Mulaka – Una Finestra su un Vecchio Mondo

Il mondo degli indie è in forte crescita, e gode spesso di una maggior libertà creativa rispetto ai grossi team di sviluppo, incatenati la maggior parte delle volte a logiche di mercato che talvolta risultano castranti. L’ultimo arrivato nell’universo videoludico indipendente è Mulaka, titolo sviluppato dal team Lienzo e interamente basato sulla mitologia Tarahumara, antica popolazione messicana che, stando alle leggende, avrebbe dato i natali a guerrieri formidabili ed eccezionali corridori. Le loro credenze, usi e costumi sono tutti racchiusi in questo action-adventure che vede come protagonista un Sukurùame, sciamano in grado di sconfiggere il male che sta infestando la sua terra natìa.
Nonostante il popolo Tarahumara si sia ormai abituato alle usanze del ventunesimo secolo, si tratta di una tribù che ha subito, e continua a subire nella realtà odierna, discriminazioni e atti di violenza: proprio per questo, parte del ricavato di Mulaka sarà destinato a una ONG che si occupa della sua tutela.

Il Sole e l’altre stelle

Come detto, l’intero Mulaka si basa sulla mitologia Tarahumara, sia dal punto di vista visivo che nella narrazione: il mondo è in pericolo e l’influenza di Teregori, il Signore del Male, sta avendo la meglio. Solo colui che sarà in grado di far confluire in lui la forza degli esseri celestiali potrà riportare la serenità.
Sebbene questo classico scontro tra bene e male possa risultare una premessa banale, è il modo in cui viene raccontato a fare la differenza. Il team di sviluppo ha studiato a fondo la cultura della tribù, attraverso testi antichi e l’ausilio di antropologi e leader Tarahumara. La mole di informazioni ricavata ha permesso a Lienzo di imbastire una lore prima di tutto, attraverso molti dialoghi di richiamo “zeldiano” e testi atti alla descrizione dei nemici. Ognuno di quest’ultimi infatti è parte integrante della cultura Tarahumara, come per esempio i Seelò, mantidi antropomorfe che un tempo dominarono il mondo, per passare a semi-divinità come Ganoko fino a Teregori, il male assoluto. La loro rappresentazione è ricca di simbolismo e invoglia ad approfondire le basi della mitologia in questione. Alcune cutscene, realizzate in stile acquarello, faranno da trait d’union tra le vicende, con suggestivi dialoghi  con le entità celestiali che ci aiuteranno lungo il viaggio. Le lingue disponibili sono soltanto inglese e spagnolo, ma risultano intendibili e di non complessa fruizione.
La conoscenza di una cultura dimenticata è l’elemento di forza di Mulaka: abbiamo visto svariate opere su mitologie a noi vicine come quella greca, egizia e norrena eppure il mondo è così ricco di storie e spunti che sarebbe un peccato non poterne godere. Il team di Lienzo è stato in grado di portarci in un mondo così diverso dal nostro, eppure animato dalle stesse paure e dalle stesse speranze che hanno accompagnato noi occidentali.

