Uno sguardo a Castlevania: Symphony of the Night

Castlevania è una delle saghe più classiche e importanti del landscape videoludico, una serie di giochi avvincenti che nel tempo si sono saputi reinventare, ponendo ai giocatori sfide sempre nuove grazie a meccaniche sempre fresche e innovative. I recenti successi del Kickstarter di Bloodstained: Ritual of the Night, avviato dal padrino della saga Koji Igarashi e il già uscito Curse of the Moon hanno spinto Konami a rivedere la loro IP dall’alto in basso in modo da riportare la storica saga dei cacciatori di vampiri al suo originale splendore, anche se con risultati hit or miss: l’anno scorso abbiamo visto l’eccellente serie anime su Netflix basata su Castlevania III: Dracula’s Curse (di cui dal 26 Ottobre saremo in grado di vedere la seconda stagione) un nuovo gioco su iPhone, Castlevania: Grimoire of Souls, ancora in beta ma comunque non ben visto dai giocatori, ma soprattutto il recente annuncio di Castlevania: Requiem, una collection contenente i due capitoli della sub-saga Dracula X, cioè Castlevania: Rondo of Blood, gioco originariamente concepito per PC-Engine CD, e lo storico Castlevania: Symphony of the Night per PlayStation. Quest’ultimo è stato in grado di rilanciare la saga in un landscape di giochi in 3D, un titolo che ha letteralmente gridato al mondo che con le formule classiche dei giochi in 2D si poteva fare ancora molto e, se oggi i sidescroller dai gusti retrò sono molto popolari, che siano platformer nel senso più classico o metroidvania, lo si deve in grossa parte a titoli come questi. Oggi su Dusty Rooms, vista l’imminente uscita di Castlevania: Requiem (anche questa, come la serie anime, giorno 26) e il 21esimo anniversario del rilascio di Symphony of the Night in nord America, daremo uno sguardo al titolo più importante della saga, alle innovazioni portate e anche alle diverse versioni disponibili.

