Chicago tassa PlayStation Plus

Tutto è cominciato nel luglio 2015, quando nella città di Chicago è stata emanata una nuova legge, soprannominata dai residenti “legge sul divertimento“. Questa, entrata in vigore poco più di tre anni fa, impone una tassa su tutti i servizi streaming online, proprio come Netflix o Spotify per i residenti di Chicago, quindi vengono tassati servizi utilizzati da milioni di utenti nel tempo libero.
Questa imposta, che equivale al 9%, ha portato molte aziende che offrono un servizio di streaming nel territorio della grande metropoli, ad aumentare il costo dei propri abbonamenti. La stessa Netflix ha dovuto modificare i prezzi della sua piattaforma e la medesima cosa sta accadendo anche a Sony, che dal 14 novembre, tasserà servizi come PlayStation Plus, PS Now, PS Music e altri, che riceveranno un incremento dei prezzi.
Molti si sono schierati contro la scelta del Dipartimento delle finanze di Chicago, persino Apple, che ha cercato di far valere l’Internet Tax Freedom Act, una legge firmata nel 1998 che vieta la tassazione di internet e dei servizi di e-commerce, ma per adesso sembra non essere cambiato nulla.
Questa tassa, non solo ha creato un malcontento generale per chi usufruisce di tali servizi, ma alla lunga potrebbe favorire la pirateria, che potrebbe portare a un consistente calo delle vendite di tali abbonamenti nel territorio di Chicago.

I servizi simili a Netflix, che permettono lo Streaming di videogiochi, stanno vivendo un periodo di crescita, soprattutto negli ultimi anni. Anche la stessa Sony ha registrato dei numeri davvero ottimi per il suo servizio di streaming videoludico, PlayStation Now, che ha raggiunto circa il 52% delle entrate totali del settore, circa 143 milioni di dollari in un solo trimestre. PlayStation Now ha superato persino il servizio streaming di Microsoft, Xbox Game Pass e quelli di Ubisoft ed EA che singolarmente ricavano poco meno di 90 milioni di dollari.
In totale la fatturazione del settore dello streaming videoludico si aggira a circa 273 milioni di dollari guadagnati durante il terzo trimestre dell’anno; molti utenti definiscono questa crescita come la sempre più netta affermazione dei servizi cloud e streaming, servizi che potrebbero essere la base delle nuove console next-gen.
La tassa imposta a Chicago non influirà pesantemente su questi numeri, ma sicuramente non è positivo per l’industria e per i cittadini che si ritrovano a pagare di più per usufruire di un servizio di streaming.




Quando i Pokémon arrivarono in occidente

Quello del 1998 è un periodo che purtroppo non posso ricordare, essendo nata in quell’anno, ma posso ben immaginare ciò che provarono quei bambini e ragazzi americani quando a maggio seppero, grazie a un annuncio durante l’E3 di Atlanta, che quel gioco che tanto aveva venduto e stava vendendo in Giappone, sarebbe arrivato nel loro continente nel giro di pochi mesi: chi già dall’anno prima non aspettava altro (poiché era già stato mostrato in piccola parte), chi non aveva idea di cosa si trattasse ma rimase incuriosito, chi esaltato, chi scettico, chi vedendo per la prima volta la serie animata mandata in onda pochi mesi dopo implorò i genitori di spendere quei quasi 30 dollari per la cartuccia ed eventualmente anche un grosso extra per lo stesso Game Boy e chi invece andò a rompere il salvadanaio a forma di maialino per tirare fuori i risparmi.  Quando poi arrivò quel 28 settembre, i mostri tascabili entrarono di fatto nel mercato occidentale con Blu e Rosso, ma anche nei cuori di moltissimi giocatori: 151 esserini che aspettavano solo di essere catturati e allenati, luoghi da scoprire, nemici da sconfiggere; un replay del rilascio originale, ma in un altro continente e a oltre due anni di distanza, mentre l’Europa ne avrebbe dovuto aspettare ancora un altro.

