Crossing Souls

«Si può essere amici per sempre, anche quando le vite ci cambiano, ci separano e ci oppongono», cantavano i Pooh.
Sembrano questi i valori che Crossing Souls, gioco dello studio spagnolo Fourattic e pubblicato da Devolver Digital, ci vuole proporre, e lo fa inserendoci in un bel sobborgo americano nel ormai lontano 1986, anni più semplici in cui Michael Jackson era un istituzione, le buie arcade, illuminate da qualche luce al neon colorato, erano colme di videogiochi e non c’era internet. Questo magico gioco, che tenta un operazione simile a quella di Stranger Things o It per quel che riguarda il cinema e le serie tv, può essere giocato su PlayStation 4 e Steam ma di recente è uscito anche su Nintendo Switch, ed è la versione che prenderemo in considerazione.

Un sogno al neon

Tutto cominciò con un temporale che mando l’intera città di Tujunga in blackout. Il giorno dopo, in alcune zone della città cominciarono a presentarsi strani eventi sovrannaturali alla quale nessuno sapeva dare una spiegazione, come tazze di caffè volanti, strani omini che apparivano nelle bande statiche della tv, etc… Chris Williams, un semplice ragazzino di una tranquilla famiglia americana, riceve una chiamata al walkie talkie da suo fratello Kevin e lo invita a venire subito alla casa sull’albero, luogo in cui la loro cricca è solita a riunirsi. Una volta passati i primi guai nel tentativo di chiamare i restanti 3 amici, cioè Matt Bauer, “Big” Joe Carter e Charlene Baker, Kevin li porta alla sua “scoperta”, ovvero un cadavere in putrefazione ma, una volta trovatisi lì, fanno una scoperta ancora più impressionante: il defunto tiene in mano una pietra viola a forma piramidale che questa ha dei poteri sovrannaturali che sembrano consumare chiunque la tenga in mano, come se avesse delle proprietà radioattive. Matt, il cervellone del gruppo, decide così di inserire la duat stone in una sorta di walkman e stabilizzare il dispositivo con un fusibile gamma in grado di fornire al registratore gli 1,21 gigawatt  (inutile esplicitarvi la citazione, vero?) necessari per contenere il suo potere all’interno – già – e sfruttarlo in tutta sicurezza; in quel momento i cinque ragazzi scoprono che la pietra è in grado di mostrare l’aldilà a chiunque tenga il dispositivo in mano e perciò i ragazzi potranno vedere genti di altre epoche interagire col mondo che li circonda e altri elementi non visibili a occhio nudo. Tuttavia la duat stone è un oggetto molto ambito, sia dalla gang rivale del quartiere, i Purple Skulls capitanati dall’estroverso Quincy Queen, sia dal più temibile Maggiore Oh Rus, ex veterano del Vietnam creduto morto che vuole la pietra per i suoi malvagi piani. La banda si caccerà in diversi guai e sarà costretta, talvolta, ad affrontare problemi molto seri per ragazzi della loro età, ma lo spirito che lega i compagni sarà ciò che permetterà loro di affrontare le dure prove a cui si sottoporranno.
Crossing Souls, sul piano narrativo, si pone come un bel film anni ’80 che vede un bel gruppetto di amici alle prese con un problema più grande di loro, una trama tanto classica quanto instancabile e già vista in opere come E.T. l’extraterrestre, Goonies, It, i recenti Super 8, il già citato Stranger Things ma soprattutto il successo Stand by me – Ricordo di un’estate, tratto dal romanzo Il Corpo di Steven King, dalla quale prende più spunti di trama. Il gioco, chiaramente, non vuole porsi come un’opera innovativa o qualcosa per cui rimanere a bocca aperta ma semplicemente essere una sorta di sguardo a “vecchie fotografie da un album”, mostrandosi umile ma allo stesso tempo elegante e ricco di significato. Le tematiche sono per la maggior parte scherzose, oseremo dire avventurose, ma non mancheranno parti più serie e twist di trama più neri di quanto si possa immaginare; un po’ come nei film per ragazzi citati pocanzi, il gioco tenta anche di insegnare qualcosa ai più giovani, evidenziare quei valori fondamentali di amicizia e amore per imparare a crescere, affrontare le difficoltà che la vita ci pone davanti, essere uniti nonostante tutto e superare i momenti difficili. C’è probabilmente anche un lato spirituale che gli sviluppatori hanno probabilmente voluto comunicare in quanto tematica e meccanica fondamentale di questo titolo è proprio la vita dopo la morte; dopo che il corpo cessa di funzionare, lo spirito continua a esistere nel mondo in cui viviamo, le anime dei nostri cari ci accompagnano per le strade che percorriamo giornalmente e pertanto non siamo mai soli, anche quando ci sembra così. Il tutto ci arriva con una semplice ma squisita pixel art resa col motore grafico Unity, dettagliata e colorata quanto basta per rendere riconoscibili tutti quei mille riferimenti alla cultura pop di quegli anni, e delle cutscene animate (con tanto di sfarfallio tipico da VHS) fra un capitolo e l’altro che si ispirano ai migliori cartoni animati degli anni ’80 come le Tartarughe Ninja, He-Man, i Thundercats, i Transformers o i film animati di Don Bluth, autore per altro dei grandi giochi arcade in laserdisc Dragon’s Lair e Space Ace. Per riportarci indietro nel passato, questo gioco si avvale di un’eccellente colonna sonora letteralmente divisa in due: una parte, composta dall’artista timecop1983, ha un animo synthpop, che sfrutta anche in parte le sonorità e il low-fi tipico dell’attuale vaporwave, reminiscente di band come Blondie, Go West, Prince, Michael Jackson, Frankie Goes to Hollywood, Rick Astley e molti altri, e questi brani saranno per lo più presenti nelle fasi esplorative del gioco, le parti in cui bisogna sentire quei lontani echi di questi tempi ormai andati; per il resto, in molte altre fasi del gioco, ci sono proposti dei brani orchestrali, composti da Chris Köbke, che si rifanno allo stile compositivo pomposo di John Williams, in grossa parte, ma anche ad altri come Alan Silvestri o Bill Conti. Tutti i brani accompagnano perfettamente ogni situazione, sia nelle cutscene animate sia durante l’azione o i dialoghi, e ciò che è stato fatto per questo titolo è realmente sensazionale; si può perfettamente confermare che l’alchimia fra grafica e sonoro è veramente di altissimi livelli.