Il metroidvania per eccellenza

Nel 1994 Super Metroid perfezionò un genere prima d’allora poco definito e poco popolare; la più grande innovazione che portava a livello di fruizione era la mappa in-game chiara e intuitiva, dove erano segnati i punti di salvataggio, i punti di ricaricarica, i luoghi già visitati e quelli ancora da scoprire. In casa Konami, Castlevania: Rondo of Blood riscosse un ottimo successo in Giappone ma per via dell’insuccesso del PC-Engine CD negli Stati Uniti, lì rinominato Turbografx-16 CD, il gioco non fu mai rilasciato da quelle parti. Per compensare la sua assenza venne prodotto un porting per Super Nintendo nel 1995, rinominato Castlevania: Dracula X in Nord America e Vampire Kiss in Europa, ma ciò che arrivò era troppo distante dal gioco originale e perciò i fan cominciavano a presagire che la saga si stesse dirigendo in cattive acque. In realtà, Koji Igarashi, da poco reduce del successo di Rondo of Blood alla quale lavorò, fu incaricato di creare un nuovo titolo della saga e così Konami lo mise dietro a  Castlevania: Bloodletting per Sega 32X ma ben presto, come l’add-on si rivelò un insuccesso, lo sviluppo del gioco passò a Sony dove poi fu completato e coniato in Castlevania: Symphony of the Night. Già nelle prime fasi del progetto, Iga non voleva lanciare l’ennesimo capitolo della saga ma voleva comunque mantenere la formula platform che aveva reso iconica la saga degli ammazza-vampiri. Ispirato dal già citato Super Metroid e la saga di The Legend of Zelda, nonché dalle critiche mosse a Castlevania II: Simon’s Quest (titolo per NES che offriva la medesima impostazione del futuro Symphony of the Night), Iga implementò un gameplay simile che favorisse sia la longevità che l’esplorazione e il puzzle solving, entrambe caratteristiche non sue.
Il risultato fu semplicemente eccezionale: la nuova veste action-platformer, da lì in poi, appunto, rinominata in metroidvania, si adattò perfettamente al gameplay già ottimo di Castlevania e concentrò il nuovo gameplay sull’esplorazione graduale del castello di Dracula, ovviamente possibile collezionando i power up e le abilità per Alucard uno alla volta, una sezione del castello per volta. La storia è ambientata nel 1796, quattro anni dopo le vicende di Rondo of Blood: Richter, Belmont è scomparso e il castello di Dracula riappare dal nulla in una notte di luna piena; Alucard, vampiro e figlio del conte (analizzate bene il suo nome, non notate niente?), corre nel castello per poi trovare al suo interno la Morte, braccio destro di Dracula che lo spoglia di ogni equipaggiamento, Maria Renard, una cacciatrice di vampiri, e un Richter Belmont che crede di essere il padrone del castello e un signore delle tenebre. Si scopriranno ben presto gli stratagemmi del conte e spetterà a noi svelare la verità sul lavaggio del cervello di Richter e scongiurare il ritorno di Dracula una volta e per tutte. Castlevania: Symphony of the Night è il primo titolo della saga (ma anche l’unico in 2D) ad avere dei dialoghi interamente doppiati: anche se a tratti possono sembrare buffi, servirono a dare la giusta importanza alla storyline proposta e uno storytelling che, prima d’allora, era riservato primariamente ai giochi in 3D, ancora una volta, dunque, rivendicando l’importanza dei giochi d’impostazione classica. Insieme agli elementi tipici del genere metroidvania, come appunto il backtracking, i power-up e le abilità collezionabili che ne permettono l’esplorazione graduale, in Symphony of the Night vengono introdotte tantissime feature RPG, prima fra tutti il sistema di level up basato sui punti di esperienza che si ottengono ogni volta che un nemico (o boss) viene annientato e ciò permette una crescita ancora più dinamica del nostro personaggio che vedrà incrementarsi i punti di attacco e difesa gradualmente; se ciò non bastasse, sarà possibile equipaggiare il nostro Alucard con nuovi mantelli, armature, stivali, armi diverse dalla spada, Famigli (degli spiriti che ci accompagneranno durante la nostra avventura) e accessori che possono renderlo immune o più resistente a fuoco, ghiaccio, oscurità, luce e persino aculei. Il castello in sé è gigantesco e pertanto Symphony of the Night garantisce una longevità non indifferente, migliorata peraltro grazie alla campagna aggiuntiva con Richter Belmont.
Potremmo parlare ad nauseam delle novità introdotte in questo capitolo ma, non volendovi parallelamente rovinare una prossima esperienza con Castlevania: Symphony of the Night, vorremo sottolineare la sua importanza per la saga e per il landscape videoludico. Da un lato, Symphony of the Night è ancora l’unico Castlevania di questa impostazione a essere stato sviluppato per console: Castlevania: Circle of the Moon, Harmony of Dissonance, Aria of Sorrow, Dawn of Sorrow, Portrait of Ruin e Order of Ecclesia, che sono i titoli metroidvania della saga, sono tutti stati sviluppati per gli handheld Nintendo, fra il Gameboy Advance e il Nintendo DS. Le eccezioni in 2D, per console, sono state fatte e ne sono un esempio Castlevania: Harmony of Despair, un gioco co-op online, e The Adventure ReBirth che uno stage by stage ispirato a Castlevania: The Adventure per Gameboy; tuttavia, nessun metroidvania è apparso per console dopo Symphony of the Night e pertanto questi giochi sono stati riservati al piccolo schermo. Per il resto, su console, è stato inseguito fino all’ultimo il sogno di vedere la saga in un ambiente in 3D e i risultati, per quanto si possano amare o odiare, non sono mai arrivati ai livelli dei metroidvania, probabilmente neanche con il filone reboot Lords of Shadows. Anche se non abbiamo più visto un Castelvania in questo stile per una console, Symphony of the Night ha dimostrato ancora di più cosa era possibile fare con questo stile di gioco e da lì in poi, più che altro con l’inizio del nuovo millennio, sono cominciati a uscire grandi titoli indipendenti che si rifacevano al suo stile e a quello di Super Metroid. Ne sono grandi esempi Cave Story, Ori and the Blind Forest, Shadow Complex, Guacamelee, i giochi della saga di Shantae e la lista non si ferma a questi pochi titoli. Il punto è che Castlevania: Symphony of the Night ha avviato una vera rivoluzione e la sua importanza si vede nei titoli cloni rilasciati, i fan che finanziano in pochi minuti il Kickstarter di Koji Igarashi e persino nella risposta di Konami nel rilasciare a breve Castlevania: Requiem per PlayStation 4. Non a caso Symphony of the Night è uno dei titoli più belli della storia dei videogiochi e giocarlo, per un vero giocatore, è quasi un obbligo.

