Dusty Rooms: la triste storia del 3DO

Verso la metà degli anni ’90 i nomi che componevano la scena videoludica erano ben di più di delle semplici Microsoft, Sony e Nintendo (se è per questo la prima non c’era proprio). Al di là delle leggendarie Sega e Atari, di tanto in tanto entrava qualche nome che provava a sfondare nel mercato videoludico ma non sempre lasciava un’impronta decisiva: gli arrivi degli hardware Casio, Philips o Apple (eh sì… un giorno ne parleremo) fecero storcere il naso a molti giocatori – tanto è vero che come arrivavano dal nulla, svanivano nel nulla ­– ma nel 1993 una console ebbe la possibilità d’inserirsi nel mercato, piantare radici e, chissà, a oggi poter essere ancora presente. Tutto cominciò quando Trip Hawkins, fondatore di Electronic Arts, si incontrò nel 1989 con Dave Needle e R.J Mical, designer dei computer Amiga e Atari Lynx, per creare una console in grado di imporsi nel mercato, dettare gli standard per le generazioni a venire e che il pubblico, sempre più interessato alla grafica poligonale, avrebbe apprezzato. L’esperienza del fondatore di EA, trascorsa a produrre giochi per console e PC dell’epoca, unita all’abilità di due designer che portarono alla nascita di due potentissime macchine da gioco, avrebbe dovuto essere una garanzia per una console spettacolare; fu così che da un tovagliolo di un ristorante nacque il progetto del 3DO, macchina che di lì a poco sarebbe diventata realtà.

(Trip Hawkins)

Un modello rivoluzionario?

3DO Company, fondata principalmente per sviluppare l’hardware, presentò la nuova console nel Computer Electronics Show del 1992 richiamando non poca attenzione da parte di fan, critici e persino stampa nazionale essendo stato discusso nella sezioni business del New York Times e Chicago Tribune. La console, il cui supporto ottico erano i compact disc, aveva un processore a 32-bit che girava a 12.5 MHz, in grado di garantire ben 20.000 poligoni dotati di texture, un’ottima risoluzione di 640×480, supportato anche dal segnale S-Video proprietario, e un chip sonoro in grado di campionare le tracce audio a 44.1 KHz; il controller, che ricalcava lo stile e il design di quello del Sega Mega Drive, includeva 5 tasti, un jack per gli auricolari e la seconda porta per i giochi multiplayer (in grado da poter collegare un numero indefinito di controller alla console… altro che conga!). Trip Hawkins era ambizioso e perciò aveva offerto ai developer un accordo imbattibile, ovvero il pagamento di soli tre dollari di royalty a 3DO Company per ogni gioco venduto, molto più competitivo rispetto alla concorrenza Nintendo (15$) e Sega (13$). Più di trecento developer firmarono per produrre su questa nuova potentissima macchina, anche se non tutti rispettarono il loro accordo. Sul fronte hardware invece la compagnia avrebbe ceduto le specifiche tecniche a terze parti affinché queste, con i loro mezzi, producessero la loro versione del 3DO. Pertanto, Trip Hawkins si rivolse alle maggiori compagnie giapponesi sia per produrre una console con componenti di qualità, che per sfruttare l’ottima reputazione di quest’ultime. I suoi obiettivi principali erano Sony e Panasonic ma riuscì solamente a firmare con la seconda (in quando la prima stava già lavorando al progetto PlayStation) anche se in compenso riuscì anche a coinvolgere Sanyo e Goldstar (che sarebbe divenuta più tardi LG). Nell’Ottobre 1993 il primo modello di 3DO, il Panasonic FZ-1 (ed è per questo che spesso l’intera console è spesso attribuita a questa compagnia), fu rilasciato al pubblico in bundle con Crash ‘n Burn, il primo gioco di Crystal Dynamics, e stando alle previsioni di Trip Hawkins avrebbe dovuto stravolgere il landscape videoludico grazie alla sua spaventosa potenza; tuttavia i problemi cominciarono dal day one.

Badaboom!

Il 3DO fu promosso in televisione e nelle riviste con pubblicità competitive e “toste”, similarmente alla competizione nel mercato e pertanto, puntavano allo stesso target demografico di Super Nintendo e Sega Mega Drive. Tuttavia, sebbene la libreria di giochi fosse abbastanza valida, il prezzo di 699,99 dollari era ben fuori dalla loro portata. Il motivo di questo sovrapprezzo era dovuto principalmente al coinvolgimento delle compagnie produttrici di hardware: Panasonic, Sanyo e Goldstar non avrebbero ricevuto nulla dalla vendita dei giochi e perciò dovettero gonfiare il prezzo affinché potessero ottenere dei profitti da questo progetto. Ci furono inoltre problemi di reperibilità hardware e software: Crash ‘n Burn finì per essere l’unico gioco disponibile al lancio della console per via del fatto che l’hardware finale è stato cambiato fino all’ultimo momento e perciò, i developer che avevano promesso delle uscite per lancio, non poterono testare i loro titoli rimandando così l’uscita a data da destinarsi. Per via dei cambi all’ultimo minuto, inoltre, si potevano spiegare anche le poche unità presenti nelle maggiori catene di negozi di elettronica; vennero distribuite circa due unità per negozio alienando così quei già pochi che potevano permettersela. A tutto questo si dovette aggiungere anche l’annuncio di Sony PlayStation, Sega Saturn, Nintendo 64 e Atari Jaguar, che sarebbe uscita un mese dopo il 3DO; anche se nessuna di queste console sarebbe stata reperibile in tempi brevi, i giocatori già in possesso delle console 16-bit erano più propensi ad aspettare e, semplicemente, lasciar perdere questa nuova costosa macchina che ben presto si sarebbe rivelata obsoleta.
Già nel 1994 il 3DO era in pericolo e perciò dovevano essere presi dei provvedimenti: ispirato dalle compagnie già esistenti, Trip Hawkins decise di contrattare con Panasonic per vendere le console in perdita recuperando così con la vendita dei giochi. Il prezzo passò da 699 a 499 dollari e più tardi, sempre nel 1994, Goldstar vendette la sua versione del 3DO per 399, che era per altro il prezzo di lancio del Sega Saturn. Nonostante questi saggi cambiamenti e una libreria di giochi rispettabilissima, verso la fine del 1994 3DO Company rimaneva a galla per miracolo e le loro azioni in borsa crollarono da 37 a 23 dollari a Dicembre. Il 1995 si aprì abbastanza bene per 3DO Company in quanto riuscirono a registrare delle buone entrate (anche se ancora non bastavano per coprire tutti i costi finora sostenuti) e videro il rilascio di alcuni dei suoi migliori giochi ma il periodo di rinascita cessò ben presto: Sega annunciò e rilasciò il Saturn nel Maggio del 1995 per 399 dollari e più tardi, a Settembre, Sony rilasciò la PlayStation all’imbattibile prezzo di 299. Questo fatale 1-2 segnò praticamente la fine del 3DO, sia in termini di competitività hardware che software in quanto molte delle loro migliori uscite finirono poco dopo su PlayStation e Saturn. Electronic Arts, che era il developer di bandiera del sistema, decise di abbandonare il progetto di Trip Hawkins definitivamente e così, deluso dalla decisione della sua stessa azienda, la abbandonò fondando 3DO Studio per poter produrre nuovi giochi di qualità per la sua console e per quella successiva. Nel 1996 infatti, venne annunciato un successore del 3DO chiamato M2: la console sarebbe stata prodotta esclusivamente da Matstushita e fu proprio con l’annuncio del nuovo hardware che la 3DO Company registrò il suo primo profitto di 1.2 milioni di dollari. Tuttavia la competizione era spietata e PlayStation dominò per tutto il 1996; a questo punto, nel 1997, non rimase altro che chiudere la divisione hardware e concentrarsi esclusivamente come software house per le altre console, fino alla bancarotta di 3DO Company nel 2003. Trip Hawkins, nonostante avesse perso la partita, fondò Digital Chocolate, compagnia tuttora attiva sotto il dominio della RockYou, che ha prodotto diversi giochi per mobile e Facebook; abbandonata la presidenza nel 2012 a oggi è professore di pratica nel corso di “technology managment” dell’università di Santa Barbara in California.

L’impatto del 3DO

Cosa rimane oggi del 3DO? Fare una top ten dei migliori giochi di questa console, come abbiamo fatto per il precedente Dusty Rooms, è un po’ inutile in quanto molti di essi sono apparsi su altre console e le vere esclusive, non sono proprio fantastiche. Il 3DO è stata la casa di bellissimi porting da PC, come Alone in the Dark, Myst e Lemmings, alcuni arcade, come Samurai Showdown e il porting definitivo di Super Street Fighter II Turbo, e altri titoli originali che sono apparsi poi sulle altre console dell’epoca e PC come Return Fire, The Need for Speed e Killing Time. Su 3DO è possibile giocare ai primissimi giochi di Crystal Dynamics come il già citato Crash ‘n Burn, Total Eclipse e il fantastico Gex. Tuttavia, e questo può anche essere citato come uno dei motivi del fallimento della console, 3DO ha ospitato una marea di giochi FMV (full motion video) che a oggi risultano bizzarri, brutti… E semplicemente fantastici! Come non si possono amare titoli come Night Trap, Mad Dog McCree e The Daedalus Encounter con le loro recitazioni di basso livello e il gameplay tutt’altro che user-friendly? E che dire dell’orrendo Plumbers don’t Wear Ties? Se vi addentrerete in questo genere vi garantiamo risate a mai finire!
A ogni modo: quanto vale l’acquisto di un 3DO di seconda mano? La nostra risposta è: dipende. Il prezzo, a oggi, è certamente invitante in quanto potrete aggiudicarvelo per una frazione di quel che costava all’epoca; tuttavia la libreria di titoli è veramente particolare e non sono giochi che potrebbero piacere a tutti, specialmente perché alcuni di essi sono reperibili in altre console. Inoltre, il 3DO è una console molto fragile dunque, se ne considererete l’acquisto su internet, fate in modo che il venditore vi mostri la console funzionante (sempre se il viaggio non la danneggi). Se siete interessati ad avere questo hardware originale e magari siete appassionati della scena videoludica di nicchia a cavallo fra il ’93 e il ’96 allora il 3DO è la console che fa per voi.
La tecnologia del 3DO M2, prima della sua cancellazione, era stata ceduta per lo sviluppo e perciò esistono alcuni giochi arcade Konami, usciti regolarmente nelle sale giochi, che girano su quell’hardware: fanno parte di questa rosa Polystars, Total Vice, Battle Tryst, Evil Night e Heat of Eleven 98. Inoltre, ma questa è una chicca per i soli “Indiana Jones” del retrogaming, sono stati prodotti anche dei prototipi dell’M2 ed è possibile vederli funzionare su YouTube; tuttavia, trovarli su eBay sarà pressappoco impossibile.




