La Grande Sfida (stagionale) di Clash of Clans

L’ottimo riscontro ottenuto da Fortnite con strategie di monetizzazione quali il Battle Pass (pacchetto che garantisce ai giocatori l’accesso a sfide aggiuntive e upgrade estetici, e che a oggi ha fruttato a Epic Games ben oltre 3 miliardi di dollari) ha prevedibilmente generato l’emulazione da parte di tanti altri videogame,  che non sempre hanno raccolto gli stessi risultati.
Il prezzo del pass non è alto (circa 10 dollari/euro a stagione), e il resto della spesa da parte del giocatore dipende dal contesto di game economic design: se in vari giochi gli acquisti possono essere decisivi per determinare il progresso in-game, in Fortnite si parla soprattutto di abbellimenti e sfide alle quali non si potrebbe accedere altrimenti.
Risulta chiaro che titoli come Fortnite, forte di una base di 250 milioni di utenti registrati, possano ben permettersi di contare su dei Battle Pass tutto sommato a portata di spesa dei giocatori per generare comunque ottime revenue, mentre altri debbano contare su “whale” o “dolphin” (utenti, dunque, che investono cifre non indifferenti negli in-app purchase).
C’è chi è riuscito a combinare entrambe le strategie, e non stupisce che a farlo siano stati dei maestri del settore come Supercell.
Lo sviluppatore finlandese ha infatti introdotto lo scorso primo Aprile nel suo Clash of Clans (titolo che dalla sua uscita, nel 2012, ha generato oltre 6 miliardi di dollari di revenue) le cosiddette “Sfide Stagionali” (o “Season Challenges”), percorsi fatti con obiettivi e ricompense da sbloccare che hanno avuto un ottimo riscontro.
Già dalla prima settimana i risultati sono stati infatti notevoli, con oltre 27 milioni di dollari guadagnati nella prima settimana: i giocatori hanno speso circa poco meno di 4 milioni al giorno nel titolo nei primi 7 giorni dopo il lancio in 46 paesi, generando una crescita delle revenue di circa il 145% (il periodo precedente registrava circa 11 milioni di dollari a settimana, circa 1,6 milioni al giorno).
Clash of Clans è quindi balzato al primo posto della classifica USA dei più giocati per iPhone, dove è rimasto per 5 giorni di fila, come può vedersi dal grafico sottostante:

Negli ultimi due mesi l’app ha mantenuto in media un buon terzo terzo posto, con qualche sporadico picco verso il basso, e ad aprile è lampante il miglioramento di performance: un risultato molto buono per una strategia di monetizzazione che prevede la semplice vendita di un pass oro al costo di  5,49 € (4,99 $, negli USA). Ma non è questo il “core” della strategia delle Sfide Stagionali.
Gli obiettivi delle Season, infatti, oltre alla monetizzazione, hanno come target il miglioramento di engagement e retention, oltre che la riduzione del churn rate (tasso di abbandono degli utenti) e la possibilità di reingaggiare parte di quegli utenti che hanno smesso di giocare.

I numeri oggi paiono dar ragione a Supercell: le 24 sfide disponibili con il solo Pass Argento (quello non a pagamento, insomma) hanno incentivato gli utenti a giocare, allettati dalla possibilità di collezionare nuovi punti e currency che permettono a loro volta di ottenere risorse in game e boost vari. Nel solo mese di aprile, Clash of Clans ha generato circa 71 milioni di dollari, oltre il 72% in più del mese precedente, e ben l’85% rispetto all’aprile dello scorso anno.
Il gioco ha inoltre registrato il primo maggio 2019 un guadagno di circa 6,9 milioni di dollari da acquisti in-app, miglior performance registrata dal Natale del 2015 a oggi.
Il Pass oro offre un surplus in termini di risorse e boost, e si fregia di un boccone succulento per molti utenti, che sta nella possibilità di ottenere la skin del Re barbaro e quella della Regina degli arcieri, sbloccabile dal mese in corso fino alla fine della stagione (che terminerà il prossimo 31 maggio).