Giochiamoci!

La cosa più saggia da fare, in questo momento, è aspettare l’uscita del prossimo Castlevania: Requiem e godersi Symphony of the Night in questa nuova generazione. Tuttavia ci chiediamo: quale versione inseriranno nella collection? Eh si, di Castlevania: Syphony of the Night esistono tante versioni, recuperabili in molte piattaforme; pertanto, sia per i più curiosi che per i più impazienti che vogliono recuperarlo prima del 26 Ottobre (in quanto, giustamente, non tutti abbiamo una PlayStation 4), vi spiegheremo in dettaglio tutte le versioni disponibili.
La prima, la versione per PlayStation, è quella più pura e pertanto è la migliore della generazione 32 bit: i controlli sono studiati per il set di tasti del joypad di PlayStation, così come tutto il comparto grafico e la programmazione generale che permette tempi di caricamento brevi e azione veloce anche quando nell’area di gioco ci sono molti nemici. Questa è la versione che è stata presa come riferimento per le future re-release su PSP, come bonus del gioco Castlevania: The Dracula X Chronicles, e su Xbox 360 Live Arcade. Tuttavia, se volete giocare la versione originale per PlayStation, le copie originali PAL e NTSC-U costano parecchio e l’unica alternativa e puntare alle versioni NTSC-J, sempre molto costose ma più convenienti rispetto alle versioni americane e europee. Per quanto la critica fosse a favore di Castlevania: Symphony of the Night, il gioco non vendette benissimo e questo è il motivo principale dell’odierno sovrapprezzo.
L’anno successivo, nel 1998, uscì una versione per Sega Saturn, da molti vista come una sorta di passo indietro, il ché fu molto strano viste le capacità della console rivale in ambito 2D. Il porting fu affidato a Konami Computer Entertainment Nagoya, un team diverso da quello originale e, durante lo sviluppo, vi furono diversi problemi che portarono a una versione evidentemente poco curata: notabile sin dall’inizio e l’immagine “allargata” e non adattata per la maggiore risoluzione del Saturn, distorcendo così gli sprite di alcuni nemici particolarmente grandi; le cutscene all’inizio e alla fine del gioco poterono invece godere di questa feature ma l’immagine, stavolta, fu ristretta e per tanto non erano in fullscreen. Ad aggravare la situazione c’erano anche gli eccessivi tempi di caricamento, presenti persino alla transizione da un’area del castello all’altra, al richiamo del menu e al richiamo della mappa (che, in assenza di un tasto select nel controller del Saturn, si doveva richiamare dal menu di pausa. Dunque due caricamenti di fila!), i rallentamenti durante le sezioni più animate e la famosa assenza degli effetti di trasparenza necessari per rendere al meglio le cascate e gli ectoplasmi; tuttavia, probabilmente verso la fine dello sviluppo, il team riuscì a sviluppare correttamente gli effetti di trasparenza, come dimostrato dala battaglia contro Orlox, ma essendo in ritardo con i tempi di consegna avranno consegnato il gioco senza poter sistemare le restanti imperfezioni. A ogni modo, nonostante questi difetti, la versione per Saturn risulta la più ricca di contenuti e alcuni fan sono in grado di confermare che questa è la migliore versione di questo titolo: il gioco permette sin da subito di selezionare, alla creazione del file, Alucard, Richter e persino Maria, che oltre a essere un personaggio giocabile è anche un boss nella campagna principale. Poi, grazie alla disposizione dei tasti del Saturn, ad Alucard è stata aggiunta una “terza mano” utile per assegnargli le pozioni per recuperare vita o i punti magia (nella versione per PlayStation bisognava entrare nel menu, assegnare la pozione alla mano sinistra, tornare nel gioco e consumarla durante l’azione), sono stati aggiunti i Goodspeed Boots che permettono, una volta raccolti, di correre più velocemente e attraversare alcune zone del castello in modo rapido premendo due volte avanti, più nemici, più boss, più Famigli e due zone inedite dalla versione PlayStation. Le aggiunte di questa versione vanno a perfezionare il gameplay già ottimo di Castlevania: Symphony of the Night ma purtroppo l’unica feature recuperata per le versioni successive è la campagna di Maria Renarde per la versione PSP. Koji Igarashi è cosciente del fatto che molti fan vogliono la maggior parte delle feature per Saturn ma nel 2007 ha apertamente espresso che non si sente a suo agio con quella determinata versione e non sopporta il fatto che ci sia il suo nome sopra. Probabilmente le feature di questo porting non torneranno più ma in fondo, è anche vero che non sono indispensabili per godere appieno di questo gioco, specialmente visti i gli assurdi prezzi di questo gioco per Sega Saturn su eBay.
Nel 2006 Castlevania: Symphony of the Night è stato rilasciato per Xbox 360 Live Arcade e questa particolare versione si rifà esattamente alla versione per PlayStation; in aggiunta alla dashboard online e agli achievement, è stata la prima versione del gioco in HD e, grazie alla potentissima architettura della console Microsoft, sono stati corretti persino quei pochi rallentamenti presenti nella versione originale. Con buona probabilità questa sarà la versione che troveremo giorno 26 Ottobre per PlayStation 4 però, chissà: troveremo qualcosa della versione del Saturn? Troveremo qualcosa di completamente inedito, come una campagna con Trevor Belmont, Sypha Belnades e Grant Danasty visto che in un punto del castello si combatte contro i loro fantocci? Non possiamo fare altro che aspettare e sperare di trovare una versione ancora migliore delle precedenti!