All’avventura

Crossing Souls si presenta come un titolo dalla prospettiva bird eye reminiscente dei Legend of Zelda più classici ma l’aspetto generale ricorda forse, più concretamente, uno di quei shooter alla Zombies ate my Neighbors (e dunque anche un più recente Milanoir o Tower 57); con una prospettiva del genere ci si aspetta che il gioco offra molte possibilità per quel che riguarda l’esplorazione e il backtracking eppure questo titolo è molto straightforward, molto diretto, non dando neppure la possibilità di rivisitare nessun luogo, a meno che la sua struttura in capitoli non lo permetta. Nessun problema contro questa scelta ma in Crossing Souls è molto bello esplorare, anche andare in giro senza una meta solo per andare a caccia di easter egg, senza contare che ci sono dei collectable secondari molto divertenti da trovare e da analizzare sul menù, ovvero documenti classificati che aiutano a capire la backstory della trama, VHS di film, musicassette e videogiochi con titoli storpiati e descrizioni assurde; il fatto di non poter tornare indietro per raccogliere questi oggetti, anche a storia inoltrata, è decisamente un fattore negativo. Nonostante tutto, il gameplay proposto è molto variegato e profondo per rendere questo titolo un esperienza memorabile: le fasi di esplorazione si alternano con fasi beat ‘em up, probabilmente anche un po’ hack ‘n slash, ed entrambi gli elementi si fondono insieme molto bene. Nessuna delle due fasi risulterà mai noiosa o tediosa, perciò si può dire che il flow del titolo è davvero piacevole, anche se in certe sezioni le prime risultano un po’ vuote e le seconde un po’ sature di nemici. Tuttavia, per via della dettagliatissima storyline proposta, il gioco alterna fasi di azione e fasi di dialoghi molto di frequenti e ciò, anche se decisamente necessario, rovina un po’ il pacing proprio quando siamo molto presi a scazzottarci coi bulli di quartiere o con gli spiriti usando la duat stone. Parlando di questa specifica meccanica, quando saremo in possesso di questa pietra, non ci sarà mai un vero motivo per cui non usarla; tendenzialmente, alternando i due mondi con “ZR”, non c’è ragione di visualizzare il “mondo dei vivi” dal momento che se abbiamo “la visione dell’aldilà” riusciamo a vedere tutto quello che vedremo normalmente insieme agli elementi sovrannaturali. È vero anche che più in là le due visioni dovranno alternarsi più frequentemente per rendere effettivo l’ausilio di uno dei personaggi che, scusate lo spoiler, ci lascerà, ma il punto è che non c’è motivo di tenere la duat stone disattivata se non per resettare la posizione di questo specifico membro. In poche parole, ci sono più NPC e interazioni con la prospettiva dell’aldilà e pertanto l’attivazione o la disattivazione della duat stone è superficiale.
I cinque personaggi del team presentano tutti caratteristiche e abilità diverse e pertanto si compensano a vicenda perfettamente. È normale che, da giocatori, preferiremo utilizzare uno dei ragazzi più di qualcun altro ma l’ambiente ci costringerà a cambiare i personaggi di continuo e dunque mai nessuno sarà superficiale o messo in disparte; c’è molta collaborazione fra i personaggi, selezionabili in sequenza premendo il tasto “L”, e perciò il team funzionerà perfettamente in quanto le singole abilità di qualcuno sono cruciali per andare procedere nei capitoli. Alcuni sono più bravi nelle fasi lotta, alcuni più resistenti, altri più veloci, agili e dunque più utili nell’esplorazione; le possibilità sono molteplici e ciò è segno di un gameplay ben bilanciato e vario allo stesso tempo. Più avanti l’azione varierà ulteriormente offrendo al giocatore fasi di guida, come l’inseguimento in bicicletta che è un chiaro tributo alla famosa scena di E.T. l’Extraterrestre, puzzle e persino in volo dalle sembianze di uno shooter tradizionale; un buon elemento per mantenere il gameplay fresco e il giocatore incollato allo schermo.