Pur avendo portato buoni risultati a Supercell, si capisce come un pacchetto da 5 $ ha effetti limitati: il vero guadagno per lo sviluppatore sta in quel che viene dopo. Pare infatti che le sfide stagionali abbiano incoraggiato di rimando i giocatori a spendere più di 5$ all’interno di Clash of Clans.

Sarà interessante vedere per quanto tempo Supercell riuscirà a tenere in piedi un evento regolare come le sfide stagionali che a primo acchito sembra volto alla monetizzazione, ma che in realtà è una vera e propria meccanica di engagement che può innalzare nel medio termine le revenue dell’intera economia dell’app.
Clash of Clans potrebbe insomma diventare il primo mobile game da 10 miliardi di dollari di revenue generate nel suo intero lifetime, la strada pare essere quella giusta.




Mini Metro

Perché sviluppare l’ennesimo tedioso gestionale ferroviario, quando, con lo stesso concept, si può ideare qualcosa di veramente innovativo e divertente? Sarà questo che si saranno chiesti i ragazzi di Dinosaur Polo Club durante la fase di sviluppo?

Non un gestionale, non un puzzle-game

Mini Metro è qualcosa che non si era mai visto in precedenza, innovativo e fuori dagli schemi. A primo acchito potrebbe sembrare anche banale, solo qualche linea colorata, su sfondo bianco, minimalista, troppo potrebbe pensare qualcuno, basta unire i punti e il gioco è fatto. Mini Metro è in realtà ben altra roba, uno sposalizio perfetto tra ingegno e divertimento, strategia e rompicapo, pensato per un pubblico un po’ più spassionato e alla ricerca di un buon passatempo, magari da giocare in metro, perché no.
Abbiamo avuto modo di provare la versione per Nintendo Switch, non cambia molto dalle altre versioni a parte la comodissima “tattilità” ovviamente.

Piano! Piano! Non spingete!

Lo scopo del gioco è quello di riuscire a creare una fitta rete di interconnessione per riuscire a trasportare più passeggeri possibile evitando il sovraffollamento delle stazioni. Questo almeno vale per la modalità di gioco “normale“, nella quale si dovrà appunto mantenere un basso livello di affollamento nelle stazioni, per evitare di veder terminare la nostra sessione di gioco prematuramente.
Mini Metro propone al momento ben 20 località differenti, di cui 3 (Londra, Parigi e New York) ambientate anche tra gli anni ’40 e ’70. Ogni location ha una diversa conformazione geologica, con corsi d’acqua più o meno invadenti che ci costringeranno a utilizzare ponti o tunnel per i nostri collegamenti. Per sbloccare le location successive, bisognerà riuscire a portare a casa un discreto risultato nelle precedenti e non sempre sarà cosa facile.
Inizieremo ogni partita a Mini Metro con sole 3 stazioni da connettere sul campo, che aumenteranno con il trascorrere del tempo e verranno posizionate in luoghi casuali della mappa. Noi avremo a disposizione 3 diverse linee ferroviarie, riconoscibili per il diverso colore e un certo numero di motrici o locomotive e ponti o tunnel, che variano in base alla location che stiamo affrontando. La partita viene scandita dal tempo, suddiviso in giorni della settimana, al termine di ognuna delle quali, al fine di sviluppare una più complessa ed efficiente rete di collegamenti, verremo premiati con una serie di bonus: una nuova motrice/locomotiva e, a scelta, una nuova linea, un vagone aggiuntivo oppure dei ponti/tunnel.
Se desiderate rilassarvi invece, c’è a vostra disposizione la modalità “illimitata“, nella quale le stazioni non si sovraffolleranno, si giocherà in maniera completamente libera e i bonus verranno dati mediante un moltiplicatore che conteggia il numero di passeggeri trasportati.
Nella modalità “estrema” giocheremo come in quella “normale” ma la differenza sostanziale sta nel fatto che i collegamenti creati saranno permanenti, quindi, una volta fissata una linea ferroviaria, non potremo più muoverla o modificarla in alcun modo.
Per finire potremo cimentarci nella consueta sfida “giornaliera“: in una mappa casuale dovremo impegnarci al massimo per scalare la classifica mondiale (sfida interessante ma fine a se stessa).

