Darksiders III – Chi Dice Donna Dice Ahi!

Una frase che sta bene su tutto come «sembrava impossibile, ma ce l’abbiamo fatta», è adatta anche a un franchise dalle grandi potenzialità e ben visto dalla critica come Darksiders, che sembrava destinato ai più bassi gironi dell’Inferno. Dopo la fine di Vigil Games le speranze di vedere un nuovo capitolo dedicato a uno dei quattro Cavalieri dell’Apocalisse sembrava impossibile sino a quando, una flebile luce apparve all’orizzonte; non una luce divina, ma quella targata Nordic Games, che acquisì tutti gli asset a disposizione, mettendosi al lavoro sul nuovo capitolo. Sono passati anni da allora ma finalmente il progetto Darksiders III è arrivato tra noi, sotto tutela di Gunfire Games, che a suo tempo si occupò della remastered di Darksiders II, denominata Deathinitive Edition. Come da tradizione i cambiamenti sono molteplici e la nuova protagonista, Furia, riserva alcune sorprese.

Un’anima in tempesta

Dopo aver raccontato le vicende di Guerra e delle macchinazioni di Inferno e Paradiso, dopo aver raccontato di Morte e di quanto sia disposto a fare per il fratello in catene, ora tocca all’unica donna del quartetto di Nephilim a portare avanti le vicende di Darksiders: Furia. Come accaduto per il secondo capitolo (e come accadrà per l’eventuale sequel) la storia si svolge nel periodo tra l’arrivo dell’Apocalisse e l’entrata in scena di Guerra sul campo di battaglia, mentre quest’ultimo si trova in catene accusato di aver dato inizio al Giudizio Finale prima del tempo stabilito. Al contrario dell'”affettuoso” Morte, Furia è un personaggio Tsundere, che nella cultura giapponese indica un carattere arrogante e presuntuoso ma che nasconde il suo esser affettuoso e generoso. In Darksiders III, molto più dei precedenti capitoli, lo sviluppo caratteriale di Furia segue sì dei classici stilemi narrativi ma del tutto efficaci, mostrando una naturale evoluzione di un personaggio discretamente complesso e con la giusta dose di sfaccettature adatte al contesto. La caccia ai Sette Vizi Capitali dunque, non è solo la risoluzione di un problema dell’Arso Consiglio ma un pretesto, un viaggio nella psicologia del Cavaliere in grado di mostrare tutte le sue fragilità.
Questo percorso sarà facilitato grazie all’incontro di vecchie conoscenze come Vulgrim, l’avido demone mercante e Ulthane, un Creatore che sarà ben di più di un semplice fabbro, ma sarà anche ostacolato dai “sette”, più o meno riusciti per caratterizzazione estetica e non: personaggi come Avidità, Lussuria e Superbia spiccano sugli altri, vantando non solo un design forse più ricercato, ma anche le loro attitudini e capacità. Tutti gli altri purtroppo, non riescono a bucare lo schermo come dovrebbero, presentandosi come generici boss e nulla più, come se si fosse svolto un semplice compitino. Questo può essere spiegato con un budget a disposizione piuttosto basso rispetto a quelli disponibili per i capitoli precedenti e soprattutto la mancanza di Joe Madureira, fumettista che ha dato vita al design dell’originale e del suo sequel. Se, fortunatamente, il design dei Quattro Cavalieri dell’Apocalisse era già stato deciso (dunque Furia e Conflitto sono assolutamente frutto del suo lavoro), non lo è stato per un terzo capitolo che non era più previsto nei piani di “Joe Mad!” e questo, lo si nota anche negli ambienti di gioco che mancano in qualche modo di quella “magia” post-apocalittica alla quale eravamo abituati.
Nel complesso dunque, narrativamente, Darksiders III funziona, approfondendo i sotterfugi e i motivi dietro la fine dell’umanità, presentando una Furia più complessa rispetto ai suoi fratelli.

Ora ti percuoto!

