La lore di Super Smash Bros. continua: i risvolti di Ultimate

Come abbiamo trattato in un nostro precedente articolo, la saga di Super Smash Bros. non è solo un semplice gioco crossover in cui tutte le IP principali Nintendo si riuniscono per darsele di santa ragione, ma una celata autobiografia, pagine in cui si narra della vita, delle soddisfazioni, dell’orgoglio, ma anche della frustrazione, del senso di stanchezza e della voglia di abbandonare tutto da parte del suo creatore, il geniale Masahiro Sakurai. Come ha già espresso in passato il leggendario game designer, la creazione dei sequel non è un processo naturale che avviene tranquillamente dopo il rilascio di un gioco: è invece un nuovo investimento di risorse, energia psichica e fatica che porta molti, ma soprattutto lui, sull’orlo della frustrazione. Fu l’eccessiva richiesta dei sequel di Kirby, nonché la quasi certa necessità di riconcentrarsi presto su un nuovo capitolo di Super Smash Bros. (che aveva intenzione di terminare già dopo Melee), che lo portò a lasciare Hal Laboratory nel 2003 e fondare la nuova compagnia Sora LTD. Nonostante sembrava avesse definitivamente voltato pagina, Satoru Iwata annunciò all’E3 dell 2005 che un nuovo Super Smash Bros. per Wii sarebbe presto entrato in sviluppo, senza che Masahiro Sakurai ne fosse al corrente; chiariti i malintesi, il creatore non ebbe altra scelta che rimettersi a bordo del progetto che pensava di aver abbandonato e ancora una volta e tornò alla guida di un un gioco che amava ma odiava allo stesso tempo. La saga era già un qualcosa di titanico, qualcosa al di fuori della sua portata, e pertanto non ebbe altra scelta se non quella di tornare per i successivi Super Smash Bros. Brawl e For Wii U & 3DS, logorato dalla frustrazione pur mantenendo una certa nota di orgoglio e coerenza, conscio del fatto che solo lui poteva (e può tuttora) mandare avanti questa saga.

Super Smash Bros. Ultimate ha promesso (o meglio, ha mantenuto la promessa) di essere il più grande titolo della saga includendo il miglior gameplay mai visto nella sua storia, i migliori stage e soprattutto tutti i combattenti apparsi in questo magnifico crossover. Nella nuova modalità avventura, soprattutto nei filmati collegati a essa, possiamo trovare tutti quei elementi della lore tipici di ogni capitolo della saga che come al solito ci svelano, o per lo meno ci indicano, un qualcosa relativo alla vita di Masahiro Sakurai; il nostro è un tentativo di rispondere alle domande che ci siamo posti giocando a Super Smash Bros. Ultimate, perciò siete liberi di confermare o mettere in discussione le nostre teorie, sempre coi giusti toni. Prima di leggere questo articolo vi consigliamo, come al solito, di completare la modalità avventura, splendida per altro, di Super Smash Bros. Ultimate, nonché leggere la prima parte della lore di questa saga di crossover.

Nelle puntate precedenti

Riassumeremo comunque, brevemente, le “trame” dei precedenti giochi. Tutto comincia in Super Smash Bros. per Nintendo 64, in cui Master Hand (che noi abbiamo identificato con Masahiro Sakurai) è un bambino fra i 12 e 14 anni che semplicemente gioca con i suoi pelouche all’interno della sua stanza che “si trasforma” grazie alla fervida immaginazione intrinseca nei bambini; lui è la mente creativa che fa lottare i personaggi e genera i fantasiosi scenari con i normalissimi oggetti della sua cameretta. In Super Smash Bros. Melee, grazie all’opzione stanza dei trofei (ma anche dall’introduzione stessa), possiamo notare che il bambino non è più tale: è un ragazzo fra i 18 e i 20 anni, ha sostituito i peluche con dei trofei da collezione “da grandi”, giusto per evidenziare come questi siano ancora parte di lui. Insieme a Master Hand, che è l’elegante spirito creatore, stavolta troviamo anche Crazy Hand, un essere simile ma disordinato, imprevedibile e, in un certo senso, frustrato: egli è proprio quel senso di frustrazione che ci porta a fare i conti con noi stessi, quella libido che siamo costretti a reprimere perché non siamo più dei ragazzini e che proprio quando si assumono delle responsabilità ci vuol portare a distruggere tutto e voltare le spalle al futuro. Nell’Emissario del Subspazio, la modalità avventura di Super Smash Bros. Brawl, troviamo un Master Hand intento a sbarazzarsi di tutti quei personaggi che tanto ha amato e che hanno caratterizzato la sua vita; scopriremo in seguito che non è in lui ed è controllato da un entità di nome Tabuu, un essere che rappresenta la società che detta i costumi sociali, gli usi e le consuetudini e che dunque, specialmente in una società rigida come il Giappone, circoscrive il giocare coi giocattoli ai soli bambini. Il suo messaggio allora ci risulta chiaro: ai bambini è concesso giocare con i giocattoli, per gli adulti è un tabù. La lotta contro di lui, combattuta dai personaggi della sua infanzia, e il finale ci dimostrano che quello spirito ludico che trasformava la sua stanzetta in un campo di battaglia sarà sempre parte di lui e una persona come Masahiro Sakurai, un adulto che per vivere crea “giocattoli”, non dovrà mai vergognarsene. In Super Smash Bros for Wii U & 3DS la trama prende una piega molto oscura. Alla fine della modalità classica si affronta Master Core, l’essere che vive dentro Master Hand: è un essere selvaggio, caotico e inarrestabile. Il vero spirito creativo di Masahiro Sakurai, che negli anni ha prodotto tutti i sequel di Super Smash Bros., è allo stremo delle forze, frustrato dall’obbligo volontario/involontario di curare ogni sequel della sua creatura, vuole distruggere tutto ma allo stesso tempo vuole proteggere la sua stessa saga che nel tempo è diventata più grande di lui, basti solo pensare a tutti quei combattenti non-Nintendo che col tempo si sono aggiunti al mix; alla fine della violentissima battaglia Master Core mostra la sua vera forma e attende passivo al centro dello stage che il giocatore, il fan, faccia di lui quello che vuole, tristemente concessivo del fatto che alla fine è lui che in realtà ha le redini della serie e il creatore non può fare altro che essere al suo servizio.

La macchina

In questo nuovo Super Smash Bros. Ultimate, la lore viene di nuovo raccontata tramite la modalità avventura e noi, ancora una volta, vi vogliamo invitare a giocarla prima di leggere questo articolo; per quanto gli elementi, come al solito, siano abbastanza celati in simbolismi più o meno complessi è necessario vedere lo svolgere del gioco e non tanto vedere solo i filmati. E poi, la modalità avventura di questo nuovo titolo è veramente divertente! L’avventura si apre con il filmato che abbiamo visto nell’ultimo Direct prima del lancio: tutti i personaggi giocabili sono su una rupe, apparentemente la stessa che si vede in Super Smash Bros. Brawl nel filmato di presentazione, e in lontananza vediamo un essere sconosciuto, quasi una creatura celestiale, al comando di un esercito di Master Hand. Vediamo che i Master Hand si sgretolano e al loro interno c’è una storta di luce azzurra che li comanda (e non Master Core come abbiamo visto in Super Smash Bros for Wii U & 3DS), ovviamente un chiaro segno che è la creatura celeste di nome Kiaran (o Galeem nel resto del mondo) alle loro spalle ad averne il controllo, e una volta mostrata la loro vera forma si stringono intorno a questo essere celeste; improvvisamente il tutto viene risucchiato da un buco nero e da questo escono dei raggi luminosi che catturano tutti i personaggi, anche altri personaggi non giocabili (che ritroveremo nella sezione collezione degli spiriti), ad eccezione di Kirby. Dopo che la palletta rosa sfuggirà definitivamente a Kiaran e sarà pronto ad accettare il proprio destino, l’attenzione si sposta in una sorta di “laboratorio” in cui vediamo un Mario catturato e legato con una sorta di laccio luminoso; mentre l’iconico eroe Nintendo è completamente immobilizzato, comincia a colare del liquido luminoso dall’alto, simile a oro colato, che lo ricopre producendone di conseguenza una copia oscura, un “Dark Mario”. Ovviamente tutte le copie prodotte sono quelle associate agli spiriti combattenti che troveremo per la mappa della modalità avventura, tanto è vero che quando affronteremo una lotta per liberare un personaggio, e dunque aggiungerlo al nostro roster della modalità avventura, troveremo sulla mappa una sorta di modellino avvolto da un nastro luminoso (esattamente come Mario nel filmato).

Ma cosa significa tutto questo? Beh, e se vi dicessimo che Kiaran non sarebbe altro che una rappresentazione di Nintendo stessa? Pensateci: è un “entità brillante”, composta da tante persone che lavorano tutti giorni sul fronte del gaming, delle vere e proprie Master Hand la cui creatività è letteralmente il mezzo per creare scenari come quelli in Super Smash Bros. Ultimate. Tuttavia, il punto della lore si concentra su un altro punto più oscuro, una realtà scomoda per creatori sensibili e meticolosi come Masahiro Sakurai, ovvero l’appropriarsi delle creazioni altrui: all’inizio la luce provenire dalle Master Hand sembra bella, azzurra, pura, ma quando si stringono intorno a Kiaran generano un buco nero, buio, dalla quale escono centinaia di raggi luminosi che catturano i tutti i personaggi presenti sulla rupe per poi clonarli, creare delle versioni alternative diverse, addirittura talvolta contrarie, alla concezione originale del creatore, un meccanismo crudele che riduce la più pura creazione artistica a un mero consumismo capitalistico, tanto elegante quanto distruttivo, esattamente come il carattere di Master Hand. Kiaran, nonostante il suo aspetto semi-angelico, nasconde in realtà una personalità famelica, che risucchia tutto per poi clonare i personaggi prosciugandoli della loro anima, privandoli della loro personalità. Uno dei finali, uno di quelli cattivi (ovviamente qui li vedremo tutti), mostra l’intero mondo che viene avvolto dalla luce: la macchina della creatività viene alimentata al punto di esplodere, conquistando definitivamente il mondo sotto la sua legge. Tenendo conto di questo aspetto, dopo che Kiaran si impossessa di tutti i personaggi giocabili e il resto dei “combattenti non giocabili” (proprio per via di qusti astrusi termini vi consigliamo di leggere la nostra recensione di Super Smash Bros. Ultimate), chi è l’unico personaggio che sfugge al raptus di Kiaran? È proprio Kirby, la prima creazione di Masahiro Sakurai, la più pura delle sue creazioni, una di quelle che peraltro è stata spremuta fino allo sfinimento da questa macchina di entertainment che non si ferma mai. Toccherà a lui, dunque, andare alla ricerca dei personaggi per liberarli da questo giogo logorante e combatterlo (che anche Kirby, come Mario, sia comunista?). La pratica della creazione dei sequel e spin-off (senza poi parlare delle microtransazioni), rappresentato proprio da questo sistema di clonazione, è proprio quello a cui Masahiro Sakurai si è opposto nel tempo e tante volte, sia velatamente con questa lore nei Super Smash Bros. sia più apertamente in molte interviste, non ha mai avuto paura di condannare queste pratiche tanto salutari per il mercato quanto terribili per chi sta dietro le quinte (specialmente per chi, come lui, deve dirigere i lavori). Lui stesso ha detto tempo addietro:

«Non esiste un industria simile a quella dei videogiochi che dipende dal riutilizzare uno stesso concetto… La fame per nuovi titoli di uno stesso franchise e remake è a un livello innaturale.».

Eppure, il creatore non ha mai rinunciato alla sua creatura, persino quando ormai sembrava avesse voltato pagina dopo aver fondato Sora LTD., giusto dopo aver abbandonato HAL Laboratory nel 2003. Dopo Super Smash Bros. Melee, Masahiro Sakurai pensava di aver definitivamente chiuso con la serie ma, come già detto, tutto cambiò quando Satoru Iwata accennò ad un Super Smash Bros. per Wii all’E3 del 2005, senza che lo sviluppo fosse iniziato o addirittura sbrigata la burocrazia per i diritti con HAL Laboratory che li possedeva. Per capire meglio di cosa stiamo parlando vi riporteremo una parte del dialogo fra Iwata e Sakurai nell’intervista Iwata Ask riguardo proprio all’annuncio dell’E3 2005:

Iwata: «Tutti gli impiegati di Nintendo of America coinvolti all’E3 di quell’anno volevano annunciare a tutti i costi un nuovo Super Smash Bros. che sarebbe avrebbe incluso il gioco online ma allora non ne avevamo ancora discusso con HAL Laboratory, con la quale condividevamo i diritti su Smash Bros.… Dunque ho accennato alla possibilità. Ovviamente è stata una doccia fredda per te.».
Sakurai: «Assolutamente. Non puoi immaginare la mia sorpresa quando mi è stato detto da altri che all’E3 tu avevi fatto l’annuncio dal nulla.».
Iwata: «Ho sentito che ci sono state persone che all’E3 ti hanno chiesto se fossi coinvolto o meno nello sviluppo di [questo nuovo] Super Smash Bros.».
Sakurai: «Già, è stato strano… Il fatto che avevo già lasciato HAL Laboratory rese le cose ancora più complicate…».
Iwata: «Dunque, durante l’E3 ti invitai nella mia stanza d’albergo… E ti dissi ciò che avevo in mente di fare. Pensavo anche a cosa fare nel caso in cui avresti rifiutato, ovvero prendere l’ultimo titolo di Super Smash Bros., Melee, e implementare il gioco online. Forse è più giusto dire che capii che non avrei mai potuto aggiungere alcun nuovo elemento al gioco senza il tuo aiuto e pensai di aver detto abbastanza quando ne discutemmo in hotel quel giorno… Non è stato giusto, e tu potresti persino dire che ti ho quasi ricattato.».
Sakurai: «Di sicuro ha generato l’effetto desiderato!».

Queste poche righe bastano per capire quanto Sakurai ami la sua creatura ma Nintendo, in questo caso, si comportò esattamente come Kiaran: un buco nero mascherato da angelo. E così, pur di non vedere la sua creatura “spremuta” tornò di nuovo a bordo visto che se c’era qualcuno che poteva espanderla era proprio lui.

E gli altri

Proprio quando pensavamo che l’avventura possa essere arrivata al termine succede qualcosa di insapettato, qualcosa che non avevamo proprio messo in conto. La battaglia contro Kiaran apre un varco dimensionale dalla quale esce un esercito di Crazy Hand capitanato da Teneber (o Dharkon nel resto del mondo), un essere demoniaco molto simile a Kiaran, praticamente una sua totale antitesi; da lì si entra in un mondo oscuro, con strade disordinate ed edifici fatiscenti, contrariamente al “mondo luce” che invece presenta strutture più ordinate ed eleganti. L’oscurità legata a Crazy Hand, quel simbolo di imprevedibilità, rabbia e frustrazione, è l’esatta rappresentazione dei fandom, che in tante occasioni rappresenta la fetta più grande dei giocatori, popolati da ultra fans pronti a stroncare, letteralmente distruggere, la più bella delle opere nonostante il loro estremo interesse. Inutile è elencare le miriadi di video su YouTube delle “Top 10 personaggi più richiesti in Super Smash Bros.” oppure, addirittura, video in cui i fan immaginano set di mosse per personaggi che loro richiedono e addirittura altri, come spesso accade nell’era dei social network, in cui esplodono se le loro richieste non vengono ascoltate. Fate caso al fatto che Teneber, nel filmato in cui appare per la prima volta (dopo aver sconfitto Kiaran nel mondo della luce), non ha bisogno di assorbire le Crazy Hand, come Kiaran fa con le Master Hand, per combattere la sua antitesi: questo simboleggia proprio il fatto che questa creatura oscura è fatta da singoli individui che non seguono un obiettivo comune come una compagnia videoludica (o un fandom unito) bensì il proprio personale, seppur intriso da una certa negatività rappresentata dall’oscurita di Teneber. Il simbolismo legato a questa creatura è ancora più chiaro sbloccando il secondo finale cattivo in cui Teneber, che vince su Kiaran, non uccide il suo rivale, bensì lo incatena, facendo sprofondare i personaggi nell’oscurità più totale: i fan che si appropriano del tutto della compagnia produttrice del loro svago preferito, rendendola schiava delle loro volontà e del loro divertimento. Questa avventura non rappresenta altro che i due lati di un qualsiasi videogioco: la compagnia dietro il suo sviluppo e i fan che vogliono controllarlo e ottenere un così un titolo esattamente come lo chiedono, l’eterna lotta fra l’industria che posside, ma consuma, i personaggi e i fan, accomunati da una tossica negatività, che pensano essere loro i padroni delle loro creature. Chi ne soffre in tutta questa battaglia, così come rappresentato nel gioco, sono proprio le creazioni, i personaggi che, all’apparire di queste due entità, passano in secondo piano e pertanto non hanno più voce in capitolo, ovvero quella del loro creatore originale.

Il vincitore, ma anche il vinto

Questa battaglia sottolinea quanto siano distruttive entrambe le parti, di come la voglia per il possesso di questi personaggi distrugga tutto ciò che c’è intorno, ma la verità sta nel fatto che questi personaggi non possono (o meglio, non dovrebbero) essere posseduti e che in realtà, esattamente come spiegato nel gioco, essi sono degli spiriti: una fusione del loro creatore e di come i fan li amano, la più pura forma dell’immaginario collettivo, qualcosa di sacro e che non può essere tangibilmente toccato, in poche parole dei personaggi creati per la gioia il divertimento di chi li vuole amare. Alla fine della campagna, proprio prima dell’ultima e definitiva battaglia finale (quella per accedere al finale buono), Crazy Hand apre un varco dalla quale Master Hand può passare e sconfiggere tutte le copie luce e oscure appartenenti alle due entità, aiutando realmente i veri personaggi da noi comandati: lo spirito del creatore e lo spirito del fan collaborano per distruggere Kiaran e Teneber, per estirpare l’aura di tossicità che ogni volta si crea attorno a una creazione nata principalmente per far del bene, fan responsabili che combattono la loro peggior versione e creatori che combattono lo spirito consumistico delle loro creazioni. Il finale vede Kiaran e Teneber annientati contemporaneamente e nel silenzio è possibile vedere un’orda di spiriti che si libera e si dirige verso il cielo: i personaggi sono finalmente liberi da questo conflitto e finalmente possono essere intesi come tali, un simbolo di gioia e immaginazione. In tutto questo però viene raccontato il vero dramma di Masahiro Sakurai, che vorrebbe abbandonare la sua creatura ma alla fine viene tirato sempre dentro e letteralmente avere a che fare con i lati peggiori di Nintendo e i suoi fan. Tuttavia, nel tempo, egli è stato sia fan che creatore e questo finale dolceamaro potrebbe proprio rappresentare la sua volontà: di fronte a questo terribile conflitto, che vede la sua creazione contesa fra la compagnia che la gestisce e i fan che vorrebbero controllarla, Masahiro Sakurai ha compiuto il suo ultimo e definitivo gesto, ovvero liberare gli spiriti, liberare la sua creatura.

Questo sicuramente non sarà l’ultimo Super Smash Bros. che vedremo, ma dubitiamo, di fronte a un tale semi-cristallino messaggio, che Masahiro Sakurai tornerà a sviluppare un nuovo titolo della saga. Inserire ogni personaggio della saga mai coinvolto, così come il particolare sottotitolo scelto per questa nuova uscita (ultimate: definitivo, ultimo), è probabilmente una grande festa di addio al suo generoso creatore che nel tempo è stato gamer e fan (un po’ come Iwata… Chissà, magari tutta questa festa è anche per lui), nonché una base dalla quale i futuri sviluppatori potranno continuare a creare nuovi titoli di questa magnifica saga crossover. Non vogliamo dare nulla per certo, ma ci sembra adesso più che mai improbabile che Masahiro Sakurai tornerà a sviluppare il prossimo Super Smash Bros..




Hi, my name is… Hideki Kamiya

Dopo una breve pausa, riprende la nostra consueta rubrica sulle più importanti personalità del mondo del Game Design. In occasione dell’uscita del quinto capitolo della saga action più apprezzata degli ultimi anni, Devil May Cry 5, ci occupiamo della mente che ha dato i natali alle avventure di Dante: Hideki Kamiya. Classe 1970, Kamiya ha avuto l’arduo onere di provocare un violento scossone all’interno del genere d’azione in terza persona, da anni ormai stagnante nelle sue vecchie meccaniche logore e non al passo con i tempi. Facciamo però qualche passo indietro.
Kamiya inizia la sua gavetta in casa SEGA e successivamente passa alla Namco ma, nonostante una buona partenza nel settore, il nostro Hideki non si sente pienamente realizzato, costretto dalle case produttrici a lavorare come semplice artista senza alcuno spazio nelle scelte di game design. Decide così di migrare verso altri lidi di sviluppo, riuscendo a ricoprire il ruolo di designer in Capcom nel 1994. Il suo primo incarico con la casa di Osaka comporta una notevole dose di responsabilità sulle spalle di Kamiya, il quale si ritrova a dover portare avanti una saga che si preannunciava iconica già fin dal primo titolo: il designer viene affiancato al maestro Shinji Mikami nella lavorazione di Resident Evil 2, sequel dell’apprezzatissimo capostipite, ricoprendo il delicato ruolo di director.
Il nuovo capitolo della saga horror di Capcom doveva rivoluzionare le meccaniche alla base del precedente capitolo ed espandere l’universo di gioco, pur rimanendo fedele a se stesso. Mikami in prima persona era stato messo al comando dello sviluppo ma i vertici di Osaka non rimasero soddisfatti del lavoro compiuto, motivo per cui il team venne affidato al giovane Kamiya alla sua prima esperienza come direttore. Il prototipo di Mikami, lo storico Resident Evil 1.5, viene messo da parte dal nuovo team di sviluppo e il progetto prende una piega completamente diversa. Viene rivisto il gameplay, rendendolo più dinamico rispetto al primo episodio, viene stravolto l’impianto scenografico conferendogli un respiro hollywoodiano e ampliato enormemente il numero di nemici su schermo superando il limite di 7 zombie per schermata, aspetto che mette a dura prova le capacità tecniche della prima PlayStation. Vengono introdotti nuovi personaggi per dare continuità ai fatti raccontati nel primo capitolo, grazie all’apporto in sceneggiatura di Noboru Sugimura e per la prima volta fanno la comparsa i temibili Licker , divenuti presto le icone di Resident Evil 2.
Il gioco è apprezzato dai capoccia di Capcom e anche in termini di vendite e critica viene accolto positivamente, stabilendo numeri che permisero al lavoro di Kamiya di entrare a far parte della lista dei best seller Playstation. Uscito nel 1998, Resident Evil 2 è stato il primo grande passo per il designer che ha saputo dimostrare all’intero mercato il suo valore e la grande capacità di unire novità e tradizione, incontrando anche i favori di un pubblico che si faceva sempre più esigente e diversificato.

