Suicide Guy

Dopo l’uscita di videogiochi quali Woodle Tree The Adventures e Woodle Tree 2, la software house milanese, Chubby Pixel Company, ritorna con un nuovo titolo: Suicide Guy.
Si tratta di un action-puzzle game in prima persona che si propone in maniera originale, ponendosi fin dal titolo come un “suicide simulator“.
All’interno del gioco vestiremo i panni di un uomo grassottello che, in un certo senso, poltrirà sul divano per tutta la partita. Il gioco inizia dopo che il nostro personaggio si sarà addormentato lasciando cadere una bottiglia di birra. Noi avremo l’obiettivo di svegliarlo prima che la birra cada sul pavimento e, per centrare la nostra missione, dovremo completare una serie di mini-livelli, 24 in tutto.

Dopo aver terminato il tutorial, ci ritroveremo all’interno di un fast food, che rappresenta l’hub di gioco, ed è lì che si svolgerà il gameplay. Saranno presenti 24 tavoli sui quali spawnerà una miniatura del livello da superare. La complessità risolutiva dei livelli aumenterà gradualmente, ognuno è ben strutturato, con un level design di rango e alcuni di essi fanno riferimento a titoli famosissimi, come Jurassic Park, Mario Bros, Portal e altri ancora. Ogni livello ha anche un obiettivo secondario, quello di trovare una statua d’argento raffigurante il nostro avatar, mentre l’obiettivo primario sarà quello di uccidere il nostro personaggio.

Il gameplay proposto dalla software house italiana è basilare ma efficace, gli enigmi non risultano molto impegnativi, permettendo di superare i livelli in circa quattro ore. Suicide guy è un buon campo per i cacciatori di trofei, alcuni anche fin troppo semplici (per ottenerne uno ci basterà mangiare delle ciambelle), ma presenta un buon level design che tiene lontana la noia.
Il titolo presenta una grafica abbastanza semplice, con modelli non sono molto elaborati ma gradevoli; sfortunatamente alcune parti dell’ambientazioni risultano monche, anche se in piccolissimi punti, ma per fortuna piacevoli, grazie anche a un art-style cartoonesco ben curato. L’audio è molto orecchiabile e originale, e la possibilità di poterlo disattivare tramite una radio presente in ogni livello è una trovata a dir poco meravigliosa.
Un neo sicuramente rilevabile sono i non pochi glitch che ricorrono nel titolo e vari cali di framerate su PS4, ma per fortuna non intaccano in maniera rilevante la godibilità del gioco.
Tirando le somme, il titolo presenta pregi e difetti, ma il team di sviluppo ha certamente fatto un buon lavoro, rendendo Suicide Guy un buon indie proposto a un prezzo di lancio più che congruo (8 € su console, 5 € su Steam) che riesce a tener lontano il giocatore dalla monotonia con alcune ore di divertimento.




Croteam annuncia Serious Sam 4: Planet Badass

Croteam, sviluppatore indipendente croato, ha annunciato ufficialmente, su piattaforma Steam, Serious Sam 4: Planet Badass. Un teaser ha mostrato le immagini del gioco con veste grafica migliorata rispetto l’ultimo episodio Serious Sam 3: BFE ma Il rilascio di ulteriori dettagli, avverrà durante la conferenza E3 2018 di Devolver Digital a Giugno. Qualche informazione in più però possiamo carpirla dalla descrizione del titolo presente su Steam:

“Il famosissimo Serious Sam si appresta a tornare più grande e brutale che mai, e non su un unico livello desertico. Planet Badass  farà il suo debutto all’E3 2018.”

Sembra dunque che Serious Sam 4 – anche da quanto si evince dal trailer – sarà caratterizzato da ambienti molto più grandi rispetto a quanto vociferato da precedenti rumor.
Tra le nostre speranze vi è quella di una maggiore attenzione verso la componente narrativa, visto che Jonas Kyratzes (uno degli autori dietro l’acclamato The Talos Principle) sta proprio lavorando su questo nuovo titolo. La pagina di Steam elenca anche una co-op locale, cross-play tra le piattaforme, un editor dei livelli e il supporto di Steam Workshop. Non sono state ancora annunciate versioni console, ma conoscendo il franchise, sembra probabile un’imminente arrivo anche per quest’ultime.




Come sopravvivere nell’indie game development

Dopo aver lavorato con Insomniac e con RWS, Nathan Fouts si è dato al mondo indie, sfornando, giochi con la sua casa Mommy’s Best Games. Al momento sta lavorando a Pig Eat Ball, un arcade tra Super Mario Galaxy e Pac Man con componenti da puzzle game e, proprio alcuni giorni fa, è stato interpellato da GamesIndustry.biz e ha fornito le sue 22 “regole” per sopravvivere nel mondo dell’indie games.
A capo di Mommy’s Best Games dal 2007, Fouts premette di essere l’unico sviluppatore impiegato full-time in azienda e di avvalersi (dietro compenso) di vari amici per varie programmazioni, per musica, level-design e story-writing, in relazione al singolo progetto, per poi raccontare punto per punto la ricetta del suo successo:

1. Ho lavorato su titoli tripla A per 10 anni. Ho messo da parte dei soldi, con i quali abbiamo iniziato.
2. Mia moglie lavora a tempo pieno. Questo aiuta immensamente.
3. Vivo in Indiana. Il costo della vita è basso; la qualità della vita è alta. È meraviglioso. Vivere in un posto dove si vive bene ed è economico aiuta tantissimo.
4. Il nostro primo gioco, Weapon of Choice, è andato abbastanza bene. Ci ha fatto vincere dei soldi in un contest. Applico per circa una dozzina di contest ogni anno.
5. Ho lanciato Weapon of Choice sulla piattaforma XBLIG. Microsoft ha apprezzato il nostro gioco e l’ha appoggiato. Questo ha aiutato.
6. In alternativa ho provato a lanciare un gioco su Ouya. Non è andata bene, ho sprecato soldi. Mi piace quindi cercare settori di gioco meno battuti, li vedo come luoghi di crescita.
7. Ho insegnato “Introduzione al Game Development” in un corso per  il doposcuola nella scuola dei miei figli per fare dei soldi extra. Ho accresciuto il mio curriculum. Agli studenti è piaciuto. Ho usato Construct 2 per ragazzi di 8-14 anni.
8. Insegno Unity 3D in alcuni campi estivi. Ci sono ragazzi un po ‘più grandi, ma che ancora non conoscono la programmazione, quindi affrontiamo C # in punta di piedi. Anche lì guadagno dei soldi.
9. Nei cinque anni in cui ho lavorato per realizzare il nostro gioco di prossima uscita, mi sono fermato ogni tanto per realizzare piccoli giochi mobile più piccoli. Giochi come Finger Derpy nel 2015 e Emoji Scream nel 2016. Questo ha ricaricato il mio entusiasmo per il gioco principale. Tuttavia, quei giochi più piccoli non hanno guadagnato abbastanza denaro per coprire il loro tempo di sviluppo. Non lasciate che i “progetti di ricarica” vi ​​sfuggano di mano.
10. I giochi le cui vendite sono abbastanza morte, li ho messi in bundle. Fai un po ‘di soldi anche così. Ma mai Shoot 1UP. è il gioco più prezioso. Assicuratevi di capire dove risiede il vostro valore.
11. Ho pubblicato otto giochi commerciali in 11 anni. La maggior parte sono andati bene, alcuni no. Rilasciare un gioco ogni 10 anni e vendere milioni di copie può essere un metodo alternativo.
12. Mi sforzo di fornire un ottimo customer servicce. Ho giochi su Steam che sono vecchi di anni ma continuo a far parte della community, entro ogni tanto per controllare. Rispondo a tutte le email dei clienti che mi arrivano. Ho visto molti giochi lasciati a morire senza supporto agli utenti, e questo mi rattrista.
13. Supporto la rimappatura dei comandi e l’accessibilità nei giochi. Questo amplia il pubblico e consente a più persone di apprezzare il proprio lavoro.
14. Mi piace bypassare le grandi vendite di Steam e gestire le nostre vendite su Steam. Con i nostri giochi più piccoli a volte loro lo fanno meglio, questo ci permette di non perderci.
15. Ho fatto accordi con negozi cinesi online. Non sembra influire sulle vendite di Steam. Ho fatto un po ‘di soldi così, forse era un azzardo.
16. Ho fatto un lavoro a contratto per studi tripla A nel frattempo. Sono bei soldi, se ottenieni una commessa simile. Tieni occhi e orecchie aperte.
17. Ho un debole per il merchandise. Ho realizzato t-shirt per molti dei miei giochi. Palline soffici, frisbee, pick-picker. L’ho annotata come voce di marketing. Probabilmente è stato uno spreco di denaro, ma è divertente.
18. Ho lavorato su cinque educational game nel corso degli anni. Soldi in parallelo al lavoro principale, anche lì. Alcuni di quei progetti però sono andati oltre il tempo dovuto, e l’impegno non è valso l’introito.
19. Il mio motto è «tieniti sempre in agitazione».
20. E anche «Fai delle pause per preparare torte».
21. E ancora «Le lunghe passeggiate fanno parlare il tuo cervello»
22. Quest’ultimo [punto] è strano, ma probabilmente lo capirai.



Chuchel

Da Amanita Design, lo studio ceco che ci ha portato capolavori come Machinarium e Botanicula, arriva Chuchel, una nuova sorprendente avventura grafica (genere che ha da sempre contraddistinto questo developer) dai toni bizzarri ma incredibilmente fantasiosi e coloratissimi; non a caso, il titolo ha vinto il premio “Excellence in Visual Art” al Indipendent Games Festival (meritatissimo, secondo noi), ed è solo l’ennesimo premio simile vinto dallo studio. I giochi di Amanita Design sono sempre curati fin nell’ultimo dettaglio e questo nuovo titolo non è da meno: che sia su PC, Mac, iOS o Android garantisce un gameplay ricco e pieno di risate.

Un tipetto molto particolare

Chuchel è un simpatico pallino nero con una certa affinità con le ciliegie; farebbe di tutto pur di averne una, ma spesso un topino fucsia di nome Kekel e una misteriosa manona pelosa giocano degli scherzetti al nostro bizzarro personaggio e così dovremosempre escogitare qualcosa per raggiungere la nostra ambita ciliegia. Verremo posizionati in scenari in cui spesso ci saranno personaggi e oggetti con i quali potremo interagire; la natura del gioco è quella del punta e clicca, ed è dunque superfluo elencare quali azioni potremo svolgere con i singoli elementi dello scenario; vi basterà solo sapere che spesso e volentieri il nostro Chuchel farà sempre qualcosa di divertente o di adorabilmente ridicolo. Gli scenari sono spesso composti da una sola schermata e i singoli elementi non saranno mai tantissimi ma ciò non significa che i puzzle da risolvere saranno semplici; la soluzione non arriva mai a primo acchito, ci toccherà riprovare più e più volte determinate azioni, sempre con risvolti spesso esilaranti; ci sono poi dei livelli in cui non ci saranno dei veri e propri enigmi ma offriranno al giocatore un divertente intermezzo con il quale poter interagire e dunque avere sempre una scenetta, più o meno personale, fra un livello e l’altro. Le soluzioni dei puzzle non sono mai chiarissime e perciò i game designer hanno pensato bene di inserire alcuni indizi qualora il giocatore si trovi in difficoltà in alcuni punti dall’avventura: il primo ci verrà dato sin da subito, un altro arriverà quando saremo visibilmente in difficoltà e questo sarà un pochettino più ovvio del precedente. Capiterà anche, rimanendo in tema di indizi, che quando cliccheremo su una delle apposite icone, Chuchel comincerà a farfugliarci la soluzione, facendoci sentire, a modo suo (visto che non parla la nostra lingua), dei veri incapaci!
È un titolo che sorprende di continuo e tante volte le meccaniche del gioco cambieranno senza un minimo di preavviso: da un momento all’altro potremo passare da semplici schermate statiche a una planata a bordo di un uccellino evitando ostacoli à la Flappy Bird, ci troveremo a combattere con dei robot giganti, a leccare strani funghi allucinogeni e ad aver a che fare con strambe allucinazioni oppure in un labirinto a mangiare ciliegie insieme a nientepopodimeno che Pac Man!
Al di là di tutto, è sempre il contesto generale a essere imprevedibile: le interazioni con Chuchel o con qualche elemento ambientale sono sempre assurde e, quasi sempre, questo titolo riuscirà a farci ridere e a risollevare il nostro umore, un po’ come avviene quando si guarda un cartone animato con poca logica! Il nostro personaggio infatti è spesso prolisso, esagerato e le lunghe animazioni, cliccando su un elemento dello schermo, servono proprio a sottolineare il brio che il gioco vuole trasmettere. Il gameplay in un certo senso, al di là dei semplici click o di un cambio di meccanica improvviso, potrebbe sembrare un po’ povero ma il titolo ci sorprenderà sempre proprio quando meno ce lo aspettiamo e sempre con risultati spettacolari.