I vari Darksiders si presentano con caratteristiche proprie, cercando di sfruttare le peculiarità di ogni Cavaliere. Se il primo era un hack’n’slash puro e il secondo vantava una forte componente RPG, Darksiders III verte verso un indirizzo più souls like ma con le uniche caratteristiche permanenti del franchise che permangono: l’essere un metroidvania con caratteristiche che ha reso grande la saga di The Legend of Zelda.
In questo capitolo dunque l’approccio appare diverso, a cominciare dall’inquadratura del personaggio molto più ravvicinata (quasi da action/adventure) e un combat system meno frenetico e per certi versi più complesso, anche se alcune scelte di design risultano un po’ discutibili, quasi a segnalare il travagliato sviluppo del titolo. Una delle caratteristiche principali di Furia è il poter sfruttare quattro differenti poteri (Hollow), ognuno dei quali accompagnato da una specifica arma. Tutto questo si presenta in maniera del tutto simile a God of War III dove, questa apparente semplificazione, si trasformò in uno dei punti di forza del capitolo finale dedicato a Kratos, con la possibilità di cambiare armi e poteri senza soluzione di continuità durante ogni combattimento. In questo caso purtroppo, questo risulta difficile: il passaggio da un potere all’altro manca di quella fluidità necessaria per permettere diversi approcci non solo al combattimento, ma anche all’esplorazione; ad esempio il potere delle Fiamme permette di compiere salti più ampi mentre quello Elettrico di planare; qualora volessimo raggiungere un appiglio distante, concatenare le due caratteristiche risulta impossibile, visto che ogni passaggio di potere e compimento dell’azione voluta avviene con fin troppa meccanicità, con un azione che in poche parole interrompe l’altra. Inoltre, potrebbe apparire lapalissiano che l’utilizzo dei vari poteri comporti anche danni elementali diversi, anche in corrispondenza di ambienti e nemici specifici: prendendo di nuovo come esempio la nostra Elettricità, ogni colpo inferto contro nemici acquatici o comunque in ambienti umidi non comporta assolutamente alcun boost di potere, enfatizzato tra l’altro dall’assenza di qualsivoglia debolezza elementale da parte dei nemici. La quantità di danno inferto dunque dipende solamente dal tipo di colpo e dalla potenza dell’arma, potenziabile attraverso l’uso di Adamantiti, alla stregua delle Titaniti di Dark Souls.

Nonostante queste mancanze però, Darksiders III è in tutto e per tutto un Darksiders, in grado di sorprendere e divertire come ogni capitolo del franchise. Al contrario di Guerra e della sua Divoracaos (uno spadone) e di Morte e delle sue ovvie Falci, Furia utilizza una Frusta, che si dimostra incredibilmente utile sia negli sconti a media distanza che a distanza ravvicinata: il suo moveset (così come quello delle altri armi a disposizione) non è estremamente complesso ma comunque efficace, mostrando una buona varietà. Come precedentemente detto, andare alla carica contro decine di nemici non è più consigliato, anche perché, ogni nemico sin da quello base, può fare molto male. La natura souls like entra in scena in questi frangenti, quando lo scontro con i nemici deve esser portato avanti con attenzione, cercando di schivare nel miglior modo possibile i colpi avversari; come Morte infatti, anche Furia non dispone di parata per cui, schivare col giusto tempismo è la chiave per uscire vittorioso da ogni combattimento. Oltre ai colpi fisici, Furia dispone anche di magie, ognuna corrispondente ai quattro poteri a disposizione, consumando l’apposita barra. Anche qui purtroppo, non è possibile concatenare i vari colpi magici, visto che il potere non potrà essere cambiato sino al consumo totale della barra della Collera. I vari poteri a disposizione, trasformano Furia nella “maga” del gruppo, permettendole un approccio più vario agli scontri e la possibilità di esplorare e raggiungere zone inaccessibili per ognuno dei suoi fratelli. Questo perché Darksiders III vanta uno dei migliori level design degli ultimi anni, presentando una mappa vasta suddivisa in dungeon collegati tra loro in maniera praticamente perfetta. L’esplorazione diventa dunque fondamentale, non solo per scovare oggetti rari ma anche per raggiungere boss fight segrete in grado di rilasciare ottime ricompense, anche se qui, si denota una certa “legnosità” dei movimenti di Furia, fin troppo “vecchia scuola”.
Tutta l’esperienza accumulata e l’avanzamento di livello è suddivisa in due tronconi principali: attraverso le anime donate a Vulgrim, che ci permetteranno di aggiungere un grado e una percentuale a Salute, Danni e Danni Arcani, oppure attraverso dei manufatti potenziabili e associabili a scelta a ogni arma disponibile, valorizzando diverse caratteristiche di Furia.
Ovviamente torna anche la Forma Caotica, ovvero la vera sembianza di un Cavaliere dell’Apocalisse, potentissima e attivabile non appena l’apposito contatore raggiunge il livello massimo. A differenza delle precedenti però, questa forma è influenzata dalla forza elementale di Furia per cui, se non potenziata a sufficienza, potrebbe causare meno danni rispetto alla nostra frusta. Ma tutto questo non importa, attivarla è sempre un piacere immenso.

Nel segno della continuità

Come detto, l’assenza di Joe Madureira si sente, ma nonostante ciò, il feeling visivo resta immutato, sfruttando le basi dei precedenti capitoli. Il mondo, letteralmente post-apocalittico, si presenta nella maniera consona a un Darksiders, in grado di mischiare sapientemente strutture reali a elementi fantasy tanto cari al franchise. Anche i personaggi secondari e i vari nemici non sono da meno nonostante evidenti alti e bassi, soprattutto per quanto concerne i Sette Vizi Capitali,  i boss principali del titolo; solo pochi di loro però vantano un design quantomeno “memorabile”, lasciando nel dimenticatoio tutti gli altri. Tutto questo si svolge in un contesto tecnico che non fa gridare al miracolo, traducendosi in un’opera funzionale e ben ottimizzata, anche per PC meno performanti.
Come di consueto (anche se per questo capitolo non era poi così scontato), Darksiders III vanta un’ottima localizzazione in italiano, con Stefania Patruno in grado di restituire tutte le sfaccettature di Furia. Anche il resto del cast fa un buon lavoro nonostante effetti sonori e soprattutto l’accompagnamento musicale, non sono all’altezza della produzione.