La carriera del giovane Kamiya è soltanto agli albori e l’esperienza al fianco di Mikami non è del tutto archiviata. Agli inizi degli anni 2000 gli viene affidato il compito di lavorare al quarto capitolo della saga di RE con l’obiettivo primario di dare una svolta totale alle meccaniche di gioco; ripartire da zero nel tentativo di allargare sempre di più l’utenza senza rinunciare all’altissimo livello qualitativo richiesto dal publisher. Un compito per niente facile a cui il nostro Hideki non si sottrae.
Aiutato un’altra volta da Sugimura alla scrittura, il progetto prende una piega totalmente diversa rispetto alle idee iniziali. Lo scenario di gioco viene stravolto a favore di una ambientazione più gotica e medioevale; le meccaniche da survival horror abbandonate per fare spazio a un approccio più votato all’azione e al dinamismo, gli sfondi prerenderizzati che caratterizzavano i capitoli precedenti vengono del tutto sostituiti da ambientazioni completamente in 3D, e di conseguenza anche la telecamera fissa lascia il posto a una camera più attiva e veloce. Del classico Resident Evil insomma rimane veramente poco ed è Mikami a suggerire di dare la luce a una nuova IP, sfruttando le grandi potenzialità del nuovo progetto e mettendo la sua creatura al sicuro da possibili contaminazioni che avrebbero portato la serie verso altri lidi.

Il team capitanato da Kamiya viene soprannominato Team Little Devils ed è proprio da qui che il director prende spunto per battezzare il suo ultimo lavoro: Devil May Cry. Uscito esclusivamente su PS2, il gioco diventa subito una devastante killer application per la casalinga di Sony e con il tempo raggiunge lo status di vero e proprio cult riuscendo a stupire per l’incredibile audacia di Kamiya nel saper unire alla perfezione meccaniche hack’n’slash con l’azione in terza persona. Adrenalinico, divertente e con un forte carisma, la prima avventura di Dante ha dato il via a una saga che oggi conta 5 episodi e un reboot distribuiti su tre generazioni di console. Tra alti e bassi, Devil May Cry è diventato velocemente un titolo di punta per la casa di Osaka, anche se il suo padre ideatore ne ha curato solamente il primo episodio per poi focalizzarsi su altri progetti.

Dopo il grande successo ottenuto con DMC, Capcom ripone piena fiducia nelle capacità del giovane designer tanto da concedergli carta bianca per i futuri progetti, ma non abbastanza da affidargli esosi budget. Così Kamiya mette in cantiere un prodotto atipico, unendo la sua passione per i vecchi giochi a scorrimento orizzontale con quella per i supereroi. Nasce un gioco talmente bizzarro da riuscire a trovare soltanto una piccola fetta di pubblico entusiasta, ma viene totalmente ignorato dalle grandi masse. Previsto inizialmente come esclusiva per Nintendo Game Cube e un anno dopo approdato anche sui lidi PlayStation, nel 2003 la Capcom distribuisce Viewtiful Joe. Seguendo le vicende di Joe e della sua compagna Go-Go Silvia, Kamiya imbastisce un beat’em up a scorrimento orizzontale che fa della sua cifra stilistica il maggior punto di forza. Tra citazionismi da otaku e scelte di gameplay atipiche, basate su una sorta di slowmotion controllato dal giocatore, il gioco racchiude in sé un potenziale che verrà fuori pienamente soltanto con il secondo capitolo. Purtroppo la saga non avrà lunga vita e dopo due capitoli principali, uno spin off sulla falsa riga del picchiaduro Super Smash Bros. e qualche exploit su portatile, Viewtiful Joe e soci sono stati presto dimenticati dal pubblico e da Capcom stessa, che riserverà al supereroe in calzamaglia rossa soltanto sporadiche apparizioni in altri titoli, come a dire “sì, ci piaci ma non così tanto da concederti un’ulteriore possibilità”.

Intanto, nei corridoi di Capcom, alcuni sviluppatori cominciano a sentire una certa insofferenza verso la casa produttrice, riguardo le sue scelte aziendali. Molti dei progetti in cantiere in quel periodo sono indirizzati con l’obiettivo di rischiare il meno possibile in termini di risorse ed investimenti. La dirigenza preferisce spendere budget in sequel di saghe che hanno dimostrato un ricavo sicuro e le creazione di nuovi brand non viene neanche preso in considerazione. Autori come lo stesso Mikami, Keiji Inafune, Atsushi Inaba e Masafumi Takada cercano di svincolarsi dal controllo dei vertici attraverso la creazione di team di sviluppo interni che rivendicano la loro indipendenza concettuale. Nasce così il leggendario Clover Studio, una piccola bottega delle meraviglie dove presero vita, oltre a Viewtiful Joe lo sfortunato God Hand e un secondo gioco di Kamiya: Okami.
È il 2006 quando il gioco viene pubblicato e fino ad oggi risulta essere il titolo tecnicamente più ispirato di tutta la produzione del designer giapponese. Okami è un vero e proprio tributo d’amore alle saghe preferite di Hideki, prima fra tutti un immancabile The Legend of Zelda, se non altro per le meccaniche di gameplay che strizzano continuamente l’occhio al capolavoro Nintendo; Kamiya non si limita a una vuota riproposizione degli stilemi classici della serie, ma aggiunge tasselli nuovi e originali, come la capacità del giocatore di pennellare letteralmente gli oggetti su schermo e di attaccare i nemici tramite questo magico strumento. E se un solidissimo adventure non dovesse bastare, i ragazzi Clover regalano ai giocatori uno spettacolo per gli occhi prendendo a piene mani dall’arte tradizionale del Sumi-e, ovvero la pittura a inchiostro e acqua. Uscito come esclusiva PS2, Okami non ha mai realmente brillato sul piano delle vendite, ma è stato così apprezzato nel lungo periodo che sono stati numerosi i porting operati da Capcom nel corso degli anni, portandolo su Wii e su tutte le console di attuale generazione attraverso i corrispettivi store digitali, dando la possibilità agli utenti di poter giocare a questa piccola gemma senza tempo.

Dopo la parentesi Okami, Clover Studio viene chiuso definitivamente da Capcom e gran parte del team si riunisce sotto un nuovo nome: lo stesso anno infatti viene fondata PlatinumGames, oggi famosa nell’intero globo per aver dato i natali ai migliori action degli utlimi anni. Grazie alla nuova indipendenza conquistata, i membri di Platinum iniziano a sviluppare giochi multi piattaforma sotto diversi publisher, mantenendo un buon margine di libertà creativa. Nel 2009 è sega la casa a finanziare i primi giochi del nuovo team a partire dal divertente Mad World uscito in esclusiva su Wii, passando per lo strabiliante Vanquish su PS3 e X-box 360.
Ed è sotto la nuova software house che Kamiya concepisce, a giudizio di chi scrive, il suo capolavoro: pubblicato per le console casalinghe di Sony e Microsoft, Bayonetta sarà la summa totale di ciò che il designer ha sempre cercato di raggiungere, l’action game definitivo. Il gioco è l’esatta evoluzione di quanto fatto con Dante su PS2: con un colpo di spugna Kamiya setta un nuovo standard per tutta la concorrenza e crea un manuale perfetto per le software house che da quel momento in poi vogliano cimentarsi nello sviluppo di un gioco d’azione. Con un palese riferimento allo storico Team dei “piccoli diavoli”, il designer chiama a raccolta i suoi migliori sviluppatori e crea il Team Little Angels lanciando più di una frecciatina alla sua ex compagnia, la Capcom. Kamiya alleggerisce i toni rispetto al più serioso e oscuro Devil May Cry: i personaggi si prendono meno sul serio e la storia, nonostante raggiunga momenti drammatici, non risulta mai pesante. Il gamepla è d’altro canto quanto di meglio si possa desiderare da un gioco di questo genere, la componente di attacco è incredibilmente bilanciata con la pericolosità e velocità dei nemici. Inoltre per poter uccidere un determinato tipo di avversari sarà necessario sbloccare il climax, ovvero una sorta di dimensione parallela dove Bayonetta può indistintamente colpire senza dare la possibilità al nemico di difendersi. Stilisticamente il gioco si discosta dalle avventure di Dante, preferendo un’ambientazione gotica che convive con strutture Liberty in grado di dare eleganza e un giusto tocco di femminilità e grazia. Tutto il gioco è un continuo ammiccare verso il giocatore e più di una volta vi ritroverete a parlare direttamente con la protagonista come se fosse cosciente della vostra presenza al di là dello schermo del televisore, una rottura della quarta parete inserita con intelligenza e grazia. Al momento della sua uscita il gioco riscosse un discreto successo di pubblico, purtroppo limitato dalla sventurata versione PS3 convertita in fretta e furia e senza le adeguate attenzioni. Il risultato fu talmente disastroso da inficiare il gameplay, con FPS ballerini e una resa grafica mediocre. Nel corso del tempo, e grazie alla mano vigile di Nintendo sul brand, il capolavoro di Kamiya ha ritrovato una seconda giovinezza passando da multi piattaforma a esclusiva totale per le console della casa di Tokyo, fatto che ha portato Bayonetta 2 (diretto da Hirono Sato) a essere una killer application per WiiU nel 2014 e che vedrà un terzo capitolo in esclusiva per la ibrida Nintendo nei prossimi anni.

L’ultimo gioco diretto da Kamiya risale però al 2013 ancora una volta su WiiU e rappresenta l’esperimento più bizzarro dell’ex Capcom: The Wonderful 101, un particolare incrocio tra un RTS e un gioco d’azione, basato sui riflessi e la coordinazione del giocatore. Il gioco chiama in causa un gruppo di supereroi determinati a salvare la terra dall’attacco di terroristi alieni nominati Geathjerk. Assurdo e improbabile, il gioco è un concentrato di idee geniali che sfruttano pienamente il paddone del WiiU. Graficamente piacevole e dal ritmo sfrenato, purtroppo non è stato considerato dal pubblico relegandolo nel girone dei giochi dimenticati troppo velocemente. È notizia recente però la volontà del designer giapponese di riportare la sua creatura all’attenzione del mercato attraverso un porting su Switch, occasione perfetta per incontrare il favore del pubblico su una piattaforma molto più popolare della precedente.

Il lavoro e la grande passione di Hideki Kamiya hanno portato una importantissima rivoluzione all’interno del genere action , creando due brand che hanno spinto i limiti fino ad allora raggiunti e che ancora oggi sono considerati dei veri e proprio cult nel settore. Nonostante la sua versatilità, il designer non sempre è riuscito a catturare l’attenzione del mercato mondiale pur continuando a regalare ai suoi sostenitori prodotti di una qualità estremamente elevata. In attesa di farci stupire ancora una volta dal padre di Dante non possiamo fare altro che augurare un futuro radioso all’intero team, abbracciando pienamente la loro filosofia di sviluppo che ha saputo donarci più di una soddisfazione da videogiocatore.




SNK 40th Anniversary Collection

Se qualcuno non lo sapesse, cominciamo col ricordare che SNK è stata una delle case videoludiche più influenti e importanti del Giappone in campo hardware e software. La Shin Nihon Kikaku (in inglese “New Japan Project”) fu fondata nel 1973 e cominciarono a produrre videogiochi dal ’79 per tutti gli anni ’80 ma fu negli anni ’90 che diventarono dei protagonisti del gaming di quegli anni. Popolari nell’home market ma soprattutto nelle arcade, la SNK rilasciò il Neo Geo MVS (che sta per Multi Video Sistem) nel 1990, segnando così un punto di svolta nel mercato. Oggi SNK è una delle compagnie più attive nell’ambito del retrogaming, avendo rilasciato molti dei suoi titoli chiave sullo store del Nintendo E-Shop e lo spettacolare Neo Geo Mini, una bellissima mini console che riproduce la forma e le funzionalità di un cabinato MVS.
A fine 2018, il 13 Novembre, SNK ha rilasciato per Nintendo Switch la bellissima SNK 40th Anniversary Collection, approdata lo scorso 29 marzo su PS4, una raccolta di titoli pre-MVS curata da Digital Eclipse e SNK, che racconta le radici di questa nota compagnia giapponese. Non troveremo nessun Metal Slug, King of Fighters, Fatal Fury o Samurai Showdown ma avremo in compenso dei grandi titoli che hanno posto le basi per l’avvenire di SNK e i suoi futuri “big red monster”, i cabinati Neo Geo MVS,  che dominarono le arcade negli anni 90. Vediamo cosa c’è all’interno di questa bellissima collection che celebra la vita e l’eredità di una compagnia giapponese che fronteggiò Nintendo e Sega con risultati veramente eccellenti.

Una notte al museo

Prima di scendere nelle (brevi) analisi dei singoli giochi che compongono questa raccolta, vogliamo analizzare la presentazione della collection in sé. All’avvio avremo la possibilità di accedere alla sezione museo dove poter conoscere la storia dei titoli SNK dal 1978 – pensate –  al 1990, anno in cui fu lanciato il più standardizzato sistema Neo Geo MVS, includendo dunque anche giochi che non sono presenti in questa raccolta. Ogni presentazione include solitamente artwork, manuali di istruzioni, illustrazioni pubblicitarie, screenshot e a volte anche foto dei cabinati, il tutto accompagnato da brevi ma dettagliatissime linee di testo che ci raccontano la storia dello sviluppo del gioco in questione, le innovazioni portate e retroscena esclusivi. Sono così utili e belle che le abbiamo consultate più volte nel compilare questa stessa recensione!
La sezione museo include inoltre le colonne sonore di tutti i giochi presenti in questa collezione, nel caso vorreste ascoltare singolarmente alcuni dei brani dei giochi a cui avete giocato. Nelle opzioni invece potrete guardare i crediti, cambiare la lingua (dei menù, non certo dei giochi), vedere il progresso degli achievement esclusivi di questa collection e scegliere la visualizzazione verticale o orizzontale, come un vero cabinato arcade (ma questa opzione è possibile solo in modalità portatile).
Nei giochi, così come accade per le migliori collection che si rispettino, abbiamo la possibilità di cambiare il ratio dell’immagine, ovvero il classico 4:3 (spesso allungato) centrato, il 4:3 che si lega ai bordi superiori e inferiori dello schermo e 16:9 (le stesse opzioni presenti nella release Sega Ages di Thunder Force IV); poi possiamo cambiare filtro dell’immagine, ovvero il pixel perfect (senza filtro), con gli scalini della TV e il filtro monitor da sala giochi, ai tempi più avanzati rispetto ai monitor casalinghi. Essendo questa collection principalmente indirizzata ai giocatori di una certa età che hanno giocato in passato a questi titoli, e che con buona probabilità hanno sempre meno tempo per giocare ai videogiochi, è stato inserito un tasto rewind, “L”, che permette di mandare indietro l’emulazione dei giochi giocati e dunque giocare al meglio ogni singola partita; un compromesso veramente superiore, e più veloce, dei più comuni save/load state (a ogni modo presenti e utilizzabili dal menù di pausa). Qualora doveste abbandonare per forza la vostra partita potrete tornare al menù principale con l’opzione “salva ed esci”; in questo modo, quando riprenderete la vostra partita, vi ritroverete esattamente nel punto in cui l’avevate lasciata, una scelta semplice, standard, essenziale e perfettamente funzionale. In alcuni dei giochi è possibile cambiare la regione e scegliere le versioni arcade e Nintendo Entertainment System (ove presente). Quest’ultima opzione è una vera e propria manna dal cielo per quegli utenti che non hanno ancora preso in considerazione l’iscrizione al servizio online di Nintendo Switch che permette l’accesso ai titoli NES in streaming. Ma adesso diamo un breve sguardo di dettaglio a buona parte dei giochi inclusi in questa raccolta.
Di seguito vi verranno riportati i titoli (anche alternativi), l’anno di produzione, le versioni regionali (selezionabili dal menù col tasto “X”) e versione hardware, ovvero arcade e/o NES.

  • Alpha Mission/ASO1985US, JPArcade, NES. Uno dei primi shoot ‘em up moderni della SNK, che dunque seguì la rivoluzione lanciata da Gradius nel 1985. Il gameplay si rifà principalmente a Xevious, con obiettivi in volo e in superficie da eliminare coi missili, ma la sua unica meccanica consistente nel raccogliere pezzi di armatura in volo, e dunque creare diverse combinazioni di offesa e difesa, lo accostava tranquillamente ai giochi RPG di cui i programmatori SNK erano ghiotti. È un gioco veramente difficile e tedioso ma grazie alle opzioni inserite in questa collection potremo giocarlo con molta calma, la stessa che mancava tempo addietro quando orde di bambini sudati inserivano le proprie 500 lire per provare a superare anche un solo livello.
  • Athena1986INTArcade, NES. Platform che ha per protagonista la dea greca della sapienza, dell’arte e della guerra (rigorosamente in bikini rosso come da tradizione epica), lo si può considerare come un insolito mix di Alex Kidd in Miracle World, per il design generale, e Ghost ‘n Goblins per la sua incredibile difficoltà. Sebbene il gioco non sia esente da difetti, Athena fu una delle più grandi hit della SNK prima del lancio del Neo Geo MVS; il titolo portò elementi propri del RPG, genere più propriamente legato alla dimensione casalinga, in un semplice platform per arcade tramite la semplice collezione di armi, scudi e pezzi di armatura che apparivano addosso ad Athena una volta raccolti: una vera rivoluzione per l’epoca. La protagonista stessa divenne una delle prime mascotte della SNK, tanto che per il titolo Psycho Soldier (che vedremo più avanti) venne creata Athena Asamiya, una discendente diretta dell’originale Athena, che apparirà più in là anche nella serie picchiaduro King of Fighters, anche con l’iconico bikini rosso nelle schermate di vittoria. Sconsigliato a chi ha poca pazienza e ai puristi dell’epica greco-romana.
  • Crystalis/God Slayer1990US, JPNES. Questo titolo per NES si discosta in tutto e per tutto dallo stile arcade che caratterizza molti dei giochi SNK presenti in questa collection, infatti Crystalis è un iconico gioco d’avventura sullo stile di The Legend of Zelda che provò a colmare la grande fame venutasi a creare dopo il rilascio di Zelda II: The adventure of Link, titolo che lasciò i fan della saga con uno strano amaro in bocca per il suo forte scostamento dal primo capitolo. A differenza dell’iconica saga Nintendo, il design generale di Crystalis ha una spiccata sfumatura sci-fi, più vicina a Phantasy Star, e altre componenti RPG non presenti in The Legend of Zelda, prima fra tutti la crescita livellare. Il gioco ricevette nel 2000 un porting per Gameboy Color ma solamente con l’avvento di internet Crystalis ottenne lo status di cult following. Una vera e propria chicca per NES che difficilmente gli iscritti del servizio online di Nintendo Switch vedranno in tempi brevi (sempre se mai arriverà) in streaming; una vera e propria gemma nascosta che potrete persino giocare offline! Se c’è un titolo che vale l’acquisto di questa collection, Crystalis è esattamente quel gioco.