E3 2018: tirando le somme

L’E3 è terminato da appena qualche giorno e, come ogni anno, eccoci qui a tirare le somme. Nei suoi due distinti macromomenti — uno all’interno dei padiglioni, dove era possibile toccare con mano le novità di developer grandi e piccoli e platform holder, l’altro che ha anticipato il momento della bolgia fieristica e che è sempre un nodo cruciale sul piano mediatico e di marketing, quello delle conferenze — l’Expo di Los Angeles riveste sempre un’importanza non da poco in termini di vetrina. Proprio il secondo momento risulta importante ormai da decenni per i partecipanti, dovendo calibrare attentamente i contenuti e studiando i messaggi da veicolare, con risultati di anno in anno altalenanti per ogni operatore.

Quest’anno si è mostrato al solito interessante sotto vari aspetti ed è utile tirare un po’ le fila di quanto visto.

Ad aprire le danze è stata la conferenza di Electronic Arts, che si è svolta in maniera tutto sommato prevedibile: è stata occasione di presentare la nuova edizione delle consolidate IP sportive (Madden NFLNHLNBA Live e l’immancabile Fifa, quest’anno impreziosito dalla Champions League), e per  rilanciare gli shooter, dal nuovo Battlefield, ambientato stavolta nella seconda guerra mondiale, a un Battlefront II arricchito con nuovi contenuti. Se tutto questo risultava un po’ telefonato, rimanevano due fronti su cui giocare la partita: l’attesissimo Anthem e “i conigli nel cilindro”, quelle IP non annunciate sulle quali ogni volta i fan si aspettano di essere, se non accontentati, quantomeno un po’ stupiti. Sul piano BioWare, nulla di cui lamentarsi: sul palco arrivano il general manager Casey Hudson, l’executive producer Mark Darrah e la lead writer Cathleen Rootsaert, tre importanti attori nello sviluppo del titolo, che hanno raccontato vari aspetti del development, approfondendo un’idea di setting narrativo che nelle sue fondamenta era già stata condivisa con il pubblico, nonché le feature e alcune modalità di gioco. Sulla nuova IP sembrano credere molto da tempo sia il developer sia il publisher e, pur nutrendo alcune perplessità riguardo alcune modalità di gioco che potrebbero risultare già viste, e temendo abbastanza gli effetti negativi in fase di scrittura derivanti dalla fuoriuscita dal progetto di Drew Karpyshyn (già lead writer dei primi due Mass Effect), la gestione tecnica e narrativa di un prodotto strutturato come Anthem dà non pochi motivi per continuare a seguire il progetto. Forse proprio a causa della grande attenzione a quella che è al momento l’IP di punta non si è rimasti del tutto soddisfatti in termini di nuove IP: se l’annuncio di Unravel 2, forte di un’interessante modalità co-op, è salutato con entusiasmo, e se Cornelia Geppert, CEO e game designer di Jo-Mei Games, presenta con emozione un Sea of Solitude dal setting narrativo interessante, sul quale terremo gli occhi fissi, il resto appare un po’ povero. Un Command & Conquer per mobile (denominato Rivals) che ammicca forse troppo alle modalità di Clash of Clans, e la cui dimostrazione risulta priva di dinamismo, e un Star Wars Jedi: Fallen Order che sembra presenziare lì più per ragioni di brand che di sostanza. Nient’altro di rilevante da registrare in una conferenza in cui il CEO di EA, Andrew Wilson, risulta asettico e pubblicitario, freddo e puntuale, e nulla può la discreta conduzione di un’Andrea Rene che, pur non essendo evidentemente avvezza un pubblico di simile portata, se la cava comunque bene.

Si passa così alla seconda conferenza in ordine cronologico, una delle più attese, quella di Microsoft. Da tempo ci si chiede cosa bolle nella pentola di Redmond, considerando che i numeri nel mercato console vedono necessario il ripensamento della propria strategia commerciale. In questi ultimi anni, le conferenze del colosso di Xbox non sono state ritenute soddisfacenti, e un rilancio è quantomai urgente. Il 2018 segna probabilmente un cambio di passo, o quantomeno questo è il segnale che possiamo certamente registrare da una conferenza che oscilla tra la concretezza di certe IP e di alcune azzeccate mosse di mercato, e la fumosità di dichiarazione che hanno il brioso e artefatto sapore del disclaimer pubblicitario: bellissimo sentir parlare di un team dedicato all’AI e al lavoro sulla nuova Xbox, ma meglio non farsi abbagliare da ciò di cui non possiamo avere riscontri certi. Ottimo segnale invece è quello dell’acquisizione di 5 nuovi studi che entrano a far parte dei Microsoft Studios, soprattutto Ninja Theory, promettente developer che ha mostrato la propria qualità in passato nei lavori su Devil May Cry e che si è in qualche modo consacrato con l’ “indie AAA” Hellblade: Senua’s Sacrifice  e che adesso, con maggior risorse economiche, potrà rivelare il suo vero potenziale (nel bene e nel male). Bene anche la presenza di alcuni ospiti del calibro di Chris Avellone, che da narrative director spiega lo sviluppo di Dying Light 2, il quale risulta molto interessante in termini di trama. Tirando le somme, quella Microsoft è globalmente la conferenza che impressiona di più, sia per gli ottimi segnali lanciati al mercato, sia per la massiccia presenza di titoli, fra esclusive e world premiere di multipiattaforma di vario genere.

Pur senza faville, la conferenza Bethesda qualche ora dopo regala comunque solidità, fra contenuti aggiuntivi (su tutti i DLC di Prey Wolfenstein II), nuovi titoli (ci si riferisce a Starfield, il nuovo space RPG su cui la casa e in lavorazione) e nuovi capitoli di IP già presenti in catalogo: Doom Eternal The Elder Scrolls VI sono due uscite molto ben accolte, ma gli occhi sono ovviamente tutti puntati su Fallout 76, annunciato già nei giorni precedenti e che sta destando la maggiore curiosità di pubblico. Conferenza che quadra ma non stupisce.

Al contrario della conferenza Devolver Digital, che ci abitua ormai annualmente a veri e propri pezzi d’avanspettacolo condotti con gran ritmo e senso dello show dall’attrice Mahria Zook, qui nei panni di Nina Struthers. Fra parodie delle retroconsole e momenti di pura satira nei confronti delle lootbox, lo studio texano trova spazio per tre nuovi annunci nei 20 minuti scarsi di conferenza: l’open world SCUM, la remaster di Metal Wolf Chaos XD e lo spettacolare shooter My Friend Pedro, che a parere di chi scrive è uno dei più interessanti prodotti di questo E3.

Una conferenza forse meno stupefacente dello scorso anno, ma sempre dalla grande carica esplosiva (pur senza teste che saltano in aria come era stato nel 2017), agli antipodi della noia che ci serve su un piatto Square Enix: la casa giapponese riserva i suoi pezzi migliori (da Shadow of the Tomb Raider a Kingdom Hearts III passando per Just Cause 4 Nier: Automata) alle altre conferenze, limitandosi a ripetere gli stessi trailer o ad arricchirli. Le piccole aggiunte a Final Fantasy XIV non bastano, così come il telefonatissimo undicesimo capitolo di Dragon Quest. I migliori annunci risiedono certamente nell’interessantissimo The Quiet Man e in un Babylon’s Fall di cui non vediamo l’ora di sapere di più, ma la mancanza di interventi (tra developer, creativi e board dell’azienda) si fa sentire, e di concreto rimane ben poco.

Concretezza che invece dimostra di possedere a grandi lettere Ubisoft, che sceglie una formula standard mantenuta per tutto l’incontro, fatta di un trailer iniziale seguito da un intervento di uno o due attori coinvolti nello sviluppo del titolo che spesso hanno modo di essere supportati da sequenze di gameplay: gli interventi di Justin Farren per Skull & Bones, di Elijah Wood e Benoit Richter per Transference, di Jonathan Dumont per Assassin’s Creed Odyssey permettono uno sguardo più concreto e profondo sui titoli in lavorazione, il loro metterci la faccia è per certi versi rassicurant,  ma soprattutto è un segno di grande serietà, che dà solidità anche a Beyond Good & Evil 2, il quale, grazie alle spiegazioni dei due Brunier, si fa più tangibile nonostante la mancanza di gameplay.
C’è spazio anche per il DLC di Mario+Rabbids: Kingdom Battle, un Donkey Kong Adventure che viene letteralmente suonato di Grant Kirkhope e dai Critical Hits che lo accompagnano, dopo un’introduzione di Xavier Manzanares. Pur non presente sul palco (ma presenti Soliani e Kirkhope per parlare delle musiche del gioco durante l’E3), il team di Milano si conferma elemento importante dell’universo Ubisoft, e c’è motivo di credere che questo sia solo l’inizio dell’ascesa di un team che ha meritato i riconoscimenti e le lodi caduti a pioggia nell’ultimo anno, riuscendo ad appagare anche la pretenziosissima Nintendo. Probabilmente è anche merito loro se, alla conferenza, Ubisoft ha potuto presentare Fox tra i personaggi della propria nuova IP, Starlink.
Una conferenza che non ha troppi picchi verso l’alto, ma che di certo quadra in tutte le sue parti, e dove ogni team ci ha messo la faccia e ha condiviso il lavoro col pubblico.