Let’s do the time warp!

Crossing Souls è decisamente un titolo al quale è stato riversato tanto amore e passione e ciò lo si può evincere dalla toccante storia (e il suo bellissimo finale), i diversi easter egg sparsi per l’ambiente, le descrizioni dei collectable e degli abitanti della città di Tujunga nel menù e dal suo gameplay, nonostante qualche intoppo, bilanciato e vario. Gli unici peccati di questo titolo sono un pacing spesso interrotto e l’averlo concepito in maniera così diretta e dunque dare al giocatore lo stretto indispensabile per ciò che riguarda l’esplorazione e un eventuale backtracking per collezionare gli oggetti secondari che avrebbero potuto incentivare una longevità già buona di suo (e questi sono, sì, inutili ma molto divertenti da trovare per poi leggere le assurde descrizioni); ciò che dobbiamo fare per avere un file completo al 100% (per così dire) sarà avviare un nuovo file di salvataggio e ricontrollare ogni angolo degli ambenti, magari aiutandoci con un walkthrough. Ci siamo inoltre imbattuti in alcuni brutti bug che avvengono col contatto con certi angoli degli ambienti; alcune volte il nostro personaggio passerà attraverso certi muri e non sarà più possibile tornare indietro (alcune volte questi ci catapultano, senza un apparente motivo, in altre parti dell’area) perciò l’unica cosa che possiamo fare è uscire dalla nostra sessione di gioco e ricominciare dall’ultimo salvataggio evitando il contatto con quel particolare punto (ma fortunatamente nessuno di questi comporta un errore di sistema).
In definitiva però non possiamo fare altro che applaudire Fourattic e al suo splendido titolo per il suo gameplay tanto tradizionale quanto divertente e per il suo messaggio di puro amore universale, trasmessoci da semplici ragazzi di quartiere pronti a qualsiasi cosa per il prossimo. Il prezzo di 14,99€ sul Nintendo eShop è un buon compromesso e perciò potrete avere un ottimo titolo in grado di intrattenervi  per molto tempo in un mondo al neon ormai andato. Davvero spettacolare!




