Transport Fever

Nel 2013 viene fondata Urban Games, giovane software house svizzera dedita ai tycoon games, sottogenere dei gestionali molto apprezzato grazie a titoli come Rollercoaster Tycoon di Microprose (brand recentemente passato sotto Atari) oppure Railroad Tycoon 2 di PopTop. L’anno successivo arriva il primo gioco, Train Fever, che riscuote un discreto successo. Il 2016 è l’anno del seguito diretto, Transport Fever, che amplia la base del precedente. Come sarà andata? Scopriamolo!

Crazy Train

«Crazy, but that’s how it goes» cantava Ozzy Osbourne in uno dei suoi singoli di maggior successo. Frase applicabile pure al titolo di Urban Games, visto che già dai tutorial ci troviamo di fronte a qualcosa di raffazzonato e poco intuitivo. L’interfaccia, già scalata in automatico, risulta poco leggibile in alcune risoluzioni schermo, con caratteri minuscoli. Per fortuna basta spuntare l’opzione per avere finestre più leggibili. Peccato che, così facendo, ci troveremo a spostare migliaia di finestre e pop-up in giro per lo schermo. Non partiamo bene. Se poi aggiungiamo anche che gli edifici fondamentali per il prosieguo delle missioni sono evidenziati da cerchi rossi e verdi che si confondono con i colori del terreno di gioco e che risultano letteralmente invisibili a un’altezza “normale”, oltre a una intuitività praticamente nulla, soprattutto nella costruzione delle rotaie (problema che tornerà in futuro), abbiamo ottenuto quelli che, con molta probabilità, sono i tutorial più frustranti a memoria d’uomo.
Non un’ottima partenza, dicevamo; abbiamo però le due modalità principali che possono redimere il gioco: campagna e partita libera. Se la seconda è poco più di un divertissement atto anche a insegnare le fondamenta del gioco, anche meglio rispetto agli insufficienti tutorial, il fulcro di Transport Fever si trova tutto nella campagna. Questa è divisa in due parti, una ambientata in America e l’altra in Europa, con scenari che si basano su certi eventi storici come, per esempio, il traforo della galleria del San Gottardo in Svizzera, nel caso scegliessimo di giocare lo scenario europeo. Il titolo si presenta anche con una buona grafica e un buon design, con terreni e città ben ricreati… peccato che venga supportato da scelte che c’entrano poco con il genere e da un game design pigro e francamente antiquato e illogico. Mi viene da citare l’insopportabile gestione dei tratti ferroviari: prendo come esempio Railroad Tycoon 2, anno domini 1998. Nel titolo PopTop se si voleva costruire un tratto ferroviario o una stazione dotate di binario doppio bastava semplicemente selezionarlo durante la costruzione della tratta. Semplice, no? In Transport Fever dimenticatevi tutto questo, perché se vorrete costruire una ferrovia dotata di doppio binario dovrete letteralmente ripassare tutta la sua lunghezza costruendo un binario accanto, non dimenticandovi di dotare le stazioni di due o più binari! Un sistema assurdo per un gioco uscito nel 2016, che costa solamente tempo e denaro.

Ah sì, il tempo e il denaro. La gestione temporale è una delle più mal concepite fra quelle che ho visto nei giochi del genere: non è concepibile veder trascorrere un giorno di gioco dopo un metro percorso da una carrozza a cavallo, così come non è accettabile vedere un treno partire da una stazione e arrivare in un’altra distante pochi chilometri impiegando un mese di viaggio! Passando ai soldi, il punto di un buon gestionale è sempre uno: riuscire a far quadrare i conti di un’azienda e puntare a guadagnare mese dopo mese. Peccato che in Transport Fever sia letteralmente impossibile fare ciò: seguire le missioni passo dopo passo, anche dopo il completamento, non vi darà nessuna ricompensa. Anche avendo treni e carrozze che fanno il loro compito, il risultato sarà sempre uno: la perdita migliaia di dollari mese dopo mese. Un game design imbarazzante, soprattutto se confrontato con un titolo come Railroad Tycoon 2, capostipite del genere ma uscito ben diciotto anni fa!
Non sarebbe male l’idea delle missioni in stile MMORPG, con quest del genere “collega fabbrica A a trasporto B per proseguire il traforo del monte”, così come non sono una brutta idea le missioni secondarie che ci vedono trattare con i nativi americani oppure cercare la Montagna di Cristallo, leggenda delle Alpi Svizzere. Peccato che, prendendo come esempio proprio la sub-quest elvetica, si dovrebbe scavare a casaccio tra le montagne con l’apposito tool, con costi che gravano sul nostro bilancio annuale. E non si può nemmeno tornare indietro, perché, incredibile ma vero, il gioco non ha un tasto undo! Quindi se si commette un errore, bisognerà demolirlo e rimediare. Il tutto sempre a un costo! Trovo assurda questa mancanza in un titolo del 2016.