  • Ikari Warriors/Ikari1986US, JPArcade, NES. Ispirato a film come Rambo e Commando, Ikari Warriors è un gioco simile a uno shoot ‘em up che però ci permette di controllare l’avanzamento dei nostri soldati Ralph e Clark (Paul e Vince al di fuori del Giappone), futuri combattenti in King of Fighters. Sebbene, come Athena, il gioco presentava una miriade di difetti (soprattutto sulla versione per console) il gioco diventò popolarissimo, sia nelle sale giochi che nelle case dei possessori del NES, per via dell’avvincente campagna da giocare in due giocatori contemporaneamente. Dopotutto, come non poteva Ikari Warriors diventare popolare? Insomma, includeva due virili soldati che uccidevano ondate di nemici in una giungla a petto nudo a colpi di fucile (infatti molti giocatori speculavano che i due personaggi giocabili erano proprio John Rambo e John Matrix di Commando, in poche parole Sylvester Stallone e Arnold SchwarzeneggerRambo Commando!), granate ed era possibile anche guidare i carri armati, feature che diventerà essenziale in Metal Slug. La versione per console è decisamente la più difficile in quanto non era possibile includere la feature dello stick rotante presente in sala giochi (oggi fedelmente riprodotta nella la versione arcade col secondo stick del controller del Nintendo Switch, le stesse meccaniche di un twin stick) e non era possibile continuare a giocare dopo la perdita delle due vite; tuttavia, alla perdita dell’ultima vita, potrete riprendere a giocare se digiterete, con i tasti “A” e “B” del NES, il nome di una famosa pop band svedese di quattro lettere… Mamma Mia, che complicazione!
  • Ikari Warriors II: Victory Road1986US, JPArcade, NES. Terminata la prima avventura, Paul e Vince tornano a casa in aereo ma una strana turbolenza li porta avanti nel futuro, in uno strano mondo sci-fi popolato da strane creature e alieni. Il gameplay generale rimase lo stesso del primo capitolo ma furono aggiunte giusto nuove armi, come i bazooka e le spade in grado di uccidere i nemici senza un proiettile, le aree nascoste e sostituiti i carri armati con delle armature. Questo nuovo titolo incluse inoltre delle chiarissime linee di dialogo, uniche per entrambe le versioni. Nonostante i temi più seriosi, in Ikari Warriors II furono inseriti elementi di humor per rendere la fruizione del gioco più leggera. Se giocate a questo gioco in due provate a incrociare le spade come si vede nell’artwork!
  • Guerrilla Wars/Guevara1987US, JPArcade, NES. Inizialmente il gioco fu concepito come un ulteriore sequel di Ikari Warriors ma durante lo sviluppo il presidente della SNK si interessò ai personaggi di Ernesto “Che” Guevara e Fidel Castro dopo aver letto il libro “La Guerra di Guerriglia” scritto dal rivoluzionario cubano, unico libro che trattava la rivoluzione cubana disponibile in Giappone. Fu così che un giorno, a metà dello sviluppo del sequel, si presentò ai programmatori chiedendo che il titolo venisse trasformato in un gioco sui rivoluzionari cubani. Ebbene sì, nella versione Giapponese (in realtà anche quella americana ma i nomi dei personaggi giocabili non vengono mai menzionati) controllerete il guerrigliero Che Guevara e l’ex leader cubano Fidel Castro, come secondo giocatore, intenti a rovesciare il durissimo governo di Fulgencio Batista… altro che lezioni di storia! Il gameplay riprende Ikari Warriors in tutto e per tutto ma aggiunge il salvataggio di ostaggi, che se colpiti da un nostro proiettile comporteranno la perdita di 500 punti, e il miglioramento delle AI dei nemici, ora più furbe e più strategiche. Probabilmente è un gioco che non portò grandi innovazioni, ma era un gioco “rivoluzionario” a modo suo!

  • Ikari III: The Rescue1989US, JPArcade, NES. Stavolta per la rabbia, visto che “Ikari” in giapponese significa proprio “rabbia”, Paul e Vince abbandonano le armi e decidono di far fuori i nemici alla vecchia maniera: “mazzate”! In Ikari III le armi da fuoco si fanno rare, così come i neo-introdotti oggetti contundenti, e il nostro metodo di difesa principale diventano i pugni e i calci – un vero e proprio tributo a Chuck Norris!. Da notare è anche l’abbandono dello stile animato degli artwork in favore di uno più realistico e crudo.
  • Iron Tank1988US, JPNES. Altro titolo sviluppato per NES che non arrivò mai nelle sale giochi ma che, a differenza di Crystalis, conserva un gameplay prettamente arcade. Iron Tank è il sequel di TNK III (che vedremo più avanti), ovvero un gioco simile a Ikari Warriors ma in cui controlleremo un carro armato. I due tasti del NES serviranno a sparare due tipi di fuoco diversi, ovvero uno sparo che segue la direzione del carro armato e uno direzionato nel verso del cannone principale. TNK III era dotato dello stesso stick rotante di cui Ikari Warriors era munito per muovere il cannone principale (dunque si poteva mirare dritto col cannone principale e spostarsi lateralmente continuando a sparare coi cannoni inferiori, sparando così in due direzioni contemporaneamente) ma col controller del NES è tutto un altro discorso: il cannone superiore si muove soltanto quando terremo premuto “B” (layout del NES), ovvero il tasto dei cannoni inferiori, perciò sarà impossibile sparare in due direzioni in questa versione. Nonostante le limitazioni Iron Tank risulta comunque un gioco molto gradevole.
  • P.O.W. Prisoners of War/Datsugoku1988US, JPArcade, NES. Uno dei primi beat ‘em up della SNK, P.O.W. si rifà principalmente a film come Fuga di mezzanotte o Fuga da Alcatraz in cui un protagonista programma, e conclude, una fuga da una prigione di massima sicurezza. La versione arcade di questo gioco ha un sistema di controllo a quattro tasti che includono un calcio e un pugno forte, un tasto per le combo e un tasto per il salto. Nel 1989 P.O.W. uscì per NES e, visti i problemi relativi al controller e alla memoria del sistema, fu semplificato il sistema di combattimento e tolta la modalità per due giocatori; in compenso furono introdotte nuove armi e oggetti contundenti, sub-aree e un nuovo boss finale. Per una volta la versione NES sembra che abbia dato di più rispetto alla controparte arcade!

  • Prehistoric Isle in 19301989US, JPArcade. In questo spettacolare shoot ‘em up sulla scia di R-Type partiremo alla volta di una misteriosa isola per capire cosa si cela dietro allo strano fenomeno della scomparsa degli aerei che le si avvicinano; una volta lì scopriremo che l’isola è abitata da creature preistoriche, dinosauri, cavernicoli e altri esseri ancestrali. Come il rivoluzionario gioco della Irem, avremo una sorta di satellite che rimarrà attaccato al nostro aereo ma potremo posizionarlo in otto posizioni diverse dalle quali partirà un colpo di supporto diverso: in diagonale bassa verrà lanciato un siluro in pieno stile Gradius, se lo posizioneremo sul retro lasceremo delle mine, e così via. I passi avanti rispetto ad Alpha Mission e Chopper I (arrivato in questa collection come DLC) sono evidenti e, fra gli Shmup presenti in questa collection, Prehistoric Isle in 1930 è certamente il più completo e il più avvincente.
  • Psycho Soldier1987US, JPArcade. Sequel spirituale di Athena che include la sua erede Athena Asamiya, Psycho Soldier è un platform a scorrimento automatico che funziona su quattro superfici, un po’ come avviene in City Connection della Jaleco. Ha pochi legami con l’originale Athena, come il poter rompere i blocchi e l’inclusione di Athena stessa, ma offre un gameplay nettamente superiore al suo predecessore, con potenziamenti di vario tipo e persino trasformazioni, e si gioca con molto piacere, soprattutto in cooperativa con un secondo giocatore che comanderà l’amico Sie Kensou, anche lui futuro combattente in King of Fighters. Di degna nota è soprattutto la colonna sonora, la prima nella storia dei videogiochi a includere una traccia con delle linee cantate dalla cantante giapponese Kaori Shimizu; la versione giapponese venne curata con particolare attenzione, tanto che poi per l’uscita di Athena per Famicom venne inclusa una musicassetta con il singolo, ma la versione inglese presenta delle linee “broken english” molto risibili!
  • Street Smart1989US,JPArcade. Il primo esperimento della SNK in ambito picchiaduro. Il genere era ancora agli albori: Street Fighter, uscito nel 1987, pose le basi per i picchiaduro in tutto il mondo, ma non stupì abbastanza da imporre uno standard, e molte compagnie videoludiche ponevano in essere un proprio sistema di gioco sempre diverso. Street Smart mette i giocatori in un area di gioco tridimensionale, ponendosi dunque come una specie di area boss di un beat ‘em up, ma il tutto risulta molto giocabile pur non avendo mosse speciali e tutte quelle feature che faranno grandi i tournament fighter à la Street Fighter II. Al posto della parata, Street Smart offre un tasto per fare una capriola all’indietro e evitare con stile gli attacchi avversari. Gli unici due personaggi disponibili, Karate Man e Wrestler, sono rispettivamente primo o secondo giocatore. L’obiettivo del gioco? Mettere al tappeto gli avversari per la gloria, i soldi… e le ragazze!

  • TNK III/T.A.N.K.1985US, JPArcade. In TNK III si combatte con un carro armato, guidato dal Ralph di Ikari Warriors, e il sistema dello stick rotante, per la prima volta implementato qui, permette di far fuoco col cannone principale in una direzione e muoversi in un’altra facendo fuoco con un altro cannone che segue la direzione dell’autoblindo. Grazie ai controlli di una console moderna come il Nintendo Switch possiamo rivivere l’esperienza autentica di questo storico titolo che non solo ha avviato questo filone di titoli di sparatutto dall’alto con lo stick rotante ma ha anche salvato la SNK da un incombente fallimento. Un vero e proprio capolavoro!
  • Vanguard 1981 INTArcade. Primo grande successo mondiale per SNK, Vanguard era così popolare che Atari ne comprò i diritti per poter fare un porting per l’Atari 2600 che divenne un successo anche nel mercato casalingo. Era uno shooter simile a Scramble, gioco della Konami che pose le basi per gli shmup e la sua stessa saga di Gradius, ma proponeva feature ambiziosissime: aveva quattro tasti per sparare in alto, in basso, a destra e a sinistra, scorreva in orizzontale, in diagonale e in verticale, aveva delle linee di dialogo, rese con una primitiva sintesi vocale simile a quella vista in Berzerk, ed era uno dei primi giochi per sala giochi a includere una funzione di continue (tanto che nei filmati demo, prima di inserire il gettone, veniva spiegata questa futuristica feature). A bordo della nostra navicella dobbiamo arrivare in fondo alla caverna in cui risiede il re Gondo, un alieno che terrorizza le colonie vicine; al termine dell’avventura, come consueto per i primi giochi arcade, il gioco ricomincia a una difficolta elevata e potremo continuare fin quando ne abbiamo voglia (che fortuna non dover più inserire monete in una macchina). Magari ai giocatori più giovani Vanguard potrebbe non dire niente, ma ciò non toglie che è uno dei giochi più importanti della storia del gaming e merita di essere giocato almeno una volta nella vita. L’unica cosa che avrebbe potuto migliorare questo gioco sarebbe stata inserendo un’intonazione di Danger Zone di Kenny Loggins ogni qual volta la voce robotica annuncia l’ingresso in una “danger zone“, ma in fondo va bene così (e poi… non l’aveva ancora scritta)!

Quelli che abbiamo elencato sono i titoli originariamente rilasciati per Nintendo Switch, ma la stessa edizione è stata gratuitamente implementata l’11 dicembre 2018, quando tutti i possessori di SNK 40th Anniversary Collection si sono ritrovati un aggiornamento che aggiungeva ben altri 9 titoli:

  • Bermuda Triangle1987US, JPArcade. Un insolito shoot ‘em up che incorpora le meccaniche dello stick rotante visto in TNK III e Ikari Warrior, Bermuda Triangle permette di controllare una nave madre di grandi dimensioni (simile a una Great Fox della saga di Star Fox, per intenderci) e pertanto, visto che schivare i proiettili non sarà semplicissimo, potremo contare sui caccia che affiancheranno la nostra nave madre, anche per quel che riguarda la potenza di fuoco. Ciò che stupì all’epoca, insieme all’emozionante gameplay che includeva anche meccaniche di viaggio nel tempo, fu anche la sua coloratissima e vibrante grafica, visivamente un grande passo in avanti per SNK.
  • Chopper I/Legend of Air Cavalry1988US, JPArcade. Un moderno shoot ‘em up che ricorda nelle sue fattezze la saga di 19XX di Capcom. Altro grande titolo per SNK, Chopper I offre un gameplay veramente da manuale, con un intensità di proiettili nemici simile ai primi titoli della Toaplan, come Truxton e Zero Wing, famosi per aver – diciamo – lanciato quella tendenza che anni più avanti si sarebbe evoluta nel bullet hell (ma questo titolo è ben lontano dall’esserlo). Un titolo più che mai adatto per gli appassionati degli shmup vecchio stile, non troppo moderno ma neanche troppo datato.
  • Fantasy 1981US, JPArcade. Altro titolo proveniente dall’epoca d’oro delle arcade, per tanto costruito intorno allo stesso hardware di Vanguard e Sasuke vs. Commander (rilasciato in questi DLC), questo titolo offre un gameplay incredibilmente vario che si rifà principalmente ai più popolari Donkey Kong, Jungle Hunt e lo stesso Vanguard, in cui un ragazzo corre dietro alla sua sfortunata ragazza che viene rapita da pirati, scimmioni e tribù di cannibali. Come il precedente successo arcade SNK, Fantasy include l’innovativa feature di continue, chiare (ed esilaranti) linee vocali e persino, in un livello, parte della popolarissima hit disco “Funkytown”! Un altro titolo storico che, come Vanguard, possiede quella magia capace di portarci in un epoca in cui ci si stupiva con poco fatta principalmente di giochi elettronici, code interminabili dietro a un cabinato, senza cellulari e senza internet.

  • Munch Mobile/Joyful Road1983US, JPArcade. In questo strano gioco dai toni “pucciosi” controlleremo un’automobile senziente dalle braccia elastiche, utili per raccogliere mele, ciliegie, pesci, sacchi di soldi e taniche di benzina ai bordi della strada. Munch Mobile è un gioco particolarmente difficile, soprattutto perché la strada è piccola e l’uscita fuori strada comporta la perdita di una vita, ma se si è bravi potremo arrivare addirittura agli uffici della SNK! Il gioco, inoltre, tenta di sensibilizzare i più piccoli riguardo i temi dell’ambiente e dell’inquinamento: una volta raccolto e mangiato un oggetto commestibile possiamo guadagnare molti più punti se getteremo i suoi resti nei cestini della spazzatura riallungando le braccia verso questi oggetti sparsi nei per i bordi della strada. L’ironia sta proprio nel fatto di come un’automobile, un oggetto artificiale, riesca ad essere più pulita di certe persone!
  • Ozma Wars1979 INTArcade. Questo titolo, il più vintage di questa collection, è un fix shooter sulla scia di Space Invaders, il primo gioco che imitò il successo arcade della Taito. Ozma Wars nacque dall’impossibilità di Taito di produrre abbastanza cabinati e tabletop di Space Invaders; SNK, in mezzo alle tante compagnie che acquistarono i diritti per produrre Space Invaders al fine di aiutare Taito con la distribuzione, creò parallelamente sullo stesso hardware un kit di conversione per offrire ai giocatori delle sale giochi, che erano colme di cabinati di Space Invaders, un’esperienza diversa e lanciarsi nel mercato come un nuovo produttore, al pari di Taito, Sega e Nintendo. Anziché far fuori una schiera di alieni come nel popolare arcade, Ozma Wars innova il concetto proponendo navicelle, più dettagliate e sullo stile dei caccia spaziali di Star Wars, che come in uno shooter moderno scendono dall’alto verso il basso, sparano con più frequenza e persino di riducono la loro hitbox mettendosi di taglio (come quando si premono “L” e “R” in Star Fox) o addirittura rendendosi invisibili per qualche secondo; probabilmente, però, l’innovazione più grande di questo titolo fu quella di offrire dei livelli sempre diversi e la barra di energia, che si ricarica attaccando la nostra navicella alla più grande nave madre. Il modesto successo di questo gioco, primo vero loro titolo originale, spinse la SNK a puntare sempre più in alto e Ozma Wars rappresenta in tutto e per tutto l’inizio della compagnia che noi oggi conosciamo e amiamo.
  • Paddle Mania 1988INT Arcade. Probabilmente uno dei primi crossover della storia, ma non come intendiamo oggi un Super Smash Bros.: Paddle Mania mette faccia a faccia, in un campo chiuso in cui la palla non può andare fuori campo, giocatori di tennis, pallavolo, pallanuoto, sumo e persino surfisti! Nonostante le bizzarre premesse lo scopo del gioco è comunque molto semplice: mandare la palla nella porta avversaria, esattamente come in Pong. Sebbene il gioco originale prestava due tasti per muovere la racchetta da destra verso sinistra e viceversa, sul Nintendo Switch si è deciso di optare per dei controlli twin stick che rendono l’esperienza un po’ tediosa e non realmente gradevole. L’esperienza del twin stick è portata avanti in tutta la collection, ma probabilmente Paddle Mania è il gioco a cui meno serve questa feature!

  • Sasuke vs. Commander 1980INTArcade. Altro innovativo gioco arcade della SNK, costruito ancora una volta sullo stesso hardware di Vanguard, Sasuke vs. Commander è ancora una volta un gioco simile a Space Invaders. Invece di conformarsi a uno stile sci-fi, come andava di moda ai tempi, questo titolo offrì al giocatore uno scenario tipicamente giapponese con shogun, il carattere “grande” che si vede in lontananza (che segnala il culmine della festa dei morti di Kyoto) e gli immancabili ninja. Alla fine delle schermate di combattimento, in cui i ninja lanceranno a Sasuke gli iconici shuriken, apparirà un nemico più tenace e più grande; per tale motivo si dice che Sasuke vs. Commander introdusse il concetto di boss al termine di un livello. Un altro gioco che ci racconta le origini delle arcade.
  • Time Soldiers/Battle Field1987 US, JPArcade. Ancora una volta un top-down shooter sulla scia di Ikari Warriors con la differenza che lo stick ruotante qui montato ruota in 16 direzioni anziché in 8 come in tutti i giochi con questa caratteristica che abbiamo visto in questa collection. Time Soldier offre un campo di gioco più ampio e perciò possiamo muoverci in tutte le direzioni che vogliamo. Ovviamente, come il titolo ci suggerisce, questi futuristici combattenti – uno dei quali, dall’alto, sembra Pegasus dei Cavalieri dello Zodiaco – si spostano nel tempo per salvare i loro compagni, alcuni di loro in un’antica Roma popolata da soldati romani e persino creature mitologiche! Anche se il gameplay, dopo aver giocato ai vari Ikari Warriors, Guerrilla Wars e TNK III, può risultare ripetitivo almeno ci consola il fatto che qui il ritmo si presenta un po’ più veloce, con una difficoltà attenuata e una grafica più dettagliata.
  • World Wars1987 INTArcade. Sequel di Bermuda Triangle, il gioco, che gira sulla stessa arcade board, presenta le medesime caratteristiche del suo prequel ma con una navicella più piccola. Il concept della nave madre fu abbandonato in favore di un gameplay più fruibile e classico, con power up e proiettili più facilmente evitabili; viene abbandonata anche la componente del viaggio nel tempo in favore di un più semplice viaggio intorno al mondo, anche se mantiene le stesse componenti sci-fi. Da provare indubbiamente.

The future is now!

Come abbiamo visto, la collection (che include anche Beast Busters e SAR: Search and RescueI) prende in considerazione un periodo poco conosciuto della storia della SNK ma ciò non toglie che sono comunque 32 grandi giochi che vi possono regalare ore e ore di gameplay di stampo prettamente arcade, ormai quasi del tutto perduto. La presentazione e le funzionalità di questa collection sono veramente superbe e ci sono comunque diversi giochi in grado di giustificare l’acquisto per Nintendo Switch e PS4, primo fra tutti Crystalis. Non sarà forse una collection che interesserà ai più giovani (a parte i più virtuosi interessati a “studiare la storia”) ma vi garantiamo che è un gran salto nel passato e, per chi non conosce la SNK, una vera e propria lezione sulla loro storia e sulla loro eredità che ancora oggi influenza il panorama videoludico mondiale.




Super Smash Bros. Ultimate

Super Smash Bros. è più di una semplice saga videoludica, è il culmine generazionale di tutto ciò che è Nintendo, la cronaca che registra la storia dei personaggi ad essa legati a questa leggendaria compagnia giapponese. Dall’inaspettato successo del primo gioco su Nintendo 64, all’ottenimento dello status di eccellenza con Melee, al meno fortunato Brawl e ai più o meno popolari Super Smash Bros. for Wii U & 3DS arriviamo a Nintendo Switch, la console che ha preso il mondo di sorpresa grazie alla sua natura ibrida: qui, giusto lo scorso dicembre, è stato rilasciato l’incredibile Super Smash Bros. Ultimate, un gioco che, come ha promesso il creatore Masahiro Sakurai, estrae tutto il meglio dei precedenti giochi, traducendosi nel miglior gameplay, estratto ovviamente da Melee, i migliori stage e ogni personaggio mai apparso nella serie di Super Smash Bros., insieme a tanti nuovi combattenti che prendono parte (e più in là prenderanno parte) al più grande crossover della storia. Vediamo insieme questo nuovo titanico capitolo della saga, oggi più voga che mai grazie anche ai grandissimi tornei che lo vedono protagonista.