Filmato iniziale di Pokémon Rosso, che presenta qualche differenza rispetto a quello di Pokémon Blu

E rieccomi quindi a parlare di Pokémon, la saga che mi ha accompagnata sin da quando ho mosso i miei primi passi nel mondo dei videogame. Ma questa volta cercherò di non fare la nostalgica, a differenza di come feci quando parlai di Pokémon Giallo (dove ho anche parlato della trama e che quindi salterò) e della mia esperienza su Pokémon ArgentoVediamo piuttosto cosa avevano di così tanto speciale questi primi due capitoli, che avrebbero poi reso unico il brand intero.


Gli  “Originali 151”

Gotta catch ‘em all!

Il primo aspetto unico – manco a dirlo –  sono proprio i Pokémon: l’idea che ci sia un ecosistema vario all’interno di un gioco è qualcosa che intriga molto ancora oggi e immaginate cosa poteva significare per un ragazzino negli anni ’90 sapere di poter avere una così vasta scelta di personaggi da collezionare, poterli allenare come meglio credeva, decidere se allenare i più forti, i più rari, o semplicemente i preferiti, insegnare o meno determinate mosse, decidere o no se farli evolvere, equipaggiare determinati strumenti che aumentavano certi parametri piuttosto che altri; con una personalizzazione così, che ai tempi non riusciva a offrire neanche un Final Fantasy, letteralmente ci si affezionava a quei piccoli mostri. E non dimentichiamo che tutto questo era possibile per la prima volta all’interno di una console portatile. Non è solo il come si gioca a rendere unico e bello un titolo, ma anche il dove.

Gli scambi e le lotte

Questi sono ancora oggi gli aspetti più “social” della serie. Come tutti i giocatori che hanno provato almeno un capitolo sapranno, è impossibile completare il Pokédex “da soli”, o comunque senza aiuti esterni alla cartuccia di partenza, poiché ogni versione ha dei Pokémon esclusivi che non si possono trovare nell’altra. I metodi leciti per acchiapparli tutti erano due: trovare qualcun altro con la versione opposta e scambiarsi i Pokémon desiderati attraverso il cavo Game Link o essere abbastanza ricchi (o tremendamente soli, a seconda dei punti di vista) da poter acquistare due Game Boy e due cartucce diverse, e fare il procedimento in solitario. Ma cose tristi a parte, probabilmente era la prima volta che l’intervento di qualcun altro fosse fondamentale al completamento del gioco, e non poteva essere diversamente dato che adesso come allora, uno dei pilastri fondamentali di Pokémon è l’interazione con gli altri; come il nostro personaggio in giro per Kanto incontra una moltitudine di NPC diversi durante il suo viaggio il giocatore non deve essere da meno, con la console in tasca e un mondo intero a disposizione.
E cosa si fa quando non si ha più niente da scambiare ma ancora tanto tempo a disposizione? Ovviamente si combatte per vedere chi dei due ha la squadra migliore, e per quei pochi minuti i Pokémon si fanno vivi, la tensione è vera, la voglia di vincere è tanta. Che si vinca o si perda, alla fine della lotta ci si stringe la mano o ci si da il cinque, magari può pure volare qualche parola di troppo, ma alla fine si torna amici come prima, almeno fino alla prossima battaglia.

Facile ma non troppo

Ultimo ma non per importanza è il fattore difficoltà. Il gameplay intuitivo e gli obbiettivi chiari sin da subito stimolano il giocatore giovane e inesperto, che si trova davanti a un percorso di crescita graduale, con momenti mai eccessivamente impegnativi se preceduti da una buona dose di grinding. Le cosiddette fasi “post game” (ovvero tutto ciò che accade dopo aver battuto la Lega), sicuramente più ardue, attirano invece chi già mastica un po’ di giochi di ruolo; non si parla però di livelli di difficoltà troppo alti per il tipo di giocatore in questione. Menzione speciale per il glitch di Mew, che richiede una serie di azioni molto specifiche per farlo apparire, che ha portato ad avvicinarsi al brand una categoria d’eccezione, quella che raggruppa chi ama trovare buchi nella programmazione e “rompere i giochi”.