It (2017)

Per anni i clown sono stati considerati tra le figure più spaventose e inquietanti in assoluto, soprattutto nell’immaginario dei bambini. Apparentemente senza ragione: in fondo, i clown, specialmente nei più tranquilli quartieri americani, erano quelli chiamati a rallegrare le feste di compleanno dei più piccoli. Nonostante la fiducia e i bei momenti passati in compagnia dei pagliacci, c’era sempre qualche bimbo che si allontanava o si metteva a piangere alla vista di queste persone truccate intente a intrattenere il pubblico con scenette comiche e semplici trucchetti atti a strappar qualche risata.
La miniserie televisiva It del 1990, tratta dall’omonimo romanzo di Steven King, giocava in parte su questo aspetto: la paura del clown. Ovviamente, It è un pagliaccio che appare per portarti con sé, una figura che vuole la tua pelle e che, prima di farlo, ti spaventa a morte. Queste le basi per il personaggio del clown ma cosa intendiamo per “spaventare a morte”? It è un personaggio che uccide: i più ingenui soprattutto, attratti nella sua sfera di fiducia, una volta regalata qualche risata, come una mosca che si avvicini alla pianta carnivora per i suoi feromoni.
È proprio questa la particolarità di Pennywise, nome del clown di kinghiana memoria: il fatto di mettere una paura proporzionata alla fiducia che gli daresti. A oggi questa miniserie viene considerata da alcuni come un prodotto invecchiato male, frutto del suo tempo, ma che ebbe un impatto culturale senza precedenti; It, riconfezionato successivamente come un film, è diventato qualcosa di sacro, uno dei film più terrificanti di sempre colpevole anche per aver alimentato ancora di più la paura dei clown nei bimbi di tutto il mondo. It è apparso nelle classifiche dei film più spaventosi di tutti i tempi e, a oggi, ha lasciato un ricordo molto vivo nelle persone che videro la serie (anche se in Italia uscì con un ritardo di tre anni). L’It del secolo scorso, nonostante diverse critiche su internet, ha mantenuto quest’aura fino a oggi, con l’uscita del nuovo film di Andrés Muschetti. Chi da bambino abbia visto It ha atteso con impazienza questo remake che oggi permette anche ai nuovi appassionati di conoscere la storia di Pennywise, il clown ballerino, e dei ragazzi di Derry, raccontata con mezzi più attuali e uno storytelling più moderno. Inoltre, il nuovo film si può permettere di essere più fedele al libro e mostrare alcune scene che ai tempi, per via dei controlli sui contenuti televisivi nelle TV americane, vennero smorzate per la troppa violenza presente nel romanzo.