Minimale è bello!

Minimalismo, questo è il leitmotiv di Mini Metro. Tutto è ridotto all’osso in questo piccolo, grande gioco. Grafica piatta ma che cattura, forse proprio per la sua semplicità e pulizia. Il suo scorrere fluido e interminabile di elementi capta l’attenzione, quasi a volervi ipnotizzare con i suoi movimenti. Minimale anche l’audio, giusto qualche fx casuale qua e là, quasi come fossero riprodotti dai metro stessi a creare una colonna sonora, flebilmente udibile.




Dune II: tre regole per un buon videogame su licenza

«Creare videogiochi è un lavoro difficile. Molto di ciò che facciamo richiede un salto nel buio. Dobbiamo immaginare il gameplay, la tecnologia con cui il videogioco prenderà vita. Immaginare gli scenari e i suoni che meglio trasmetteranno il gioco nella sua interezza al videogiocatore»

Così esordisce Tomas Rawlings, Design Director per Auroch Digital su Gameindustry.biz. Durante il corso dell’intervista afferma che vi sono diversi punti critici in cui è facile sbagliare durante la creazione di un videogioco ma, una volta che si è riusciti nell’intento, il risultato appaga tutti gli sforzi e crea una sorta di “magia”. Ma come si riconosce questa magia? Ce ne si accorge quando si è completamente assorti nel videogioco tanto da dimenticare il mondo esterno, cioè quando il gioco diventa il proprio mondo.
Racconta di quando era giovane e di quando scoprì il videogioco Dune, tratto dal romanzo fantascientifico di Frank Herbert, così come l’omonimo film di David Lynch. Allora decise di dedicarsi 20 minuti a questo gioco, giusto per conoscerlo, ma dopo che lo provò passò l’intera nottata e parte della successiva giornata a giocarci; ma perché questo preambolo? Per spiegare meglio la sua idea di immersione nel gioco e per rafforzare il concetto decide di raccontare il gioco.

Dune

Dune è un gioco incentrato su una risorsa limitata, chiamata Melange, che permette viaggi a velocità superiori della luce, ma molto rara e costosa, quasi un’allegoria del petrolio nel mondo moderno. La Melange si può trovare solo in un pianeta chiamato Dune, caratterizzato anche da enormi vermi che rendono un azzardo la raccolta di questa risorsa. Il controllo del pianeta è dato a turno a varie casate che dividono le quote della risorsa come meglio credono, preoccupati solo che questa spezia sia in circolo, ma non a come ci si arrivi.
Rawlings spiega, che questo gioco può essere considerato uno dei primi strategici in tempo reale, avendo al suo interno molte innovazioni che oggi sono alla base degli strategici che vanno per la maggiore, tra cui League of Legends, Dota 2, Clash Royale. Queste innovazioni spaziano dal controllo diretto delle risorse all’albero della tecnologia.

Le tre regole

Andiamo però alla parte saliente dell’articolo, le tre regole cardine che un buon gioco deve rispettare: Rawlings parte dalla regola che può sembrare la più banale e facile da seguire in cui semplicemente, un gioco deve essere un buon gioco, deve essere ben strutturato e, come terza regola, riesca a coinvolgere il giocatore facendolo diventare parte del gioco stesso, vivendo l’esperienza da una prospettiva personale. Tutto ciò scaturisce da un’IP originale, equilibrata e con ben integrate nuove meccaniche di gioco.