Condivisione del lavoro che è invece forse quel che è mancato in una delle conferenze più attese: Sony si affida infatti a lunghi trailer per dar spazio principalmente a 4 esclusive: The Last of Us 2Ghost of TsushimaDeath Stranding e Marvel’s Spider-Man. Titoli pregevolissimi — il primo presentato così bene da indurre il dubbio nel pubblico fosse ampiamente scriptato, anche se a un’attenta analisi è possibile confutare questa tesi: in gran parte il video non lo è, in realtà — ma ancora una volta lontani dall’essere accompagnati da una release date. Nessun membro del team di sviluppo a raccontarli, talvolta musicisti a introdurli. Curiosità a parte per nuovi titoli come Control o per il remake di Resident Evil 2 (uno dei pochi ad essere accompagnato da una data d’uscita), Sony sembra voler dare al pubblico uno sguardo più approfondito delle sue esclusive di punta, offrendo scampoli di gameplay (meno che nel titolo di Kojima, nel quale si intravedono alcune fasi stealth, una di arrampicata e si intuisce la presenza di una componente shooter) ma non andando oltre, accontentandosi del minimo sindacale per non sfigurare.

Una parsimonia, quella di Sony, che contrasta con i 25 trailer del PC Gaming Show, che, ad onta della sufficienza con il quale è guardato ogni anno, offre vari momenti interessanti: la conduttrice, la streamer Frankie Ward, riesce a mantenere un certo ritmo nelle due ore scarse che compongono lo show, ed è piacevole notare quanta varietà offra l’ambiente PC. Da avventure story-driven come il lovecraftiano The Sinking City, ma anche Neo Cab e Night Call, si passa a titoli dallo stile artistico affascinante come Sable o gestionali molto attesi come Two Point Hospital. Ma il PC Gaming Show non è soltanto riservato alle produzioni indipendenti: c’è spazio anche per Hunt: Showdown, FPS horror su cui è al lavoro Crytek, il super chiacchierato Star Citizen (giunto adesso l’alpha 3.2), Overkill’s The Walking Dead, Hitman 2 (anche questo incomprensibilmente non inserito nella conferenza Square Enix) e vari titoli SEGA, dalle remastered di Shenmue, a tre novità: Valkyria Chronicles 4, e, per la prima volta su PC, Yakuza Kiwami e Yakuza Zero, a conferma che l’amata serie nipponica ha ormai trovato una solida fanbase in Occidente. Rimane curiosità, infine, riguardo Ooblets, nuovo lavoro della Double Fine di Tim Schafer, ed è solo un altro tassello che si aggiunge a una conferenza poco altisonante nelle forme ma molto interessante nei contenuti.

Si passa così all’ultima conferenza, quella della “vecchia signora” del mondo videoludico: Nintendo quest’anno sceglie di esserci, a differenza del 2017, annunciando la propria conferenza, che chiuderà il ciclo di quest’anno. Se la prima parte ha un buon ritmo alternando gli annunci di titoli terze parti (Daemon X Machina Overcooked 2 fra gli altri) e prime parti (Super Mario Party e Fire Emblem: Three Houses su tutti), la seconda si arena sul nuovo Super Smash Bros. Ultimate, al quale viene dedicato un lungo deep dive nel quale si sviscerano scenari, personaggi e singole feature, risultando un po’ fuori contesto rispetto alle altre conferenze basate soprattutto sulla varietà di contenuti: l’approfondimento di un singolo titolo non è probabilmente il momento migliore per accattivare un pubblico con aspettative di reveal e sorprese last minute.

Poche sorprese eclatanti, ma a guardar bene i titoli interessanti non mancano: EA non stupisce, ma Sea of Solitude solletica la curiosità, Microsoft lancia alcune l’amo di alcune esclusive classiche, ma come detto non è quello il fulcro della conferenza. Probabilmente i titoli più interessanti sono stati presentati durante il PC Gaming Show, considerando che Sony persevera nella propria politica di dar un assaggio dei propri first party senza accompagnarli a date di rilascio mentre Square Enix non offre alcuna novità di riguardo e Nintendo preferisce l’approfondimento. Anche Devolver Digital riesce a incuriosire, in relazione al breve tempo del proprio show, e questo ci conferma forse quanto il mondo indie sia ancora una fucina di creatività nel mondo videoludico. Questo senza sminuire le grandi case: Bethesda annuncia comunque dei buoni contenuti speciali, ma soprattutto un altro Doom, dopo un primo reboot di buona qualità, e una nuova IP, mentre Ubisoft, pur avendo già annunciato gran parte dei titoli mostrati, li approfondisce intelligentemente, trovando il tempo per annunciare anche un’altra collaborazione con Nintendo.
Quali strategie daranno buoni frutti sarà il tempo a dirlo. Nel frattempo potremmo anche provare a fare una classifica in relazione a quanto mostrato, mettendo alla base non valutazioni in merito alla bontà dei prodotti (senza una prova dei quali ogni giudizio va sospeso) quanto in relazione al valore aggiunto delle conferenze e quindi riguardo la forza e l’efficacia del messaggio lanciato, non considerando il “fumo” derivante dall’applicazione di pure strategie di marketing ma soprattutto la concretezza di certe dimostrazioni, la volontà di dare un messaggio chiaro ai giocatori e l’effettiva prospettiva di star lavorando per loro, senza voler abbagliare nessuno.

A valutare le sensazioni lasciate da ogni show, ma soprattutto quanto concretamente posso aver tratto dai contenuti mostrati in termini di strategie di mercato e lavoro dietro le quinte, ordinerei le conferenze come segue:

  1. Microsoft: tanti trailer, fra esclusive e multipiattaforma, per mostrare che a Redmond non interessano soltanto i titoli first party, ma non sottovalutandoli, come dimostrano le acquisizioni di ottimi studios. Buoni anche gli intenti sull’AI, anche se poca concretezza da quel punto di vista. A ogni modo, Microsoft è più viva che mai, e pare pronta già alla guerra della prossima generazione.
  2. Ubisoft: tanti trailer, tanto contenuto e tante testimonianze per una conferenza solidissima, dove anche i titoli senza release date prendono forma concreta, grazie a team member che ci mettono la faccia e danno uno spaccato del lavoro dietro a ogni IP.
  3. PC Gaming Show: L’avreste mai detto, di trovarlo sul podio? Ebbene sì: le più interessanti novità escono fuori proprio da questa conferenza, che non dà spazio solo a indie interessantissimi (segnatevi quelli nominati sopra) ma mette in luce anche IP come Hunt: Showdown (titolo importantissimo per Crytek, dopo prestazioni di mercato non esaltanti negli ultimi anni) ma soprattutto Hitman 2. Vi pare poco?
  4. Devolver Digital: A loro ormai quasi piace vincere facile: con uno show sopra le righe, parodistico, un po’ paraculo (fanno satira su un settore di cui non sono totalmente avulsi alle logiche) puntano dritti all’engagement e propongono pochi titoli ma di evidente interesse. Un garanzia.
  5. Bethesda: lo dicevamo prima, la solidità premia: anche qui poche IP ma tutte ben calibrate, dal nuovo RPG Starfield a nuovi capitoli di Doom The Elder Scrolls, oltre al già annunciato Fallout. Certo, si poteva fare di più, ma da un lato va bene così.
  6. Sony: Manca molto la concretezza, vi è un’evidente volontà di “far melina”, puntando su hype forti, ad alto potenziale di hype, delle quali però si vede ancora poco. Perché di Spider-Man un gameplay allo scorso E3 lo avevamo già, e questo nuovo trailer non aggiunge proprio tantissimo. Ciononostante, apprezzatissimi i trailer, il lavoro è di ottima fattura, siamo contenti anche dell’ennesima riproposizione restaurata di un classico, Resident Evil 2, ma qui un po’ di concretezza è mancata.
  7. Electronic Arts: Di certo non è andata male. Occhi puntati su Anthem, con il team che non lesina spiegazioni su lore e meccaniche, ma poco altro. Solite IP annuali, un Command & Conquer che a oggi pare ricalcare un po’ troppo alcuni classici free-to-play mobile di successo e due nuovi titoli che forse non bastano a distinguersi dagli altri.
  8. Nintendo: Si parte benissimo, si finisce morti di noia: va bene l’importanza di Super Smash Bros. Ultimate, ma lo spiegone di una cinquantina di character, e feature, e luoghi e dettagli vari poteva trovare miglior collocazione. Nel corso di una conferenza all’E3 diventa un tecnicismo inadatto e che uccide il ritmo di chi vuole invece un’overview, più consona al contesto.
  9. Square Enix: Conferenza spoglia, i trailer migliori sono già affidati ad altre conferenze, a volte sembra di assistere a dei piatti highlights, ci si dimentica presto dell’approfondimento iniziale su Shadow of the Tomb Raider e si finisce col chiedersi, a posteriori, perché riservare Hitman 2 alla conferenza meno seguita dell’E3. Inspiegabile.



Dusty Rooms: uno sguardo al MSX

L’obiettivo di questa rubrica è principalmente quello di far scoprire quelle parti di retrogaming curiose, interessanti e, possibilmente, non ancora prese in esame. Oggi, qui a Dusty Rooms, daremo uno sguardo ai computer MSX, un sistema ancora non comune e che forse non lo sarà mai, probabilmente per via della sua scheda madre, un prodotto da vendere su licenza a terze parti affinché la producessero con i loro mezzi. Certo, il Commodore 64, l’Amstrad, l’Apple II e i computer Atari sono stati sicuramente i più popolari negli anni ’80 ma se oggi lo scenario dei personal computer è come lo conosciamo, lo si deve principalmente a queste favolose macchine MSX che finirono per dettare degli standard in quanto a formati e reperibilità dei software. Per capire l’innovazione portata da questi computer, utili sia per il gaming che per la programmazione, bisogna dare uno sguardo allo scenario tecnologico di quegli anni.

