyocera, SonySamsung e Philips, rispettivamente, che decisero di investire in questo nuovo progetto; fu così che nacque lo standard MSX.

(Kazuhiko Nishi e Bill Gates)

Software per tutti!

Come abbiamo già detto, le macchine MSX nascono dall’unione di ASCII e Microsoft nel tentativo di fornire uno standard per i manufattori di PC. Era parere comune, ai tempi, che “MSX” stesse per “MicroSoft eXtended” ma Kazuhiko Nishi, più tardi, smentì queste voci dicendo che la sigla stava per “Machine with Software eXchangeability“. Con questo nuovo standard, tutti i computer che esponevano il marchio MSX erano dunque compatibili fra loro; perciò, cosa rendeva un’unità uguale a un’altra? Per prima cosa la CPU 8-bit Zilog Z80A, chip creato dall’italiano Federico Faggini e che ne costituisce il cervello della macchina, poi abbiamo la VDP (Video Display Processor) TMS9918 della Texas Instrument che offre una risoluzione di 256 x 192, 16 colori per sprite di 32 pixel, il chip sonoro AI36910 della Yamaha che offre tre canali e tre ottave di tonalità e infine la ROM di 32kb contenente il BASIC di Microsoft; il computer è comprensivo di tastiera ed è possibile attaccare mangianastri, strumento essenziale per i computer dell’epoca, lettore floppy, almeno una porta per i joypad e ha anche una porta d’espansione. Tipico di molti MSX era un secondo slot per le cartucce che, inserendone una seconda, permetteva miglioramenti, cheat e persino espansioni per un determinato software (dopo vi faremo un esempio). Per via delle diverse aziende che producevano i computer MSX è difficile arrivare a un numero preciso di computer venduti nel mondo ma, per darvi un idea, nel solo Giappone sono stati venduti ben cinque milioni di computer, praticamente la migliore macchina da gaming prima dell’arrivo del Famicom. Le macchine ebbero successo anche in altri paesi come Olanda, Spagna, Brasile, Corea del Sud, Arabia Saudita e persino in Italia e Unione Sovietica. Al fine di proporre una macchina sempre più potente, ci furono ben altre quattro generazioni di MSX: MSX2, rilasciato nel 1985, MSX2+, nel 1988, e MSX TurboR nel 1990. La differenza nelle prime tre stava nel nuovo processore Z80 che poteva permettere molti più colori su schermo e una velocità di calcolo maggiore, mentre l’ultimo modello presentava un processore 16-bit R800 ma purtroppo, essendo a quel punto rimasta solamente Panasonic a produrre gli MSX, non fu supportato a lungo. Come abbiamo accennato, i computer MSX erano le macchine dominanti per i videogiochi casalinghi in Giappone, anche se per poco tempo visto che il Famicom arrivò poco dopo, lo stesso anno; tuttavia, nonostante il dominio generale della console Nintendo, il sistema fu supportato fino all’ultimo e tante compagnie, come Hudson Soft e Compile, sfruttarono ogni capacità di questa curiosa macchina; l’eccezione va fatta per Konami che, nel 1983, fondò un team dedicato per produrre giochi su MSX, un anno prima di firmare per Nintendo. Finita la festa, nel 2001 Kazuhiko Nishi ha annunciato il revival del MSX rilasciando liberamente l’emulatore MSXPLAYer, dunque, eticamente, siamo liberi di goderci questi giochi sul nostro PC (anche perché il Project EGG, una piattaforma simil Steam per i giochi per computer giapponesi, qui non c’è); tuttavia, nulla vieta di recuperare l’hardware originale anche se dovete tener conto dell’alto prezzo dei giochi; un’ultima buona alternativa è recuperare la Konami Antiques MSX Collection per Sony PlayStation e Sega Saturn che vi permetterà di giocare a molti titoli (la versione per la prima è divisa in quattro dischi mentre la seconda include tutti i giochi). Diamo uno sguardo a 10 giochi essenziali di questa macchina (ci scusiamo in anticipo se la maggior parte dei giochi saranno Konami!).

10. King’s Valley 2

Un platformer che unisce elementi puzzle alla Lode Runner. Per procedere ai livelli successivi servirà collezionare tutte le pietre dell’anima sparse negli stage utilizzando i vari strumenti presenti, cui potremmo utilizzarne solo uno per volta. Man mano che si procede, gli scenari diventeranno sempre più grandi e difficili perciò non bisogna prendere questo gioco sottogamba. Una feature interessante, molto avanti per i suoi tempi, era l’editor dei livelli: una volta completati si potevano salvare in un floppy e scambiarli con gli amici.