Uno è Tutto e Tutto è Uno

Mulaka si presenta come un action/adventure dai marcati caratteri platform. Durante l’esplorazione delle mini mappe, non interconnesse tra loro, ci muoveremo principalmente a piedi, sfruttando le grandi doti atletiche del Sukurùame e, soprattutto, la sua grande maestria nel combattimento. Armati soltanto di una lancia, si verrà alle mani con decine di nemici diversi, ognuno con punti di forze e debolezza specifici. Lo studio del moveset delle creature sarà fondamentale e cambiare approccio al nostro stile di lotta sarà fondamentale per sopravvivere. Gli attacchi si suddividono in pesanti e leggeri senza possibilità di parare i colpi avversari; al suo posto, una schivata “bloodborniana” diventa fondamentale in certi frangenti, soprattutto quando saremo circondati da tanti nemici diversi. Non si tratta di un titolo particolarmente impegnativo, ma bastano una manciata di distrazioni per finire al Creatore.
Uno degli elementi tratti dallo studio della tribù è l’utilizzo di alcune erbe a uso esclusivo del Sukurùame, l’unico in grado di di trarre beneficio dai vegetali messi a disposizione dalle divinità. Proprio in Mulaka, la raccolta di quattro diversi tipi di piante forniranno altrettanti boost al nostro personaggio: si va dal classico recupero della salute, alla creazione di uno scudo temporaneo, fino all’aumento della potenza d’attacco e alla creazione di piccoli esplosivi. Il loro utilizzo favorisce l’attraversamento delle zone più impervie e contribuisce ad aggiungere interessanti elementi strategici, soprattutto negli scontri contro i boss.
Altro aspetto fondamentale per uno sciamano è il diretto contatto con le entità celestiali che, nel videogioco, si traduce nella possibilità di giovare di brevi ma efficaci trasformazioni: alcune di esse, come la metamorfosi in uccello o giaguaro, saranno fondamentali per alcune sezioni platform mentre altre, oltre a risultare utili in combattimento con un po’ di creatività, daranno accesso a luoghi altrimenti inaccessibili. I dungeon a disposizione sono completamente diversi gli uni dagli altri, sia per contenuto che per conformazione: la loro esplorazione, a volte risolvendo piccoli enigmi, permette di accumulare Kòrima, la moneta di gioco, con la quale è possibile potenziare il personaggio, aumentandone alcune abilità.
Ma il vero fiore all’occhiello del titolo sono le boss fight: dopo aver varcato il classico cancello di fine dungeon, avremo l’opportunità di affrontare i capisaldi della mitologia Tarahumara, in cui sarà fondamentale un buono spirito d’osservazione. Chi ha giocato i Souls sa bene che una buona varietà di nemici è necessaria per poter essere messi costantemente alla prova e Mulaka assolve a questo compito, dando a ogni boss fight caratteristiche unica, in cui non solo bisognerà fare attenzione al moveset del nemico ma anche all’ambiente circostante. Frequenti sono i richiami ad altre opere, come i lavori From Software o, in alcuni frangenti, a Shadow of the Colossus; eppure tutto risulta originale, grazie all’attento studio degli sviluppatori nel citare senza risultare pedissequi. Proprio le boss fight ci invogliano a spingerci avanti solo per il gusto di affrontare il successivo, temibile nemico.

Un quadro poligonale

Il motore Unity è alla base di molti indie, è un engine scalabile, di facile utilizzo e che permette di sostenere tutte le idee degli sviluppatori. Il mondo ricreato da Lienzo si presenta visivamente suggestivo, sfruttando le peculiarità del low-poly, una tecnica poco usuale nei videogiochi moderni. Se di fronte a uno screenshot del titolo non gridereste al miracolo, vederlo in movimento restituisce invece un’ottima esperienza visiva, in grado di riprodurre ambienti idilliaci ispirati alla cultura nord-messicana. Ogni ambiente infatti è frutto di un attento studio, così come la realizzazione dei costumi e di elementi di decoro degli abitanti, e ovviamente dei nemici. Il tutto gira senza intoppi a 1080p e 60fps, salvo qualche rallentamento nei menù di gioco e sporadici bug e glitch, sui quali il team di sviluppo pare essere già al lavoro.
Anche l’accompagnamento sonoro vanta un’attenzione particolare: tutti gli effetti audio sono stati registrati direttamente nella terra dei Tarahumara, dallo scorrere dei fiumi al fruscio del vento. Anche le splendide musiche – poche, a dir la verità – sono state interamente realizzate grazie all’ausilio degli strumenti locali. Il risultato è un’opera totale in grado di restituire a 360 gradi una cultura che quasi certamente i più non avranno mai sentito nominare.