World to the West

Arriva su Nintendo Switch l’ultima impresa di Rain Games, la casa che ha prodotto il graziosissimo puzzle platformer Teslagrad (del quale trovate qui la nostra recensione); stiamo parlando di World to the West, un altrettanto curatissimo titolo, che serba una certa continuità narrativa con il titolo precedente, ponendosi però come titolo di avventura dagli elementi molto simili alla saga di The Legend of Zelda. Ci si allontana, dunque, dai puzzle di logica in favore di un gameplay più immediato, esplorativo e, tutto sommato, più approcciabile, anche se non esente da parti cervellotiche; tuttavia, il rimando a Zelda è comunque abbastanza vago in quanto, nonostante la grafica cartoonesca, la mappa divisa in quadranti e la visuale dall’alto, World to the West costringe il giocatore a un ritmo abbastanza diverso, con meccaniche “multi-personaggio” decisamente assente nella famosa saga Nintendo. Sebbene titoli come The Legend of Zelda: Four Sword, Four Sword Adventure e Tri Force Heroes abbiano dato alla saga di Link un’insolita veste multiplayer, World to the West dà al giocatore la possibilità di controllare ben quattro personaggi dalle abilità diverse, tutti in grado di compiere uno specifico compito per una specifica occasione; questa meccanica distanzia nettamente il titolo della Rain Games dalla nota saga Nintendo fra alti e bassi. Ma andiamo per gradi.