Estasi sensoriale

Chuchel presenta uno stile veramente personale e ogni animazione è veramente curata fotogramma per fotogramma; dire che il solo guardare una schermata del gioco, anche senza far nulla, è un piacere per gli occhi non è un’esagerazione. Alcuni potrebbero lamentarsi del fatto che le animazioni, quando viene triggerata un’azione, non sono skippabili, ma guardare Chuchel risolvere i puzzle “a modo suo” è sempre un piacere da vedere, giocare a questo titolo non è molto diverso dal guardare un bel cartone animato. Descrivere il suo stile grafico non è facile, anche se è chiaro l’intendo di rievocare, a larghe linee, i disegni infantili, e dunque si ritrovano molti tratti in acquerello, a tempera/acrilico e anche a matita, sempre in una maniera imprecisa ma estrosa. È molto difficile dunque accostare un simile art-style a uno già esistente per via della sua unicità e singolarità; potrebbe a tratti ricordare qualcosa come Adventure Time, Gumball o Salad Fingers (se fosse privo di toni macabri e contorti) ma neppure questi esempi sono in grado di descrivere la spettacolare presentazione di questo titolo. Se vi portate a casa la Cherry Edition su Steam otterrete, insieme al gioco, anche l’art book in PDF e la colonna sonora del titolo; inutile dire che questo booklet, composto da ben 89 pagine, è curatissimo e rappresenta davvero un esperienza aggiuntiva perché le illustrazioni al suo interno sono semplicemente fantastiche e il suo acquisto (5€ in più rispetto alla versione base) vale davvero i soldi spesi.
Per accompagnare questo capolavoro di arte visiva c’è un comparto sonoro semplicemente eccezionale; questo è affidato interamente alla band DVA che dunque non ha soltanto composto la soundtrack, che presenta uno stile che si rifà sia alla musica elettronica che a uno strano folk (più precisamente un Freak Folk) e segue spesso l’azione dello schermo come una Silly Symphony, ma hanno anche prodotto tutto l’assetto degli effetti sonori che, probabilmente, è ciò che potrebbe colpire di più il giocatore. Come già accennato in precedenza, “niente è come sembra” e dunque, se ci aspettiamo un “cip” di un uccellino, sentiremo sempre un suono strambo, prodotto spesso sia coi sintetizzatori sia, talvolta, anche a voce! Se utilizzerete le cuffie riuscirete a notare che alcuni effetti sonori, come un’esplosione, un volo o il sibilare di un serpente, sono stati riprodotti con un buffissimo suono fatto a voce, e questo è davvero un tocco di classe!

La ciliegina sulla torta

Chuchel è un gioco davvero spettacolare, che inebrierà i vostri occhi e le vostre orecchie ma, soprattutto, vi farà ridere e vi cambierà le giornate. L’opera attinge molto dai classici del genere, ma è comunque molto accessibile ed è un ottimo titolo sia per chi si vuole aprire verso questo genere e sia per i veterani, anche solo per poter godere dello stupendo art-style e della sua fantastica presentazione. Unica pecca è forse la sua scarsa longevità: i giocatori più esperti potrebbero completarlo in poco tempo e i pochi achievement paralleli non sembrano essere un grosso incentivo per continuare a giocare a questo gioco.
Ci sentiamo dunque di consigliare Chuchel soprattutto ai neofiti del genere che vogliono addentrarsi nel mondo delle avventure grafiche oppure agli estimatori della Amanita Design; questo è solo uno dei spettacolari giochi dello studio ceco e potrebbe costituire un ottimo punto di partenza per conoscere la loro realtà fatta primariamente da giochi simili, per poi recuperare i succitati titoli precendenti.
Il prezzo di Chuchel su Steam non è per niente proibitivo e per 9.99€, o 14.99€ se avete intenzione di guardare l’artbook e ascoltare la colonna sonora (credeteci, sono veramente fantastici), aggiungerete alla vostra libreria un piccolo grande capolavoro fatto di puzzle intriganti, personaggi strambi e suoni buffi! Provare per credere!




Tower 57

Ricordate i tempi dell’Amiga? Quei giochi per computer un po’ scrausi, un po’ over the top e dal character design alquanto bizzarro che trovavate in mezzo ai vostri floppy senza neanche capire come fossero finiti all’interno del vostro raccoglitore? Ecco che Pixwerk ci porta indietro nel passato con stile, in un epoca fatta di tempi di caricamento lunghissimi (tranquilli, qui non ce ne sono), violenza accentuata e joystick con le ventose da attaccare al tavolino: stiamo parlando di Tower 57, un bellissimo e divertentissimo top-down twin stick shooter per PC, acquistabile tramite le piattaforme Steam, GoG e Humble Bundle.
Il gioco è una vera e propria lettera d’amore per i fan di Alien Breed e Chaos Engine, entrambi popolarissimi titoli per Amiga e DOS, ma anche per chi apprezzato classici per console come Zombies ate my Neighbours e Smash Tv; la sua realizzazione è stata possibile grazie ai finanziamenti di quasi 2000 appassionati, ma Tower 57 offre di più di una semplice operazione nostalgica: è un titolo che fonde più generi, implementa nuove meccaniche, impossibili per i controller dell’epoca, ponendosi così come un gioco moderno, pieno d’azione ma soprattutto divertentissimo.