Non fare il Salame! Compra un computer!

Negli anni ’80 i computer cominciarono a far parte della vita di milioni di persone e, sia in termini di costi che di dimensioni, erano decisamente alla portata di tutti; in Nord America si assistette a un’impennata per via del crollo del mercato dei videogiochi del 1983, in quanto i genitori erano più propensi a comprare un PC per i loro figli con la quale poter sia giocare che studiare, e in Europa, e molte altre parti del mondo, avevano preso piede ancor prima delle console rudimentali come Atari 2600, Philips Videopac (Magnavox Odyssey 2 in Nord America) o il Coleco Vision. Tuttavia, in negozio, scegliere un computer rispetto a un altro era un impresa tutt’altro che facile: ogni macchina era in grado di leggere videogiochi e eseguire programmi gestionali, creativi o educativi ma, ogni compagnia, proponeva il proprio sistema e linguaggio di programmazione e perciò, senza uno standard, la compatibilità fra le macchine era pressoché nulla; il tutto era aggravato inoltre dalle centinaia di pubblicità che proponevano sempre il loro computer come il più veloce e generalmente migliore rispetto alla concorrenza. Lo scenario era ben diverso da quello odierno in cui sono presenti principalmente due sistemi operativi dominanti e, indipendentemente dal modello fisico che si prende in esame, è molto più facile orientarsi in un mercato che dà meno alternative e in cui la compatibilità è sempre più ampia.

(Pensate, compravate un Commodore 64 per la vostra azienda ma poi, una volta a casa, accendevate la TV e c’era Massimo Lopez che vi proponeva il suo migliore computer SAG e voi entravate in paranoia!)

Negli anni ’70 un giovane Kazuhiko Nishi, studente dell’Università di Waseda, cominciava a interessarsi al mondo dei computer, software ed elettronica con il sogno di costruire una console con i propri giochi e poterla rivendere ma, dopo una visita alla fabbrica della General Instruments, capì che non poteva comprare dei chip in piccole quantità per poter sperimentare e perciò dovette rinunciare momentaneamente al suo sogno. Cominciò a scrivere per alcune riviste d’elettronica affinché potesse mettere a disposizione la sua conoscenza per la programmazione ma, se voleva trarne il massimo vantaggio da questa attività, doveva necessariamente fondare una sua compagnia e fare delle sue pubblicazioni. Dopo aver lasciato l’università, Nishi fondò la ASCII per poter pubblicare la sua nuova rivista I/O, che trattava di computer, ma nel 1979 la pubblicazione cambiò nome in ASCII magazine che si interessava più generalmente di ogni campo dell’elettronica, inclusi i videogiochi. Con il successo della rivista Kazuhiko Nishi poté tornare al suo progetto originale, ovvero creare una macchina tutta sua, ma per farlo aveva bisogno di un linguaggio di programmazione; egli contattò gli uffici Microsoft riuscendo a parlare, con la prima telefonata, con Bill Gates e più tardi, quello stesso anno, riuscirono a incontrarsi. Entrambi avevano la stessa passione per l’elettronica, più o meno lo stesso background sociale (entrambi avevano lasciato gli studi accademici) e dopo diversi meeting aderirono per fare del business assieme. ASCII diventò la rappresentante di Microsoft in Giappone e Kazuhiko Nishi divenne vicepresidente della divisione giapponese della compagnia americana. Grazie a questa collaborazione Nishi poté inserire il BASIC nel PC 8000 di Nec, la prima volta che veniva incluso all’interno di un computer, ma nel 1982, quando Harry Fox e Alex Weiss raggiunsero Microsoft per poter creare dei software per il loro nuovo computer chiamato Spectravideo, egli vide le basi per coniare il suo progetto iniziale e cominciare a produrre una linea di PC compatibili fra loro visto che la macchina era costruita intorno allo Zilog Z80, un processore che faceva da punto in comune fra diversi computer e persino console (essendo incluso nel Coleco Vision, console che, prima dell’avvento del NES, andava molto forte). Kazuhiko Nishi voleva che il suo computer fosse piccolo, come quelli che aveva prodotto alcuni anni prima per Kyocera, doveva contenere almeno uno slot per delle cartucce ROM, essere facilmente trasportabile ed espandibile e doveva contenere una versione di BASIC migliore dei computer IBM; così composto era la sua perfetta visione di computer in grado di poter garantire uno standard fra queste macchine. Poco dopo Nishi contattò tutte le più grandi compagnie giapponesi come Casio, Mitsubishi, Fujitsu, Kyocera, SonySamsung e Philips, rispettivamente, che decisero di investire in questo nuovo progetto; fu così che nacque lo standard MSX.

(Kazuhiko Nishi e Bill Gates)

Software per tutti!

Come abbiamo già detto, le macchine MSX nascono dall’unione di ASCII e Microsoft nel tentativo di fornire uno standard per i manufattori di PC. Era parere comune, ai tempi, che “MSX” stesse per “MicroSoft eXtended” ma Kazuhiko Nishi, più tardi, smentì queste voci dicendo che la sigla stava per “Machine with Software eXchangeability“. Con questo nuovo standard, tutti i computer che esponevano il marchio MSX erano dunque compatibili fra loro; perciò, cosa rendeva un’unità uguale a un’altra? Per prima cosa la CPU 8-bit Zilog Z80A, chip creato dall’italiano Federico Faggini e che ne costituisce il cervello della macchina, poi abbiamo la VDP (Video Display Processor) TMS9918 della Texas Instrument che offre una risoluzione di 256 x 192, 16 colori per sprite di 32 pixel, il chip sonoro AI36910 della Yamaha che offre tre canali e tre ottave di tonalità e infine la ROM di 32kb contenente il BASIC di Microsoft; il computer è comprensivo di tastiera ed è possibile attaccare mangianastri, strumento essenziale per i computer dell’epoca, lettore floppy, almeno una porta per i joypad e ha anche una porta d’espansione. Tipico di molti MSX era un secondo slot per le cartucce che, inserendone una seconda, permetteva miglioramenti, cheat e persino espansioni per un determinato software (dopo vi faremo un esempio). Per via delle diverse aziende che producevano i computer MSX è difficile arrivare a un numero preciso di computer venduti nel mondo ma, per darvi un idea, nel solo Giappone sono stati venduti ben cinque milioni di computer, praticamente la migliore macchina da gaming prima dell’arrivo del Famicom. Le macchine ebbero successo anche in altri paesi come Olanda, Spagna, Brasile, Corea del Sud, Arabia Saudita e persino in Italia e Unione Sovietica. Al fine di proporre una macchina sempre più potente, ci furono ben altre quattro generazioni di MSX: MSX2, rilasciato nel 1985, MSX2+, nel 1988, e MSX TurboR nel 1990. La differenza nelle prime tre stava nel nuovo processore Z80 che poteva permettere molti più colori su schermo e una velocità di calcolo maggiore, mentre l’ultimo modello presentava un processore 16-bit R800 ma purtroppo, essendo a quel punto rimasta solamente Panasonic a produrre gli MSX, non fu supportato a lungo. Come abbiamo accennato, i computer MSX erano le macchine dominanti per i videogiochi casalinghi in Giappone, anche se per poco tempo visto che il Famicom arrivò poco dopo, lo stesso anno; tuttavia, nonostante il dominio generale della console Nintendo, il sistema fu supportato fino all’ultimo e tante compagnie, come Hudson Soft e Compile, sfruttarono ogni capacità di questa curiosa macchina; l’eccezione va fatta per Konami che, nel 1983, fondò un team dedicato per produrre giochi su MSX, un anno prima di firmare per Nintendo. Finita la festa, nel 2001 Kazuhiko Nishi ha annunciato il revival del MSX rilasciando liberamente l’emulatore MSXPLAYer, dunque, eticamente, siamo liberi di goderci questi giochi sul nostro PC (anche perché il Project EGG, una piattaforma simil Steam per i giochi per computer giapponesi, qui non c’è); tuttavia, nulla vieta di recuperare l’hardware originale anche se dovete tener conto dell’alto prezzo dei giochi; un’ultima buona alternativa è recuperare la Konami Antiques MSX Collection per Sony PlayStation e Sega Saturn che vi permetterà di giocare a molti titoli (la versione per la prima è divisa in quattro dischi mentre la seconda include tutti i giochi). Diamo uno sguardo a 10 giochi essenziali di questa macchina (ci scusiamo in anticipo se la maggior parte dei giochi saranno Konami!).

10. King’s Valley 2

Un platformer che unisce elementi puzzle alla Lode Runner. Per procedere ai livelli successivi servirà collezionare tutte le pietre dell’anima sparse negli stage utilizzando i vari strumenti presenti, cui potremmo utilizzarne solo uno per volta. Man mano che si procede, gli scenari diventeranno sempre più grandi e difficili perciò non bisogna prendere questo gioco sottogamba. Una feature interessante, molto avanti per i suoi tempi, era l’editor dei livelli: una volta completati si potevano salvare in un floppy e scambiarli con gli amici.

9. Treasure of Usas

Un action platformer poco conosciuto ma comunque molto curioso che potrebbe interessare molto ai fan di Uncharted e Tomb Raider. Wit e Cles sono due cacciatori alla ricerca del tesoro di Usas e dovranno attraversare cinque città antiche per poterlo ritrovare. Il primo ha una pistola e migliori abilità nel salto mentre il secondo è un maestro di arti marziali e più agile. Le loro abilità sono migliorabili collezionando le monete negli stage e il gioco presenta la curiosa meccanica degli umori:  nello stage infatti, sono sparse le cosiddette carte dell’umore che, una volta raccolte, cambieranno i nostri attacchi. Una vera chicca se siete amanti di Castlevania o Mega Man.