Concludendo, questo Transport Fever sarà anche il secondo gioco dei developer svizzeri, ma è un disastro sotto quasi tutti i punti di vista: se un titolo recente è inferiore in tutti gli aspetti, grafica a parte, rispetto a uno uscito nel 1998, c’è un problema enorme. Se volete giocare un gestionale del genere, puntate i vostri soldi su Railroad Tycoon 2: ne guadagnerete in esperienza e soprattutto non spenderete così tanto, visto il costo, francamente incongruo, del titolo di Urban Games, 32€ contro i 5€ del titolo PopTop. Un confronto impari sotto ogni punto di vista.




Terroir

«Camminare con quel contadino che forse fa la stessa mia strada, parlare dell’uva, parlare del vino che ancora è un lusso per lui che lo fa» diceva Rino Gaetano in Ad esempio a me piace il sud. E “lusso” è la parola giusta per descrivere la bevanda amata dal Dio Bacco, e in parte anche Terroir, prima fatica per lo studio di sviluppo General Interactive Co., autori di un Tycoon Game basato sulla gestione di una compagnia vinicola.

Appena avviato il gioco, ci si trova di fronte a una schermata principale realizzata in una grafica low polygon 3D che ben si sposa con il tono minimale dell’opera. Vi è anche una schermata di tutorial dove vengono spiegate la gestione dell’azienda e soprattutto le quattro fasi usate per preparare il vino, ovvero, vendemmia, fermentazione, pressatura e invecchiatura. Tali schede ci vengono in aiuto durante la partita e possono essere richiamate in ogni momento. Il gioco ci offre tre diverse difficoltà: facile, con più soldi e meno imprevisti, standard, con una disponibilità monetaria nella media, e difficile, con un budget esiguo e più difficoltà dovute all’infestazione di insetti, piante malate e molto altro.

Avviando la partita, ci troviamo catapultati in una serie di tile esagonali che ricordano quelli di giochi più celebri come Sid Meier’s Civilization: abbiamo la nostra tenuta e delle caselle di terreno variabile (terra, sabbia e argilla) dove possiamo far crescere diverse tipologie di uva da cui trarre molteplici varietà di vino: dal Cabernet-Sauvignon passando per il Syrah, il Merlot e lo Chardonnay.

Bisogna stare attenti a far crescere bene l’uva, tenendo d’occhio lo stato delle viti e, soprattutto, il metro di maturità sulla destra, dove un valore troppo basso o troppo alto potrebbe rovinare la qualità del nostro prodotto finale. Con la fase di vendemmia, il gioco comincia a farsi più strategico: dovremo compiere diverse scelte atte a migliorare le quattro caratteristiche della bevanda (acidità, dolcezza, colore e corporatura) , come il metodo di spremitura dell’uva, o delle botti dove effettuare l’invecchiamento del vino. Il tutto viene illustrato da immagini in xilografia che si sposano perfettamente con la vena artistica del gioco. Dopo aver imbottigliato la nostra bevanda, verrà il momento di un assaggio da parte dei sommelier (divisi per bravura, da 1 a 5 stelle) che daranno un voto al nostro vino, così da stabilire un prezzo di vendita per poi esser distribuito nelle botteghe specializzate o, a un prezzo molto più basso, nei supermercati.

Il gioco presenta anche un sistema di meteo dinamico, semplice ma ben fatto, oltre a un sistema di imprevisti e di probabilità, attivabile a richiesta solamente dopo aver realizzato il primo vino col voto massimo. Queste variabili aggiungono un po’ più di pepe alla partita, soprattutto usando le probabilità, vere e proprie quest completabili entro un determinato arco temporale che potranno determinare la nostra fortuna o sfortuna. Una partita può durare fino a un massimo di 60 anni, anche se potremo continuare la nostra carriera di viticoltori oltre il tempo limite del gioco, a patto di non aumentare il punteggio massimo, e sempre se riusciremo a non andare in bancarotta!
Da segnalare anche la buona colonna sonora realizzata dal CLARQinet Ensemble di Singapore, che accompagnerà le nostre sessioni con delle composizioni Soft Jazz orecchiabili che tendono a non stancare.

Terroir è una buona prima opera, che gode di scelte ben pensate e ben realizzate e altre migliorabili, come alcuni aspetti inerenti la gestione economica, che ho trovato un po’ raffazzonata (non c’è una schermata dove controllare il nostro bilancio, le perdite e guadagni mensili, e questo lede non poco in termini di pianificazione e visione d’insieme), ma tutto sommato il titolo gode di una buona longevità, a patto di entrare nell’ottica della filosofia “losing is fun” tanto cara a un pilastro del gestionale come Dwarf Fortress, visto che il gioco è parecchio spietato nei nostri confronti già a difficoltà standard, e tenderà a farci pagare cara una cattiva gestione vinicola o monetaria. D’altronde, dovrete mettervi alla prova per scoprire quanto siete bravi: e, come dicevano i latini, «in vino veritas!»