Anni di tradizione

Come abbiamo già menzionato, il gameplay è quello del velocissimo Super Smash Bros. Melee, e ciò da per scontato che gli scivoloni casuali, presenti invece in Brawl, qui non sono presenti. Il sistema di combattimento, lo stesso sin dai tempi del Nintendo 64, differisce sia dai più classici picchiaduro 2D che presentano sistemi di combo e mosse speciali (come Street Fighter, per intenderci) che da quelli 3D “free range” alla Tekken o Dead or Alive, basate invece su combo veloci e chain attack: con il tasto “A” possiamo eseguire gli attacchi fisici e gli iconici “smash” anticipando di poco un movimento alla pressione del tasto (gli stessi possono essere richiamati, e caricati, con lo stick destro), con il tasto “B” e direzione possiamo eseguire i 5 attacchi speciali presenti in ogni personaggio, come attacchi a proiettile, colpi caricati, contromosse e molto altro, con i dorsali “ZL” e “ZR” attiviamo lo scudo per proteggerci dai colpi avversari o evitarli se lo richiamiamo insieme a una direzione e con “L” e “R”, in prossimità dell’avversario, potremmo bloccarlo ed eseguire una presa. Ogni personaggio, inoltre, ha anche uno smash finale ma questo sarà eseguibile, con “B”, solo se il giocatore riuscirà a rompere una sfera smash che (salvo modifiche al match in modalità Smash) apparirà casualmente nello stage, oppure riempiendo la barra di energia speciale, come in Street Fighter, in modalità avventura o tabellone degli spiriti (di cui parleremo più in là). Il salto, come tipico della saga, è eseguibile premendo i tasti “X” e “Y” oppure, come tipico di ogni picchiaduro 2D o 3D, inclinando lo stick per il movimento verso l’alto; inoltre, come da tradizione, potrete eseguire dei taunt, 3 per ogni personaggio, premendo uno dei tasti direzionali (o una direzione del pro controller o controller Gamecube, indicato, da sempre, per la migliore esperienza con questi picchiaduro).
Super Smash Bros. Ultimate, così come ogni altra uscita precedente, offre una miriade di customizzazioni ma, senza scendere troppo nel dettaglio (credeteci, ci vorrebbe un infinità di tempo), ci sono principalmente tre tipi di incontri: a tempo, in cui nel tempo limite stabilito bisogna mandare più volte possibile l’avversario fuori dal riquadro dello stage, a vite, in cui un giocatore ha un numero di vite stabilito e deve cercare di farle perdere agli altri combattenti, e a energia in cui, come nei più classici picchiaduro, bisogna mandare KO il nostro avversario facendo terminare la sua stamina, indicata nella parte bassa dello schermo. Come appunto anticipato, e come ovviamente vuole la tradizione, a ogni colpo a segno aumenteremo la percentuale di eliminazione del nostro avversario, indicata nella parte bassa dello schermo: più è alta più abbiamo la possibilità di mandarlo fuori dallo schermo (ovviamente ciò non accade con l’incontro a vita).
All’avvio del gioco finiremo sul menù principale, questo diviso in 5 grandi categorie; per darvi un overview benomale completa di questo gioco (credeteci, è immenso) li guarderemo tutti uno per uno, spiegando anche a caratteri generali le particolarità di questo nuovo capitolo di Super Smash Bros.. La modalità smash, che troveremo in alto a sinistra del menù principale, ci permetterà di esplorare, da soli contro il computer o insieme ai nostri amici in locale, tutte le possibili modalità di combattimento che includono anche l’apparizione degli oggetti contundenti, assistenti, sfere poké, frequenza di quest’ultimi, la possibilità di aggiungere agli stage, che presentano sempre 3 versioni differenti (standard, rovine e omega), terreni infuocati, elettrificati, soporiferi, avvelenati e tanto altro ancora; insomma, è veramente impossibile riproporre due volte lo stesso match! In questo menù, visto che è quello che apre gli utenti al multiplayer in locale, potrete avviare gli incontri a squadre, i tornei e accedere alla sezione “mischia speciale” in cui potrete accedere agli incontri “sudden death”, mischia totale, che funziona più o meno come un incontro a vite ma in cui potrete assegnare a ciascuna di essa un personaggio diverso, e mischia variabile, ancora una volta un’altra modalità in cui avrete ancora un’altra miriadi di customizzazioni, stavolta relativi ai singoli partecipanti di un incontro. Tutto questo, diciamo, copre la base del gameplay di questo Super Smash Bros. Ultimate, rispetto ai precedenti più vario che mai.
Inutile a dirlo, potrete usufruire di tutte queste customizzazioni anche in online, dove potrete competere in match casuali veloci oppure creando o partecipando in lobby in cui si stabiliscono tipologia di match, modalità di eliminazione, eventuali modifiche e molto altro ancora. La qualità degli incontri online, al solito, dipende dalla connessione dei giocatori che incontrerete, soprattutto di quelli che organizzeranno la stanza, ma vi possiamo assicurare che il più delle volte non ci siamo imbattuti in problemi che hanno limitato la nostra esperienza esperienza online; giocare online non solo protenderà la vostra esperienza con Super Smash Bros. Ultimate verso l’infinito ma potrete anche collezionale le schede smash, delle vere e propre placchette contenenti i nomi degli avversari che sconfiggerete online e che potrete anche scambiare per dei gettoni da spendere nel negozio in-game, in cui potrete comprare brani musicali, vestiti e accessori per i Mii fighters, spiriti, snack (di questi ultimi due ne parleremo più avanti) e aiuti vari per la modalità tabellone degli spiriti.

Everyone is here

Prima di analizzare le due restanti sezioni principali del menù iniziale, vogliamo dare un attento sguardo all’immenso roster di personaggi di questo nuovo capitolo che comprende letteralmente ogni personaggio mai apparso in questa serie di picchiaduro, anche i personaggi non-Nintendo come Solid Snake, Sonic, Bayonetta o Cloud Strife. In questo gioco sono presenti ben 76 personaggi selezionabili (che si sbloccheranno piano piano ma comunque molto facilmente) e altri sono in arrivo come Joker dalla serie RPG Persona di Atlus e il cubettosissimo Steve direttamente dal popolarissimo Minecraft. Ogni personaggio potrà portarvi alla vittoria in quanto, in linea generale, non esistono disparità di nessun tipo (ma solo vantaggi e svantaggi) o personaggi particolarmente over-powered; Sora Ltd. e Bandai Namco hanno davvero consegnato ai giocatori dei combattenti ben bilanciati in grado di offrire delle sfide sempre eque e ciò non è facile quando si consegna un roster di questa portata. Per ogni personaggio, o meglio per ogni saga presente in questo gioco, c’è una gran bella selezione di stage che ben le rappresentano, molti storici, come il Castello di Peach per la saga di Super Mario, le rapide di Donkey Kong Country, Brinstar di Metroid, Mute City di F-Zero, Onett di Earthbound e lo stage di Pictochat, ma molti nuovi come New Donk City da Super Mario Odyssey, la torre delle origini di The Legend of Zelda: Breath of the Wild o le Torri Cittadine di Splatoon e Splatoon 2.
Fornire un’overview dei temi degli stage (che, come tipico della saga, sono più di uno per stage ed è possibile impostarne la frequenza nel menù delle opzioni), è veramente impossibile in quanto, in proporziona alla grandezza del gioco, tanti sono i personaggi, tanti gli stage, tanti i brani! Nella sezione musica, dove possiamo ascoltare i brani liberamente (con una convenientissima divisione per saghe), possiamo renderci conto non solo della quantità di quest’ultimi ma anche della qualità degli stessi. Come al solito troveremo tanti nuovi temi composti per l’occasione ma a rubare la scena saranno senza dubbio i temi familiari delle saghe dei combattenti presenti, che sia rivisitati per l’occasione che in versione originale; ascoltare per credere!
Sempre nella stessa sezione “musica” è possibile creare delle playlist con i vostri brani preferiti ma anziché fissare come dei vegetali la schermata di selezione durante l’ascolto potrete premere “L” e ”R” insieme per fare andare la console in modalità riposo: in questo modo, in modalità portatile, potrete attaccare gli auricolari alla console e continuare ad ascoltare la musica dal vostro Nintendo Switch come fosse un tablet, l’ideale se la trasporterete all’interno di uno zaino.
La grafica, come al solito, non presenta caratteri di particolare rilievo ma i dettagli dei personaggi, laddove sono richiesti (insomma, ricordiamo che è un gioco dove potrete far scontrare Mario contro Bayonetta o Pac Man con Snake) sono sempre ben accentuati e ben presentati, come la texture a jeans della salopette di Mario o la pelliccia dei “combattenti pelosi” come Fox, Inceniroar, Pikachu o la versione yarn di Yoshi; sia in dock che in modalità portatile la qualità della grafica HD vi restituirà sempre una grafica veramente all’altezza e per nessun motivo l’eccezionale azione di Super Smash Bros. Ultimate calerà dai suoi stabili 60 FPS (fatta eccezione per qualche match online con qualche giocatore con una brutta connessione di rete, ma lì parliamo di lag e non di cali di framerate).

On that day…

Passiamo alla modalità avventura, qui un mix della precedente campagna di Brawl, L’Emissario del Sub-spazio, e la event mode di Melee, caratterizzata da una serie di sfide a tema. Abbiamo anche una storia il cui filmato iniziale, apparso in diretta mondiale nell’ultima direct di Nintendo dedicata a Super Smash Bros. Ultimate prima del lancio, ci mostra una creatura celeste al comando di un esercito di Master Hand. Gli eroi Nintendo, appositamente schierati per combatterli, cadono uno dopo l’altro e una volta catturati vengono clonati; l’unico a salvarsi è Kirby, non a caso la prima creazione di Masahiro Sakurai, e toccherà dunque a lui salvare i restanti personaggi del roster. Come al solito, le tematiche che avvolgono la ormai famosa lore di Super Smash Bros. sono celate dietro a un simbolismo abbastanza complesso che racconta metaforicamente la vita e il rapporto di Masahiro Sakurai con Nintendo e, anche una volta arrivati al termine dell’avventura, non tutto è mai chiarissimo; affronteremo questo discorso in un futuro articolo, a continuazione del precedente (che vi abbiamo linkato qualche riga più su) in cui spiegammo la complessa lore di questo gioco, in quanto ci sembra di aver decifrato i simboli di questa nuova avventura… E vi anticipiamo che i risvolti possono essere abbastanza tragici!
Nella modalità avventura ci verrà spiegato tutto ciò che c’è da sapere riguardo agli spiriti di cui si parla tanto nel gioco. Questi sostituiscono i trofei dei precedenti giochi in tutto e per tutto e dunque viene abbandonato il modellino 3D in favore di un più semplice ma più caratteristico artwork originale; a questi, adesso, vengono attribuiti elementi RPG e diventano dunque degli equip da usare in battaglia in questa modalità. Gli spiriti, oltre agli spiriti del personaggio ottenibili dalla modalità classica (e dal negozio per quel che riguarda i costumi alternativi di alcuni personaggi, come Mario sposo, Alphie o i Koopalings), si dividono in spiriti combattenti e spiriti aiutanti. I primi sono di tre tipi + uno, ovvero attacco, difesa, presa e neutro: fra i primi tre c’è un rapporto triangolare (difesa batte attacco, presa batte difesa e attacco batte presa) e tendono a migliorare quel determinato aspetto (se ci equipaggiamo di uno spirito difensivo dureremo di più in battaglia, con attacco infliggeremo più danni e con quelli presa infliggeremo più danni con le prese) mentre il neutro batte tutti quanti anche se non concede particolari vantaggi. Lo spirito combattente equipaggiatoad ogni battaglia accumulerà esperienza salendo di livello e ciò aumenterà il numero di overall: questo ci permette di capire orientativamente il livello del nostro avversario o squadra avversaria perciò, se vogliamo avvantaggiarci in battaglia è meglio sempre superare quello del nostro avversario e selezionare la tipologia opposta (insieme ad una buona tecnica generale, non sempre il numero più alto e la tipologia inversa assicura la vittoria). Si possono potenziare questi spiriti, inoltre, con i già citati snack, le basi del personaggio, che otterremo quando congederemo uno spirito dal menù congeda, con la palestra di Doc Luis, l’iconico allenatore di Little Mac di Punch Out!!, e le zone di esplorazione di Toadette, Charlie e Linebeck (questi da sbloccare nel corso dell’avventura).
Ogni spirito combattente ha degli slot, da uno a tre, a questi possiamo assegnare gli spiriti aiutanti: questi modificheranno ancora di più l’esperienza di gioco migliorando un nostro determinato aspetto, come l’aumento della potenza degli attacchi fisici, frontali, in corsa, alzare la difesa contro pugni e calci, esplosioni e oggetti contundenti, oppure annullare delle particolarità dello stage o dell’avversario. Gli effetti sono veramente tantissimi e ci è impossibile elencarli tutti ma ciò che vi basta sapere è che tutti questi permettono un tipo di gameplay, in modalità avventura o persino in modalità smash o online se i giocatori vorranno, altamente personalizzabile. Capire tutti questi meccanismi, specialmente con le poche righe di tutorial, è abbastanza difficile e confusionario ma vi assicuriamo che facendo esperienza nella modalità avventura capirete tutto quello che c’è da sapere su questa nuova meccanica RPG.
Il nostro Kirby verrà catapultato in un mondo devastato da questa creatura celeste di nome Kiaran (o Galeem in inglese) e qui, passo dopo passo, incontrerà spiriti dei combattenti da liberare, diventando dunque giocabili in questa modalità, e spiriti combattenti e aiutanti da salvare, incarnati dalle copie generate dalla loro cattura all’inizio del gioco. Gli spiriti, anche se non l’abbiamo menzionato, sono – diciamo – personaggi non giocabili di cui è però presente l’artwork all’interno della lista degli spiriti: pertanto, qualora dobbiamo affrontare uno spirito in battaglia, troveremo il o i personaggi del roster che più somiglia a quello spirito: lo spirito di Baby Bowser (che ricordiamo non è Bowser Jr. ma il Bowser bambino della saga di Yoshi’s Island) sarà rappresentato da un Bowser Maxi (esattamente come nel finale del primo titolo della sua saga), X verrà rappresentato da un Mega Man con un blu più schiarito, Chibi Robo da R.O.B., Meowth da Fuffi (o Isabelle), T. Hawk da un Inceneroar blu e così via. Nonostante l’assenza dal roster principali di questi personaggi (e che forse, apparendo lì, Nintendo ci sta facendo intendere che non usciranno più tardi come DLC… Spiacente fan di Waluigi di tutto il mondo!) è veramente interessante vedere come gli sviluppatori abbiano fatto di tutto pur di offrire al giocatore una lotta, seppur scarna, con questi ipotetici personaggi al di là del semplice colore: la lotta contro Rocky, uno dei nemici/amici di Kirby che permette la trasformazione in roccia nella sua saga, è rappresentata da una battaglia contro più Kirby ma l’unico attacco che questi faranno è solamente la mossa speciale in basso, la trasformazione in roccia, esattamente il potere che conferiva questo nemico a Kirby nei suoi giochi! È davvero uno spasso riconoscere tutti questi segnali, specialmente per i “nintendari” più affiatati!
In questo overworld, costruito all’incirca sulla falsariga dei Super Mario in 2D, incontreremo questi spiriti sotto forma di aura luminosa e una volta superata la sua battaglia lo otterremo e sarà disponibile nel nostro arsenale degli spiriti. A ogni modo, il vagare per l’overworld alla ricerca di spiriti non è di certo tutto, né l’esplorazione sarà così lineare come pensiamo: al di là dei semplici incroci troveremo le palestre per attribuire ai nostri spiriti combattenti ulteriori abilità, le zone di esplorazione, empori dove poter comprare spiriti esclusivi, ma anche sentieri bloccati dalle rocce, ponti rotti, ferrovie, laghi da attraversare ma soprattutto sub-aree tematiche, importantissime per procedere nell’avventura.
A ogni battaglia riceveremo inoltre delle sfere abilità da spendere nell’albero delle abilità del menù di pausa della modalità avventura: similarmente a Final Fantasy X o Fist of the North Star: Ken’s Rage (l’iconico spin-off della saga di Dynasty Warriors basato sulla saga di Ken il Guerriero per Xbox 360 e PlayStation 3) avremo una mappa delle abilità in cui espanderemo le nostre abilità spendendo le sfere, dal centro verso fuori. I giocatori potranno cominciare a sbloccare le abilità più avvantaggianti rispetto al loro stile di gioco, come per esempio migliorare le prese se ne sono grandi utilizzatori, ma una volta riempito il 50% delle abilità di questo albero (e ci vorrà del tempo) il nostro stile di gioco, inevitabilmente, diventerà un po’ troppo over-powered e ciò lederà un po’ alla fruizione della modalità avventura visto che le battaglie, nonostante gli avversari diventano sempre più forti, diventeranno molto facili, anche impostando la difficoltà a difficile. Nonostante tutto, questa modalità ci porterà a milioni di sorprese e proprio quando pensiamo che l’avventura stia volgendo al termine, ecco che ci sorprende con qualcosa di inaspettato (vogliamo rimanere più no spoiler possibili), sensazioni paragonabili al trovare il castello inverso in Castlevania: Symphony of the Night. Provare per credere!

L’ultima modalità del menù spiriti è il Tabellone degli spiriti. Qui si possono trovare grossissima parte degli spiriti che non siamo riusciti a trovare nella modalità avventura (e ve ne accorgerete guardando l’elenco degli spiriti nel sub-menù collezione) ed è di base, diciamo, un proseguo parallelo alla modalità avventura: in questo menù c’è un tabellone con 10 spazi, ognuno contenente uno spirito, dunque una battaglia alla fine della quale parteciperemo a un minigioco che ci permetterà di ottenere effettivamente lo spirito. La particolarità sta nel fatto che questi 10 spazi hanno un tempo limite, 5 minuti per slot (15 se si tratta di uno spirito leggenda, uno raro), e perciò, anche qui, bisogna agire con astuzia e dar dunque precedenza agli spiriti che non abbiamo o ci servono per evocare gli altri spiriti nella modalità evocazione. In questa modalità, come possiamo aspettarci, gli spiriti appariranno casualmente e anche se troveremo spesso tanti spiriti che possediamo già vi garantiamo che quasi sempre troverete almeno uno spiriti che non avete; diciamo che la probabilità, nel tabellone degli spiriti, gioca a vostro favore, diversamente dalla vecchia macchinetta dei premi/slot machine di Melee e il flipper/pachinko di Brawl.
L’ultimo modo, invece, per ottenere gli spiriti è evocarli dall’apposito menù: qui troveremo ancora molti altri spiriti, molti dei quali non appariranno né nel tabellone degli spiriti né nell’overworld dell’avventura, e per ottenerli dobbiamo semplicemente sacrificare almeno due spiriti dalla nostra collezione. All’inizio sarà difficile scegliere quale e addirittura se evocare uno spirito, tanto che l’istinto naturale è quello di aspettare di collezionare dei doppioni per poi evocare uno degli spiriti, ma il nostro consiglio è tuttavia quello di buttarvi: anche se si perdono due o a volte anche tre, quattro spiriti l’importante è riempire la collezione, che non si priverà mai di uno spirito perduto, e anche se si perdono certi spiriti alla quale potreste essere particolarmente affezionati vi basterà sapere che quello che evocate sarà superiore in tutto rispetto a quelli che sacrificherete. Perciò non vi preoccupate, riempite la vostra collezione generale anche perché vi garantiamo che, a differenza di tutte le precedenti entrate della serie Super Smash Bros. in cui per ottenere tutti i trofei spesso e volentieri si ricorreva a Game Shark e Action Replay, sarà possibile collezionare tutti 1303 spiriti presenti nel gioco (perora), giusto per mostrare il vostro “spirito nerd” al mondo intero!
Ultima azione che potrete fare nel sub-menù collezione e congedare gli spiriti. In questo menù potrete liberarvi degli spiriti che non vi piacciono oppure dei doppioni, facendoli trasformare in basi e ottenendo dei punti spirito, che permettono il potenziamento coi snack degli spiriti combattenti e possono essere spesi per comprare gli oggetti in vendita negli empori della modalità avventura. Una base può esservi utile per il potenziamento degli spiriti combattenti ma in realtà sono ancora più ultili per le evocazioni: nel caso avevate già congedato, per farvi un esempio, un doppione, e dunque ottenuta la sua base (che rimarrà legata al personaggio dalla quale viene ottenuta), qualora serva il suo spirito per una evocazione potrete usare questa anziché sacrificare uno spirito.

Una nuova pietra miliare

Anche per questa generazione Sora LTD. e Bandai Namco, insieme a Nintendo e tutte quelle compagnie esterne che si sono offerti di partecipare a questo incredibile crossover come Sega, Konami, Capcom e persino Yacht Club Games e Way Forward (che hanno garantito la presenza di Shovel Knight negli spiriti e nel roster degli aiutanti e di Shantae solo negli spiriti), si sono letteralmente superati consegnando un gioco capace di offrire a un giocatore un quantitativo di ore infinite di gioco fra campagne single player, multiplayer locale e online. Non ci sono pecche in questo eccellente picchiaduro che non mostra alcun segno di invecchiamento… Se non un accorgimento (personale) che vorremo fare. L’unico punto a sfavore, secondo noi, di questo incredibile Super Smash Bros. Ultimate è proprio il sistema e la sezione degli spiriti. Per quanto funzionante, funzionale e chiara possa essere questa veste RPG nelle modalità in cui è applicabile essa, in parte, snatura ciò che è la serie in sé, ovvero un gioco picchiaduro in cui ogni secondo conta: per quanto ciò non intacchi il gameplay in generale e sia giustamente innovativa in un gioco del genere, essa è difficile da comprendere ed è un qualcosa che secondo noi, per quanto interessante, possa essere quanto di più lontano c’è da questo genere videoludico. E, in conclusione, vorremo anche sottolineare quanto abbozzata sia stata la scelta di soppiantare i trofei in favore degli spiriti, che sono in sé degli artwork originali dei giochi da cui provengono. Sì, sono molto belli, sì, è molto bello guardarli e inserirli stato senza dubbio molto più conveniente di creare dei modellini 3D da zero risparmiando tempo, denaro e spazio in memoria – sarà bastato buttare a casaccio una serie di file png – ma perché togliere le descrizioni che accompagnavano i trofei in Melee e Brawl? I vecchi giochi, sotto questo aspetto, non erano solo dei giochi competitivi ma erano anche delle vere e proprie enciclopedie dalla quale era possibile conoscere la storia di ogni trofeo, e dunque personaggio (o oggetto), rappresentato nei trofei, una vera e propria celebrazione della storia di Nintendo. Super Smash Bros. Ultimate è certamente un titolo inarrivabile… Ma forse non riesce ancora a detronizzare un gioco come Melee che, a distanza di quasi diciotto anni, risulta ancora incredibilmente attuale.
A ogni modo, come il titolo ci suggerisce, è il titolo definitivo di questa immensa saga che a sua volta ne abbraccia tante altre, il culmine del gameplay, il coronamento generazionale della “nintendosità” che ha soddisfatto in toto le aspettative degli appassionati. Decisamente un titolo obbligatorio per chi possiede un Nintendo Switch, un titolo che ancora ha ancora molto da dire grazie ai DLC che ancora devono addirittura essere annunciati.