8. Penguin Adventure

A Hideo Kojima game… ebbene si! Prima di Snake e i loschi tipi di Death Stranding (di cui non sappiamo ancora nulla) il noto programmatore ha prodotto questo gioco “puccioso” in cui dobbiamo far riunire Pentaro alla sua amata principessa. Nonostante il gioco abbia una struttura arcade apparentemente semplice, ovvero una sorta di platformer automatico simil 3D  (oggi potremmo definirlo un runner per smarphone), questo gioco ha molte meccaniche intriganti come un in-game store, warp zone, tanti easter egg e persino un finale alternativo. Mai giudicare un libro dalla sua copertina!

7. King Kong 2

Essendo liberamente ispirato al film King Kong Lives (o King Kong 2), controlleremo Hank Mitchell alla ricerca di Lady Kong. Raccomandiamo questo titolo ai fan del primo The Legend of Zelda in quanto molto simile e con tante caratteristiche interessanti che lo rendono davvero un bel gioco. Siate sicuri di trovare la rom patchata” poiché non è mai stato rilasciato in Europa.

6. Vampire Killer

Sembrerebbe un porting per MSX2 di Castlevania per NES ma così non è; sebbene il gioco abbia più o meno la stessa grafica, esso presenta un gameplay totalmente diverso. Questo titolo, anziché concentrarsi nelle sezioni di platforming, è più basato sull’esplorazione e il puzzle solving: per avanzare bisognerà trovare la skeleton key e per farlo ci serviranno armi, oggetti e chiavi per aprire forzieri contenti power up che si riveleranno utili allo scopo. Il gioco ha un pacing ben diverso dall’originale per NES ed è raccomandato ai giocatori più pazienti (anche perché le vite sono limitate e mancano i continue) ma anche ai più accaniti fan della saga.

5. Aleste

Unico gioco non Konami di questa lista, è uno shoot ‘em up sensazionale di Compile; uscito originariamente per Sega Master System, questa versione presenta due stage extra e una difficoltà più abbordabile. Di questo gioco stupiscono principalmente la grafica, la strabiliante colonna sonora resa con un chip FM montato sulla cartuccia e l’azione velocissima (tipica della serie) che da vita a battaglie in volo spettacolari. Provare per credere!

4. The Maze of Galious – Knightmare II

Concepito originariamente per competere con Zelda II: The Adventure of Link, The Maze of Galious è un difficilissimo metroidvania per i più allenati. In questo popolarissimo titolo per MSX, bisognerà esplorare un castello immenso alla ricerca delle dieci sub aree, dove risiedono demoni da sconfiggere, ma anche degli oggetti sparsi nel castello che espanderanno le abilità dei nostri Popolon e Aphrodite. The Maze of Galious è il secondo titolo della saga Knightmare, il cui primo titolo era un top down shooter alla Ikari Warriors e il terzo un RPG (per MSX2), ed è certamente il più bello. Nel 2002, questo titolo è stato soggetto di un curioso remake non ufficiale e il suo acclamato gameplay è stato ripreso nel similissmo La Mulana, considerato il suo sequel spirituale. Se siete fan dei metroidvania questo è certamente un titolo da giocare, anche per coloro che apprezzano le vere fide come Ghosts ‘n Ghouls, il già citato Zelda II o, chissà, magari anche Dark Souls! Vi raccomandiamo di giocarci con un walkthrough o almeno una mappa del castello; se siete dei masochisti fate pure senza!

3. Nemesis 2 e 3 + Salamander

Un pari abbastanza assurdo ma vi assicuriamo che non c’era modo per rendere giustizia a questi tre spettacolari titoli. I primi due sono dei sequel di Gradius mentre il Salamander proposto su MSX è completamente diverso dalla controparte per NES. Questi titoli della saga di Gradius su MSX presentano, insieme a delle colonne sonore squisite espresse con l’esclusivo chip SCC, un gameplay profondissimo attraverso power up espandibili, oggetti e sezioni bonus nascosti nei livelli e lo storytelling più dettagliato della saga. In Salamander, inoltre, per ottenere il finale migliore bisognerà inserire la cartuccia di Nemesis 2 nel secondo slot per completare il vero livello finale e mettere fine alla minaccia dei bacterion; altro che DLC e Amiibo! Nemesis 2 e Salamander sono i titoli più difficile mentre Nemesis 3: The Eve of Destruction è il più accessibile, perciò, se volete provarli, vi consigliamo di partire da lì. Tuttavia, dovrete abituarvi allo scrolling “scattoso” di questi titoli in quanto gli MSX, prima della seconda generazione, non erano in grado di offrire un’azione fluida e senza problemi;

2. Metal Gear e Metal Gear 2: Solid Snake

È più che risaputo che la saga di Metal Gear ha origini nel MSX2 e che quelli per NES non sono i veri punti iniziali della saga (per Snake’s Revenge, sequel non canonico del primo titolo, Hideo Kojima non era neppure stato chiamato per lo sviluppo del gioco). Entrambi i Metal Gear, soprattutto il secondo, sono dei giochi incredibili per essere dei giochi in 8-bit e, nonostante in molti ignorino questi due titoli, sono fondamentali per la fruizione dell’intera saga. Molte degli elementi visti in Metal Gear Solid come le chiavi sensibili alla temperatura, l’assalto all’interno dell’ascensore, l’abbattere l’Hind-D con i missili stinger e lo sgattaiolare nei condotti d’aria erano già stati introdotti in Metal Gear 2: Solid Snake; altri due titoli immancabili per MSX e giocabili persino in Metal Gear Solid 3: Subsistence. Non avete scuse per non giocarli!

1. Space Manbow

Questa rubrica si chiama Dusty Rooms e, pertanto, lo scopo è quello di farvi riscoprire titoli dimenticati e particolarmente interesanti; considerate quest’ultima entrata come un nostro personale regalo. Space Manbow è uno shoot ‘em up strabiliante pieno d’azione e retto da una grafica dettagliatissima per essere un gioco 8-bit, una colonna sonora spettacolare resa col chip SCC e un gameplay vario e mozzafiato, reso ancora più intrigante grazie allo scrolling fluido del MSX2 (cosa di cui i titoli di Gradius non poterono godere). Nonostante le lodi di critica e fan, Space Manbow rimane, a tutt’oggi, relegato a MSX e Konami, al di là di qualche cameo in qualche altro titolo, non ha mai preso in considerazione l’idea di un sequel (anche se ne esiste uno non ufficiale fatto dai fan uscito tanti anni dopo su MSX2), né allora né tanto meno adesso. Diamo a questo capolavoro l’attenzione che merita!

Honorable mentions

Che dire? Dieci posizioni sono veramente poche per una console che ha dato così tanto ma qui, vi vogliamo dare un altro paio di titoli da rivisitare su MSX:

  • Snatcher & SD Snatcher: altri due titoli di Hideo Kojima. Il primo è una visual novel mentre l’altro ricalca la stessa storia ma in veste RPG. Recuperate il secondo su MSX2 ma giocate Snatcher altrove in quanto la versione per MSX è incompleta e inconcludente.
  • Xevious: Fardraut Saga: da un semplice coin-op per arcade a uno SHMUP moderno con trama ed espansioni varie. Un titolo decisamente da recuperare!
  • Eggerland 2: il secondo gioco della saga di Lolo e Lala. Un puzzle game da capogiro per riscoprire le origini dello studio Hal.
  • Ys (I, II & III): una delle saghe RPG più strane e sottovalutate di sempre. Giocare questi titoli su MSX non è raccomandabile per via della barriera linguistica ma il loro aspetto su questo computer è decisamente sensazionale.
  • Quarth: un puzzle game Konami molto interessante che metterà alla prova il vostro ingegno. Un’altro bel gioco da recuperare

(Per finire, vi lasciamo con questa bella intervista con Bill Gates e Kazuhiko Nishi riguardo i computer MSX)

(E questa fantastica pubblicità italiana!)



E3 Real Time: Conferenza Sony

Una delle conferenze più attese dell’Expo di Los Angeles rimane inevitabilmente quella di Sony. La casa di PS4 ha in cantiere svariate IP già annunciate e in parte mostrate, e le aspettative sono tutte su titoli di punta come Death Stranding The Last of Us 2. Ed è proprio quest’ultimo ad aprire le danze, letteralmente: la conferenza ha inizio infatti con un’esecuzione del tema principale dell’IP di casa Naughty Dog suonata per banjo dal maestro Gustavo Santaolalla, già compositore delle musiche del primo titolo.
È il preambolo adatto per introdurre il primo trailer della serata, quello in cui si vede una bella sequenza di gioco divisa tra gameplay e cinematiche.

Il rientro vede il Presidente e CEO di Sony Interactive Entertainment America, Shawn Layden, prima sul palco, raggiungere Sid Shuman e Ryan Clements per un breve scambio di battute, nel quale emerge quello che sarà un po’ il mood della conferenza: «non aspettatevi particolari bombe, siamo qui però per farvi dare un po’ di più di quello a cui stiamo lavorando», è il succo del suo messaggio. E in effetti sarà questo il ritmo costante della serata Sony, che si mostrerà estremamente concentrata sulle IP principali in lavorazione, riservando alle terze parti soltanto alcuni brevi trailer. Il primo arriva subito dopo la breve intervista al Chairman di Sony, ed è quello delle Back in Black Maps di Call of Duty: Black Ops III, che sarà disponibile gratuitamente dall’11 giugno all’11 luglio per tutti gli abbonati al PS Plus. Una mossa da apripista, che certamente vuole incentivare gli utenti al pre-order dell’upcoming Black Ops IV.

Il ritorno è su Shuman e Clements, questa volta accompagnati da Meredith Molinari che lancia gli highlights nei quali un compendio di quel che ci aspetta per PSVR.

Non si entra ancora nel vivo della conferenza, e i conduttori fuori sala avvisano che manca poco: non resta che mostrare il trailer di Destiny 2: Forsaken prima di iniziare. Il contenuto aggiuntivo arriverà il prossimo 4 settembre.