Ancient Frontier

Ancient Frontier è uno sci-fi ruolistico, uno strategico a turni con caratteristiche GDR sviluppato da Fair Weather Studios, già creatori dello sfortunato Bladestar. Sin dal primo impatto, troveremo un menù principale ben strutturato, comprensivo anche della “lore” che ci introdurrà al mondo di gioco.
L’umanità era sull’orlo dell’estinzione, finché non venne creata la compagnia dei Tecnocratici. Quest’ultimi riuscirono a ristabilire l’equilibrio con scoperte in ambito tecnologico e con la colonizzazione di Marte, che portò alla rinascita dell’umanità. La compagnia riuscì, inoltre, a scoprire i segreti dietro i viaggi interstellari, che portarono ricchezza e prosperità al genere umano. Questo portò alla creazione di ordini quali la Human Federation Star Force, la qualeprese il comando di Marte e che iniziò la costruzione di innumerevoli navi.
Per la costruzione di quest’ultime sono necessari a loro volta materiali quali la proto energy e l’hydrium, che si trovano solamente nello spazio profondo. Per svolgere la ricerca di questi materiali venne creato l’ordine dei Corporate Mining Station.

Nella modalità storia, che presenta più slot per i salvataggi, ci ritroveremo a dover scegliere due differenti campagne di gioco. Nella prima, chiamata Alliance Campaign, vestiremo i panni di uomini alla ricerca delle ricchezze dello spazio.
Nella seconda, chiamata Federation Campaign, vestiremo invece i panni del comandante della flotta protettrice di Marte e, in entrambe le campagne, dovremo difenderci dai pirati spaziali che cercheranno di derubarci e ucciderci.
All’interno del single player, sono presenti tre difficoltà strutturate in relazione del livello del giocatore.

Avremo 2 tipi di missioni: le principali (che trattano la lore) e le secondarie. Le missioni secondarie hanno tre tipologie di avventure. Nel primo tipo ci ritroveremo a dover sconfiggere i pirati, nel secondo dovremo raccogliere le varie risorse sparse nella mappa e nell’ultimo il nostro obiettivo sarà quello di raggiungere una zona prima di un tot di turni.
La storia viene raccontata tramite dei dialoghi disposti su un “menù a tendina” prima di ogni missione. La trama non è molto densa ma, fortunatamente, in videogame come Ancient Frontier altri fattori possono egregiamente compensare. Durante il nostro gameplay, la mappa di gioco sarà rappresentata da un’enorme “scacchiera”, la mappa è divisa blocco per blocco da esagoni che delimitano le caselle dove poter spostare le nostre pedine. Una caratteristica del titolo che ci ha fatto storcere il naso è l’impossibilità di poter scegliere, durante i turni, l’ordine di attacco delle proprie unità. Questa caratteristica allontana il titolo dalla sua componente strategica. All’interno del campo da gioco, saranno presenti degli asteroidi che possono sia ripararci dal fuoco nemico, sia ostacolarci durante i nostri movimenti.

Uno dei grandi vantaggi di questo titolo è la modesta varietà di personalizzazione. Infatti, prima d’ogni missione, potremo scegliere la composizione della nostra flotta dotandola, quindi, di navi di ricerca, d’assalto, di supporto ecc. Il titolo presenta una sezione di gestione per le risorse, navi, ricerche e missioni. Le caratteristiche GDR si vedono  nelle ricerche, che portano all’aumento di determinate peculiarità. Ogni classe di nave ha il suo albero delle abilità nel quale si ha la possibilità di potenziare determinate caratteristiche. Non sarà istantaneo familiarizzare con i comandi di gioco, infatti, bisognerà sforzarsi un po’ a capire la struttura del gameplay, anche perché il tutorial non è estremamente dettagliato ed è sviluppato in sotto-forma d’immagini e dialoghi.
La grafica del titolo risulta pulita e con una buona resa complessiva. I modelli della navicelle sono ben strutturati e abbastanza originali. Mancano una localizzazione in lingua italiana. Infine, il comparto sonoro non è nulla di speciale ma, riesce a rendere le svariate ore di gameplay piacevoli.

In conclusione, Ancient Frontier rappresenta un valido passatempo e un buon titolo per gli appassionati del genere strategico a turni. Il titolo è disponibile su Steam con un rapporto qualità/prezzo ottimo.