Minit

Speedrunner: quante volte ci è capitato di vedere su YouTube un video di qualcuno che completa nel giro di  pochi minuti qualche gioco classico? Chi più o chi meno, tutti ogni tanto ci siamo detti: «caspita! Magari fossi così bravo!». Da oggi, per coloro che vogliono imitare i propri speedrunner preferiti, esiste un gioco adatto per questi esatti scopi, un gioco breve e minimale il cui slogan sembra proprio voler dire “less is more”: stiamo parlando di Minit, un titolo sviluppato da Kitty Calis, Jan Willem Nijman, Jukio Kallio e Dominik Johann. Come al solito Devolver Digital, che si è occupata della pubblicazione di questo titolo, ha ancora una volta premiato i game designer più audaci in quanto Minit è molto lontano da qualsiasi definizione o similitudine gli possiamo affibbiare, è un titolo unico che offre delle meccaniche mai viste prima, o per lo meno mai implementate in questo modo. Dunque cos’è che rende unico questo gioco? Vediamo insieme questo titolo per Nintendo Switch, ma anche presente per le restanti console e PC, macOS e Linux.

Maledizione! Un’altra spada maledetta!

Minit, in quanto a trama, offre l’essenziale, una storia breve che si svolge anche in pochi passaggi: troviamo in spiaggia una bella spada ma, una volta presa, scopriamo che è maledetta e dunque non solo non potremo più abbandonarla, ma ogni 60 secondi questa ci ucciderà, facendoci respawnare a casa nostra o in un’abitazione che fa da checkpoint intermedio. Chi non si arrabbierebbe in una situazione del genere? Il nostro obiettivo infatti sarà sporgere reclamo alla fabbrica di spade e capire cosa si cela dietro a questo lotto difettoso. Poste queste premesse, il gioco si pone come un insolito mix fra The Legend of Zelda, per l’overworld, il sistema di combattimento, crescita dinamica e il design generale, e WarioWare per l’assurda meccanica del limite di tempo e la bizzarria generale; dunque, come già accennato, ogni 60 secondi (o meno) ricominceremo sempre dallo stesso checkpoint e se non dovessimo completare quello che stavamo facendo in un determinato punto dovremmo tornare nello stesso e tentare una seconda volta, sperando che il timer non si azzeri una seconda volta. Queste strambe meccaniche sono veramente originali ma, anche se in maniera altalenante; il più delle volte gli obiettivi principali o le sidequest sono posizionati a una buona distanza dal checkpoint, dando al giocatore una buona dose di calma per risolvere i problemi che ci vengono posti, ma ci sono (meno) volte in cui tutto è abbastanza distante, dunque ci ritroveremo spesso nella situazione in cui spenderemo molti preziosi secondi solamente per recarci nel luogo della quest per poi risolverla con il tempo rimanente, appena sufficiente (soprattutto nella seconda quest in cui il timer passa da 60 secondi a 40 e non avremo la possibilità di raccogliere i cuori per aumentare la vita massima). Come risultato, torneremo di nuovo al checkpoint per ri-recarci al punto della quest con, ancora, i secondi necessari per risolverla e tentare la sorte una seconda volta. Non vogliamo dire che il gioco non sia stato testato (lo è, eccome), ma sarebbe stato meglio tarare l’overworld per i giocatori non abilissimi, soprattutto quei curiosi che non hanno idea di cosa sia questo gioco. Come tipico del gioco d’avventura, il nostro personaggio, obiettivo dopo obiettivo, diventerà sempre più abile e poco per volta saremo sempre più in grado di risolvere tutte le situazioni che ci si pongono di fronte. Anche sul fronte crescita, Minit offre sempre lo stretto indispensabile e i dialoghi comunicano sempre il minimo indispensabile, il tutto con il solito spirito strambo della quale il gioco è intriso; per quanto simpatico possa sembrare, a volte ci sono obiettivi indispensabili per continuare l’avventura e non sempre quello che dobbiamo fare risulta chiarissimo. L’area totale di gioco, alla fin fine, è piccola e dunque, anche girando a vuoto, prima o poi si porterà a termine un obiettivo più o meno rilevante; ci sarebbe piaciuto comunque giusto qualche informazione in più ma è anche vero che una volta scoperto il segreto della casa dei fantasmi il gioco potrebbe diventare giusto un po’ più semplice, anche se questo accadrà a gioco inoltrato (sempre se lo capiremo). Semplici sono anche i controlli: gli unici due tasti che useremo sono il tasto di attacco “B”, e il tasto di respawn “A”, per tornare più velocemente al checkpoint quando sarà necessario, un vero e proprio “suicide button” – Attenti solamente a non confondervi quando usate la spada nelle sezioni di combattimento; gamer con le manone: siete stati avvertiti! –.
In definitiva, Minit è un gioco molto breve ed è possibile completarlo in un paio d’ore… Se l’avremo completato almeno una volta! La forza di questo titolo sta proprio nella sua brevità, infatti il completare il gioco, all’inizio, in un paio di giorni per poi completare una seconda quest, che pone nuove difficoltà al giocatore, in un paio d’ore crea in insolito effetto di piacere, un rilascio estasiante di dopamina paragonabile, forse, a quello di uno speedrunner quando completa un gioco in tempo record. La nostra sfida, fra noi e noi (o altri), sta proprio nel completare Minit nel minor tempo possibile, con la percentuale di completamento più alta (che aumenterà, ovviamente, in base agli oggetti sparsi nell’overworld, le monete e i portacuori, tutte cose non indispensabili per il completamento della quest principale) e, possibilmente, con meno respawn possibili. Le meccaniche di questo titolo sono allo stesso tempo semplici e intriganti, anche se forse la breve durata del gioco potrebbe comunque ledere il gioco in termini di rigiocabilità – Insomma, a completare lo stesso gioco di continuo, anche segnando tempi da record, prima o poi stancherà! –. Ad ogni modo, una volta finita la prima run possiamo comunque avviare la seconda partita + o, se avremo completato un file con una percentuale di completamento pari al 110%, la Mary mode, una campagna in cui controlleremo un altro personaggio ma senza la meccanica portante del tempo limite, lasciandoci dunque liberi di esplorare il mondo che ci circonda in santa pace.

Don’t fight me, fight the system!

Nonostante gli strambi personaggi di questo mondo e le bizzarre premesse di questo titolo, Minit offre al giocatore una grafica vicina al deprimente, con soli due colori, bianco e nero, senza alcuna tonalità di grigio (simile in parte alla grafica delle schermate di combattimento di Undertale), anche se è chiaro comunque l’intento degli sviluppatori nel creare qualcosa con uno stile vicino al Gameboy. Visto il richiamo nostalgico sarebbe stato bello poter inserire più filtri di visualizzazione, un po’ come accadeva per il Super Gameboy (storico add-on per Super Nintendo che permetteva di giocare alla libreria della console portatile sul televisore di casa), ma invece Minit rimane ai due soliti colori, talvolta stancando un po’ la vista del giocatore, specialmente se giocato al buio. È bene dire comunque che, anche se questa grafica può non piacere, ha una sua originalità e serve, forse, a rispecchiare una sottile denuncia alla società odierna, che viene qui presentata piatta, senza fantasia, senza genuinità, corrotta, monotona e dedicata maggiormente alla produzione e al consumo sfrenato senza riflettere sulle conseguenze. Non pochi personaggi, appunto, ci diranno di non combatterli, rivendicando invece di combattere il sistema! Che possa essere una delle chiavi di lettura… Chissà!
La piattezza e la bizzarria generale si riflette anche nella colonna sonora, giusto con un po’ più stile: non sono presentati grandi temi pomposi, come ci si aspetterebbe in un’avventura a là The Legend of Zelda, ma vengono riprodotti dei temi molto semplici, spensierati, orecchiabili ma comunque molto piacevoli e di buona qualità. Diciamo che tentano di riproporre un po’ quello che è stato fatto con la grafica, delle melodie “ignoranti” – oseremo dire sceme! – ma tutto sommato memorabili. Le sonorità includono l’uso di chip sonori ma anche di strumenti acustici come kalimbe, chitarre e pianoforti (da come si può notare, soprattutto, ogni volta che si muore). In ogni caso, il comparto sonoro presenta un grosso problema: come è normale che sia, le aree, divise principalmente in quattro grandi zone, hanno temi diversi ma il loro continuo cambio e il passaggio nelle aree senza musica provocheranno spesso un alt nella riproduzione audio, finendo per sentire i soli effetti sonori. È un difetto “poco elegante”, visto che la colonna sonora è abbastanza piacevole e, l’unico modo per ripristinare l’audio, sarà chiudere l’applicazione dall’home e riavviare il gioco dal nostro ultimo salvataggio (che sono comunque automatici). Non sappiamo dirvi se la stessa cosa accade su Steam o sulle altre console ma è bene che Devolver, o chi di competenza, applichi presto una patch per risolvere questo problema, che non fa che ledere al godimento di questo particolarissimo titolo.

In… Breve!

Insomma, Minit è un titolo incredibilmente particolare e pone delle meccaniche così insolite che risulta davvero difficile trovare una fascia di giocatori alla quale possa interessare. Di sicuro consigliamo questo titolo ai fan di Devolver, poiché ancora una volta viene consegnato un titolo veramente sopra le righe e intriso di quella bizzarria tipica di questo studio texano e ai giocatori più folli, quelli che apprezzano meccaniche sperimentali come quella proposta qui e i design strani e singolari – insomma, non abbiamo ancora capito cosa è il protagonista: è un animale? È una persona? È un alieno? Boh! Magari non è importante saperlo! –. Tuttavia, al di là di queste due specifiche categorie, ci risulta veramente difficile consigliare questo titolo a un semplice fan, per esempio, della saga di The Legend of Zelda o a coloro che giocano a titoli più grandi e più complessi; non solo potrebbero non apprezzare la singolare presentazione di questo titolo ma potrebbero, più gravemente, non apprezzare le folli meccaniche del tempo limite e dello speedrunning qui proposto. Purtroppo Minit è, e potrebbe rimanere per sempre, un titolo incredibilmente di nicchia, inaccessibile, difficile da capire e da apprezzare; soltanto chi comprende le basi sulla quale questo gioco si fonda può trovare in Minit una genialità incompresa, anche se non è espressa in maniera eccelsa. A ogni modo, il modico prezzo di 9,99€ sullo store (addirittura meno se in saldo) non è certamente un ostacolo e perciò, se questa recensione vi ha incuriosito, vi invitiamo dunque a giocare a questo titolo strampalato e, soprattutto, breve ma intenso.




Crossing Souls

«Si può essere amici per sempre, anche quando le vite ci cambiano, ci separano e ci oppongono», cantavano i Pooh.
Sembrano questi i valori che Crossing Souls, gioco dello studio spagnolo Fourattic e pubblicato da Devolver Digital, ci vuole proporre, e lo fa inserendoci in un bel sobborgo americano nel ormai lontano 1986, anni più semplici in cui Michael Jackson era un istituzione, le buie arcade, illuminate da qualche luce al neon colorato, erano colme di videogiochi e non c’era internet. Questo magico gioco, che tenta un operazione simile a quella di Stranger Things o It per quel che riguarda il cinema e le serie tv, può essere giocato su PlayStation 4 e Steam ma di recente è uscito anche su Nintendo Switch, ed è la versione che prenderemo in considerazione.

Un sogno al neon

Tutto cominciò con un temporale che mando l’intera città di Tujunga in blackout. Il giorno dopo, in alcune zone della città cominciarono a presentarsi strani eventi sovrannaturali alla quale nessuno sapeva dare una spiegazione, come tazze di caffè volanti, strani omini che apparivano nelle bande statiche della tv, etc… Chris Williams, un semplice ragazzino di una tranquilla famiglia americana, riceve una chiamata al walkie talkie da suo fratello Kevin e lo invita a venire subito alla casa sull’albero, luogo in cui la loro cricca è solita a riunirsi. Una volta passati i primi guai nel tentativo di chiamare i restanti 3 amici, cioè Matt Bauer, “Big” Joe Carter e Charlene Baker, Kevin li porta alla sua “scoperta”, ovvero un cadavere in putrefazione ma, una volta trovatisi lì, fanno una scoperta ancora più impressionante: il defunto tiene in mano una pietra viola a forma piramidale che questa ha dei poteri sovrannaturali che sembrano consumare chiunque la tenga in mano, come se avesse delle proprietà radioattive. Matt, il cervellone del gruppo, decide così di inserire la duat stone in una sorta di walkman e stabilizzare il dispositivo con un fusibile gamma in grado di fornire al registratore gli 1,21 gigawatt  (inutile esplicitarvi la citazione, vero?) necessari per contenere il suo potere all’interno – già – e sfruttarlo in tutta sicurezza; in quel momento i cinque ragazzi scoprono che la pietra è in grado di mostrare l’aldilà a chiunque tenga il dispositivo in mano e perciò i ragazzi potranno vedere genti di altre epoche interagire col mondo che li circonda e altri elementi non visibili a occhio nudo. Tuttavia la duat stone è un oggetto molto ambito, sia dalla gang rivale del quartiere, i Purple Skulls capitanati dall’estroverso Quincy Queen, sia dal più temibile Maggiore Oh Rus, ex veterano del Vietnam creduto morto che vuole la pietra per i suoi malvagi piani. La banda si caccerà in diversi guai e sarà costretta, talvolta, ad affrontare problemi molto seri per ragazzi della loro età, ma lo spirito che lega i compagni sarà ciò che permetterà loro di affrontare le dure prove a cui si sottoporranno.
Crossing Souls, sul piano narrativo, si pone come un bel film anni ’80 che vede un bel gruppetto di amici alle prese con un problema più grande di loro, una trama tanto classica quanto instancabile e già vista in opere come E.T. l’extraterrestre, Goonies, It, i recenti Super 8, il già citato Stranger Things ma soprattutto il successo Stand by me – Ricordo di un’estate, tratto dal romanzo Il Corpo di Steven King, dalla quale prende più spunti di trama. Il gioco, chiaramente, non vuole porsi come un’opera innovativa o qualcosa per cui rimanere a bocca aperta ma semplicemente essere una sorta di sguardo a “vecchie fotografie da un album”, mostrandosi umile ma allo stesso tempo elegante e ricco di significato. Le tematiche sono per la maggior parte scherzose, oseremo dire avventurose, ma non mancheranno parti più serie e twist di trama più neri di quanto si possa immaginare; un po’ come nei film per ragazzi citati pocanzi, il gioco tenta anche di insegnare qualcosa ai più giovani, evidenziare quei valori fondamentali di amicizia e amore per imparare a crescere, affrontare le difficoltà che la vita ci pone davanti, essere uniti nonostante tutto e superare i momenti difficili. C’è probabilmente anche un lato spirituale che gli sviluppatori hanno probabilmente voluto comunicare in quanto tematica e meccanica fondamentale di questo titolo è proprio la vita dopo la morte; dopo che il corpo cessa di funzionare, lo spirito continua a esistere nel mondo in cui viviamo, le anime dei nostri cari ci accompagnano per le strade che percorriamo giornalmente e pertanto non siamo mai soli, anche quando ci sembra così. Il tutto ci arriva con una semplice ma squisita pixel art resa col motore grafico Unity, dettagliata e colorata quanto basta per rendere riconoscibili tutti quei mille riferimenti alla cultura pop di quegli anni, e delle cutscene animate (con tanto di sfarfallio tipico da VHS) fra un capitolo e l’altro che si ispirano ai migliori cartoni animati degli anni ’80 come le Tartarughe Ninja, He-Man, i Thundercats, i Transformers o i film animati di Don Bluth, autore per altro dei grandi giochi arcade in laserdisc Dragon’s Lair e Space Ace. Per riportarci indietro nel passato, questo gioco si avvale di un’eccellente colonna sonora letteralmente divisa in due: una parte, composta dall’artista timecop1983, ha un animo synthpop, che sfrutta anche in parte le sonorità e il low-fi tipico dell’attuale vaporwave, reminiscente di band come Blondie, Go West, Prince, Michael Jackson, Frankie Goes to Hollywood, Rick Astley e molti altri, e questi brani saranno per lo più presenti nelle fasi esplorative del gioco, le parti in cui bisogna sentire quei lontani echi di questi tempi ormai andati; per il resto, in molte altre fasi del gioco, ci sono proposti dei brani orchestrali, composti da Chris Köbke, che si rifanno allo stile compositivo pomposo di John Williams, in grossa parte, ma anche ad altri come Alan Silvestri o Bill Conti. Tutti i brani accompagnano perfettamente ogni situazione, sia nelle cutscene animate sia durante l’azione o i dialoghi, e ciò che è stato fatto per questo titolo è realmente sensazionale; si può perfettamente confermare che l’alchimia fra grafica e sonoro è veramente di altissimi livelli.

All’avventura

Crossing Souls si presenta come un titolo dalla prospettiva bird eye reminiscente dei Legend of Zelda più classici ma l’aspetto generale ricorda forse, più concretamente, uno di quei shooter alla Zombies ate my Neighbors (e dunque anche un più recente Milanoir o Tower 57); con una prospettiva del genere ci si aspetta che il gioco offra molte possibilità per quel che riguarda l’esplorazione e il backtracking eppure questo titolo è molto straightforward, molto diretto, non dando neppure la possibilità di rivisitare nessun luogo, a meno che la sua struttura in capitoli non lo permetta. Nessun problema contro questa scelta ma in Crossing Souls è molto bello esplorare, anche andare in giro senza una meta solo per andare a caccia di easter egg, senza contare che ci sono dei collectable secondari molto divertenti da trovare e da analizzare sul menù, ovvero documenti classificati che aiutano a capire la backstory della trama, VHS di film, musicassette e videogiochi con titoli storpiati e descrizioni assurde; il fatto di non poter tornare indietro per raccogliere questi oggetti, anche a storia inoltrata, è decisamente un fattore negativo. Nonostante tutto, il gameplay proposto è molto variegato e profondo per rendere questo titolo un esperienza memorabile: le fasi di esplorazione si alternano con fasi beat ‘em up, probabilmente anche un po’ hack ‘n slash, ed entrambi gli elementi si fondono insieme molto bene. Nessuna delle due fasi risulterà mai noiosa o tediosa, perciò si può dire che il flow del titolo è davvero piacevole, anche se in certe sezioni le prime risultano un po’ vuote e le seconde un po’ sature di nemici. Tuttavia, per via della dettagliatissima storyline proposta, il gioco alterna fasi di azione e fasi di dialoghi molto di frequenti e ciò, anche se decisamente necessario, rovina un po’ il pacing proprio quando siamo molto presi a scazzottarci coi bulli di quartiere o con gli spiriti usando la duat stone. Parlando di questa specifica meccanica, quando saremo in possesso di questa pietra, non ci sarà mai un vero motivo per cui non usarla; tendenzialmente, alternando i due mondi con “ZR”, non c’è ragione di visualizzare il “mondo dei vivi” dal momento che se abbiamo “la visione dell’aldilà” riusciamo a vedere tutto quello che vedremo normalmente insieme agli elementi sovrannaturali. È vero anche che più in là le due visioni dovranno alternarsi più frequentemente per rendere effettivo l’ausilio di uno dei personaggi che, scusate lo spoiler, ci lascerà, ma il punto è che non c’è motivo di tenere la duat stone disattivata se non per resettare la posizione di questo specifico membro. In poche parole, ci sono più NPC e interazioni con la prospettiva dell’aldilà e pertanto l’attivazione o la disattivazione della duat stone è superficiale.
I cinque personaggi del team presentano tutti caratteristiche e abilità diverse e pertanto si compensano a vicenda perfettamente. È normale che, da giocatori, preferiremo utilizzare uno dei ragazzi più di qualcun altro ma l’ambiente ci costringerà a cambiare i personaggi di continuo e dunque mai nessuno sarà superficiale o messo in disparte; c’è molta collaborazione fra i personaggi, selezionabili in sequenza premendo il tasto “L”, e perciò il team funzionerà perfettamente in quanto le singole abilità di qualcuno sono cruciali per andare procedere nei capitoli. Alcuni sono più bravi nelle fasi lotta, alcuni più resistenti, altri più veloci, agili e dunque più utili nell’esplorazione; le possibilità sono molteplici e ciò è segno di un gameplay ben bilanciato e vario allo stesso tempo. Più avanti l’azione varierà ulteriormente offrendo al giocatore fasi di guida, come l’inseguimento in bicicletta che è un chiaro tributo alla famosa scena di E.T. l’Extraterrestre, puzzle e persino in volo dalle sembianze di uno shooter tradizionale; un buon elemento per mantenere il gameplay fresco e il giocatore incollato allo schermo.