Si ritorna finalmente nella sala che ospita pubblico e conferenza, e l’attenzione ritorna sui grandi titoli in lavorazione: uno di questi è anticipato (e il riferimento al setting è subito abbastanza chiaro) dall’esibizione dal vivo di un suonatore di Shakuhachi che ci porta con sonorità suggestive nel Giappone feudale, epoca in cui ha luogo la narrazione del lavoro di Sucker Punch, un Ghost of Tsushima che viene annunciato in tutta la sua bellezza nel trailer mostrato.

Contenuti interessanti, ma ancora nessuna release date: e l’andazzo non pare cambiare con Control, nuovo titolo di Remedy e 505 Games, di cui vediamo due minuti tra cinematiche e brevissimi scampoli di gameplay. Il titolo dovrebbe uscire nel 2019 (e, di questi tempi, il condizionale è ormai d’obbligo).

La conferenza continua mandando a schermo colori scuri, colorandoli di rosso gore, ed è il momento del rispolvero di un’altra IP: torna Resident Evil 2, e stavolta sappiamo quando, il 25 gennaio 2019.

Il colore si accende con il trailer successivo, Trover Saves the Universe sviluppato da Squanch Games in collaborazione con il creatore di Rick and Morty, Justin Roland. Pur avvalendosi di una grafica animata in 3D, lo stile dei personaggi è inconfondibile, dalla bocca del personaggio principale immerso in una vasca al tratto umoristico che rimanda alla nota serie animata, oltre al doppiatore dello stesso Morty che dà voce al personaggio viola dagli occhi rosso-blu in chiusura del trailer.

Un’IP nella quale è chiaro tutti credano all’E3 è Kingdom Hearts, il cui trailer compare anche in questa conferenza: a differenza della conferenza Square Enix, stavolta vediamo un trailer del tutto nuovo, che vede comparire Jack Sparrow e altri personaggi de I Pirati dei Caraibi, franchise di proprietà Disney, e varie sequenze sono dedicate agli scenari navali; al termine del video c’è spazio anche per l’annuncio di un All-in-One Package in esclusiva PS4 che comprende i capitoli I.5+II.5, II.8 e III.

Arriva quindi uno dei momenti più attesi in assoluto della serata, quello di Hideo Kojima e del suo Death Stranding: anche stavolta abbiamo un lungo trailer dove il Decima Engine dà il meglio di sé in un susseguirsi di spazi aperti, chiaroscuri e paesaggi dal fortissimo potere suggestivo. Emergono alcuni elementi di quello che è il lore del gioco, che il protagonista, Sam (interpretato da Norman Reedus), gravato dal compito di “portatore di corpi” (neonati, per lo più, ma vi è una sequenza con quello che pare chiaramente essere un corpo adulto avvolto in un lenzuolo bianco), emerge un rapporto non lineare con la memoria, e pare corroborarsi l’idea della presenza di più dimensioni, ma è ancora troppo poco per delineare anche vagamente un setting narrativo che si preannuncia davvero complesso.

Il trailer successivo è una vera sorpresa: spuntano i nomi di Koei Tecmo e Team Ninja, ed è subito Nioh 2. Non si sa ancora molto data la brevità del video ma è certamente un ritorno ben accolto da tutti i giocatori.

Altro momento attesissimo è quello di Spider-Man, con un altro trailer sospeso tra cinematiche e gameplay mozzafiato, dinamico, con un combat system che richiama i Batman di Rocksteady ma diversamente elaborato, più esplosivo e adatto alle caratteristiche dell’Uomo Ragno: purtroppo anche qui niente release date e, se questo ci pareva accettabile, per le precedenti IP, su questo titolo Insomniac Games lavora ormai da un po’ e risulta poco comprensibile la mancanza di un orizzonte d’attesa anche generico.

Una conferenza compatta e alquanto contenuta quella di Sony quest’anno, che ha scelto di porre l’accento su quattro importanti IP molto attese dai giocatori: certo lascia perplessi la scarsità di release date (davvero pochissime) e la totale assenza di Days Gone, titolo sul quale ci si aspettava qualche contenuto in più, vista la prossima uscita a febbraio 2019. Molto è rimandato di certo alla Gamescom di agosto, ma Sony dovrà tenere a mente la risposta da dare a Microsoft, che a questo E3 ha offerto una conferenza ricca di contenuti e dalla quale è emerso un chiaro messaggio riguardo il futuro.
La concorrenza non è finita, e Sony, se vuole restare sulla cresta, deve certamente impegnarsi di più.




Speciale E3: Annunciato il remake di Resident Evil 2

Parte di questa conferenza è sicuramente all’insegna del gore, e Resident Evil non poteva non mancare. Tra topi, zombie e cadaveri dilaniati, ecco che spunta l’immancabile protagonista: Leon Scott Kennedy. Resident Evil 2 uscirà il 25 gennaio 2019.




Speciale E3: Black Ops III gratis per un tempo limitato

Durante la conferenza Sony, è stato annunciato che a partire da stanotte, Call of Duty Black Ops III  entra a far parte dei titoli gratuiti per i possessori di PlayStation Plus, ma solo per un mese: dall’11 giugno all’11 luglio. Insieme a ciò, sono state annunciate delle nuove mappe, chiamate Back in Black Maps, ottenibili preordinando Black Ops IIII. 

https://youtu.be/RdYCdeu4rII




E3: Sony svela parte della sua tabella di marcia

Siamo ormai agli sgoccioli; sta per iniziare la nuova edizione dell’E3, uno degli eventi fieristici più seguiti al mondo. Tra qualche annuncio shock qui e traumatizzante lì, contornati da tante aspettative, Sony si sbottona un po’, rivelandoci una parte non indifferente della propria tabella di marcia pre-E3.

Ovviamente la casa giapponese terrà, come di consueto, la propria press conference, fissata per il giorno Lunedì 11 Giugno, alle 18:00 PST (ossia circa le 3:00AM in Italia), in cui principalmente mostreranno nuovi contenuti per i giochi più attesi del momento: Death Stranding e The Last of Us Part II.

Ma la compagnia sembra aver in serbo altre sorprese, riservando una carrellata di rivelazioni per la settimana che precede l’E3.

Questi contenuti saranno visibili ogni giorno alle 8:00AM PST (quindi alle 17:00PM in Italia), in live-streaming su Twitch, Facebook e YouTube:

  • Oggi: un nuovo gioco PS4 compatibile con il VR
  • 7 Giugno: data di rilascio per un titolo di Worldwide Studio
  • 8 Giugno: nuovo gioco PS4
  • 9 Giugno: nuovo gioco per PlayStation VR
  • 10 Giugno: nuovo porting VR di un gioco molto atteso

In precedenza Sony avrebbe atteso direttamente la press conference per mettere tutta la carne al fuoco. Personalmente credo che l’aver deciso di differenziare in questo modo i contenuti da proporre, sia stata una scelta molto intelligente – o furba che dir si voglia – anche considerando il fatto che magari alcuni titoli, avrebbero corso il rischio di poter passare in secondo piano all’ombra di annunci più imponenti nel corso della fiera.

Nel frattempo, attendiamo con ansia il countdown.




Sony fermerà la produzione di titoli fisici per PS Vita nel 2019

La fine di PlayStation Vita, nonostante potrebbe attirare nuove cerchie di fan, in particolare per generi come indie e JRPG, sembra essere vicina. Infatti Sony, ha deciso di darle il fatidico colpo di grazia terminando la produzione di titoli fisici entro il 31 marzo 2019. La notizia giunge da una lettera agli sviluppatori, la cui società chiede di presentare i loro ordini di acquisto finali entro il 15 febbraio 2019. Sony continuerà comunque a vendere titoli digitali Vita sul PlayStation Store, ma le costose schede di memoria, proprietarie della console – uno dei motivi per cui la portatile non ha avuto il successo sperato – potrebbero rallentarne il mercato. Numerosi sono i fattori che hanno contribuito alla morte della PS Vita, come l’ascesa dei titoli mobile e la non considerazione della console da parte delle divisioni europee e americane dopo il lancio del 2012. Nel 2015, il presidente di Sony Worldwide StudiosShuhei Yoshida, ha dichiarato che la società non riesce a vedere un futuro per la console.
Oltre a smettere di produrre titoli fisici, Sony, smetterà anche di includere i titoli PS3  PS Vita nell’elenco PlayStation Plus gratuiti per il mese. Quindi i giocatori della portatile, potranno acquistare solo titoli digitali prima del totale abbandono della console.




Dusty Rooms: La storia di Panzer Dragoon Saga

Sfuggire ai giochi classici, a oggi, è quasi impossibile; grazie alle mini console, ai remake, remastered e re-relase, che siano virtuali o fisiche, è possibile ripercorrere a ritroso la strada che ci ha portato al gaming moderno. Ci sono però casi in cui è impossibile recuperare un determinato gioco, come ad esempio quando un titolo ha una particolare licenza o è impossibile risalire al developer o publisher originale, e per tanto sperare in un rilascio odierno, che sia migliorato o “al naturale”, diventa molto difficile. Come se non bastasse, alcuni titoli, cui all’assenza nelle console odierne si unisce a una probabile magra tiratura, finiscono per costare un accidente su eBay e perciò recuperare certi titoli per gli hardware originali diventa semi-impossibile… Si passa praticamente dalla padella alla brace! Grazie all’avvento di internet, emulatori e hard/softmod varie per retroconsole è stato possibile riscoprire molti titoli dimenticati e tanti franchise, dati ormai per dimenticati, sono inaspettatamente tornati; ne sono esempio Splatterhouse, l’imminente Shaq-Fu, Shenmue 3 o Nights: Journey of Dreams.
Tuttavia, nonostante siamo in piena riscoperta del retrogaming, manca ancora all’appello un gioco, uno che appare di continuo nelle liste dei migliori RPG di tutti i tempi e persino fra i primi 50 migliori 100 giochi di tutti i tempi su IGN (nel 2005 e 2007) e che, a oggi, ha assunto uno status semi-leggendario; stiamo parlando di Panzer Dragoon Saga (o Azel: Panzer Dragoon RPG in Giappone), titolo del 1998 sviluppato dal Team Andromeda e pubblicato da Sega sulla loro console dei tempi: il Sega Saturn. Molti dei titoli della sfortunata console 32-bit, che nel tardo 2000 è diventata una delle console più in voga fra i retrogamer, hanno visto diversi rilasci per Xbox Live Arcade o PSN (vedi Guardian Heroes, Radiant Silvergun e Fighting Vipers) ma questo particolare titolo è rimasto relegato al Saturn e forse lo sarà per sempre. Come mai non è possibile fruire di questo titolo in un media moderno?