Time to kick some ass

La civiltà non è più come quella che conosciamo, le città non esistono più e le comunità di persone si sono organizzate in torri, come quella in cui stiamo per infiltrarci: si raggiungono in treno e all’interno di esse ci sono strade, negozi, ospedali, centri di bellezza, hotel e persino fabbriche. A quanto pare, in un piano della Torre, c’è una rivolta in corso e la I.T.G. ha inviato di nascosto 3 dei suoi 6 agenti di punta affinché questo spirito di rivoluzione non si diffonda come un virus. Scesi dal treno prenderemo subito dimestichezza con i semplici controlli e ci recheremo presto nella prima area di gioco, le fogne. I (bizzarri) personaggi del titolo hanno tutti più o meno le stesse caratteristiche: un’arma standard con proiettili infiniti (poco utile durante le mischie più selvagge), un’arma caratteristica più potente e dal raggio d’azione più ampio, un’arma o strumento di supporto e un attacco speciale che distruggerà tutti i nemici in una schermata. Quest’ultimo potrà essere attivato soltanto quando la barra speciale, che si riempie lentamente a ogni nemico annientato, sarà piena e metà della stessa potrà permetterci anche di cambiare personaggio in vista di guai o di una situazione meglio gestibile con un altro agente; non avremo più la possibilità di cambiarli una volta avviato il file di salvataggio perciò è bene trovare il giusto equilibrio sin da subito (anche se è molto difficile visto che dal menù possiamo solo osservare l’immagine dell’arma caratteristica e un’animazione del suo attacco speciale).
Il gioco, essendo un twin stick shooter, permette di controllare gli agenti in azione sia con un controller con due levette analogiche sia con mouse e tastiera, ed entrambi i metodi sono molto precisi e reattivi, perciò basterà scegliere con calma il metodo che più vi si addice. Eliminare tutto quello che c’è in una schermata non è per niente una passeggiata, i nemici si faranno sempre più frequenti e a ogni piazzola ci sarà sempre una vera e propria carneficina; il gameplay è ispirato ai più classici top-down shooter, come i già menzionati Chaos Engine, Zombies ate my Neighbors o Smash TV, ma attinge anche, da come si può notare nelle schermate più “affollate”, dai bullet hell alla Touhou, un po’ come avviene per le schermate di combattimento di Undertale (complesse, sì, ma nulla di impossibile); in aggiunta, come se non bastasse, gli elementi ambientali saranno quasi sempre distruggibili, alcune volte rivelando anche sezioni e passaggi nascosti, e avremo inoltre la possibilità, in alcuni stage, di salire a bordo di un carro armato e moltiplicare il caos in maniera esponenziale. Gli upgrade alle armi e alle parti del corpo danno al titolo, abbastanza definito nel suo genere, un’insolita veste RPG e dunque più potenti saremo, meglio riusciremo liberare le schermate dai nemici; sfortunatamente il gioco chiede molto grinding sin da subito e tutto quello che faremo per livellarci non sempre sarà ripagato. Per quanto sia divertente spazzare via i nemici nelle maniere più violente possibili per poi raccoglierne i soldi, che servono proprio per comprare gli upgrade, questi spesso non saranno mai abbastanza per comprare le migliorie negli appositi banconi; già dal secondo livello gli upgrade saranno decisivi e si finirà inequivocabilmente per creare disparità temporanee fra i personaggi. Tuttavia Tower 57 si pone come un gioco molto tosto, con la giusta pazienza (e con i giusti trucchetti per vincere alle scommesse nelle bische clandestine dell’hub world) è possibile completarlo in single player ma per godere veramente del potenziale di questo titolo vi consigliamo di giocarlo in co-op locale, proprio come si faceva con i titoli sopramenzionati; il gioco offre anche la possibilità di una cooperativa online, però, momentaneamente, i server sembrano deserti, e dunque non siamo proprio riusciti a provare questa modalità per mancanza di giocatori (anche per questo vi consigliamo di sedervi davanti al pc con un amico).

Follia con classe

Le peculiarità grafiche, come già accennato all’inizio, si rifanno allo stile e alla palette di colori 16 bit tipica dell’Amiga, ma il vero punto forte di questo titolo è il suo art style: le tecnologie retro-futuristiche/fantascientifiche che caratterizzano gli ambienti di questa società distopica si rifanno al dieselpunk, stile che fonde elementi steampunkcyberpunk con una spruzzata di Art Deco degli anni ’30; il tutto si fonde perfettamente con la coloratissima, seppur opaca, grafica dei popolarissimi tardi computer Commodore. Per darvi un idea di questo particolarissimo stile vi basterà pensare a giochi come Bioshock o Grim Fandango, oppure a film come Blade Runner, Brazil di Terry Gilliam o il leggendario Metropolis di Fritz Lang (film che influenzano, difatti, anche la trama di Tower 57). Non mancheranno, inoltre, infiniti rimandi all’Amiga stesso come le sfere a scacchi un po’ dappertutto, simbolo del popolarissimo PC, o il floppy che segna il salvataggio automatico con i tipici temi arcobaleno; tocchi del genere sono delle vere chicche per i più nostalgici! L’art stile generale influenza, di conseguenza, anche i personaggi giocabili e i ritratti che li raffigurano, così come quelli degli altri NPC del gioco, che risultano bizzarri e over the top, inutile a dirlo, in pieno stile anni ’90!
Gli stessi personaggi godono di doppiaggio, e le linee di dialogo, quando questi esaminano un oggetto o raccolgono medi-kit e munizioni, sono veramente esilaranti, specialmente quelle di The Don che, essendo italiano, quando analizza qualcosa di cui non ne capisce il significato ci delizia con un bel «che c***o è» (espresso con un poco convincente accento anglosassone, un po’ alla Italian Spiderman). La musica che fa  da sfondo al gioco si mantiene nell’area elettronica, attinge dal chiptune dei giochi per computer europei, un po’ dalla demoscene ma senza necessariamente utilizzare quegli stessi suoni; tutto sommato la colonna sonora è ben composta e ci sono molti bei temi anche se, nonostante sia molto valida, rimane impresso poco e niente delle melodie dei livelli.

E chi se lo aspettava!

Tower 57 è davvero una bellissima sorpresa: è difficile, ha stile, diverte con meccaniche molto semplici e presenta pochissimi bug sul piano del gameplay. Il vero peccato questo gioco è la sua longevità; anche se la difficoltà ci terrà lontani dal completarlo in un batter d’occhio purtroppo il gioco finisce proprio quando cominceremo a diventare veramente bravi, il che significa fra le 3 e le 5 ore di gioco. Ad ogni modo, i diversi personaggi permettono almeno un po’ di rigiocabilità più, specialmente se si vuole ottenere il finale buono, ma la vera peculiarità del titolo sta nel suo multiplayer, pensato e tarato per una sessione di gioco in compagnia. Raccomandiamo vivamente Tower 57 anche se vi servirà un buon inglese per apprezzare la storia e lo humor; il gioco non è tradotto in italiano e la lingua utilizzata è giusto un po’ astrusa, forse per attenersi meglio ai toni noir della storia. Con 11,99€ potrete però portarvi a casa un bel titolo in grado di regalarvi piacevolissime ore insieme ai vostri amici o online (se riuscite a trovare qualcuno): una vera e propria gemma nascosta.