Wartile

Da tempo ormai sfrutto i miei giorni liberi per coltivare una di quelle che normalmente io chiamo passioni, ma che la vostra ragazza chiamerebbe in altri modi molto fantasiosi e coloriti al contempo: i board game. Non dei giochi da tavolo qualsiasi, ma quelli che prevedono turni, dadi (moltissimi dadi), mostri, missioni, centinaia di carte abilità/funzione, un manuale di quelli da far impallidire i ricettari di suor Germana, ma soprattutto dove l’utilizzo di miniature – che mi fanno letteralmente impazzire – è imprescindibile.

Così, un giorno come un altro, ricevo una telefonata dal Direttore di redazione, il quale mi dice: «Vinz, ciao! Abbiamo per le mani un gioco per PC, Wartile. È un gioco strategico, e sembra che ci siano delle miniat…» «MIO!». E così comincia la mia recensione.

Tessere di Guerra

Wartile, “tessera di guerra“: mai traduzione letterale è stata più azzeccata. Si tratta di un gioco di guerra strategico in cui i personaggi (sia amici, che nemici) sono delle vere e proprie miniature con tanto di base tonda, che si muovono su una mappa suddivisa in piccole tessere esagonali, disseminate di oggetti bonus o ostacoli.

Il gioco gode inoltre di elementi di chiara natura GDR. Questo richiamo al gioco di ruolo classico si nota in diversi aspetti durante ogni partita a Wartile: i personaggi (le nostre care miniature) che salgono di livello, la possibilità di equipaggiarle a nostro piacimento in base al “drop” dei nemici o agli acquisti dal mercante e tanto altro. Andando avanti nell’avventura, si potranno acquisire anche nuove miniature nella “taverna“, spendendo l’oro accumulato durante le nostre quest. Il numero di miniature a disposizione non determinerà la nostra potenza di attacco, poiché in ogni missione potremo usufruire di un numero ben definito di personaggi, che va da 2 a 5 alla volta.

È importante che io sottolinei come ogni miniatura incontrata e assoldata nel nostro team, rappresenti un personaggio specifico, provvisto di background e abilità speciali di classe. Purtroppo, però, bisogna aggiungere che la campagna affrontata in Wartile non entusiasma moltissimo, risulta priva di significato e non riesce a intrattenere davvero: quello che voglio dire è che personalmente la sostanza del gioco si è tradotta più nella voglia di collezionare le diverse miniature che in quella di seguire la campagna, risultata poco incisiva sin dall’inizio.

Il combat system

È un sistema semplice e collaudato, quello adottato da Playwood Project. Le miniature si muovono sulla mappa in base al loro punteggio di movimento: una volta mossa una miniatura, si dovrà attendere un brevissimo “cooldown” per poter riattivare nuovamente la stessa miniatura. Una volta vicini alla miniatura nemica, l’attacco avverrà in maniera del tutto automatica, mentre noi ci limiteremo a utilizzare delle carte bonus o malus (se dobbiamo giocarle sui nostri nemici).

Nel caso in cui avessimo in squadra miniature di “lancieri” o “arcieri” ovviamente l’attacco avverrà da una o più caselle di distanza (quest’ultimo è il caso specifico degli arcieri). Ogni miniatura amica o nemica verrà sconfitta se i suoi punti ferita verranno portati a zero.

Graficamente parlando

Il gioco a un primo sguardo non brilla certo per il suo comparto grafico, il quale però, a una analisi più attenta, rivela dettagli molto apprezzabili.

Fra questi, gli effetti grafici di luminescenza ambientale sulle superfici (gli shader), ma si apprezza anche l’originalità e la cura con la quale sono state sviluppate le contenute ma minuziosamente dettagliate mappe di gioco.

Il comparto audio

Durante l’intero gameplay di Wartile siamo accompagnati da un tappeto sonoro abbastanza rilassante ed evocativo – perfettamente in clima da gioco da tavolo – e da effetti sonori che non sono di certo i migliori mai sentiti in un titolo del genere.