La bestia in catene

Il Sega Saturn ebbe un discreto successo in occidente ma decisamente migliore in Giappone, tanto da vendere più del Nintendo 64 in quello specifico territorio; Panzer Dragoon, lo sparatutto su rotaie sullo stile di Star Fox, era uno dei titoli più in voga e uno di quelli in grado di vendere il sistema e Sega, ne prese atto. Nel 1995, poco dopo il rilascio del primo titolo, il Team Andromeda, che era dietro il suo sviluppo, su decisione del produttore Yoji Ishiji si divise in due: uno, meno numeroso, lavorò al sequel “puro”, ovvero Panzer Dragoon Zwei, l’altro, quasi il doppio, avrebbe dovuto usare l’immaginario dell’universo di Panzer Dragoon per farne un RPG. Si sapeva già che Squaresoft stava già lavorando su Final Fantasy VII e sapendo che il VI (Final Fantasy III negli Stati Uniti) era stato un successo strepitoso, non solo dovevano lanciare un competitore nel mercato ma anche fare di tutto per superarlo. Il gioco, anche se era già pronto nel 1997 e la sua uscita fu posticipata per non competere con Grandia (che fino al 1999 rimase un’esclusiva per la console Sega), fu rilasciato nel Gennaio 1998 in Giappone e Aprile e Giugno, rispettivamente, in Nord America e Europa; nonostante il Saturn fosse già semi-abbandonato in occidente non mancarono alcuni speciali in alcune riviste ma il suo rilascio, nonostante non fu totalmente sottotono, fu totalmente eclissato dai più accessibili titoli PlayStation. Il progetto era molto ambizioso e anche dalle sole immagini promozionali e di gameplay, dall’art-style e dal semplice fatto che il gioco fosse “diviso” in 4 compact disc – eh si… i tempi in cui le dimensioni contavano! – si capiva che non era un gioco come tutti gli altri. Panzer Dragoon Saga fu uno dei primi RPG della generazione 32/64-bit interamente in 3D e il “famoso 2D” del Saturn fu usato solo per rendere pochi effetti come i raggi laser del drago o i colpi di pistola del personaggio. Altri RPG, come Grandia o il concorrente Final Fantasy VII, ricorrevano alla grafica 3D prerenderizzata e il direttore del titolo, Yukio Futatsugi, disse persino che un gioco del genere era impossibile da produrre su PlayStation, specialmente per la sua particolare palette di colori (più cupa rispetto ai colori solari della concorrenza). Il Sega Saturn espresse il suo vero potenziale in termini di grafica, che sulla carta superava la console Sony in molti aspetti, ma i veri punti di forza di questo titolo erano indubbiamente la storia e il suo unico sistema di combattimento.
Panzer Dragoon Saga narra la storia di Edge, un mercenario assunto dall’Impero per proteggere una squadra di archeologi in cerca di reliquie di un’antica civiltà tecnologicamente avanzata; gli scavi portano alla luce una lastra in cui una strana ragazza, che poi scopriremo chiamarsi Azel, è “incastonata” al suo interno (un po’ come Han Solo nel blocco di carbonite), ma un misterioso commando criminale capitanato da un certo Lord Craymen stermina tutte le persone sul luogo e ruba la preziosa scoperta. Edge viene colpito da un colpo di pistola e cade in una profondissima gola ma, sorprendentemente, riesce a sopravvivere e lì, proprio quando viene circondato da dei misteriosi droni ancestrali si fa avanti un misterioso dragone alato che lo salva e lo riporta in superfice; i pensieri di Edge e del drago sono stranamente sincronizzati, riesce a controllarlo senza dovergli dire nulla ed è come se esistesse una precedente affinità con la creatura volante. Il nostro protagonista, in groppa allo strano dragone, va alla ricerca della ragazza sperando di vendicare, nel processo, i suoi amici ma l’impero conosce il valore di ciò che Craymen ha rubato e perciò è disposto a seminare il panico in tutti i suoi territori per impossessarsi della ragazza e raggiungere la misteriosa torre, di cui si parla tanto all’inizio della narrazione, prima della flotta ribelle.

Fatta un po’ di pratica con i comandi base, visto che nelle fasi di esplorazione in volo dovremmo tenere conto degli ambienti anche in altezza, ci verrà fatto un lungo tutorial sul sistema di combattimento. A primo acchito può sembrare troppo minuzioso ed eccessivo ma a ogni battaglia impareremo tranquillamente a sfruttarne ogni aspetto (senza contare che questo è rivisitabile in ogni momento). Nella schermata di combattimento, per ciò che riguarda l’attacco, dobbiamo aspettare che almeno una delle nostre tre barre, similarmente a Final Fantasy, si riempia e una volta piena possiamo far corrispondere un’azione: fra queste troviamo l’attacco laser del drago, che prende di mira più obiettivi ma non potentissimo, una raffica di proiettili della pistola di Edge, che ne prende di mira solo uno per un attacco più potente e concentrato, l’utilizzo di un oggetto dall’inventario, il cambio dell’arma impugnata e gli attacchi speciali detti “Berserk”, che consumano punti magia (in questo gioco propriamente chiamati Berserk points). A questi è collegata l’ultima e la più interessante azione, ovvero il cambio della classe del drago. Negli RPG classici si combatte spesso in team e ognuno dei suoi componenti ha delle qualità che compensano le mancanze di altri: il guerriero è forte ma non pratico con le magie, il mago può scagliare degli incantesimi ma cade giù come una pera cotta, il ladro è tattico ma manca di forza fisica, etc… In Panzer Dragoon Saga siamo soli con il nostro drago e perciò, qualora una barra sarà piena, possiamo cambiare le sue peculiarità: possiamo renderlo più forte in attacco diminuendo la potenza delle sue magie, possiamo puntare tutto sulla difesa sapendo che ciò farà riempire le barre più lentamente, puntare tutto sullo spirito (ovvero la magia) trascurando gli attacchi principali e colpire solo con gli attacchi berserk, etc… Il cambio della classe, a ogni modo, è totalmente modulare e perciò è possibile investire, ad esempio, quel che basta nell’attacco senza sacrificare troppo l’agilità e lo spirito. A seconda di come sistemeremo qualità del drago avremo dei diversi degli attacchi berserk (che piano piano il nostro drago imparerà salendo di livello): potremmo scagliare dei laser incontrollabili se dominerà l’attacco oppure semplicemente rinforzare la nostra corazza se decideremo di puntare di più sulla difesa. Insomma, le possibilità sono infinite a seconda del nostro stile di gioco.

Ma la vera peculiarità del sistema di combattimento di Panzer Dragoon Saga, che lo fa spiccare fra tutti gli RPG concorrenti, è il suo sistema di azione in tempo reale. Le battaglie si svolgono sempre in aria e perciò i nostri nemici sono sempre in movimento. in basso al centro della schermata d’azione, accanto alle tre barre, c’è una sorta di radar circolare che indicherà la nostra posizione rispetto al nemico che è rappresentato al centro; a sua volta, questo cerchio è diviso in 4 settori che si illumineranno di verde o rosso a seconda della “pericolosità della posizione” (esistono anche le zone di nessun colore che rappresentano il neutro): le prime sono zone sicure e stando lì, se il nemico attacca, si subiscono meno danni ma non è detto che siano anche le migliori per attaccare; ci sono volte in cui sono proprio i settori in rosso, i più rischiosi, dove potremo infliggere più danni al nemico perciò, quando si presentano situazioni di questo tipo, ci toccherà attaccare e subito spostarci in una zona più sicura per evitare i loro attacchi più potenti. Infine, così come i nostri obiettivi hanno le nostre stesse tre barre (anche se non sono visibili), i nemici possono decidere di spostarsi stravolgendo i settori perciò, parallelamente a costruire la nostra strategia durante la battaglia, dobbiamo sempre stare attenti a ciò che succede nel campo di battaglia e, pertanto, muoversi di conseguenza. Sono pochi gli RPG di stampo giapponese in grado di restituire un’azione così veloce, così vicina a un action e il sistema di combattimento di Panzer Dragoon Saga non è stato ancora emulato in nessun altro titolo. Le battaglie sono chiaramente l’attrattiva principale e, nonostante possa sembrare complicato, molti neofiti di questo genere videoludico possono trovare in questo titolo delle meccaniche accessibili, che prendono tanto dallo rail-shooter (genere, appunto, dei primi due titoli della saga) e dunque che possa essere una perfetta transizione da un gameplay frenetico, alla quale si potrebbe essere solitamente più abituati, a uno in cui bisogna pensare prima di agire, sempre, però, con una certa velocità. I veterani del genere troveranno in questo capitolo un diamante nascosto, un RPG da un art-style finissimo, una storia spettacolare che prende un po’, oseremo dire, da Star Wars, Blade Runner e Mad Max, una colonna sonora mastodontica che sposa in tutto e per tutto ciò che è questo gioco e un sistema di combattimento, che abbiamo elogiato abbastanza, semplicemente al di fuori di ogni normale schema e pertanto che merita assolutamente di essere riscoperto. Ovviamente non vogliamo anticiparvi alcun risvolto di trama ma vi assicuriamo che ogni battaglia, anche la più insignificante, sarà sempre emozionante ed è ciò che rende Panzer Dragoon Saga semplicemente un gioco fuori dal comune.