Let’s do the time warp!

Crossing Souls è decisamente un titolo al quale è stato riversato tanto amore e passione e ciò lo si può evincere dalla toccante storia (e il suo bellissimo finale), i diversi easter egg sparsi per l’ambiente, le descrizioni dei collectable e degli abitanti della città di Tujunga nel menù e dal suo gameplay, nonostante qualche intoppo, bilanciato e vario. Gli unici peccati di questo titolo sono un pacing spesso interrotto e l’averlo concepito in maniera così diretta e dunque dare al giocatore lo stretto indispensabile per ciò che riguarda l’esplorazione e un eventuale backtracking per collezionare gli oggetti secondari che avrebbero potuto incentivare una longevità già buona di suo (e questi sono, sì, inutili ma molto divertenti da trovare per poi leggere le assurde descrizioni); ciò che dobbiamo fare per avere un file completo al 100% (per così dire) sarà avviare un nuovo file di salvataggio e ricontrollare ogni angolo degli ambenti, magari aiutandoci con un walkthrough. Ci siamo inoltre imbattuti in alcuni brutti bug che avvengono col contatto con certi angoli degli ambienti; alcune volte il nostro personaggio passerà attraverso certi muri e non sarà più possibile tornare indietro (alcune volte questi ci catapultano, senza un apparente motivo, in altre parti dell’area) perciò l’unica cosa che possiamo fare è uscire dalla nostra sessione di gioco e ricominciare dall’ultimo salvataggio evitando il contatto con quel particolare punto (ma fortunatamente nessuno di questi comporta un errore di sistema).
In definitiva però non possiamo fare altro che applaudire Fourattic e al suo splendido titolo per il suo gameplay tanto tradizionale quanto divertente e per il suo messaggio di puro amore universale, trasmessoci da semplici ragazzi di quartiere pronti a qualsiasi cosa per il prossimo. Il prezzo di 14,99€ sul Nintendo eShop è un buon compromesso e perciò potrete avere un ottimo titolo in grado di intrattenervi  per molto tempo in un mondo al neon ormai andato. Davvero spettacolare!




Uno sguardo a Castlevania: Symphony of the Night

Castlevania è una delle saghe più classiche e importanti del landscape videoludico, una serie di giochi avvincenti che nel tempo si sono saputi reinventare, ponendo ai giocatori sfide sempre nuove grazie a meccaniche sempre fresche e innovative. I recenti successi del Kickstarter di Bloodstained: Ritual of the Night, avviato dal padrino della saga Koji Igarashi e il già uscito Curse of the Moon hanno spinto Konami a rivedere la loro IP dall’alto in basso in modo da riportare la storica saga dei cacciatori di vampiri al suo originale splendore, anche se con risultati hit or miss: l’anno scorso abbiamo visto l’eccellente serie anime su Netflix basata su Castlevania III: Dracula’s Curse (di cui dal 26 Ottobre saremo in grado di vedere la seconda stagione) un nuovo gioco su iPhone, Castlevania: Grimoire of Souls, ancora in beta ma comunque non ben visto dai giocatori, ma soprattutto il recente annuncio di Castlevania: Requiem, una collection contenente i due capitoli della sub-saga Dracula X, cioè Castlevania: Rondo of Blood, gioco originariamente concepito per PC-Engine CD, e lo storico Castlevania: Symphony of the Night per PlayStation. Quest’ultimo è stato in grado di rilanciare la saga in un landscape di giochi in 3D, un titolo che ha letteralmente gridato al mondo che con le formule classiche dei giochi in 2D si poteva fare ancora molto e, se oggi i sidescroller dai gusti retrò sono molto popolari, che siano platformer nel senso più classico o metroidvania, lo si deve in grossa parte a titoli come questi. Oggi su Dusty Rooms, vista l’imminente uscita di Castlevania: Requiem (anche questa, come la serie anime, giorno 26) e il 21esimo anniversario del rilascio di Symphony of the Night in nord America, daremo uno sguardo al titolo più importante della saga, alle innovazioni portate e anche alle diverse versioni disponibili.

Il metroidvania per eccellenza

Nel 1994 Super Metroid perfezionò un genere prima d’allora poco definito e poco popolare; la più grande innovazione che portava a livello di fruizione era la mappa in-game chiara e intuitiva, dove erano segnati i punti di salvataggio, i punti di ricaricarica, i luoghi già visitati e quelli ancora da scoprire. In casa Konami, Castlevania: Rondo of Blood riscosse un ottimo successo in Giappone ma per via dell’insuccesso del PC-Engine CD negli Stati Uniti, lì rinominato Turbografx-16 CD, il gioco non fu mai rilasciato da quelle parti. Per compensare la sua assenza venne prodotto un porting per Super Nintendo nel 1995, rinominato Castlevania: Dracula X in Nord America e Vampire Kiss in Europa, ma ciò che arrivò era troppo distante dal gioco originale e perciò i fan cominciavano a presagire che la saga si stesse dirigendo in cattive acque. In realtà, Koji Igarashi, da poco reduce del successo di Rondo of Blood alla quale lavorò, fu incaricato di creare un nuovo titolo della saga e così Konami lo mise dietro a  Castlevania: Bloodletting per Sega 32X ma ben presto, come l’add-on si rivelò un insuccesso, lo sviluppo del gioco passò a Sony dove poi fu completato e coniato in Castlevania: Symphony of the Night. Già nelle prime fasi del progetto, Iga non voleva lanciare l’ennesimo capitolo della saga ma voleva comunque mantenere la formula platform che aveva reso iconica la saga degli ammazza-vampiri. Ispirato dal già citato Super Metroid e la saga di The Legend of Zelda, nonché dalle critiche mosse a Castlevania II: Simon’s Quest (titolo per NES che offriva la medesima impostazione del futuro Symphony of the Night), Iga implementò un gameplay simile che favorisse sia la longevità che l’esplorazione e il puzzle solving, entrambe caratteristiche non sue.
Il risultato fu semplicemente eccezionale: la nuova veste action-platformer, da lì in poi, appunto, rinominata in metroidvania, si adattò perfettamente al gameplay già ottimo di Castlevania e concentrò il nuovo gameplay sull’esplorazione graduale del castello di Dracula, ovviamente possibile collezionando i power up e le abilità per Alucard uno alla volta, una sezione del castello per volta. La storia è ambientata nel 1796, quattro anni dopo le vicende di Rondo of Blood: Richter, Belmont è scomparso e il castello di Dracula riappare dal nulla in una notte di luna piena; Alucard, vampiro e figlio del conte (analizzate bene il suo nome, non notate niente?), corre nel castello per poi trovare al suo interno la Morte, braccio destro di Dracula che lo spoglia di ogni equipaggiamento, Maria Renard, una cacciatrice di vampiri, e un Richter Belmont che crede di essere il padrone del castello e un signore delle tenebre. Si scopriranno ben presto gli stratagemmi del conte e spetterà a noi svelare la verità sul lavaggio del cervello di Richter e scongiurare il ritorno di Dracula una volta e per tutte. Castlevania: Symphony of the Night è il primo titolo della saga (ma anche l’unico in 2D) ad avere dei dialoghi interamente doppiati: anche se a tratti possono sembrare buffi, servirono a dare la giusta importanza alla storyline proposta e uno storytelling che, prima d’allora, era riservato primariamente ai giochi in 3D, ancora una volta, dunque, rivendicando l’importanza dei giochi d’impostazione classica. Insieme agli elementi tipici del genere metroidvania, come appunto il backtracking, i power-up e le abilità collezionabili che ne permettono l’esplorazione graduale, in Symphony of the Night vengono introdotte tantissime feature RPG, prima fra tutti il sistema di level up basato sui punti di esperienza che si ottengono ogni volta che un nemico (o boss) viene annientato e ciò permette una crescita ancora più dinamica del nostro personaggio che vedrà incrementarsi i punti di attacco e difesa gradualmente; se ciò non bastasse, sarà possibile equipaggiare il nostro Alucard con nuovi mantelli, armature, stivali, armi diverse dalla spada, Famigli (degli spiriti che ci accompagneranno durante la nostra avventura) e accessori che possono renderlo immune o più resistente a fuoco, ghiaccio, oscurità, luce e persino aculei. Il castello in sé è gigantesco e pertanto Symphony of the Night garantisce una longevità non indifferente, migliorata peraltro grazie alla campagna aggiuntiva con Richter Belmont.
Potremmo parlare ad nauseam delle novità introdotte in questo capitolo ma, non volendovi parallelamente rovinare una prossima esperienza con Castlevania: Symphony of the Night, vorremo sottolineare la sua importanza per la saga e per il landscape videoludico. Da un lato, Symphony of the Night è ancora l’unico Castlevania di questa impostazione a essere stato sviluppato per console: Castlevania: Circle of the Moon, Harmony of Dissonance, Aria of Sorrow, Dawn of Sorrow, Portrait of Ruin e Order of Ecclesia, che sono i titoli metroidvania della saga, sono tutti stati sviluppati per gli handheld Nintendo, fra il Gameboy Advance e il Nintendo DS. Le eccezioni in 2D, per console, sono state fatte e ne sono un esempio Castlevania: Harmony of Despair, un gioco co-op online, e The Adventure ReBirth che uno stage by stage ispirato a Castlevania: The Adventure per Gameboy; tuttavia, nessun metroidvania è apparso per console dopo Symphony of the Night e pertanto questi giochi sono stati riservati al piccolo schermo. Per il resto, su console, è stato inseguito fino all’ultimo il sogno di vedere la saga in un ambiente in 3D e i risultati, per quanto si possano amare o odiare, non sono mai arrivati ai livelli dei metroidvania, probabilmente neanche con il filone reboot Lords of Shadows. Anche se non abbiamo più visto un Castelvania in questo stile per una console, Symphony of the Night ha dimostrato ancora di più cosa era possibile fare con questo stile di gioco e da lì in poi, più che altro con l’inizio del nuovo millennio, sono cominciati a uscire grandi titoli indipendenti che si rifacevano al suo stile e a quello di Super Metroid. Ne sono grandi esempi Cave Story, Ori and the Blind Forest, Shadow Complex, Guacamelee, i giochi della saga di Shantae e la lista non si ferma a questi pochi titoli. Il punto è che Castlevania: Symphony of the Night ha avviato una vera rivoluzione e la sua importanza si vede nei titoli cloni rilasciati, i fan che finanziano in pochi minuti il Kickstarter di Koji Igarashi e persino nella risposta di Konami nel rilasciare a breve Castlevania: Requiem per PlayStation 4. Non a caso Symphony of the Night è uno dei titoli più belli della storia dei videogiochi e giocarlo, per un vero giocatore, è quasi un obbligo.

Giochiamoci!

La cosa più saggia da fare, in questo momento, è aspettare l’uscita del prossimo Castlevania: Requiem e godersi Symphony of the Night in questa nuova generazione. Tuttavia ci chiediamo: quale versione inseriranno nella collection? Eh si, di Castlevania: Syphony of the Night esistono tante versioni, recuperabili in molte piattaforme; pertanto, sia per i più curiosi che per i più impazienti che vogliono recuperarlo prima del 26 Ottobre (in quanto, giustamente, non tutti abbiamo una PlayStation 4), vi spiegheremo in dettaglio tutte le versioni disponibili.
La prima, la versione per PlayStation, è quella più pura e pertanto è la migliore della generazione 32 bit: i controlli sono studiati per il set di tasti del joypad di PlayStation, così come tutto il comparto grafico e la programmazione generale che permette tempi di caricamento brevi e azione veloce anche quando nell’area di gioco ci sono molti nemici. Questa è la versione che è stata presa come riferimento per le future re-release su PSP, come bonus del gioco Castlevania: The Dracula X Chronicles, e su Xbox 360 Live Arcade. Tuttavia, se volete giocare la versione originale per PlayStation, le copie originali PAL e NTSC-U costano parecchio e l’unica alternativa e puntare alle versioni NTSC-J, sempre molto costose ma più convenienti rispetto alle versioni americane e europee. Per quanto la critica fosse a favore di Castlevania: Symphony of the Night, il gioco non vendette benissimo e questo è il motivo principale dell’odierno sovrapprezzo.
L’anno successivo, nel 1998, uscì una versione per Sega Saturn, da molti vista come una sorta di passo indietro, il ché fu molto strano viste le capacità della console rivale in ambito 2D. Il porting fu affidato a Konami Computer Entertainment Nagoya, un team diverso da quello originale e, durante lo sviluppo, vi furono diversi problemi che portarono a una versione evidentemente poco curata: notabile sin dall’inizio e l’immagine “allargata” e non adattata per la maggiore risoluzione del Saturn, distorcendo così gli sprite di alcuni nemici particolarmente grandi; le cutscene all’inizio e alla fine del gioco poterono invece godere di questa feature ma l’immagine, stavolta, fu ristretta e per tanto non erano in fullscreen. Ad aggravare la situazione c’erano anche gli eccessivi tempi di caricamento, presenti persino alla transizione da un’area del castello all’altra, al richiamo del menu e al richiamo della mappa (che, in assenza di un tasto select nel controller del Saturn, si doveva richiamare dal menu di pausa. Dunque due caricamenti di fila!), i rallentamenti durante le sezioni più animate e la famosa assenza degli effetti di trasparenza necessari per rendere al meglio le cascate e gli ectoplasmi; tuttavia, probabilmente verso la fine dello sviluppo, il team riuscì a sviluppare correttamente gli effetti di trasparenza, come dimostrato dala battaglia contro Orlox, ma essendo in ritardo con i tempi di consegna avranno consegnato il gioco senza poter sistemare le restanti imperfezioni. A ogni modo, nonostante questi difetti, la versione per Saturn risulta la più ricca di contenuti e alcuni fan sono in grado di confermare che questa è la migliore versione di questo titolo: il gioco permette sin da subito di selezionare, alla creazione del file, Alucard, Richter e persino Maria, che oltre a essere un personaggio giocabile è anche un boss nella campagna principale. Poi, grazie alla disposizione dei tasti del Saturn, ad Alucard è stata aggiunta una “terza mano” utile per assegnargli le pozioni per recuperare vita o i punti magia (nella versione per PlayStation bisognava entrare nel menu, assegnare la pozione alla mano sinistra, tornare nel gioco e consumarla durante l’azione), sono stati aggiunti i Goodspeed Boots che permettono, una volta raccolti, di correre più velocemente e attraversare alcune zone del castello in modo rapido premendo due volte avanti, più nemici, più boss, più Famigli e due zone inedite dalla versione PlayStation. Le aggiunte di questa versione vanno a perfezionare il gameplay già ottimo di Castlevania: Symphony of the Night ma purtroppo l’unica feature recuperata per le versioni successive è la campagna di Maria Renarde per la versione PSP. Koji Igarashi è cosciente del fatto che molti fan vogliono la maggior parte delle feature per Saturn ma nel 2007 ha apertamente espresso che non si sente a suo agio con quella determinata versione e non sopporta il fatto che ci sia il suo nome sopra. Probabilmente le feature di questo porting non torneranno più ma in fondo, è anche vero che non sono indispensabili per godere appieno di questo gioco, specialmente visti i gli assurdi prezzi di questo gioco per Sega Saturn su eBay.
Nel 2006 Castlevania: Symphony of the Night è stato rilasciato per Xbox 360 Live Arcade e questa particolare versione si rifà esattamente alla versione per PlayStation; in aggiunta alla dashboard online e agli achievement, è stata la prima versione del gioco in HD e, grazie alla potentissima architettura della console Microsoft, sono stati corretti persino quei pochi rallentamenti presenti nella versione originale. Con buona probabilità questa sarà la versione che troveremo giorno 26 Ottobre per PlayStation 4 però, chissà: troveremo qualcosa della versione del Saturn? Troveremo qualcosa di completamente inedito, come una campagna con Trevor Belmont, Sypha Belnades e Grant Danasty visto che in un punto del castello si combatte contro i loro fantocci? Non possiamo fare altro che aspettare e sperare di trovare una versione ancora migliore delle precedenti!




Dusty Rooms: 32 anni di Metroid

Nel 1985 il Nintendo Entertainment System sanciva una volta per tutte la fine della crisi dei videogiochi in Nord America, sostituendosi ad Atari nel mercato delle console. Col suo spettacolare lancio, prima circoscritto nello stato di New York con i giochi “Black Box” (ovvero quelli con lo stesso box-art nero come Excitebike, Clu Clu Land o Wild Gunman) e poi in tutti gli Stati Uniti in bundle con Super Mario Bros., l’allora semi-ignota compagnia giapponese cominciava la sua scalata al potere e, come Atari lo fu per la precedente generazione, Nintendo si poneva come sinonimo di videogioco. Come il NES fu posto era chiaro a tutti: la nuova console 8-bit era un HI-FI casalingo, da accostare tranquillamente al videoregistratore, mangianastri o giradischi, pensato per tutta la famiglia e, i giochi proposti, riflettevano senza ombra di dubbio queste scelte di mercato. Tuttavia, nel 1986, Nintendo decise di lanciare un gioco più tetro, decisamente molto distante dai tipici colori accesi per la quale il NES stava diventando famoso; oggi, per i suoi bei maturi 32 anni, daremo uno sguardo a Metroid e i suoi sequel, una saga Nintendo diventata con gli anni sinonimo di eccellenza tanto quanto quella di Super Mario eThe Legend of Zelda, se non persino superiore.

Un gioco rivoluzionario

Metroid uscì per il Famicom Disk System il 6 Agosto 1986 ponendo atmosfere ed elementi di gioco mai visti prima. Sebbene l’action-platformer, più comune oggi come metroidvania, fosse già stato implementato in precedenza (anche se non è facile trovare una vera origine) questo è il titolo che lo ha reso famoso e ha messo le basi per tutti quei giochi che avrebbero voluto emulare questo nuovo tipo di gameplay. Metroid presentava un gameplay sidescroller tradizionle à la Super Mario Bros. ma con un overworld immenso completamente interconnesso grazie a portali, bivi, cunicoli e ascensori; per poterlo esplorare interamente i giocatori avrebbero dovuto trovare i diversi power up per l’armatura di Samus Aran per poi tornare in determinate sezioni dell’overworld e usarle per arrivare in dei punti altrimenti inaccessibili. Diversamente dai più colorati Super Mario Bros. e The Legend of Zelda, dalla quale traeva un pizzico della sua componente puzzle solving, il gameplay di Metroid era volto a far sentire il giocatore un vero e proprio “topo in un labirinto”, sperduto e isolato per via dei suoi toni cupi, fortemente ispirati al film Alien di Ridley Scott, e la totale assenza di NPC con la quale interagire; pertanto, il giocatore era spinto a usare tutti i mezzi a sua disposizione, pensare fuori dagli schemi e, in un certo senso, superare la quarta parete che lo separava dal videogioco disegnandosi, per esempio, la mappa dell’overworld in un foglio di carta accanto a lui (visto che non era presente alcuna mappa in-game).
Il gioco sancisce ovviamente la prima apparizione di Samus Aran, il cui sesso rimase ignoto ai giocatori fino al termine dell’avventura. Sebbene la scelta di rendere donna il personaggio principale fu una decisione presa durante le fasi finali dello sviluppo per creare un effetto shock (principalmente perché nel libretto ci si riferiva a Samus come un lui), fu anche una scelta molto saggia per ciò che riguarda la rappresentazione dei protagonisti donna nel mondo videoludico. Per la prima volta, una ragazza veniva messa allo stesso livello dei virili eroi che erano spesso protagonisti dei giochi d’azione; Samus spianò senza dubbio la strada a tante altre audaci protagoniste femminili, come Lara Croft, Jade e Jill Valentine, e grazie a lei il muro che separava gli eroi dalle eroine fu definitivamente abbattuto. Insieme a lei, Metroid introdusse molte delle caratteristiche che definirono il suo gameplay e che sussistono ancora oggi, come le sezioni da percorrere in morfosfera, i passaggi in cui ci servirà l’ausilio di un nemico da congelare col raggio gelo e i mille e mille segreti nascosti nella mappa del pianeta Zebes; non dimentichiamoci inoltre degli iconici nemici Kraid e Ridley, le forme base dei Metroid e la malefica Mother Brain. Giocare oggi con l’originale Metroid per NES è senza dubbio educativo e interessante ma non tutti, forse, possiamo accettare le lunghissime password, che includono lettere maiuscole, minuscole e numeri arabi, l’assenza di una mappa in-game (che ai tempi apparì per la prima volta soltanto nel primo numero di Nintendo Power nel 1988) e di un vero metodo per ricaricare l’energia di Samus. Pertanto, secondo noi, il miglior metodo per giocare alla prima avventura di Samus è senza dubbio il remake Metroid: Zero Mission per Gameboy Advance: in questa versione uscita nel 2004, possiamo godere di uno storytelling moderno, una mappa in-game rivisitata, sezioni inedite e tantissime nuove armi che si rifanno ai successivi capitoli.