In conclusione

Mulaka è letteralmente una finestra su un mondo inedito, ed è più di un semplice videogioco. Il  team di Lienzo è stato in grado di restituire l’anima di una terra dimenticata con ottime scelte artistiche, contornate da boss fight di buona fattura, capaci di restare impresse nella memoria. Tralasciando qualche piccolo difetto tecnico, Mulaka può diventare ispirazione per altri titoli, unendo il divertimento e la sfida alla ricerca di culture e storie che noi tutti ignoriamo.

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.




The Town of Light

Da LKA, studio tutto italiano, arriva The Town Of Light, walking simulator rilasciato originariamente su PC e recentemente approdato su Playstation 4 e Xbox One. Italiano lo studio,  italiana la storia: Town of Light è infatti ambientato nell’Ospedale Psichiatrico di Volterra, luogo realmente esistito e situato nell’omonimo comune pisano, ed è basato su fatti realmente accaduti al suo interno. Il titolo è stato curato nei minimi dettagli: la struttura (a oggi abbandonata a se stessa) è stata ricreata con cura maniacale e gli oggetti che compongono la scenografia – gli attrezzi medici, le bottiglie di soluzioni mediche, il design delle stanze e dei corridoi, delle porte, delle sedie e dell’architettura generale – possono definirsi storicamente precisissimi. Alcuni medici psichiatrici e lo stesso comune di Volterra hanno contribuito alla creazione del gioco per curarlo in ogni minimo dettaglio, e le lodi da parte di critici e del Comune stesso dopo la sua uscita non sono certamente venute meno; è un titolo che tratta di argomenti molto forti, quali le barbariche cure tipiche dei primi ospedali psichiatrici, il coinvolgimento in tutto questo delle personalità religiose con i loro pesanti giudizi, l’abbandono delle pazienti a loro stesse, la mancanza di personale, o la presenza di personale non adatto in strutture pre-legge Basaglia, il distacco dalla società e la famiglia, l’alienazione da tutto e da tutti. The Town of Light è un titolo per i più curiosi, seppur con una certa sensibilità (e stomaco forte); un’avventura – se così la si può chiamare – che ci ricorderà quanto l’indifferenza sia letale e come la sufficienza nell’identificare certe problematiche, ai tempi, abbia rovinato centinaia e centinaia di vite.

Chi è Renée?

Per apprezzare la storia e il contesto del gioco è opportuno avere una buona infarinatura della storia politica e sociale dell’Italia a cavallo fra gli anni ’30 e gli anni ’40: il regime fascista, la presenza oppressiva della comunità cristiana, la seconda guerra mondiale, la posizione sociale della donna, le continue lotte per le sue opinioni e la sua libertà, il pesante giudizio degli abitanti delle piccole realtà cittadine italiane: The Town of Light profuma come uno stanzino a casa di vostra nonna al cui interno sono presenti fotografie, oggetti e ricordi dell’epoca. Sfortunatamente tutto questo rappresenta solo una corteccia del gioco; il racconto vede al centro la triste storia di una ragazza problematica che, per via di alcuni suoi comportamenti ritenuti troppo “ribelli” per l’epoca, viene strappata a una società nella quale viveva con disagio a causa della sua “luce” per essere riformata nell’ospedale psichiatrico di Volterra. La vita all’interno  del manicomio non è per nulla bella, fra cure sperimentali, gente catatonica e si rivela un vero inferno, e la nostra Renée, dubbiosa per la sua sanità mentale, vive una realtà che non vuole vivere, ma che in fondo pensa di meritare. La nostra storia è ambientata nel 2016, anno in cui la protagonista decide di tornare nella casa di cura, ormai abbandonata, per trovare qualcosa che aveva dimenticato. The Town of Light sembra voler porsi come un walk simulator a tema horror ma in realtà l’elemento orrorifico è trasmesso solo dai toni decadenti e oscuri della location: non è presente alcun effetto jumpscare né alcun “mostro dei ricordi” dal quale fuggire. Non vi è alcun vero elemento ludico, il gameplay non prevede alcun puzzle solving: è più appropriato parlare di The Town of Light come di una vera e propria esperienza che mira a recuperare i momenti all’interno della casa di cura, eventi che risveglieranno ogni volta qualcosa che ci guiderà da un indizio a un altro, fino a tessere l’intera trama. Questa esperienza pone l’accento sulla ricerca dell’identità, perduta una volta strappata dalla società per via di comportamenti inusuali che, in case di cura come questa, venivano facilmente identificati come malattie da curare; si cessava di esistere, e il pensiero “diverso” doveva essere sostituito con quello “giusto” a forza di pratiche terribili e sedativi potentissimi.