I tesori… costano!

Ma ora, purtroppo, dobbiamo toccare un lato incredibilmente spiacevole per coloro che si sono incuriositi leggendo queste righe e vogliono mettere le mani su questo spettacolare RPG, ovvero la reperibilità. Alle poche unità di Saturn in occidente sono corrisposte altrettante poche unità di questo spettacolare titolo: in Nord America sono state prodotte 20.000 copie che sono state liquidate in pochissimo tempo e perciò ne sono state prodotte poche altre migliaia ma, ovviamente, non si arriva di certo al milione; in Europa la situazione è ancora più tragica in quanto, in tutto il territorio PAL, sono state prodotte solamente 1000 copie, senza alcuna ristampa successiva. Panzer Dragoon Saga, sebbene accontentò i non pochi possessori di Saturn, non riuscì ad attirare nessun nuovo giocatore nonostante i punteggi positivissimi sulle riviste. Matt Underwood, che lavorò alla localizzazione di questo titolo, disse che i toni post-apocalittici del gioco e l’art-style particolarissimo allontanò persino coloro che avrebbero potuto prendere in considerazione l’acquisto della console; le visual del gioco erano ben distanti da ciò che andava di moda ai tempi (basta guardare lo stile anime dei personaggi di Final Fantasy VII) e perciò, secondo lui, Panzer Dragoon Saga rimase un gioco di nicchia per la nicchia, un gioco forse così “avant-garde” da non poter essere goduto dallo scenario del gaming di quei tempi. I prezzi per le copie PAL e NTSC-U sono ormai alle stelle, fra le 500 e le 600€, perciò chi ha intenzione di possedere questo gioco dovrà sborsare parecchio! Una soluzione per i collezionisti si potrebbe presentare con la copia giapponese, decisamente più accessibile in termini di denaro, ma potrete usarla solo in una console NTSC-J o in Saturn europei o americani muniti di Action Replay o di una qualche modifica; inoltre, essendo un RPG, sarà importantissimo seguire la storia e perciò, se non conoscete la lingua giapponese, dovrete probabilmente lasciar perdere anche questa copia.
E allora, visto che questo gioco è così popolare su internet e fan di ogni dove chiedono questo gioco a gran voce a Sega: perché questo titolo è ancora un esclusiva Saturn? Ricordate quando all’inizio dell’articolo quando abbiamo detto che certi giochi non possono essere ripubblicati per diversi motivi? Uno di questi è la perdita del codice sorgente e Panzer Dragoon Saga rientra proprio in questo caso; Yukio Futatsuji è a conoscenza della grosso “culto” formatosi nell’era post-Saturn ma a causa della perdita di quest’ultimo è impossibile fare un porting a meno che non si ricostruisca il gioco dalle fondamenta e, con buona probabilità, Sega difficilmente finanzierà un progetto di una saga, purtroppo, nota a pochi. Arrivati in questi casi, ed è veramente uno estremo, se non volete spendere oltre le 500€ per una copia usata (sempre che sia in condizioni buone) non ci resta altro che scaricare, ahimè, la ISO della versione europea, o americana, del titolo e giocarla su computer o masterizzarla e godersela più fedelmente in una console in grado di leggere i backup. I giochi per Saturn ormai non sono più in commercio da tantissimo tempo e dunque, anche se ciò che faremo non è proprio etico, non arrecheremo alcun danno economico a Sega. Fra le due alternative vi consigliamo la seconda perché l’emulazione del Saturn, nonostante siano passati diversi anni, è ancora imperfetta per via del complicato sistema degli 8 processori interni; soltato i computer più potenti sono in grado di emulare bene i giochi per questa console e perciò la migliore soluzione potrebbe presentarsi con un insolito acquisto dell’hardware originale. Sarebbe fantastico poter giocare a Panzer Dragoon Saga con la confezione e i dischi originali ma se i prezzi su eBay sono decisamente fuori dalla portata del giocatore medio e Sega non ha alcuna intenzione di fornire questo prodotto in maniera ufficiale per PlayStation 4, Xbox One, Nintendo Switch o Steam; a noi non rimangono altro che queste strade poco ortodosse. Purtrppo, forse, Panzer Dragoon Saga è e sarà per sempre un’esclusiva per Sega Saturn.




Bravo Team

La software house SuperMassive Games, già nota per titoli di spessore come Until Dawn per PS4, The Inpatient e Until Dawn: Rush of Blood per PSVR, abbandona la sua “safe zone” della ambientazioni horror, per lanciarsi in tra gli scenari degli scontri militari.
Bravo Team, è un gioco che come genere si piazza tra un FPS e un On-Rail Shooter, il tutto in rigorosa salsa Co-Op. Il titolo è completamente tradotto in italiano, ed è uscito il 6 Marzo 2018.

Scorta al Presidente

Bravo Team ci cala nelle vesti di un soldato americano demandato a fare da scorta alla Presidente di un non meglio precisato Stato dell’est Europa. L’incipit ci vede insieme ai nostri compagni d’arme su un SUV blindato per scortarla a destinazione, ma il viaggio viene interrotto da un gruppo di terroristi che rapiscono il nostro Capo di Stato.
Ripresasi dallo shock dell’attacco, la squadra abbandona il SUV per trovarsi sotto il fuoco incrociato delle milizie locali, che fino a poco prima erano ritenute nostre alleate. In breve i nostri compagni vengono decimati, e si rimane soltanto in due, guidati tramite contatto radio dal centro di controllo della missione.
La prima impressione è subito positiva e la storia si lascia scoprire piacevolmente, riservandoci qualche interessante sorpresa.

Sparatorie in Co-op

Bravo Team ci propone la sua versione di combattimenti urbani in co-op. Saremo assistiti da un compagno durante tutto il gioco, dovremo collaborare, alternandoci con le coperture e sferrando attacchi combinati. Potremo anche rigiocare le stesse missioni della campagna anche in modalità co-op online, avendo quindi come compagno un altro giocatore.
Il gioco dà il meglio di sé con l’AIM controller, ma può essere giocato sia tramite il classico gamepad della Playstation 4 che tramite i Playstation Move.
I movimenti nel gioco sono gestiti tramite salti da un riparo all’altro in posizioni prestabilite. Gli spostamenti vengono mostrati come un’animazione in terza persona, e un simile approccio risulta inizialmente abbastanza strano, ma in breve si comincia ad apprezzare la possibilità di ammirare le azioni di combattimento da una prospettiva diversa anche in VR.
Le armi che ci vengono messe a disposizione sono davvero poche e poco potenti, anche gli approvvigionamenti di munizioni sono scarsi, soprattutto nei livelli più difficili. Purtroppo la carenza di armi veramente potenti toglie non poco divertimento al titolo, che avrebbe tratto giovamento dall’aggiunta di qualche bomba a mano e qualche arma più incisiva, mentre un punto a favore è certamente l’aver previsto la possibilità che il fucile si inceppi, elemento che nelle azioni più concitate ci causerà non pochi grattacapi e che alza l’asticella della sfida.

La grafica non basta

La SuperMassive Games si supera sul piano tecnico sfornando un gioco graficamente tra i migliori titoli per PSVR finora sfornati, con texture eccellenti, ambientazioni immersive e ben dettagliate, un effetto nebbia davvero ben riuscito e un generale realismo abbastanza fedele. Le animazioni dei personaggi sono discrete, si registra qualche movimento legnoso di troppo, visibile.
Gli spostamenti da un riparo all’altro si eseguono puntando l’arma verso l’appostamento prescelto e premendo il tasto X. La visuale, a questo punto, si sposta in terza persona e vedremo così il nostro personaggio spostarsi da un riparo all’altro. Proprio grazie a questo approccio, la SuperMassive Games riesce a eliminare completamente qualsiasi possibile problema legato al “motion sickness“, problema che affligge finora la gran parte dei titoli in VR.
Il comparto audio è davvero buono, tutto doppiato in italiano in maniera eccellente, condito da effetti sonori abbastanza realistici si lascia apprezzare durante tutto il gioco.
Il sistema di mira con AIM Controller è molto preciso e immediato, soltanto l’assenza di un vero rinculo ci ricorda che non abbiamo una arma reale tra le mani.
Purtroppo il titolo pecca in termini di longevità. La campagna base single player dura al massimo 3 ore e la seconda modalità in single player ci riproporrà gli stessi scenari, cambiando solo l’assegnazione dei punteggi per i colpi messi a segno.
A peggiorare la situazione arriva la modalità co-op online che, rappresentando il cuore pulsante di Bravo Team, dovrebbe aggiungere ore di divertimento e novità da scoprire. Sfortunatamente la SuperMassive Games va un po’ al risparmio, non disegnando delle mappe specifiche per il co-op online, costringendoci a rigiocare insieme a un compagno reale le stesse identiche missioni già completate nella campagna single player.
La mancanza di divertimento aggiuntivo, nella modalità multiplayer, non deve aver generato molto richiamo, e non di rado bisognerà aspettare tra i 10 e i 20 minuti prima di trovare un compagno online, per poi abbandonare definitivamente questa modalità una volta conclusa la partita.

Bravo, ma non bravissimo

Bravo Team è assolutamente un titolo da provare per apprezzare il proprio AIM Controller in azione, ma la scarsa longevità e la carenza di armi lasciano un po’ l’amaro in bocca, rendendo evidente come un titolo che avrebbe potuto avere tutte le carte in regola per essere un capolavoro si sia perso nel classico bicchiere d’acqua.
Non tutto è perduto, però, il potenziale rimane ancora immutato, le basi ci sono tutte e un bel DLC che ci offra nuove e più potenti armi, qualche ambientazione aggiuntiva e una modalità online dedicata potrebbe risolvere molti problemi e rianimare un gioco nel quale il divertimento dura per un tempo troppo limitato.