Un sequel carente

Il primo sequel di questo gioco per NES arrivò nel 1992 su Nintendo Gameboy e il suo titolo fu Metroid II: Return of Samus. In questo nuovo gioco, Samus arriva sul pianeta SR388 per debellare la minaccia dei Metroid, eliminandoli definitivamente nel loro habitat naturale. In questa nuova avventura conosceremo questi parassiti più nel profondo in quanto affronteremo delle specie che si evolvono dalla forma base e sono decisamente più aggressive e pericolose. Metroid II è un capitolo spesso dimenticato dai fan ma ha comunque dato alla serie altre caratteristiche che hanno decisamente migliorato il gameplay proposto nel primo titolo per NES: per prima cosa, Samus può accovacciarsi senza entrare in morfosfera e può sparare verso il basso quando si trova in aria; vengono finalmente implementate le stazioni di ricarica, che permettono di ricaricare la nostra energia e la scorta di missili, viene fatta una chiara distinzione fra la Power Suit e la Varia Suit, che costituisce a oggi il design tipico della cacciatrice di taglie spaziale, ma soprattutto viene scartato il sistema di password in favore del più comodo salvataggio su RAM. Ciononostante, molte altre caratteristiche hanno limitato le forti potenzialità di questo gioco: la mappa in-game continuò a non essere presente ma la sua assenza fu compensata da un gameplay semplificato. L’azione si svolge nel sottosuolo del pianeta SR388 e dunque, più si scende più andremo avanti nel gioco. Tuttavia, è impossibile procedere fino a quando non bonificheremo una zona dai Metroid perché dei laghi di lava ce lo impediranno; una volta debellato il numero indicato in basso a destra nel menù di pausa,  potremo proseguire verso il livello inferiore, almeno fino al prossimo impedimento. Questa meccanica permette sicuramente a coloro che vogliono approcciarsi alla serie tramite questo gioco, un gameplay graduale, dove si perde quel senso di dispersione infuso col precedente titolo. Per via della memoria del Gameboy, le aree proposte sono abbastanza piccole ma cercare i Metroid presenti in una determinata sezione può risultare tedioso, in quanto si perde facilmente il senso dell’orientamento (sempre per l’assenza di una mappa in-game). Sempre per i problemi di memoria, gli unici boss che incontreremo sono i Metroid e nonostante ci siano diverse forme di tali nemici il gioco, sotto questo aspetto, risulta poco vario (essendo anche questi ultimi abbastanza facili da sconfiggere).
Essendo invecchiato male, Nintendo ha pensato bene di rilasciare giusto l’anno scorso Metroid: Samus Return per Nintendo 3DS che ripropone un operazione di remake simile a quella di Metroid: Zero Mission. A ogni modo, prima dell’intervento di Nintendo, lo sviluppatore indipendente Milton Guasti aveva rilasciato AM2R (Another Metroid 2 Remake), un remake indipendente dalle fattezze grafiche di Zero Mission e rilasciato gratuitamente su Gamejolt; con buona probabilità, la compagnia giapponese stava già sviluppando il remake ufficiale di Metroid II, perciò non poterono fare altro che bloccare i download del gioco. Tuttavia, ciò che viene caricato su internet ci rimarrà per sempre e perciò, con un po’ di fortuna, è ancora possibile trovarlo in siti diversi da Gamejolt (anche se noi vi consigliamo vivamente di giocare al remake ufficiale di Nintendo per 3DS).

L’eccellenza di Super Metroid

Dopo due anni, nel 1994, arriva il terzo capitolo della saga che riprende esattamente la storia dove l’avevamo lasciata. Il finale di Metroid II: Return of Samus vedeva la cacciatrice essere inseguita da un piccolo Metroid larvale in preda a uno strano imprinting; all’inizio di Super Metroid vediamo la nostra cacciatrice di taglie incubare la creatura in una capsula e cederla a un laboratorio scientifico. Una volta allontanata, Samus trova una strage e Ridley intento a rubare la capsula contenente il Metroid. Samus non riuscirà a fermarlo e così lo inseguirà fino al vecchio pianeta Zebes dove scoprirà che i pirati spaziali stanno costruendo una base per poter utilizzare i Metroid per i loro scopi terroristici.
Super Metroid elimina tutto ciò che rendeva tedioso il primo e il secondo capitolo, prendendone i suoi aspetti più riusciti, migliorandoli ulteriormente. In questo capitolo Samus può finalmente sparare in diagonale, vantando anche una maggiore mobilità sin dall’inizio grazie ai wall jump che, se impareremo a utilizzarli come si deve, potranno addirittura rompere le sequenze di gioco e ottenere armi e potenziamenti prima del normale andamento del gioco; non a caso, questo è uno dei giochi più gettonati dagli speedrunner, i cui scopi sono completare determinati giochi nel minor tempo possibile. Tornano tutti i power up dei precedenti titoli insieme ad alcuni nuovi, come la supercinesi, il visore a raggi-x, la giga-bomba e altri, che finiranno per diventare degli standard per tutta la serie. Grazie alla cartuccia di 24MB, la più grande mai prodotta prima dell’arrivo di Donkey Kong Country, è stato finalmente possibile inserire un’immensa mappa all’interno del gioco in grado di segnalare i luoghi già visitati e quelli ancora da scoprire, decretando così la fine dei giorni in cui giravamo a vuoto per Brinstar o ci arrangiavamo con carta e penna. Grazie inoltre alla potenza del Super Nintendo è stato possibile creare una grafica iper-dettagliata (per l’epoca) che finalmente riusciva davvero a dare quelle sensazioni che il primo titolo sperava di dare, ovvero quel senso di profondità, isolamento, e anche paura, dovuto all’isolamento, alla solitudine e al doversi trovare a che fare con specie aliene di cui non sappiamo niente; il tutto accompagnato da una componente di storytelling che si srotola senza alcun dialogo ma sempre chiara: man mano prendono luogo i momenti salienti della trama, specialmente durante l’avvincente finale del gioco, e da una colonna sonora magistrale resa possibile grazie all’impressionante chip sonoro S-SMP. Per tutti questi motivi Super Metroid si annovera fra i migliori giochi mai creati e ancora oggi risulta incredibilmente attuale e intenso, come del resto lo è sempre stato. A oggi ci sono molti metodi per giocare questo gioco: se avete a casa un Nintendo 3DS o un Wii U potrete trovarlo tranquillamente sull’E-Shop, ma se volete un’esperienza più vicina all’originale allora vi converrà comprare uno SNES Classic Edition e giocarlo con il suo controller originale.

Pausa e ritorno in grande stile

Dopo il successo di Super Metroid nel 1994 era normale aspettarsi un nuovo capitolo della saga in 3D per il Nintendo 64, con nuovi controlli e un gameplay ancora più spettacolare del precedente. Tuttavia, Yoshio Sakamoto, il creatore, e Shigeru Miyamoto si ritrovarono senza alcuna idea per la nuova generazione, specialmente per ciò che riguardava i controlli e la prospettiva del gioco. Proprio per questo motivo non vi fu alcun Metroid per questa generazione. la sua unica apparizione su N64 fu per il divertentissimo Super Smash Bros. nel 1999 e poco dopo la sua uscita si riaccese la speranza di rivedere presto la cacciatrice di taglie più famosa di tutta la galassia. I fan dovettero aspettare ancora altri tre anni ma furono premiati con l’uscita di ben due nuovi giochi della saga per due diverse console: il primo fu Metroid Fusion, in 2D e sviluppato dalle stesse persone che lavorarono su Super Metroid e rilasciato su Gameboy Advance. la storia vedeva Samus Aran accompagnare una squadra di ricerca sul pianeta SR388 quando all’improvviso venne attaccata da una specie sconosciuta; mentre stava tornando alla base per ricevere soccorso, il parassita conosciuto come X entrò nel sistema nervoso di Samus arrivando alla stazione di ricerca in fin di vita. I parassiti X, che nel frattempo si stavano moltiplicando, avevano letteralmente fuso alcune parti della sua armatura sul corpo della protagonista, tanto è vero che i medici dovettero operarla con l’armatura addosso, rimuovendo le parti infette, con Samus in fin di vita; fortunatamente qualcuno trovo una cura, ovvero un siero a base del DNA del Metroid, predatore naturale del parassita X. Così, Samus fu salvata, perdendo buona parte dell’armatura, ma in compenso diventò immune ai parassiti X. Un altro prezzo da pagare fu l’avere le stesse debolezze di un Metroid, come la forte sensibilità al freddo; adesso si poneva una nuova avventura davanti a lei: recuperare le parti della sua armatura rimosse chirurgicamente e mandate alla stazione di ricerca B.S.L., luogo da dove ricevette inoltre un preoccupante allarme.
L’altro nuovo titolo, sviluppato da Retro Studios, era invece Metroid Prime, che avviava pertanto la nuova sottoserie in 3D. Il nuovo titolo per Gamecube fu visto all’inizio con molto scetticismo ma con le prime recensioni da parte di critici e fan, il gioco raggiunse presto il successo sperato. Si sentiva nell’aria una sorta di fallimento assicurato: si pensava che potesse succedere alla saga di Metroid quanto accaduto con Castlevania su Nintendo 64 ma fortunatamente, avvenne l’esatto contrario. Ogni elemento che rese grande la saga, come appunto le sezioni in morfosfera, l’esplorazione graduale e il forte senso di isolamento, fu rivisitato e rinnovato per un mondo 3D dinamico che funzionava alla perfezione; persino la mappa in 3D era chiara e capire dove si era stati e dove no era semplice come in Super Metroid. I controlli non si si rifacevano invece asparattutto “pre-dual analog” per Nintendo 64 come Goldeneye 007 o Turok; il secondo analogico, presente comunque nel controller del Gamecube (se è per questo, usato normalmente in altri FPS che uscivano sulla console), veniva usato per scegliere una delle quattro armi disponibili ma il gioco offriva un sistema di puntamento di precisione, a discapito dei movimenti e un sistema di mira automatica durante le battaglie più movimentate, compensando in maniera completa l’assenza di questa opzione. Il sequel Metroid Prime 2: Echoes, uscito nel 2004, presentava lo stesso schema di controlli ma, così come per il primo titolo, non rappresentò per niente un ostacolo per il successo del gioco. L’avventura, in questo capitolo, veniva letteralmente raddoppiata in quanto a un “light world” si sovrapponeva un “dark world“, un po’ come accadeva in The Legend of Zelda: a Link to the Past, e il gioco prese appunto nuove componenti di gameplay mai viste in precedenza: i controlli furono cambiati e in un certo senso ultimati in Metroid Prime 3: Corruption per Wii che sfruttavano, ovviamente, il sistema di puntamento proposto coi Wii-mote, sposandosi al meglio con un gameplay da FPS della saga Prime. Più tardi, nel 2009, tutti i tre titoli Prime furono rilasciati nella collection Metroid Prime: Trilogy, introducendo così i motion controlller anche nei primi due titoli della sotto-saga.

L’ultimo capitolo e i tempi recenti

Dopo la trilogia Prime, acclamata come una delle migliori della scorsa decade, garantire la medesima qualità era una mossa molto ardua, specialmente senza l’aiuto di Retro Studios che si concentrava a ridar vita a un altro franchise Nintendo smesso in disparte: Donkey Kong Country. In una mossa a sorpresa, Nintendo decise di allearsi con Team Ninja, autori delle acclamatissime serie Dead or Alive, Ninja Gaiden e Nioh, per concentrarsi su un Metroid che unisse sia componenti in 2D, sempre molto richiesta dai fan, che elementi in 3D. Ciò che ne venne fuori, nel 2010, fu Metroid: Other M, un titolo ibrido con sezioni in 2D ispirate a Super Metroid e fasi in 3D che presentano un gameplay dinamico, che ricorda in parte Ninja Gaiden, in cui in ogni momento possiamo cambiare la visuale in prima persona (sempre a discapito dei movimenti). Tuttavia, il punto focale era dare a Samus una voce e presentare il suo personaggio in una maniera tutta nuova, con dialoghi e monologhi (tal volta forse troppo lunghi). Il gioco ricevette opinioni discordanti da parte di critici e fan ma in fondo il tutto si riduceva a pareri soggettivi: il gioco in sé era buono e non presentava grosse sbavature ma in molti, di fonte a così tante novità, faticarono ad apprezzare il lavoro di Team Ninja e così Metroid: Other M rimane a oggi un bel gioco ma non imperativo per godere della saga di Samus.
La saga rimase dormiente fino al 2016, anno in cui fu rilasciato Metroid Prime: Federation Force per Nintendo 3DS, uno spin-off che nessuno voleva. All’E3 2015 il trailer ricevette 25.000 dislike e solamente 2500 like su YouTube; partì persino una petizione su Change.org per raccogliere 20.000 consensi per cancellare questo nuovo progetto ma nonostante le 7500 firme in un’ora l’obiettivo non fu mai raggiunto. Il gioco venne rilasciato l’anno successivo e, contrariamente a ciò che si presagiva, il gioco non fu distrutto dalla critica ma semplicemente accettato per quello che era. Fortunatamente, nel 2017, Nintendo si è rifatta, lanciando il già citato remake Metroid: Samus Return e, all’E3 dello scorso anno, un teaser trailer in cui fu annunciato che Metroid Prime 4 è momentaneamente in sviluppo per Nintendo Switch (anche se d’allora non abbiamo più ricevuto notizie).
L’esperienza dei fan con la saga ci insegna principalmente una cosa: Metroid è uno dei brand più importanti di Nintendo ed è proprio per questo motivo che non vediamo uscite frequenti, visto che ogni release, sia per i fan che per la compagnia stessa, deve essere speciale, portando una grande innovazione a livello di gameplay. Basta dare un occhiata al comparto spin-off della saga per niente numeroso: abbiamo solamente Metroid Prime: Hunters, Metroid Prime Pinball e Metroid Prime: Federation Force e ciò dimostra le intenzioni di Nintendo per non far di questa saga una sorta di Call of Duty o Assassin’s Creed; nonostante abbia un fortissimo appeal e grosse potenzialità il brand è intenzionato a mantenere quell’aura di sacro che da sempre l’ha contraddistinta e anche se i fan ogni volta dovranno attendere molto tempo fra un gioco e l’altro almeno si ha la semi-certezza che alla consegna verrà rilasciato un grande gioco, che sia un episodio principale o uno spin-off. Incrociamo le dita e aspettiamo pazientemente il prossimo Metroid Prime 4!




Moonlighter

Da giocatori, o più precisamente da avventurieri, siamo stati in una marea di negozi, fra venditori più o meno tirchi per comprare o vendere oggetti. Ma vi siete mai chiesti cosa si prova a stare al posto del venditore? Come fa questi ad avere tanti begli oggettini da vendere? Per la prima volta potremo scoprirlo in Moonlighter, il piccolo miracolo indie della Digital Sun Games pubblicato da 11 Bit che incorpora parti action à la The Legend of Zelda, e dungeon per raccogliere tesori, e parti da business simulator in cui dovremmo vendere, in base alla domanda e al valore, tutto ciò che abbiamo saccheggiato (o parte di esso) e gestire il nostro negozio e il piccolo villaggio dove risiede il nostro Will. Il titolo è disponibile per Playstation 4, Xbox One e PC, e quest’ultima è la versione che prenderemo in considerazione.

Sogno di un commesso viaggiatore

Una notte, vicino al villaggio di Rynoka, appaiono dal nulla delle porte che conducono a dei dungeon, delle cripte in continuo mutamento piene di tesori preziosi; si formano così due squadre di esploratori contrastanti, i mercanti e gli eroi. Di questi non molti fanno ritorno e, con l’aumentare delle vittime, gli abitanti del villaggio decidono di chiuderne tutte le entrate. Senza tesori da vendere, Will, proprietario del negozio Moonlighter, vive giorni molto bui, ma un giorno, armato del suo coraggio e la sua voglia di seguire le orme del suo avventuroso padre Pete, decide di andare di entrare in un dungeon per cambiare la sorte della sua attività ed essere sia un eroe che mercante. Il gioco si alterna in sezioni diurne, nelle quali potremo aprire il negozio al pubblico e guadagnare più soldi possibili, e notturne, che sfrutteremo principalmente per andare a saccheggiare i dungeon. La loro forma richiama immediatamente quella del primo The Legend of Zelda (stanze rettangolari con quattro porte) ma la particolarità di queste cripte, così come accennato nella storia, è che a ogni nostro ingresso troveremo una struttura diversa; i dungeon si comporranno su tre livelli e, più scenderemo nel profondo, più rari saranno i tesori che troveremo (ma anche più resistenti e forti i nemici). Non troveremo mai porte da aprire con delle chiavi: è possibile infatti fiondarci direttamente all’ingresso delle sezioni successive, ma il tempo che dedicheremo all’esplorazione verrà ripagato col ritrovamento di ceste che conterranno dei tesori molto preziosi oppure oggetti che potremo usare per costruire armi, armature, migliorie per quest’ultime o creare delle pozioni. Il nostro inventario è composto da 20 blocchi (disposti a 5×4) ma il disporre i tesori all’interno di esso non è molto facile in quanto tutti gli oggetti che raccoglieremo dalle casse (che saranno sempre quelli che valgono di più o i più utili nel crafting) avranno delle maledizioni o degli incantesimi particolari: alcuni dovranno essere messi obbligatoriamente sul fondo o sulla cima della nostra borsa, altri distruggeranno un oggetto vicino quando usciremo dal dungeon oppure non appena gli troveremo una collocazione nella borsa, altri si romperanno se prenderemo troppi colpi e altri ancora rimarranno oscurati fino alla nostra uscita; a ogni modo, sempre dalle casse, avremo modo di raccogliere dei tesori intrisi da incantesimi che possono distruggere le maledizioni sopracitate (e dunque poter raggruppare un determinato numero dello stesso tesoro in un solo blocco), mandare i nostri ritrovamenti più preziosi direttamente al Moonlighter liberando la nostra borsa oppure addirittura trasformare un tesoro vicino in uno più prezioso. Se proprio non abbiamo più spazio per portare altri tesori possiamo “sacrificare” i tesori allo specchio magico che trasformerà istantaneamente i tesori in denaro; una meccanica semplice e intelligente purtroppo rovinata dall’assenza di un tasto “seleziona tutto”, che si traduce nel dover portare ogni singolo oggetto (o gruppo di oggetti) dallo slot dell’inventario, o cassa, allo slot dello specchio che si trova in basso a sinistra… per ogni singolo tesoro! La gestione dell’inventario, insieme all’azione vera e propria, è decisamente l’elemento più importante e bisogna sin da subito capire il meccanismo delle maledizioni e incantesimi per poter fare uscire dai dungeon più tesori possibili al fine di migliorare il nostro equipaggiamento sin da subito senza perdere troppo tempo; a tal proposito, non ci sono molti tutorial e, per quanto l’inglese utilizzato nel gioco non sia eccessivamente astruso, bisognerà comprendere il prima possibile questi meccanismi per non finire nel logorio di un grinding che potrebbe rivelarsi lungo, talvolta erculeo, in quanto i prezzi del fabbro che crea le armi e la strega che prepara le pozioni sono veramente tarati per un margine d’errore vicino allo zero!
Per questa ragione – dover guadagnare denaro di continuo per ottenere le migliorie necessarie – ci toccherà andare in uno stesso dungeon più volte, con il risultato di un gameplay ripetitivo, ma ciononostante piacevole, in un certo senso molto simile alla meccanica dei 3 giorni proposta in The Legend of Zelda: Majora’s Mask; capiterà spesso che, per esempio, arrivati alla terza sezione non saremo abbastanza forti o non avremo un armatura decente e perciò potremo uscire in qualunque momento offrendo dei soldi al talismano o al catalizzatore (catalyst) che, a differenza del primo, potrà farci tornare nella stessa stanza del dungeon dalla quale siamo usciti (e dunque senza doverlo ripercorrere dalla prima sezione). Gli altri due modi per uscire dai i livelli sono i più classici, ovvero uccidere il boss di fine livello, che ci farà avere accesso ai tesori più preziosi della cripta, oppure l’essere sconfitto in qualunque parte del dungeon, che comporterà la perdita di tutti gli oggetti nella borsa a eccezione dei primi cinque blocchi in alto che rappresentano le nostre tasche (è meglio dunque mettere in queste posizioni gli oggetti più importanti). Per non morire dovremo capire sin da subito che tipo di approccio vogliamo utilizzare: Will potrà portare due delle cinque armi proposte nel gioco, ovvero spada e scudo, lancia, spadone, artigli e arco e frecce, e a ciò consegue che il giocatore potrà scegliere tra stili di gioco diversi. Abbiamo un temperamento audace? Preferiamo sferrare pochi attacchi ma potenti? Contempliamo per lo più attacchi ravvicinati? L’arma di base sarà la spada e lo scudo ma ben presto, come scenderemo nel Golem Dungeon, avremo modo di prendere i primi materiali per poter costruire le restanti armi e capire velocemente quale stile di combattimento ci si addice di più, anche perché Moonlighter non è affatto un gioco facile; fino a quando, procedendo nel gioco e finendo nei dungeon successivi, non avremo un’armatura completa (e possibilmente omogenea visto che possiamo comporre delle armature di stoffa, acciaio o ferro) i nemici ci faranno sempre il cappotto e perciò avere una buona armatura fin da subito è fondamentale. Controllare Will è molto semplice: si muove e attacca esattamente come farebbe Link in titoli come A Link To The Past anche se l’esperienza è rovinata da una sorta di legnosità generale (persino all’interno dei menù); i comandi rispondono bene, ma alternare attacco e difesa risulta un po’ astruso, specialmente se si usano armi diverse dalla spada e lo scudo, che si richiama col tasto B se si usa un controller per Xbox. Con le altre armi, al posto di difenderci con lo scudo, è possibile sferrare degli attacchi speciali (caricati) e dunque mettere al tappeto i nemici in tempi più brevi; l’unica vera maniera per difenderci con le armi diverse dalla spada è il tasto RB che, in perfetto stile Link, farà allontanare Will con una capriola (che funzionerà ugualmente andando contro il nemico o tentando di superare un attacco a proiettile). Nonostante qualche piccola sbavatura, il gameplay puro risulta tuttavia molto piacevole, è molto soddisfacente uccidere i nemici per raccogliere i loro tesori e una volta abituati alla legnosità dei comandi si imparerà a sfruttare al meglio le capacità di Will; tuttavia, il gameplay all’interno dei dungeon non è che il 50% del gioco.