Pokémon Rosso e Blu non sono certo dei giochi privi di difetti a differenza di come li definiscono alcuni fan particolarmente nostalgici, essendo fortemente limitati dalla memoria delle cartucce e dalle capacità di calcolo del Game Boy, e da un sistema di combattimento sicuramente ben studiato, ma ancora allo stato grezzo e che sarebbe migliorato solo col tempo. Ricordare fa bene, ma idealizzare secondo la logica del “i primi sono sempre migliori dei seguiti” è un pensiero privo di senso critico e forse anche egoista, poiché chiuso a ogni tipo di critica. Nella società come nei videogiochi, il cambiamento non va rifiutato a priori.
Che celebriate oggi l’anniversario di questi due pionieri o il 27 febbraio, che i suddetti giochi vi piacciano o meno, è sempre giusto pensare ogni tanto a quando tutto è partito.




Loot Box nei videogiochi come gioco d’azzardo?

Daniel Zeichner, parlamentare del lavoro per il collegio elettorale di Cambridge, ha recentemente presentato due domande a Karen Bradley, il Segretario di Stato per Digitale, Cultura, Media e Sport riguardanti l’argomento sempre più scottante delle Loot Box nei videogiochi e se esse possano costituire una forma di gioco d’azzardo.
All’inizio della scorsa settimana, l’ESRB (Entertainment Software Rating Board) ha risposto ufficialmente che le Loot Box non sono considerate gioco d’azzardo in quanto i clienti hanno la garanzia di ottenere sempre qualcosa anche quando non è quello che desiderano. In seguito WCCFTECH ha contattato PEGI (Pan-European Game Information), il cui direttore operativo Dirk Bosmans ha dichiarato di non essere in grado di decidere quali elementi possono costituire il gioco d’azzardo.
I governi e le commissioni nazionali devono essere coinvolti in primo luogo, pertanto ciò potrebbe rappresentare un bel passo avanti nella giusta direzione.

La prima domanda posta da Zeichner recita:

«Chiedo al Segretario di Stato per Digitale, Cultura, Media e Sport quale valutazione ha fatto il governo sull’efficacia delle protezioni aumentate sull’isola di Man contro i giochi d’azzardo illegali, il gioco d’azzardo in casa e le Loot Box e quali discussioni ha avuto con i colleghi del Gabinetto sull’adozione di tali protezioni nel Regno Unito.»

La seconda domanda:

«Chiedo al Segretario di Stato per Digitale, Cultura, Media e Sport, quali soluzioni intende adottare per proteggere gli adulti e i bambini vulnerabili da giochi d’azzardo illegali, gioco d’azzardo in casa e le Loot Box all’interno di giochi per computer.»

E’ passata poco più di una settimana, quindi dovremo aspettare ancora un po’ prima che una risposta dal Segretario di Stato del Regno Unito Karen Bradley venga pubblicata. Nel frattempo, l’utente Reddit Artfunkel ha fornito contesto aggiuntivo sulle domande di Zeichner. Pare che abbia invitato il parlamentare a cercare la valutazione del governo su questa questione dopo una riunione che ha avuto luogo “poche settimane fa”, quando le ultime notizie sollevate da Forza Motorsport 7, La Terra di Mezzo: L’Ombra della Guerra e Star Wars: Battlefront II  non erano così importanti. Naturalmente non c’è garanzia che il governo britannico ritienga necessario adottare qualsiasi misura.
È stata infine presentata una petizione separata al Parlamento che ha recentemente raccolto più di diecimila firme (tutte le petizioni che ricevono più di 10.000 firme ricevono una risposta del governo). Se la petizione raggiungerà centomila firme, sarà presa in considerazione per il dibattito in Parlamento.