Il film ci racconta della storia del club dei perdenti, composto da Bill, Mike, Ben, Beverly, Eddie, Richie e Stan, combriccola di reietti intenta a scoprire cosa c’è dietro alle sparizioni dei bambini di Derry. L’evento che scatena l’indagine è però la scomparsa di Georgie, fratellino di Bill, uscito durante una giornata piovosa per giocare con la barchetta di carta che il fratello maggiore aveva realizzato appositamente per lui. I ragazzi si imbattono in strani incontri in cui le loro paure più profonde prendono vita e fanno la scoperta di certi eventi tragici avvenuti a Derry, il tutto con intervalli ciclici di 27 anni. Di tutte queste vicende avremo sempre un’ottima visione d’insieme, tutto ci viene raccontato con un pacing costante che restituisce sia il background dei membri del club sia i tasselli principali della storia senza interruzioni particolari. Un chiaro punto a favore di questo remake è quello di riuscire a presentare le storie dei protagonisti senza scadere negli odiosissimi flashback della miniserie tv e senza che la narrazione si interrompa. I ragazzi sono tutti degli ottimi attori e sanno esattamente come accentuare le personalità dei personaggi del romanzo, personalità che in fondo dovranno pesare poi ai fini della trama: il lutto di Bill, di cui veste i panni Jaeden Lieberher, l’istinto di sopravvivenza di Mike (Chosen Jacobs), il disagio di Beverly e Ben interpretati rispettivamente da Sophia Lillis e Jeremy Ray Taylor: per tutti It è la prima produzione importante. Discorso che non può applicarsi per Finn Wolfhard che semplicemente sfonda lo schermo interpretando Richie, il ragazzo con gli occhiali: complice anche l’esperienza fatta sul set di Stranger Things, risulta il migliore dei ragazzi, simpatico, inadeguatamente volgare, sempre presente anche se con fare goffo e adorabilmente codardo. È impossibile non innamorarsi della sua interpretazione. Questa nuova trasposizione sul grande schermo, visto che lo abbiamo citato, prende sicuramente molto dalla succitata serie tv Netflix, che l’anno scorso è letteralmente esplosa (e la cui seconda serie è stata lanciata lo scorso 27 Ottobre) lanciando un revival anni ’80 di grande successo; la sceneggiatura è intrisa dello stesso  spirito di collaborazione dei personaggi e di quell’atmosfera vintage e gli scenografi non hanno certamente perso tempo a riempire i set con oggetti tipici di quei anni tra merendine, poster, musicassette e persino il cabinato di Street Fighter (il primo) che appare nella sala giochi locale. La scenografia è inoltre accompagnata da una eccellente fotografia che trae il meglio degli ambienti film: dalle scuole affollate, ai laghi soleggiati, dalle fetide fognature alla bizzarra casa andata in fiamme. Il film di Muschietti, insomma, come Stranger Things, ci porta indietro di qualche decennio avvalendosi di mezzi moderni, di una fotografia ben curata e di effetti speciali niente male, anche se a volte la computer grafica risulta un po’ troppo invasiva e, al solito, facilmente individuabile. Il nuovo clown, interpretato da Bill Skarsgård, purtroppo si pone in maniera troppo paurosa senza un vero comportamento da clown, distruggendo in un certo senso la vera e propria particolarità di It, ovvero quel ricevere l’attenzione dal bambino-vittima per poi ucciderlo brutalmente. La magia che Tim Curry donava alla miniserie originale era proprio quella di avere quel fare goffo tipico di un clown, essere inadeguato e mettere paura quando meno lo si aspettava; questo nuovo It invece risulta decisamente scontato. Il suo unico obbiettivo è quello di mettere paura, uccidere ed essere sconfinatamente cattivo, senza che ci sia alcuna sfumatura che possa dare un tratto originale al personaggio del pagliaccio assassino. È un clown deteriormente figlio di questi tempi, e lo si può notare da vari jumpscare poco convincenti, molti disturbati da una colonna sonora che si intromette violentemente, smontando lentamente il build-up che dovrebbe portarci alla fine a sobbalzare dalla poltrona o a volte talmente forte da distruggere qualsiasi effetto sorpresa. In poche parole, capiremo sempre che qualcosa di orrendo sta per accadere. È un vero peccato perché la soundtrack di Benjamin Wallfisch è veramente deliziosa: delicata e leggera nei momenti più introspettivi che riguardano i ragazzi, brutale quando il clown è in azione. Il vero problema è – strano a dirsi – semplicemente il volume, e il modo con cui spesso la musica arriva a “invadere” certe scene, colpa da non attribuire al compositore. Inoltre, sempre per ricordare che siamo negli anni ’80, alcune volte sembra che il film voglia mostrare di essere “così figo” da non riuscire a contenersi: onestamente, anche se possono strappare qualche sorriso, ci è difficile capire il perché delle urla in slow motion durante la scena della battaglia di sassi, o di quei forzati primi piani sul poster dei New Kids on the Block nella camera di Ben Hanscom. È normale che un film come It debba dare un attimo di tregua agli spettatori ma non sembra questo essere il metodo migliore.

La nuova trasposizione cinematografica di It è dunque certamente ben riuscita: la storia fila e non annoia, gli effetti speciali sono molto belli, la fotografia è ben curata e la colonna sonora ben composta. Ha tutti gli elementi per renderlo un bel film, pur tuttavia non essendo esente da difetti che non possono essere messi da tralasciati. Il film manca purtroppo di carattere e, se oggi giudichiamo la miniserie un prodotto figlio del suo tempo, con tutti i limiti che ciò comporta, il destino di questo film potrebbe non essere tanto diverso. Ha certamente delle caratteristiche che oggi lo rendono un ottimo prodotto ma, col passare del tempo, probabilmente, le stesse cose che oggi sono punti di forza saranno le stesse che lo faranno sembrare un film datato. Oggi, e sicuramente per il futuro, questa pellicola rappresenta certamente la migliore alternativa di fronte alla tediosa miniserie, anche per la maggiore fedeltà al romanzo, ma la presenza di Tim Curry nell’originale era un valore aggiunto di cui il film di oggi non gode, ed è un elemento non da poco che ha contribuito a imprimere nella mente dei più l’immagine di It fino ad oggi, ed è quella che probabilmente resterà anche in futuro; questa pellicola non farà certo dimenticare una miniserie che ci ha regalato dei bellissimi momenti (o meglio, spaventi) che meritano di essere ricordati ma, se siete alla ricerca di qualcosa di più moderno e più fruibile, apprezzerete questo film. Se siete pronti per un nuovo incubo, addentratevi pure in sala.