9. Treasure of Usas

Un action platformer poco conosciuto ma comunque molto curioso che potrebbe interessare molto ai fan di Uncharted e Tomb Raider. Wit e Cles sono due cacciatori alla ricerca del tesoro di Usas e dovranno attraversare cinque città antiche per poterlo ritrovare. Il primo ha una pistola e migliori abilità nel salto mentre il secondo è un maestro di arti marziali e più agile. Le loro abilità sono migliorabili collezionando le monete negli stage e il gioco presenta la curiosa meccanica degli umori:  nello stage infatti, sono sparse le cosiddette carte dell’umore che, una volta raccolte, cambieranno i nostri attacchi. Una vera chicca se siete amanti di Castlevania o Mega Man.

8. Penguin Adventure

A Hideo Kojima game… ebbene si! Prima di Snake e i loschi tipi di Death Stranding (di cui non sappiamo ancora nulla) il noto programmatore ha prodotto questo gioco “puccioso” in cui dobbiamo far riunire Pentaro alla sua amata principessa. Nonostante il gioco abbia una struttura arcade apparentemente semplice, ovvero una sorta di platformer automatico simil 3D  (oggi potremmo definirlo un runner per smarphone), questo gioco ha molte meccaniche intriganti come un in-game store, warp zone, tanti easter egg e persino un finale alternativo. Mai giudicare un libro dalla sua copertina!

7. King Kong 2

Essendo liberamente ispirato al film King Kong Lives (o King Kong 2), controlleremo Hank Mitchell alla ricerca di Lady Kong. Raccomandiamo questo titolo ai fan del primo The Legend of Zelda in quanto molto simile e con tante caratteristiche interessanti che lo rendono davvero un bel gioco. Siate sicuri di trovare la rom patchata” poiché non è mai stato rilasciato in Europa.

6. Vampire Killer

Sembrerebbe un porting per MSX2 di Castlevania per NES ma così non è; sebbene il gioco abbia più o meno la stessa grafica, esso presenta un gameplay totalmente diverso. Questo titolo, anziché concentrarsi nelle sezioni di platforming, è più basato sull’esplorazione e il puzzle solving: per avanzare bisognerà trovare la skeleton key e per farlo ci serviranno armi, oggetti e chiavi per aprire forzieri contenti power up che si riveleranno utili allo scopo. Il gioco ha un pacing ben diverso dall’originale per NES ed è raccomandato ai giocatori più pazienti (anche perché le vite sono limitate e mancano i continue) ma anche ai più accaniti fan della saga.

5. Aleste

Unico gioco non Konami di questa lista, è uno shoot ‘em up sensazionale di Compile; uscito originariamente per Sega Master System, questa versione presenta due stage extra e una difficoltà più abbordabile. Di questo gioco stupiscono principalmente la grafica, la strabiliante colonna sonora resa con un chip FM montato sulla cartuccia e l’azione velocissima (tipica della serie) che da vita a battaglie in volo spettacolari. Provare per credere!

4. The Maze of Galious – Knightmare II

Concepito originariamente per competere con Zelda II: The Adventure of Link, The Maze of Galious è un difficilissimo metroidvania per i più allenati. In questo popolarissimo titolo per MSX, bisognerà esplorare un castello immenso alla ricerca delle dieci sub aree, dove risiedono demoni da sconfiggere, ma anche degli oggetti sparsi nel castello che espanderanno le abilità dei nostri Popolon e Aphrodite. The Maze of Galious è il secondo titolo della saga Knightmare, il cui primo titolo era un top down shooter alla Ikari Warriors e il terzo un RPG (per MSX2), ed è certamente il più bello. Nel 2002, questo titolo è stato soggetto di un curioso remake non ufficiale e il suo acclamato gameplay è stato ripreso nel similissmo La Mulana, considerato il suo sequel spirituale. Se siete fan dei metroidvania questo è certamente un titolo da giocare, anche per coloro che apprezzano le vere fide come Ghosts ‘n Ghouls, il già citato Zelda II o, chissà, magari anche Dark Souls! Vi raccomandiamo di giocarci con un walkthrough o almeno una mappa del castello; se siete dei masochisti fate pure senza!