In conclusione

Darksiders III rappresenta quasi un miracolo: nonostante tutti i problemi di sviluppo e un basso budget a disposizione, riesce a restituire il feeling di una delle saghe migliori degli ultimi anni, con una Furia più complessa di quanto ci si aspetti. Purtroppo, alcune scelte artistiche e di game design – a uno sguardo più attento – si fanno sentire, ma comunque nulla in grado di compromettere l’esperienza.
L’arrivo del prossimo capitolo però, con protagonista Conflitto, non è così scontato. Si spera dunque che questo terzo episodio raggiunga un buon successo, grazie anche al ricco supporto post-lancio promesso.

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.




Il mercato delle licenze nei videogame

C’era un periodo, tra gli anni ’80 e i primi 2000, in cui il videogioco rientrava ancora tra quegli hobby di nicchia e veniva poco considerato o addirittura schernito dai media. Non che oggi non si trovino articoli o notizie al telegiornale che tendono a mettere i videogiochi in cattiva luce ma, se un tempo c’era solo poca consapevolezza, ora è l’ignoranza a guidare la mano di certi giornalisti che poco informati.
Piccoli sfoghi a parte, in quegli anni c’era anche chi aveva visto del potenziale in quegli ammassi di pixel, specie se abbinati a prodotti più di successo come i film. Fu Atari Games ad avere l’idea per prima, e sfruttando il successo di Indiana Jones ottenendone la licenza, pubblicò nel 1982 Raiders of the Lost Ark per Atari 2600, un anno dopo l’uscita dell’omonima pellicola di Spielberg. Il gioco ricevette un buon feedback da pubblico e critica ed è considerato uno dei migliori per la console. A partire da lì altre aziende seguirono l’esempio del colosso arcade, che continuò la pubblicazione di titoli su licenza tra cui rientra – ahimè – E.T. the Extra-Terrestrial, considerato da molti come il più grande fallimento videoludico di tutti i tempi.
Qualche anno più tardi, molti produttori si dedicarono invece sui film d’animazione Disney creando giochi degni di menzione, come Disney’s Aladdin e Disney’s Tarzan, rispettivamente prodotti da Capcom ed Eurocom, The Jungle Book The Lion King di Virgin Interactive, THQ si occupò invece del lato Pixar con Finding Nemo, Cars e Ratatouille.


Screenshot preso da Disney’s Tarzan per PlayStation, uscito nel 1999.

Anche Electronic Arts approfittò delle pellicole più famose uscite in quegli anni, portando su console e PC l’intera saga di Harry Potter. E non scordiamoci della trilogia di Spider Man, trasformata in videogioco grazie ai molteplici titoli di Activision.
Di giochi su licenza insomma ce ne sono a bizzeffe, alcuni degni del confronto con l’opera da cui sono tratti, altri dei flop totali. Ancora oggi continuano a uscirne ma a differenza delle generazioni precedenti, questi sembrano rappresentare un successo quasi assicurato, come i Batman: Arkham, Star Wars: Battlefront, La terra di mezzo, South Park; perché i developer di sobbarcano il rischio dei costi ingenti per l’acquisto di una licenza?
A rispondere a questa particolare domanda è Mark Caplan, presidente di BDLabs, un’azienda specializzata nel fare da tramite o mettere in contatto i possessori intellettuali di una determinata opera con chi voglia acquistarne la licenza: interpellato da GamesIndustry, Caplan ha spiegato che, grazie alla diffusione di molteplici piattaforme di gioco, oggi ci sono molte più opportunità per chi voglia entrare nell’industry e creare qualcosa di nuovo, e se questa rappresenta da un lato anche un’ottima occasione per i publisher di investire sulle loro IP, dall’altro molte case produttrici sentono il bisogno di acquistare delle licenze per espandere il proprio business. E questo vale da entrambi i fronti: se un tempo erano solo gli operatori dell’industry videoludica a comprare le licenze da altri settori, adesso cinema ed editoria acquistano diritti per trasporre opere videoludiche.
Per quanto possa sembrare rischioso comprare i diritti di un’opera senza sapere se questa sarà un “acquisto azzeccato”, vale la pena tentare il tutto e per tutto;: pensiamo all’attualissimo Spider-Man di Insomniac Games. Davvero niente male come inizio per essere il loro primo gioco su licenza, no?