Il comparto grafico del gioco è veramente soddisfacente: il motore grafico Unity compie bene il lavoro di restituire texture di qualità, effetti ombra ben definiti e anche le cutscene che ricreano l’ospedale ai tempi dell’attività. La generale tonalità cupa, per quanto attinente con l’atmosfera decadente del titolo, suona a volte scontata e a volte po’ fuori luogo in un titolo del genere: l’intento del gioco è probabilmente quello di far riflettere il giocatore, far provare quel dolore che hanno provato le pazienti, metterlo a disagio, e in questo intento The Town of Light riesce benissimo. Il problema è che il mezzo non sempre risulta appropriato: nei momenti in cui si è più immersi nella memoria del personaggio si fa ricorso a un’effettistica di genere abbastanza telefonata, che farebbe anche pensare a un jumpscare che non arriverà mai (per fortuna); vengono proposte delle illustrazioni bellissime dal tema forte e convincente, ma con un art-style moderno un po’ fuori dal canone grafico 3D del gioco, per non parlare dei disegni presenti nel diario di Renée, per nulla coerenti con la sua calligrafia e la sua personalità, un po’ a riproporre il solito trito assioma “problematico = artista” (insomma, spiegatemi cosa ci fa un oni, proprio della cultura giapponese, in un diario di una ragazza italiana degli anni ’30).

Il titolo, dicevamo, presenta pochi elementi di puro gameplay, limitandosi l’interazione del giocatore a ricreare qualche evento segnante o a rispondere a qualche domanda: ne emerge la natura cinematografica di The Town of Light, e il suo intento di raccontare una storia è chiaro ed efficiente, ma andando avanti non risulta chiaro su cosa ci si stia concentrando: sulla storia di Renée? Sulla storia di qualche altro personaggio del gioco? Sulla documentazione delle pratiche degli ospedali psichiatrici tramite cutscene o illustrazioni? Sulla denuncia alla società e al mondo cristiano che demonizzavano certi comportamenti poco consoni al “vivere civile” dell’epoca? Il connubio fra storytelling e gameplay non è perfetto e a volte questo sembra confondere le idee appositamente, quasi fosse una scelta a effetto. L’aspetto cinematografico prevale su quello videoludico, dicevamo: non che il gioco in sé non sia valido, è comunque stimolante andare personalmente alla scoperta degli indizi della memoria di Renée e, se si fosse optato per un film, la meticolosità con la quale l’ospedale psichiatrico è stato ricostruito sarebbe venuta a mancare, ma The Town of Light è un titolo intento a raccontare più che a divertire, a lasciare qualcosa nell’utente anziché risultare una semplice esperienza passeggera.