The Secret of Middle City

Molti dei giochi indie a cui giochiamo sono spesso meri rimandi al passato,  giochi pixellosi a cui fa sempre un certo piacere giocare; tuttavia, ogni giocatore ha quasi sempre un “guilty pleasure”, un titolo non propriamente bello con la quale ha una certa affinità cui però, trovandosi in contesti pubblici, ne parla anche male. Dunque ci si accorge che il gioco è fondamentalmente carente, lo si prende a parolacce di fronte agli amici gamer ma appena si torna a casa la prima cosa che si fa è accendere il computer e giocare con quel gioco maledetto… ecco, The Secret of Middle City è potenzialmente uno di quei titoli!
Sviluppato dallo studio indie italiano GDG Entertainment, è un gioco punta e clicca dalle tonalità “singolari”: sebbene il budget per la realizzazione sia chiaramente ben ristretto, come spesso accade per questo tipo di giochi, qui si respira un’aria ancora più low cost, un’avventura grafica che si presenta alquanto “scrausa” e, da titolo per PC anni ’90, persino “rotta”. The Secret of Middle City, se non altro, è stato concepito col motore Hollywood, il che significa che, oltre a funzionare su PC e Mac, è stato concepito e gira su Amiga OS 4, sistema operativo ancora reperibile e tuttoggi supportato! L’operazione nostalgica riesce in tutto e per tutto, anche se, sfortunatamente, l’opera attinge troppo e solo al passato, portando con sé sia i pregi che i difetti dei giochi per computer dell’epoca; potremmo dire benissimo di amare e odiare questo gioco allo stesso tempo: lasciateci spiegare.

Un tipetto… singolare

Middle City, 22 Aprile: viene segnalata la scomparsa di Linda Patton, brillante ragazza di questa piccola comunità di montagna. Viene trovato un braccio mozzato vicino a un fiume, insieme a un braccialetto con il suo nome impresso, e perciò si teme il peggio. Si decide dunque di coinvolgere il governo e così viene inviato il miglior agente federale del FBI; purtroppo Dale Cooper è impegnato a Twin Peaks con Laura Palmer e così, in sostituzione, dobbiamo accontentarci dell’agente Cox, un agente provolone, tonto e cascamorto. Durante il filmato iniziale, verremo a conoscenza di un misterioso “grande albero”, un luogo che sembra custodire un grosso segreto; cominceremo così a girare per Middle City in cerca di indizi, tentando di ricostruire quello che è successo a Linda Patton la sera della scomparsa; tutto sembra avvolto nel mistero e, a quanto pare, in molti dicono di guardarci le spalle e che la città nasconde un segreto collettivo. Come in ogni buon punta e clicca dovremo ovviamente andare in cerca di indizi interrogando le persone del luogo, triggerando i dialoghi testuali, che risultano abbastanza esilaranti, mantenendo una linea comica ispirata alle più classiche avventure grafiche della LucasArts ma con sfumature tipicamente italiane. È possibile inoltre, passando il mouse sugli oggetti di un luogo, analizzare gli oggetti che non possiamo prendere; talvolta da questi indizi è possibile capire come procedere nella nostra avventura… o semplicemente scoprire il pensiero dell’agente Cox! Per come è strutturato il gameplay, non c’è in realtà alcuna ragione di spostarsi all’interno dell’ambiente al di fuori dei dialoghi: è possibile analizzare la stanza e raccogliere determinati oggetti solamente col mouse e dunque, se negli ambienti non ci sarà nessuno da interrogare, il nostro agente starà sempre fermo sulla soglia d’ingresso di certi ambienti senza mai spostarsi di un centimetro. Non è un difetto terribile, ma toglie certamente dinamismo e azione al titolo, ci sarebbe piaciuto vedere un detective più attivo anziché far sembrare il tutto una sorta di text game.
Nulla da eccepire riguardo comparto testuale ma, come abbiamo accennato all’inizio, certi elementi nostalgici potevano essere tranquillamente lasciati nel passato da siamo stati presi: non sappiamo se fosse intento dei developer, ma i dialoghi non sono più rivisitabili e dunque non si possono richiamare due volte. È vero che le finestre vanno avanti solamente tramite un nostro click, ma tante volte ci si può semplicemente dimenticare di un dettaglio, il nome di una persona o una destinazione, perciò vi converrà stare attenti a ogni parola che verrà detta anche se, nonostante i dialoghi siano molto divertenti, buona parte delle interazioni è praticamente inutile e non serviranno a ricostruire ciò che è successo la sera dell’accaduto o a costruire delle ipotesi su chi sia il colpevole della sparizione di Linda Patton. Il vero effetto di questa mancanza emerge ancor di più quando si salva e si ritorna a giocare dopo ore; il non poter richiamare determinati dialoghi alla riaccensione del computer è un male per i giocatori più smemorati e, a meno che non si guardi una guida online, finiremo per girare a vuoto per Middle City per parecchio tempo per trovare la conversazione da triggerare, per visitare una destinazione non ancora presa in esame, per consegnare un oggetto o, ancora più criptico, un oggetto combinato che ci permetterà di continuare la campagna. La logica in tal senso viene coinvolta ben poco ai fini della progressione nell’indagine: non si cercano indizi per scoprire i risvolti della scomparsa di Linda Patton ma si gioca per mandare avanti l’avventura. I NPC potrebbero anche parlarci di luoghi da visitare e/o persone da interrogare ma, fino a quando determinati obiettivi (di cui il gioco stesso ci tiene all’oscuro) non verranno soddisfatti, non potremo procedere verso certi luoghi.
Man mano andremo ricostruendo il quadro completo, Middle City si aprirà sempre di più, ma scoprire quali parti della città, dopo determinati dialoghi, risultano sbloccate è sempre abbastanza criptico: difficilmente sapremo quando e dove si troveranno i nuovi luoghi da visitare (sarebbe bastato segnalarlo con una schermata incidentale) e questo lede in termini di funzionalità il design.
L’inventario contiene le opzioni usa/dai e combina/unisci, ma capire quali sono gli oggetti da unire e quali da usare in certe circostanze è spesso molto difficile: forse questa è una caratteristica che solamente gli appassionati più infoiati delle avventure grafiche potranno apprezzare.