Che vada a lavorare!

Come abbiamo accennato prima, Will è il proprietario del negozio Moonlighter, che di giorno ci toccherà gestire accogliendo i clienti interessati alla nostra mercanzia. Ogni tesoro ha, diciamo, un valore oggettivo ma dovremo venderlo tenendo conto della domanda generale. Quando venderemo un oggetto per la prima volta, e dunque non ne conosciamo il giusto prezzo di vendita, dovremo fare attenzione alla reazione del cliente e, a seconda di questa, potremo ogni volta parametrarci. Ci sono 4 reazioni principali e saranno mostrate sul balloon al di sopra di ogni cliente intento a comprare un oggetto:

  • la prima ci mostra una faccina molto felice con degli occhi “a monetina”; questa reazione ci indica che il cliente ha trovato un oggetto a un prezzo stracciato e dunque, anche se faremo la sua felicità, la prossima volta che rivenderemo lo stesso oggetto ci converrà gonfiare un po’ il prezzo.
  • La seconda è una faccina normalmente felice; beccare questa reazione significa fondamentalmente aver trovato il prezzo perfetto e ci converrà mantenerlo a discapito della domanda.
  • La terza faccia è una faccina triste; solitamente il cliente eviterà di comprare l’oggetto ma è anche possibile che lo prenda ugualmente e lo pagherà per il prezzo stabilito. Tuttavia, se lo farà, farà abbassare la domanda generale e perciò quando vedremo un cliente reagire in questo modo e lascerà l’oggetto sullo scaffale ci converrà cambiare tempestivamente il prezzo prima che si verifichi lo stesso caso con uno che lo comprerà (ovviamente è possibile cambiare il prezzo durante le fasi di vendita).
  • L’ultima faccina è quella oltraggiata; se un cliente reagirà così di fronte a un oggetto significa che il prezzo supera di gran lunga il suo valore effettivo e perciò nessuno comprerà mai l’oggetto.

Tutti i dati che raccoglieremo sui tesori in fase di vendita, ovvero i prezzi correlati alle emozioni che vengono scaturite e il livelli della domanda, saranno segnati sul nostro quaderno del mercante e ciò ci sarà di grande aiuto sia in negozio che nei dungeon qualora ci troveremo nella situazione di dover scartare un oggetto in favore di un altro. A ogni modo, gestire un negozio (così come nella realtà) non consiste solamente nel piazzare degli oggetti sugli scaffali e nell’aspettare che i clienti vengano a comprarli; dobbiamo rendere l’ambiente piacevole e, come si solitamente si dice, avere gli occhi anche dietro la testa. È possibile anche intuire quale tipo di oggetto vogliono i clienti quando entrano (sempre da un balloon che appare sopra la loro testa), così come possiamo capire se qualcuno è intenzionato a rubare; noi non possiamo cacciare i ladri quando entrano ma dobbiamo stare attenti a non perderli di vista in mezzo alla folla e quando allungano le mani e tentano di scappare con la refurtiva dobbiamo fermarli tempestivamente con una capriola. Ai clienti, inoltre, non piace fare shopping in un ambiente scialbo e perciò dobbiamo fare in modo che si trovino a loro agio… così da far in modo che sborsino di più! Avremo modo di abbellire il negozio con oggetti da appoggiare al bancone o sui muri e ognuno di essi avrà un effetto particolare: alcuni faranno sì che i clienti lasciano una percentuale di mancia, altri fanno fanno scorrere il tempo più lentamente, altri diminuiscono i furti o fanno sì che in una giornata entrino più clienti del normale. Tuttavia nulla di tutto ciò è possibile fino a quando non apporteremo la prima modifica al negozio. All’inizio il nostro negozio sarà minuscolo e ci sarà spazio per giusto quattro oggetti per la vendita ma possiamo allargarlo utilizzando la bacheca al centro del villaggio dalla quale è possibile finanziare il proprio negozio per delle migliorie: queste includono l’allargamento del locale, l’aggiunta dei cesti per gli oggetti in offerta, casse più larghe per accumulare gli oggetti invenduti o quelli che ci servono per la creazione delle armi e pozioni, migliori letti, che ci faranno dormire meglio recuperando così della vita oltre il massimo, e migliori registratori di cassa per far sì che i clienti lascino una grossa percentuale di mancia (magari fosse così semplice nella vita vera). Un buon imprenditore però non è tale fino a quando non investe i propri soldi in altre attività; in Moonlighter avremo anche la possibilità di finanziare altre attività e queste ci daranno l’opportunità sia le fasi di vendita che la nostra esperienza nei dungeon. Dalla bacheca potremo finanziare un fabbro, che ovviamente ci costruirà le armi e le armature, un negozio di pozioni, un negozio simil Moonlighter che venderà gli stessi oggetti che troviamo nei dungeon (molto comodo se, per esempio, abbiamo bisogno di un certo materiale per costruire un arma e ci noia andare in un dungeon per un solo oggetto), un negozio per gli oggetti che servono ad abbellire il nostro locale e un banchiere che investirà un po’ del nostro capitale in altre attività e ce lo restituirà dopo sette giorni con gli interessi. L’esperienza commerciale di questo gioco è veramente curata e trasmessa con passione ma, un po’ come accade per le armi e le pozioni, il tutto è sempre collegato ai meccanismi dei tesori dei dungeon perché i prezzi, anche per i finanziamenti, sono tarati per un margine di errore pari a zero.

Venti di cambiamento

In termini di grafica Moonlighter ci delizia con una pixel art veramente deliziosa che si esprime nelle fasi di gameplay e  nelle brevi cutscene che mostrano delle immagini statiche (sempre molto belle). La grafica, in maniera generale, si rifà per lo più a The Legend of Zelda: the Minish Cap e ai giochi Pokémon della generazione del Gameboy Advance e perciò, nonostante la palette da 16/32-bit, personaggi e ambienti risultano molto curati, e dettagliati quanto basta. Non ci sono bug grafici di rilievo, e quelli presenti sono addirittura utili per avere un vantaggio con i nemici; in poche parole, è possibile (specialmente con lo spadone) colpire i nemici dalla parte opposta di un muro e rimanere protetti da (alcuni) attacchi nemici. Il titolo non si pone certamente come un gioco altamente realistico e dunque piccolezze come queste possono essere perdonate senza grossi compromessi e, in questi casi, persino sfruttate. La colonna sonora presentata è veramente deliziosa e tranquillamente accostabile a una di quelle di The Legend of Zelda; nulla al livello di Koji Kondo, ça va sans dire, ma i pezzi sono davvero ben composti, ben caratterizzati e anche ben registrati. Ci sono in totale quattro livelli, il dungeon di pietra, della foresta, del deserto e quello tecnologico, e pertanto i pezzi proposti sono molto vari e riescono a dare la giusta personalità, e persino serietà, ai determinati ambienti; ci sono bei pezzi orchestrali, riprodotti molto fedelmente, sfumature etniche, elettroniche nel dungeon tecnologico… insomma, si riesce a adattare perfettamente a ogni situazione regalando al giocatore un ottima cornice per un’avventura veramente particolare. Ogni dungeon ha sempre il suo tema e man mano si cambia di sezione varierà anche il tema, senza perdere le melodie portanti o il mood generale del pezzo; davvero molto ambizioso per un gioco indie. Unico problema, forse, è che si sarebbe potuto fare di più sul piano delle voci; non si chiedeva certamente un gioco interamente doppiato ma sentire anche un lamento da parte del personaggio principale sarebbe stata una buona implementazione. Abbiamo pertanto un personaggio con, sì, una personalità ben definita ma senza alcuna vera profondità; Will non si dimena quando dà un colpo di spada, non si lamenta quando viene colpito e non urla quando cade. Un po’ deludente come fattore.

Diamo a Will ciò che è di Will

Moonlighter è un gioco veramente curato in ogni dettaglio, è pieno zeppo di obiettivi, personalizzazioni, crafting e tanto altro. Può certamente interessare ai fan di The Legend of Zelda, gli amanti dei dungeon crawler e persino dei gestionali. Il solo problema di questo titolo, che sorprendentemente è al contempo anche il suo punto forte, è l’esubero di contenuti, non tanto perché risulti difficile stare dietro ai tanti obiettivi che il gioco ci pone, ma tanto perché è un po’ come giocare a Jenga! È davvero snervante andare in un dungeon con l’obiettivo di cercare un determinato oggetto che ci servirà per creare o migliorare un arma per poi uscire, ad esempio, con una quantità insufficiente oppure terminare una sessione di vendita e non avere ancora abbastanza soldi per poter finanziare un’attività o comprare qualcosa dal fabbro o dalla strega pur avendo i materiali. Insomma, se si fa qualcosa di sbagliato crolla tutto il resto! È importantissimo inoltre comprendere il funzionamento del sistema di maledizioni e di incantesimi dei tesori per fare più soldi possibili e purtroppo è molto difficile comprenderlo senza un tutorial o una vera guida.
Bisogna appunto essere molto pazienti con questo titolo, sperimentare, stare attenti alle icone e, in fase di vendita, alle reazioni, alle intenzioni dei clienti, e altro. Ci sono molte cose su cui dovremo istruirci, ma in Moonlighter saremo soli contro un sistema un po’ difficile da capire. Ma nella vita non abbiamo un tutorial, e anche per gestire un’attività bisognerà far ricorso a intelligenza e intuito.
È un titolo che o si ama o si odia, Moonlighter. Noi abbiamo più motivo d’amarlo, per la sua marcata personalità, per l’originalità e per meccaniche di gioco che sembrano non aver nulla in comune fra loro ma che in realtà si amalgamano molto bene. È uno Zelda-like molto più efficace e armonico di altri recentemente usciti come World to the West, che semplicemente soffrono di un’identità non troppo marcata. Speriamo solo che Moonlighter possa annoverarsi presto fra i grandi indie come Undertale, Axiom Verge o Limbo. Davvero sorprendente!




La caduta di Nintendo

Siamo a ormai quasi un anno e mezzo dall’uscita di Nintendo Switch: la risposta del mercato ci autorizza a definirla senza remore un successo, fin dal lancio la console ha registrato numeri di vendita ragguardevoli, un ottimo indice di gradimento degli utenti e anche delle prestazioni medie riguardo i giochi terze parti che hanno smentito le meno ottimistiche previsioni dei detrattori. Tutto bene, dunque, direte. E invece no, perché da marzo le azioni Nintendo hanno cominciato a perdere inesorabilmente valore. Non si tratta di un calo da poco: la grande N ha perso quasi un quarto del suo valore alla Borsa di Tokyo da fine maggio ad adesso. Miliardi su miliardi di Yen.
Attenzione, le vendite di Nintendo Switch continuano ad andare bene, gli ultimi dati – proprio di fine marzo – riportano circa 18 milioni di unità vendute. Perché allora il titolo in borsa cala? Da questo punto di vista la finanza non lascia spazio a equivoci: se il valore è in calo, significa che molti hanno messo in vendita le proprie azioni, perché viene meno la fiducia nella tenuta del prezzo. Non di rado, in simili casi, i grossi produttori pagano lo scotto di scelte avventate: il rilascio di un’update che comporta problemi al software, un’inadeguata (in eccesso o in difetto) fornitura di hardware sul mercato (Nintendo ha corso questo rischio poco dopo il lancio, ma ha tempestivamente provveduto), problemi con il servizio online che oggi possono avere pesanti ripercussioni… le cause di solito riguardano qualche problema legato all’andamento del proprio lavoro.

Ciò che è curioso, nel caso in questione, è che Nintendo pare non essere incappata in alcuno di questi problemi – quantomeno non in maniera così drastica da comportare una simile inflessione – e che i consumatori sembrano continuare a dar fiducia alla casa di Kyoto. Quale problema hanno sentito allora gli investitori, quelli che hanno dapprima comprato il titolo e l’hanno recentemente messo in vendita? C’è da notare come il valore sia sceso di circa il 32% (circa un terzo, mica roba da poco) dopo la fallimentare presentazione all’E3, nella quale si è scelto di dar molto – troppo – spazio a Super Smash Bros. Ultimate a scapito di altri contenuti, con il risultato che gli annunci che non pochi fan attendevano con ansia non sono mai arrivati.
Alcuni analisti hanno puntato il dito proprio sulla mancanza di un chiaro orizzonte d’attesa: a differenza di Sony e Microsoft, che, pur non fornendo release date, hanno dato agli utenti la possibilità di uno sguardo sui titoli in lavorazione, giocando su un facile marketing, cultura dell’hype e spettacolarizzazione, Nintendo ha puntato su una scelta “specialistica”, probabilmente più concreta, con un deep dive dedicato a un’IP forte, in cui ha mostrato di credere molto. Scelta non apprezzata dal pubblico, e anche da buona parte dei fan. Inoltre, come può anche essere normale in certi momenti del ciclo di vita di una console, le vendite di Switch hanno subito una contrazione, portando alcuni analisti a pensare che il combinarsi dei due fattori sia stato determinante nel crollo del titolo in Borsa:

«-5,27%. Le azioni Nintendo nuovamente massacrate nella borsa di Tokyo. Il Nikkei ritiene che la causa siano l’assenza di informazioni sulla produzione di videogame e le fiacche vendite di Switch, fattori che hanno indotto gli azionisti esteri a disfarsi delle azioni.»

Tatsumi Kimishima, ex presidente di Nintendo, ha dichiarato qualche settimana fa che la grande N ha ancora dei titoli da annunciare entro la fine dell’anno, ma questa rimane allo stato di fatto una dichiarazione di intenti: l’utenza videoludica è molto pragmatica, spesso impaziente e dalla memoria corta, e non pare che una simile prospettiva abbia avuto alcun influsso positivo sul titolo già in discesa.
Parte del problema è dunque da ricondursi alla cattiva gestione della conferenza dell’E3, sul punto pochi dubbi, ma non bisogna dimenticare che il titolo è in calo già dal mese di marzo, i miliardi si perdono già da più di un trimestre. Il mercato di riferimento (la Borsa di Tokyo) gode strutturalmente di buona salute, e questo ci porta a escludere le cause siano congiunturali, legate a una generica sfiducia o alla fiacchezza del mercato: il problema è direttamente legato all’azienda. Il ritmo del ribasso è rallentato nelle ultime settimane, ma la situazione è ancora lungi dall’essere sotto controllo.

I fattori in gioco sono certamente svariati. Diamo per buoni i due che abbiamo già citato sopra, lasciamoli tra le concause e guardiamo agli investitori: alcuni dubbi da parte di quest’ultimi sono certamente legati all’ambizioso obiettivo di vendita per l’anno 2018, alla fine del quale Nintendo ha prospettato di arrivare a 20 milioni di unità, senza però apportare variazioni di rilievo nel prezzo di mercato né introdurre killer app. I più preoccupati riguardo queste previsioni sembrano essere soprattutto gli investitori non nipponici: mentre in Giappone la fiducia nella compagnia pare sostanzialmente invariata, fuori dal paese del Sol Levante molti temono il non ancora consolidato sostegno da parte dei grossi publisher. Un problema in realtà ultradecennale per Nintendo, che restituisce un’idea di un aspetto rilevante del mercato videoludico: la grande N avrà certamente svariati assi nella manica, è certo che Kimishima non menta quando parla di titoli ancora da annunciare. Le IP ancora da sfruttare non sono poche ma, in attesa di un domani in cui queste vengano annunciate, la mancanza di importanti terze parti di rilievo non fa stare tranquilli oggi gli investitori.

Il supporto delle third parties è da tempo un indicatore chiave non da poco per il mercato, e l’incertezza riguardo la presenza di titoli di peso su Switch è un fattore che potrebbe aver inciso sulla fiducia degli azionisti: arriveranno mai titoli come Far Cry 5 Kingdom Hearts III? O il tanto atteso Anthem? E Red Dead Redemption 2?  Se certe assenze pesano relativamente sull’utente che colloca Nintendo Switch in una dimensione ben precisa nel mondo videoludico, vedendola come console alternativa o complementare nell’utilizzo, nella fruibilità e quindi anche nella line-up rispetto alle due rivali principali, lo stesso non si può dire che il mercato più ampio, quello dei casual gamer, quello dove si muovono i grandi numeri, sia della stessa idea.
In un articolo pubblicato alla fine dello scorso anno su IGN, Mattia Ravanelli sosteneva che questo non fosse un problema: ricordo che, se da utente e fruitore mi trovavo completamente d’accordo con questa visione, nutrivo i miei dubbi dal punto di vista del mercato. E non perché Nintendo Switch possa non farcela senza l’ampio parco titoli delle rivali, ma perché senza terze parti cresce la necessità di offrire un differenziale che permetta di tenere una stabilità di medio-lungo periodo. Al primo anno si poteva puntare sul fattore novità e su due killer app come Breath of The Wild Super Mario Odissey: adesso bisogna inventarsi qualcosa. E la risposta non è purtroppo Nintendo Labo che, pur ricevendo numerosi apprezzamenti dalla critica e dai fruitori, non sta restituendo numeri rilevanti in termini di vendite. E anche a questi risultati gli investitori risultano sensibili.

Ovviamente anche le terze parti e un Labo non del tutto incisivo sul mercato sono concause da sommare alle precedenti. Ce n’è anche un’altra da non sottovalutare, direttamente legata al mercato, alla brand reputation e al mindset dell’investitore di Borsa medio.
Quello finanziario è infatti un mercato che si costruisce momento per momento attraverso stime e previsioni, e che subisce smottamenti di ogni natura, anche quelle legate a cause dei natura “storica”. Nintendo proveniva da numeri passati altalenanti, generati soprattutto dai pessimi risultati di WiiU in termini di vendite. Questo gli investitori non lo dimenticano di certo. Dopo aver assistito a un rialzo del titolo conseguente al successo di Pokémon Go, seguito dall’ottimo lancio di Switch l’anno successivo che ha comportato un’ulteriore crescita, molti hanno certamente cominciato a chiedersi quando una simile ascesa si sarebbe fermata, proprio per prevedere il momento migliore e vendere al massimo prezzo. Alcuni analisti hanno previsto un cambio di passo a maggio, e molti hanno semplicemente visto questo trimestre come il momento migliore per una exit strategy.
Nintendo avrebbe potuto farci qualcosa? Probabilmente sì: l’annuncio di un nuovo titolo della serie Yoshi (abbiamo avuto un trailer, ma non abbiamo una release date, né tantomeno un titolo definitivo) o di un Animal Crossing, ma anche l’uscita di Fire Emblem: Tree Houses entro l’anno avrebbero certamente aiutato. Il 2018 potrebbe chiudersi con Labo come unico prodotto inedito degli studi di Nintendo Entertainment Planning & Development, senza alcun nuovo videogame su Nintendo Switch. Probabilmente a Kyoto prenderanno contromisure, organizzandosi per evitarlo.
La chiusura di trimestre fra circa una settimana sarà inevitabilmente deludente per Nintendo, la quale vedrà probabilmente un ulteriore (seppur non drammatico) calo del titolo entro la fine del mese, con vari investitori pronti anche oggi al bail out.

Ma attenzione: quel che abbiamo scritto finora non deve affatto portarci a concludere che Nintendo sia in crisi o o che il suo business sia traballante. I fattori che abbiamo analizzato hanno contribuito a un calo drastico del titolo in un dato frangente, sì, ma certi momenti nell’andamento azionario di una grande compagnia sono in parte fisiologici e vanno messi in conto, specie se si tratta di un’azienda che opera scelte di mercato non canoniche come la casa di Kyoto: le scelte degli shareholder si basano sulle informazioni disponibili nel momento storico di riferimento, e basterebbero delle contromosse strategiche a risollevare in breve tempo la situazione e compensare alle perdite.
Ci sono tutti i motivi per ritenere la strategia della grande N ancora solida, il potenziale in termini di IP è ancora consistente, ribadiamo, e il gradimento del pubblico nei confronti di Switch è ancora alto. Super Smash Bros. Ultimate deve ancora dispiegare i propri effetti sul mercato (sarà il titolo da trovare sotto l’albero di Natale), come del resto i due Pokémon Let’s Go che usciranno a novembre: tutto porta a puntare gli occhi sull’ultimo trimestre del 2018, insomma. Pur rallentate, le vendite della console continuano a un buon passo, e la fine dell’anno potrebbe riservare ancora qualche sorpresa in termini di IP. Anche in assenza di queste ultime, gli ultimi mesi del 2018 saranno certamente quelli con i migliori risultati.
Seppur non indolore, il calo del titolo Nintendo in Borsa è quindi da considerarsi figlio di piccoli errori e varie concause ma anche il frutto di una congiuntura fisiologica, che poteva essere in qualche modo messa in conto nel ciclo economico aziendale, e che sarà certamente gestibile con adeguate contromisure strategiche.
Finché l’andamento a ribasso sarà contenuto entro una determinata finestra temporale, la strategia Nintendo nell’era Switch potrà ancora considerarsi un successo, dato che già adesso, a 21 mesi dall’uscita, il buio periodo di mercato dell’epoca WiiU sembra essere ormai un brutto ricordo.