Tirando le somme

Tirando le somme, non c’è dubbio che Wartile sia un ottimo passatempo, un giochino che riesce a far passare fluidamente agli appassionati del genere qualche ora davanti al monitor. Purtroppo, anche a causa della campagna forse eccessivamente “secondaria” e non sempre solida, si perde il “grip” d’attenzione dell’utente, spingendolo a smettere di giocare dopo qualche partita. Questo è un vero peccato, il gioco ha dell’ottimo potenziale che si sarebbe potuto sfruttare con più attenzione da parte del team di sviluppo, inserendo magari una narrativa più accattivante che magari ci avrebbe spinto a giocare qualche oretta in più. Ma tutto sommato, essendo uno dei pochi titoli del genere, pollice in su per Wartile.




Mario + Rabbids Kingdom Battle

Quei maledetti conigli. Quei maledetti conigli! La battaglia per il regno si apre con un piccolo cortometraggio animato. Lo stile è quello tridimensionale proprio delle grandissime produzioni, sì quelle a cui il cinema ci ha abituato nell’ultimo ventennio. Siamo in casa di una misteriosa geek, appassionatissima della saga di Mario – come possiamo notare dalla sua cameretta letteralmente tappezzata di action figures, poster e persino un tappeto a tema Nintendo – la quale sta armeggiando con quello che sembra essere un caschetto per la realtà virtuale e che invece è un’invenzione che le permette di fondere gli oggetti fra loro. Nel momento in cui il misterioso personaggio si allontana dalla propria camera, lasciando incustodito l’oggetto tecnologico, una “lavatrice del tempo” si materializza all’interno della stanza, e da essa fuoriescono loro, i maledetti conigli. Inutile dire che riescono ad appropriarsi indebitamente dell’oggetto in questione prima di ripartire accidentalmente alla volta del Regno dei Funghi, dove cominceranno – come è lecito aspettarsi – a combinare un guaio dietro l’altro ottenendo come risultato i mash-up più improbabili: una Rabbid Peach, un Donkey Kong Rabbid, altri ibridi di ogni sorta e via dicendo. A Mario e ai suoi amici di sempre toccherà il compito di riparare a questo disastro combattendo gli invasori, aiutato anche da quei pochi Rabbids che si sono fusi ai costumi dei personaggi del Regno dei Funghi.

In questo modo veniamo introdotti alla battaglia a squadre, perno sul quale ruota l’intera esperienza di gioco. Tutti i concetti alla base degli strategici a turni ci vengono spiegati esattamente come si illustrerebbero a un bambino ed ecco che, dopo pochissime missioni introduttive, ci ritroviamo a padroneggiare le tecniche di copertura, a saper leggere le percentuali di probabilità che un attacco vada a segno, a familiarizzare con gli effetti di stato. Man mano che procediamo ci rendiamo conto che le battaglie si fanno sempre più difficili e ad un certo punto viene spontaneo chiedersi come siamo arrivati a giocare qualcosa del calibro di XCOM partendo da un’introduzione così volutamente sciocca e divertente. È chiaro che gran parte del lavoro di Ubisoft Milano si sia concentrato proprio sul riuscire a rendere, in maniera magistrale, semplice da approcciare, un tipo di gioco che si basa principalmente sulla complessità. Allo stesso tempo gli sviluppatori sono riusciti nell’altra epica impresa, quella di distaccarsi dai sopracitati colossi del genere implementando delle meccaniche (soprattutto per quanto riguarda le fasi di movimento in battaglia) davvero originali, che combinano le capacità dei personaggi che formano il team, facendoli interagire. Ci ritroveremo dunque a far saltare Mario sulla testa di Rabbid Peach, per raggiungere zone più distanti o livelli sopraelevati, dai quali avremo ad esempio dei bonus in attacco se attiveremo l’abilità corrispondente, che possiamo acquistare solo grazie alle sfere di potere, che a loro volta troveremo anche durante le fasi esplorative, a riposo fra una battaglia e l’altra. Più si va avanti e più le sfide si faranno complesse e i nemici agguerriti. Il gioco si sviluppa in quattro mondi caratterizzati meravigliosamente bene , ciascuno con i suoi nove livelli, più quelli bonus, un midboss e un boss alla fine di ognuno. Quello che stupisce però, è come il team Ubisoft abbia pensato anche ai meno avvezzi a questo grado di sfida, dandoci la possibilità di affrontare ogni missione in modalità facile, avvalendoci di un bonus salute col quale affrontare le battaglie in maniera meno concitata.