Floppy pieni di “sorprese”

La grafica di The Secret of Middle City è stata realizzata a mano per poi essere ritoccata in seguito nei computer Amiga; si nota un certo art style tipico delle avventure grafiche degli anni ’90, eppure alcuni elementi risultano fuori posto: cominciamo dalle cutscene, molte delle quali sono disegnate e colorate a matita; nulla in contrario a questa scelta stilistica, anzi, è uno stile molto audace in un ambiente in cui tutto è stilizzato e progettato millimetro per millimetro al computer. Si vede chiaramente la passione del disegnatore Stefano Buonocore, perno fondamentale dello sviluppo di questo gioco, per le vecchie avventure grafiche e per gli art stile tipici dei giochi per i vecchi computer europei; tuttavia alcuni NPC, nonostante gli ambienti siano ben lontani dallo stile delle cutscene, presentano spesso lo stesso stile a matita, ben lontano dal protagonista, facendoli spiccare in modo poco armonico rispetto al contesto, come fossero stati estrapolati da un altro gioco.
Il titolo verrà giocato in 3:4. Ai bordi troveremo le varie opzioni del gioco ma, anche se si tratta di un chiaro elemento nostalgico, rimanda a un’idea volontariamente cheap. L’inventario, per esempio, è richiamabile cliccando sulla sua icona ai bordi dello schermo, e per toglierlo bisognerà cliccare nuovamente sulla stessa; per rendere questo processo più veloce, e dunque tornare velocemente in azione, sarebbe stato molto meglio cliccare da qualche parte lontano dal box del menù anziché riportare il mouse sull’icona del menù oggetti.
Sembra voler intenzionalmente richiamare (in maniera nostalgica) alcuni di quei giochi presenti in Giochi per il mio Computer, a tratti anche quei terribili giochi per PC in regalo con le scatole di cereali Kellogs o con le merendine del Mulino Bianco; ci riesce anche, ma non è che stiamo finendo in un campo fin troppo nostalgico? È probabile inoltre che la programmazione avvenuta su Amiga impedisca al gioco una risoluzione ottimale: abbiamo ottenuto una versione del gioco standalone e non siamo riusciti a giocare a questo titolo in modalità full screen per via di un errore, costringendoci a giocarlo in modalità windowed. L’operazione è stata tentata su più di un PC, con lo stesso identico risultato. Non sappiamo dire se la stessa cosa avviene su Steam (dove il gioco è in vendita per 14,99€) o su Amiga OS 4.
I temi musicali del gioco richiamano a dovere l’epoca delle avventure grafiche anni ’90; i temi sono molto semplici ma riescono a restituire quelle le sensazioni di una passeggiata all’interno di questa piccola comunità di montagna. Non mancheranno chiaramente temi più “oscuri” quando andremo a visitare qualche luogo misterioso o intraprenderemo un dialogo particolarmente importante; in questi frangenti lo stile melodico richiama chiaramente quello tipico di Angelo Badalamenti, compositore dell’acclamatissima serie TV I Segreti di Twin Peaks (che, ovviamente, influenza tantissimo la trama di questo titolo), e bisogna dire che questi temi sono particolarmente belli, nonostante i toni demenziali della quale il gioco è intriso. Come abbiamo già detto, i dialoghi sono interamente testuali, ma ci sarebbe tanto piaciuto se questi fossero stati doppiati ed essere dunque di supporto al testo, come avvenuto lo scorso anno in Thimbleweed Park, punta e clicca di Ron Gilbert che compie la stessa “operazione nostalgia”.

Tirando le somme

Cosa pensiamo dunque di The Secret of Middle City? Dire, come abbiamo detto all’inizio, che sia allo stesso tempo bello e brutto non è un assurdità. Ci sono elementi, come la grafica, il sonoro o le battutine stupide di Cox, che rendono il gioco adorabile e un bel salto nel passato; tuttavia, ce ne sono altri, come l’astrusità dell’inventario, il non poter richiamare i dialoghi una seconda volta e il non poter capire quando e dove certi luoghi diventano accessibili, che ce lo fanno anche odiare. È chiaramente un titolo pensato principalmente per gli amanti delle avventure grafiche di una certa età (anche perché non mancano certi disegni e scene un po’ piccanti) e chiaramente non per tutti: è uno di quei giochi in cui si sarebbe potuto fare anche di più, ma si è puntato forse troppo sull’effetto nostalgia, prendendo del passato sia gli aspetti positivi che quelli negativi, riportandoli nel presente senza un’adeguata revisione, consegnando un’avventura grafica meno curata, con meno carattere e certamente non all’altezza di molti altri titoli odierni del genere. Il prezzo su Steam non risulta competitivo, e forse andrebbe rivisto verso il basso per stimolare l’acquisto a gamer curiosi che vogliano comunque godersi qualche ora di divertimento. Se vi mancano questo tipo di avventure grafiche, quel senso di “cheap” tipico di certi giochi per PC di fine anni ’90, e soprattutto se avete un AmigaOne X5000 (il modello corrente di Amiga), beh… allora questo gioco fa per voi!




Il nuovo store online Kartridge pronto a dichiarare guerra a Steam

Secondo la compagnia Kongregate, nota piattaforma di download per giochi F2P di etichette indipendenti, il lancio di Kartrindge, questa estate, porterà un netto cambiamento al monopolio instaurato dal suo futuro concorrente Steam, che finora possiede la maggior fetta di utenza tra i PC Gamer.
Kartridge promette di essere differente dalla concorrenza e cercherà di attrarre il maggior numero di software house possibile. Per questo Kongregate, promuove politiche differenti: upload senza commissioni per gli sviluppatori, libero mercato per il controllo dei prezzi e la possibilità di creare una pagina del proprio negozio all’interno della piattaforma stessa. La società afferma inoltre, che Kartridge oltre a offrire caratteristiche innovative, andrebbe a colmare anche le lacune presenti in questo tipo di mercato online. Su questo però bisognerebbe controllare dove e quali potrebbero essere queste lacune; oltretutto ricordiamo che non sarà solamente Steam il diretto concorrente, ma che sono già presenti sul mercato anche piattaforme molto solide per PC come EA Origin, GOG, uPlay e il non meno importante Microsoft Store.