La colonna sonora comprende principalmente pezzi composti con un bel pianoforte calmo ma anche malinconico, e altri pezzi più ambient, con comparto effettistico degno di Aphex Twin, e che ricordano in un certo senso Limbo. In un gioco del genere una colonna sonora di questo tipo, ben composta e ben temperata per gli ambienti che man mano andremo a visitare, è la benvenuta ma sfortunatamente qui i difetti sopracitati smorzano l’efficacia della soundtrack, ed è un vero peccato. C’è da aggiungere, infine, che il doppiaggio del personaggio principale risulta un po’ sforzato, quasi finto, aggiungendo un altro elemento fuori posto del gioco. La storia in sé dura poco, è possibile finire il gioco in poche ore; tuttavia il sistema di domande che manda avanti certe parti nel gioco può sbloccare dei capitoli alternativi, la trama varierà anche se di poco ma sfortunatamente The Town of Light è un titolo abbastanza angosciante e sbloccare ciò che resta nel gioco dopo una prima sessione, anche riprendendo da un determinato capitolo selezionabile, può risultare pesante e tedioso, poiché il gioco necessita lentezza per fruire al meglio della splendida trama. In pratica la longevità, e dunque rigiocare il gioco o sbloccare i capitoli e gli achievement mancanti, può variare in relazione allo stomaco del giocatore. Il gioco non necessita di grandi requisiti minimi sul piano tecnico, anche se tuttavia computer con minora capacità di calcolo dovranno godere di un’esperienza di gioco un po’ mozzata anche alla qualità più bassa, e dunque incontreranno texture di qualità inferiore e framerate sempre basso e che non arriverà mai ai 60 FPS di cui il gioco è capace.

Che cosa ci resta?

The Town of Light è un titolo forse uscito al momento sbagliato, troppo presto oppure troppo tardi, un titolo che forse sarebbe dovuto rimanere in sviluppo per qualche tempo in più per consegnare ai giocatori un’esperienza un po’ più completa e decisa. Non fraintendeteci:The Town of Light è un titolo che si pone in maniera diversa dagli altri, il cui intento – quello di far riflettere e mettere insieme i pezzi di una storia – è ben presente e funziona, ma rimane sempre qualcosa fuori posto: un gameplay scarno misto a uno storytelling bello ma spesso pretenzioso fanno di questo titolo un’esperienza per pochi, il che non è un bene perché The Town of Light è un gioco che ha molto da dire e renderlo un walking simulator come molti è un danno per la sua godibilità. È sicuramente difficile creare un gioco nel vero senso della parola con gli elementi di trama presi in considerazione dallo studio fiorentino, anche perché tocca temi sensibili di storie realmente accadute, però una componente di puzzle solving più marcata sarebbe stata ben gradita e forse una prospettiva diversa e più chiara della storia forse sarebbe stata più affascinante; il carattere introspettivo di The Town of Light è interessante ma confusionario e la minima distrazione vi farà perdere il filo del discorso.
The Town of Light è, come già ribadito, uno di quei titoli che è più un’esperienza che un gioco e questo è sicuramente il suo punto forte: l’immersione nel personaggio e nell’Ospedale Psichiatrico di Volterra è certamente ciò che distingue questo titolo e le sue tematiche particolari lo connotano in uno scenario ormai saturo. Nonostante qualche imperfezione, se siete dei giocatori dallo stomaco forte, questo è un titolo che merita attenzione e che va goduto così com’è. The Town of Light sorprenderà certamente i giocatori più curiosi, lo studio LKA ha consegnato un buon prodotto, valido e con tanto potenziale tematico ma per il prossimo si spera possa puntare maggiormente sulla creatività del gameplay, dare al tutto un aspetto più convincente e che si fonda bene con lo storytelling.




Assassin’s Creed Origins verrà annunciato all’E3?

Dopo l’assenza dagli scaffali lo scorso anno, il nuovo Assassin’s Creed, come accennavamo in quest’articolo, potrebbe essere presentato quest’anno all’E3.
Sembra confermata la nuova ambientazione egizia e la riconferma del doppio protagonista, strada intrapresa con Syndicate.
Saranno, quindi, di nuovo un uomo e una donna a immergersi nelle nuove ambientazioni che, sempre secondo i rumor, saranno le più grandi mai create e che toccheranno diversi territori, come Grecia e zone dell’Asia non meglio specificate; questo anche grazie al ritorno della navigazione bellica, oltre che esplorativa.
Un’ulteriore notizia riguarda anche lo sviluppo dei personaggi, aspetto che, a quanto pare, riserverà moltissime novità, con una struttura molto simile a quella di The Elder Scroll V: Skyrim.
Per scoprire se tutto ciò sarà confermato dobbiamo solo attendere l’inizio dell’E3 fra circa un mese.