I pochi punti deboli del gioco li ritroviamo concentrati all’interno del Centro Battaglie, dove ci recheremo spesso ad acquistare nuove armi e nuove abilità per i personaggi che compongono il nostro team. Mentre ogni arma ha bonus diversi e altrettanti effetti di stato sui quali far perno a seconda delle debolezze di ciascun nemico, ci ritroveremo con davvero pochissima varietà all’interno dell’armeria stessa. Si apprezza la scelta di avere perlomeno inserito armi primarie e secondarie, con effetti ad area ravvicinati per i personaggi tank e a distanza per i cecchini. Anche gli alberi delle skill tutto sommato non ci permettono di costruire delle build particolarmente differenziate e ci si ritroverà pertanto a combattere, con lo stesso personaggio, in maniera simile dall’inizio alla fine del gioco, solamente con effetti più potenti o moltiplicatori maggiori. Fra una battaglia e l’altra invece, durante le fasi esplorative, ci ritroveremo a risolvere dei semplici puzzle e visitare dei livelli bonus che ci permetteranno di mettere le mani su nuove armi o collezionabili che poi potremo acquistare – nel primo caso – o rivedere – nel secondo – al museo situato nell’hub di gioco. Avremo modo di rigiocare le missioni precedenti, e questa possibilità dona molta più longevità al titolo, poiché potremo sfidare noi stessi fino a raggiungere la perfezione in ogni singola missione, completandola nel numero di round stabiliti senza perdere alcun membro del team. Avremo inoltre a disposizione l’Amicolosseo, luogo nel quale potremo combattere in modalità multiplayer cooperativa delle speciali battaglie in compagnia dei nostri amici, ciascuno alla guida del proprio team.

Mario+Rabbids è un’opera unica che pur prende spunto dai maggiori titoli del genere, riuscendo però nella difficilissima impresa di trovarsi una propria dimensione. Questo grazie all’egregio lavoro svolto dagli sviluppatori italiani e francesi, che hanno saputo sfruttare appieno tutti gli elementi che caratterizzano il mondo di Mario e a fonderli con la follia – per molti fastidiosa – dei Rabbids, riuscendo a tirarne fuori il meglio. Il tutto è accompagnato da una colonna sonora d’eccezione, a opera di Grant Kirkhope che riesce a rendere ancora più epico il titolo. La quantità dei contenuti è tale da tenerci impegnati per più di venti ore e anche oltre se si giocano tutte le modalità e si decide di completare appieno il titolo. Un altro centro per Nintendo Switch che, a soli sei mesi dall’uscita, può fregiarsi già di tantissimi titoli di spessore.




Fire Emblem Heroes

Nintendo alla ribalta, questa volta sul mercato mobile, con uno dei suoi titoli di punta, Fire Emblem Heroes, nuovo episodio della nota saga sviluppato dal team di Intelligent Systems.
Tentativo sicuramente più riuscito – in termini di mercato – rispetto al precedente Super Mario Run, che ha fatto guadagnare alla compagnia di Kyoto molto meno di quanto previsto, complice il prezzo di 10 euro per avere accesso al gioco completo, cifra non ritenuta congrua da molti utenti, considerando che solo il 5% di chi lo ha scaricato ha deciso di pagarla. Di fatto, studi su questo tipo di mercato hanno dimostrato che gli utenti finali apprezzano di più il “free to play” ed eventualmente acquistare “in game”, piuttosto che pagare per avere subito il gioco completo, o a conclusione di livello come nel caso di Super Mario. Fire Emblem Heroes va valutato come standalone, non avendo nulla a che spartire con gli altri capitoli della saga congegnati per le console domestiche: è anche per questo che ci troviamo dinanzi ad una storia molto semplice e poco strutturata. Di contro però vengono rilasciati spesso aggiornamenti che includono nuovi eroi ed eventi a tema.