Emily Greer, CEO di Kongregate, intervistata da gamesindustry.biz ammette: «È vero che il mercato è già saturo, ma questo non vuol dire che non ci sia spazio per qualcosa di nuovo. A volte i giocatori sono così assuefatti dall’abitudine di utilizzare sempre le stesse cose che probabilmente non si rendono neanche conto di desiderare inconsciamente qualcosa di nuovo, qualcosa che gli si dovrebbe solo far scoprire.» Infatti dice anche: «Tutti utilizzano Steam, ma questo non necessariamente implica che gli piaccia… Steam non è per tutti!».

Inizialmente, dice la Greer, la compagnia cercherà di attrarre tutte le piccole case di sviluppo  indipendenti, in modo anche da offrire qualcosa di innovativo che sia differente dagli altri store online. Steam ormai da tempo è diventato il “porto sicuro” di tutti gli sviluppatori per giochi PC, la stessa Kongregate ha alcune delle sue pubblicazioni editoriali su questa piattaforma confermando quindi il dominio di Valve su tutti gli sviluppatori. Quindi con una realtà di mercato del genere, l’industry è pronta ad avere un’altra piattaforma come Kartridge?

«Pensiamo proprio di sì – dice Emily Greer – Abbiamo anche avuto un’ottima reazione da molti sviluppatori indipendenti, che sembrano essere entusiasti per la possibilità di curare liberamente la propria immagine e il proprio negozio all’interno della piattaforma e per quella di avere una vetrina separata dal resto della massa. Ovviamente il fatto che non ci siano commissioni sull’upload dei contenuti non impedirà ad alcuno di proporre il proprio prodotto, anche ai ragazzini che producono il loro primo videogioco: probabilmente avremo così tanto materiale fino al punto da avere la stessa corposità di Steam, ma Kongregate ha più di 10 anni di esperienza per gestire una situazione del genere, e nella sua piattaforma, oltre al materiale dei neofiti, offre anche titoli di etichette importanti quali EA, Supercell e Ubisoft».

La piattaforma sarà strutturata in modo da avere tutto e sempre a portata di mano, spiega la Greer, inserendo podcast, suggerimenti basati sugli acquisti effettuati e altre informazioni che normalmente vengono sepolte invece dalle notizie da “prima pagina” non solo sulla homepage appunto, ma saranno ricorrenti nelle varie pagine durante la navigazione. In questo modo tutti gli sviluppatori avranno la possibilità di essere “scoperti” dai videogiocatori e a dargli manforte. Questo è il vero lato innovativo di Kartridge che darà i mezzi, a piccole etichette, per poter creare il loro brand, la loro pagina del negozio e quindi farsi conoscere partendo da zero.




Errori di programmazione per Civilization 6

Pochi giorni fa, Straight White Shark, un noto modder dei forum Something Awful, sembra aver scoperto un errore tipografico nel file di gioco che regola i comportamenti di default dei vari leader del gioco. I programmatori, infatti, hanno erroneamente castrato i parametri dell’Intelligenza artificiale per la produzione della statistica Fede come la più bassa a differenza delle restanti presenti nel gioco.
Come qualcosa del genere possa essere sopravvissuto alle migliaia di ore di test e valutazione è un mistero, specialmente per un titolo come Civilization VI. Non è chiaro, tuttavia, se questi errori fossero presenti già nella versione originale del gioco o se siano il risultato di un recente aggiornamento.
A difesa di ciò, alcuni giocatori hanno notato come, per esempio, Pedro II del Brasile producesse 100 punti Fede in meno rispetto a una partita giocata con il codice corretto nelle stesse condizioni della partita giocata con il codice non corretto.
Per la gioia di tutti i player di questo titolo è già presente una mod che corregge questo bug presente nel WorkShop di Steam




Giocare a calcio in VR (con tanto di scarpette)

Al Mobile World Congress, HTC, oltre a promouvere i suoi visori per realtà virtuale Vive Pro e Vive Focus, ha presentato il suo Final Soccer VR, un nuovo programma di coaching e riabilitazione per calciatori. È stato progettato da Mi Hiepa Sports (con sede a Manchester) e utilizza un Vive Pro senza cavi ma con tracker Vive montati su parastinchi e scarpini per seguire i movimenti nello spazio 3D. Questi tracker sono la seconda versione dell’accessorio, visto che la prima fu lanciata lo scorso anno vincendo ancheil premio VR Accessory of the Year ai Wareable Tech Awards 2017. Il gioco sfrutta il nuovo sistema di tracciamento SteamVR 2.0 di Valve, che ora offre la possibilità di coprire uno spazio di gioco fino a 10×10 metri.
L’idea alla base è quella di usare la realtà virtuale per perfezionare i talenti della prossima generazione di calciatori, e aiutare i professionisti a lavorare sugli aspetti più deboli del loro gioco in modo divertente, nonché di offrire ai giocatori infortunati un percorso alternativo per il recupero, con l’obiettivo di fornire benefici fisici e mentali.
Fondamentalmente il gioco consiste nel calciare la palla verso un obbiettivo contrassegnato, ma prima di farlo è necessario entrare in posizione, assicurandosi di essere posizionati all’interno di un grande cerchio che indica lo spazio in cui ci si può spostare.

Nella prima esercitazione, è necessario calciare il pallone nella piccola porta posta  davanti. È possibile notare subito come la risoluzione sia migliorata su Vive Pro e come un kit del genere non sia per niente ingombrante o fastidioso come potrebbe sembrare.
Quando si colpisce la palla, il tracker è particolarmente reattivo e senza segni di ritardo. La fisica della palla sembra essere stata studiata a fondo, perché risulta molto realistica e si comporta come come farebbe nella vita reale un pallone da calcio, simulandone anche il peso. È possibile colpire la palla con precisione e il campo visivo è ben sfruttato, costringendo a fare una rapida scansione dell’area per identificare da dove proviene la palla. Con l’avanzare della difficoltà, aumenta l’autenticità delle esercitazioni e l’imprevedibilità delle situazioni di gioco.
Dopo aver completato un paio di livelli dell’addestramento, i propri record sono stipati in una top five. Final Soccer VR è pensato per essere usato dai giocatori in sessioni di circa 15 minuti e si suppone che gli allenatori siano in grado di usare i dati per tenere traccia dei progressi e notare i miglioramenti.