3. Nemesis 2 e 3 + Salamander

Un pari abbastanza assurdo ma vi assicuriamo che non c’era modo per rendere giustizia a questi tre spettacolari titoli. I primi due sono dei sequel di Gradius mentre il Salamander proposto su MSX è completamente diverso dalla controparte per NES. Questi titoli della saga di Gradius su MSX presentano, insieme a delle colonne sonore squisite espresse con l’esclusivo chip SCC, un gameplay profondissimo attraverso power up espandibili, oggetti e sezioni bonus nascosti nei livelli e lo storytelling più dettagliato della saga. In Salamander, inoltre, per ottenere il finale migliore bisognerà inserire la cartuccia di Nemesis 2 nel secondo slot per completare il vero livello finale e mettere fine alla minaccia dei bacterion; altro che DLC e Amiibo! Nemesis 2 e Salamander sono i titoli più difficile mentre Nemesis 3: The Eve of Destruction è il più accessibile, perciò, se volete provarli, vi consigliamo di partire da lì. Tuttavia, dovrete abituarvi allo scrolling “scattoso” di questi titoli in quanto gli MSX, prima della seconda generazione, non erano in grado di offrire un’azione fluida e senza problemi;

2. Metal Gear e Metal Gear 2: Solid Snake

È più che risaputo che la saga di Metal Gear ha origini nel MSX2 e che quelli per NES non sono i veri punti iniziali della saga (per Snake’s Revenge, sequel non canonico del primo titolo, Hideo Kojima non era neppure stato chiamato per lo sviluppo del gioco). Entrambi i Metal Gear, soprattutto il secondo, sono dei giochi incredibili per essere dei giochi in 8-bit e, nonostante in molti ignorino questi due titoli, sono fondamentali per la fruizione dell’intera saga. Molte degli elementi visti in Metal Gear Solid come le chiavi sensibili alla temperatura, l’assalto all’interno dell’ascensore, l’abbattere l’Hind-D con i missili stinger e lo sgattaiolare nei condotti d’aria erano già stati introdotti in Metal Gear 2: Solid Snake; altri due titoli immancabili per MSX e giocabili persino in Metal Gear Solid 3: Subsistence. Non avete scuse per non giocarli!

1. Space Manbow

Questa rubrica si chiama Dusty Rooms e, pertanto, lo scopo è quello di farvi riscoprire titoli dimenticati e particolarmente interesanti; considerate quest’ultima entrata come un nostro personale regalo. Space Manbow è uno shoot ‘em up strabiliante pieno d’azione e retto da una grafica dettagliatissima per essere un gioco 8-bit, una colonna sonora spettacolare resa col chip SCC e un gameplay vario e mozzafiato, reso ancora più intrigante grazie allo scrolling fluido del MSX2 (cosa di cui i titoli di Gradius non poterono godere). Nonostante le lodi di critica e fan, Space Manbow rimane, a tutt’oggi, relegato a MSX e Konami, al di là di qualche cameo in qualche altro titolo, non ha mai preso in considerazione l’idea di un sequel (anche se ne esiste uno non ufficiale fatto dai fan uscito tanti anni dopo su MSX2), né allora né tanto meno adesso. Diamo a questo capolavoro l’attenzione che merita!

Honorable mentions

Che dire? Dieci posizioni sono veramente poche per una console che ha dato così tanto ma qui, vi vogliamo dare un altro paio di titoli da rivisitare su MSX:

  • Snatcher & SD Snatcher: altri due titoli di Hideo Kojima. Il primo è una visual novel mentre l’altro ricalca la stessa storia ma in veste RPG. Recuperate il secondo su MSX2 ma giocate Snatcher altrove in quanto la versione per MSX è incompleta e inconcludente.
  • Xevious: Fardraut Saga: da un semplice coin-op per arcade a uno SHMUP moderno con trama ed espansioni varie. Un titolo decisamente da recuperare!
  • Eggerland 2: il secondo gioco della saga di Lolo e Lala. Un puzzle game da capogiro per riscoprire le origini dello studio Hal.
  • Ys (I, II & III): una delle saghe RPG più strane e sottovalutate di sempre. Giocare questi titoli su MSX non è raccomandabile per via della barriera linguistica ma il loro aspetto su questo computer è decisamente sensazionale.
  • Quarth: un puzzle game Konami molto interessante che metterà alla prova il vostro ingegno. Un’altro bel gioco da recuperare

(Per finire, vi lasciamo con questa bella intervista con Bill Gates e Kazuhiko Nishi riguardo i computer MSX)

(E questa fantastica pubblicità italiana!)