Storyline

In Fire Emblem Heroes incontreremo personaggi già visti nei precedenti capitoli della saga, come Marth, Alphonse, Daraen, Chrom e tantissimi altri Eroi. La narrazione ci guiderà attraverso diversi campi di battaglia per scontrarci con gli eroi degli altri mondi chiamati a raccolta dalla principessa dell’impero Embliano, Veronica, che lotta per distruggere il regno di Askr e conquistare il mondo.
A questo punto spetta ai Guardiani di Askr il compito di sconfiggere e redimere gli eroi che si sono legati, con un contratto ingannevole, alla causa della principessa Veronica.

Il potere dell’invocazione

Dalla nostra parte, i nostri personaggi avranno un potere che permetterà di invocare gli eroi in aiuto per sconfiggere gli eserciti che marciano per la conquista del mondo.
Grazie, infatti, alle battaglie che si affronteranno nel corso del gioco, si otterranno, in cambio, tra i vari oggetti e bonus, anche delle sfere che potranno essere utilizzate appunto per richiamare gli eroi.
Il sistema delle invocazioni è molto semplice: basterà entrare nel menù apposito e iniziare l’invocazione spendendo 5 sfere per il primo eroe; se deciderete di richiamare 5 eroi in una sola sessione di invocazione, risparmierete ben 5 sfere.

Gameplay

Il gioco è ben sviluppato, il livello di difficoltà cresce in base alla nostra esperienza ed è molto scorrevole: difficilmente ci troveremo a fermarci nel corso della nostra avventura.
Pur essendo, come dicevamo, una versione semplificata rispetto agli altri capitoli della stessa saga, Fire Emblem Heroes possiede comunque lo stesso combat system strategico e molto intuitivo che caratterizza l’intera serie.
Le schermaglie avverranno in un campo di battaglia di 8×6 caselle, che cambierà ambientazione in base alla storia e che potrà essere caratterizzato da ostacoli e strettoie. Il combattimento si svilupperà a turni tra il giocatore ed i nemici, la nostra squadra potrà avere al massimo 4 eroi che converrà selezionare in base alle abilità speciali e alla tipologia. Ogni qual volta sconfiggeremo un nemico, il personaggio che ha inferto il colpo di grazia guadagnerà esperienza per poter aumentare il proprio livello e potenziare le proprie caratteristiche. Purtroppo l’unico punto sfavorevole potrebbe essere la modalità multiplayer PVP presente nelle arene, che non prevede un vero e proprio scontro “live” diretto giocatore contro giocatore, come di consueto, ma piuttosto non sarà altro che uno scontro contro squadre, casuali, preimpostate si dai giocatori, ma dirette da una IA (intelligenza artificiale) che ne deciderà le azioni.

In Conclusione

Fire Emblem Heroes è dunque uno di quei giochi che, grazie al sistema del consumo di energia per ogni battaglia affrontata, riesce a tenerci incollati per molto tempo, finché non dovremo smettere per attendere circa 4 ore e avere di nuovo il pieno di energia da spendere. Forse proprio perché il tempo di gioco viene scandito da queste lunghe pause comandate è un ottimo espediente ad esempio per trascorrere un po di tempo tra pausa caffè e lavoro. Gli appassionati della saga Fire Emblem sicuramente troveranno molto interessante questo capitolo, ma sono sicuro che anche per chi vi si avvicina per la prima volta potrebbe risultare una bellissima esperienza.