 




Life is Strange: Before The Storm – Episodio Bonus: Addio – See You Space Max

Nel mondo degli Indie, Life is Strange si è già conquistato un posto tra i cult dell’ultimo decennio, riuscendo a tessere una perfetta trama che lega i vari personaggi, prima ancora di essere un teen sci-fi ben strutturato. Il lavoro di Deck Nine è riuscito a interfacciarsi perfettamente ai giocatori, con storie e personaggi credibili e capace di rispondere al pensiero che almeno una volta nella nostra vista abbia fatto, ovvero cambiare una nostra scelta passata qualora ne avessimo la possibilità. Tolta la componente sovrannaturale e persino la protagonista Max, il prequel Before the Storm è riuscito a innalzare ulteriormente il valore del lavoro del team, dimostrando che il titolo può autosostenersi grazie alla sceneggiatura e la messa in scena.
In esclusiva per i possessori della Deluxe Edition dell’ultima fatica di Deck Nine, arriva questo episodio bonus denominato Addio, il cui tutto sarà incentrato sull’ultimo saluto tra Maxine e Chloe, prima del ricongiungimento nella saga originale. Questo ulteriore prequel è un capitolo particolare ma nonostante ciò, riesce ad aggiungere un bellissimo pezzo del puzzle al già stimato Life is Strange.

The Maxine show

Addio è un episodio interamente incentrato sul legame fraterno tra Max e Chloe, prima che tutto venga sconvolto dagli eventi che noi giocatori conosciamo ma che è meglio non divulgare per evitare spoiler. Il giorno peggiore della vita di Chloe viene vissuto dal punto di vista di Max, in un percorso abbastanza guidato rispetto ai precedenti capitoli ma non per questo banale: il valore dei rapporti è e resterà una componente fondamentale delle vicende e, nonostante sia un episodio della durata di circa un’ora e mezza riesce a suscitare fortissime emozioni – a volte contrastanti – in eventi di cui comunque siamo a conoscenza. Si viene a creare così una netta distinzione tra “raccontato” e “vissuto”, una differenza presente costantemente nelle nostre vite ma a cui non facciamo caso, ed è proprio questa la forza di Life is Strange: un punto di vista esterno rispetto a episodi di vita che la maggior parte di noi ha vissuto, riesce a far riflettere sulle nostre scelte, desideri e conseguenze. Un’opera formativa che, sfruttando storie che a un primo sguardo possono risultare banali, permette una crescita personale che ben poche opere videoludiche e non riescono a ottenere. La differenza è data dal come si racconta una storia, non dalla storia stessa.
Ma veniamo al punto focale delle vicende. L’intero episodio è ambientato a casa Price, nell’ultima manciata di ore prima del punto di non ritorno. Il pretesto della “pulizia generale” della stanza di Chloe, ci permette di fare una gita tra i ricordi e aggiungere elementi narrativi precisi che impreziosiscono la caratterizzazione dei personaggi: l’ammissione alla Blackwell da parte di Chloe e i suoi altissimi voti a scuola, la spensieratezza fanciullesca e i tratti distintivi della prima Maxine, insicurezza e amore per la sua seconda famiglia. Fa un certo effetto vedere il duo prima dei profondi cambiamenti che stanno per arrivare, soprattutto in Chloe, solare, giocosa e con l’ottimismo in poppa.
Una volta trovato un vecchio album di disegni, partirà una caccia al tesoro che sarà ben più di un semplice gioco tra due amiche.

Un tesoro per tutti

Questo episodio è un’immensa allegoria: Max e Chloe stanno per dirsi addio ma c’è ancora il tempo di fare un viaggio, approfittando di un gioco iniziato ben cinque anni prima. L’intera caccia al tesoro che ne seguirà non è altro che un pretesto per porre una prima pietra sulle proprie convinzioni personali, in una realtà velocemente mutevole come quella dell’adolescenza. Sul piano del gameplay non si presentano grosse “fatiche”, tutto risulta scorrevole, il focus del gioco si sposta sui pensieri di Maxine e sulle sue titubanze; il tesoro dunque, una volta trovato, avrà tanti significati per il duo, e servirà da perno della discussione principale che si apprestano ad affrontare.
Questa giornata passata assieme a Chloe, come detto, è molto importante: per la prima volta – approfittando delle informazioni già acquisite nella pentalogia originale – possiamo assistere alle prime “rotture” nella vita della Price, che per sua sfortuna avvengono quasi tutte nello stesso momento. Se fino a oggi abbiamo solo potuto immaginare e speculare riguardo le ragioni della sua indole e delle sue azioni e reazioni, vivere questi momenti fa nuova luce sulla sua caratterizzazione, completando il quadro sulla sua psiche. Come ci ha abituati Deck Nine, in Life is Strange, abbiamo a che fare con personaggi plausibili e reali, con problemi e pensieri che hanno il tratto della quotidianità. Questo “tornare indietro” nella vita di qualcuno è ben più di un semplice flashback: in questo capitolo bonus possiamo sentire il peso non solo delle nostre azioni ma anche quelle degli altri personaggi, rendendo tutto tangibile e drammaticamente vero.
Unendo tutte le tessere del puzzle, dunque, avremo una visione più chiara delle due opere principali precedenti e questo, senza dubbio, spinge a rigiocare entrambi, magari riscoprendo il valore di piccoli gesti a cui, forse, non abbiamo dato il giusto peso.

In conclusione

Questo episodio conferma la qualità e soprattutto la passione che Deck Nine ha mostra nell’intero progetto di Life is Strange. Anche se le vicende raccontante in Addio erano già di nostra conoscenza, lo spaccato della vita di Max e Chloe prima degli eventi tragici, fa una bella luce sul loro passato: vedere Chloe leggiadra e sorridente è un momento unico, lieto ma, al contempo, un po’ triste quando pensiamo a lei come co-protagonista nell’originale Life is Strange. Addio è dunque un bel regalo per tutti i fan e chiude il cerchio su un lavoro che aspetta la sua prosecuzione con l’attesissimo secondo capitolo.