Lontano da casa

Il gioco comincia proprio a Teslagrad, dove prenderemo il controllo di Lumina, una teslamante che, spinta dalla curiosità, attiva per sbaglio un’antica macchina per il teletrasporto finendo per essere spedita anni avanti nel futuro. In questa strana terra, la macchina per il teletrasporto sembra sia inattiva da secoli, e ci sono ben poche speranze di ripararla; cominceremo dunque a muovere i nostri primi passi in questo nuovo mondo accorgendoci che la civiltà dei teslamanti è ormai perduta. Dopo essere caduta in un pozzo, la storia di Lumina verrà messa un attimo da parte per far spazio alle storie dei restanti protagonisti di questa storia. Conosceremo Knaus, un piccolo bambino orfano che si ritrova nel sottosuolo insieme ad altri bambini anch’essi orfani, che crede di trovarsi sulla Luna ma capisce di essere stato ingannato dopo aver trovato un alberello cresciuto grazie a uno spiraglio di luce proveniente dalla superficie; la storia punterà i riflettori in seguito su Miss Teri, un’esploratrice a caccia di tesori che verrà ingannata Lord Tychoon, un magnate senza scrupoli dell’alta società; infine conosceremo Lord Clonington, un fortissimo omone dalle nobili origini e, a detta sua, secondo solo a Lord Tychoon in quanto a ricchezza.
A questo punto, dopo che i quattro personaggi saranno tutti riuniti e capiranno di essere parte di un disegno ben più grande di loro, sarà da lì che partirà la vera e propria avventura; in pratica, dopo i primi capitoli che ci serviranno per imparare a conoscere i comandi dei personaggi semi-individualmente, avremo modo di comandare tutti e quattro a turni alterni. Per switchare da uno all’altro basterà raggiungere uno dei tanti totem, scolpiti in precedenza da un’anziana sciamana, sparsi in giro per il mondo. Attivato un nuovo totem sarà possibile cambiare personaggio o teletrasportarsi uno di quelli attivati in precedenza; questi checkpoint, che fra l’altro rappresentano anche i punti di salvataggio, dovranno essere attivati individualmente per ogni personaggio perciò, qualora sarà necessario che tutti si rechino nello stesso punto, il gruppo dovrà muoversi poco per volta, ripetendo la stessa strada per quattro volte, per far sì che tutti percorrano la stessa strada e attivino i totem necessari di conseguenza.
Gli amanti dei metroidvania, genere in cui il backtracking è una meccanica fondamentale, potrebbero decisamente trovare pane per i loro denti in World to the West; meno interessante però potrebbe esserlo per i giocatori un po’ più casual o, addirittura, per gli amanti della saga di The Legend of Zelda, più in particolare quelli che parallelamente potrebbero non trovare di loro gradimento titoli come Metroid, Castlevania, Shantae, Guacamelee o Axiom Verge.
Il movimento in gruppo non è implementato perfettamente o, per lo meno, come ci si aspetterebbe da un gioco che pone delle premesse simili; per quanto sia divertente scambiare i personaggi e percorrere strade diverse con ognuno di loro, non si crea alcuna complicità: ci si aspetterebbe che tutti e quattro collaborino fra loro, per aprire un cancello o per spostare un masso grazie alle abilità peculiari di ognuno, ma purtroppo in World to the West questa componente è sfruttata molto poco. Sono pochissime le volte in cui qualcuno dovrà mettere compiere azioni di cui gli altri personaggi possano beneficiare, ed è un vero peccato. Vengono sfruttati soltanto degli elementi ambientali adatti a pochi di loro, i cunicoli per Knaus o i campi energetici di Lumina (gli stessi visti in Teslagrad), senza dunque aiutarsi a vicenda. In pratica, ognuno va per la propria strada!

Lascia fare a me

I quattro personaggi hanno abilità diverse fra loro e ognuno può interagire con l’ambiente tramite i 3 comandi base, più o meno comuni a tutti: attacco, corsa e spostamento. Nonostante questo equilibrio nei controlli, i quattro personaggi soffrono di una certa disparità: è normale che in un gioco che pone delle premesse simili qualcuno debba compensare le mancanze di un altro, ma in World to the West le abilità sono distribuite in maniera abbastanza disomogenea. Lord Clonington e Lumina, ad esempio, sono i personaggi più piacevoli da usare in quanto sono in possesso di due o più attacchi, possono muoversi velocemente e possono risolvere con molta facilità molte delle difficoltà ambientali che gli si pongono davanti, come fossati o pareti da superare. L’abilità principale di Miss Teri, che ha comunque la corsa migliore dei personaggi, è il controllo mentale e, per quanto figo possa sembrare, questa caratteristica sarà poco utile senza che ci sia un nemico di cui possa prenderne il controllo; la sua sola sciarpa, che permette il controllo mentale stesso ma può essere usata anche come un rampino in certi punti, si rivela inefficiente dinanzi a un nemico impossibile da controllare come, ad esempio, un guardiano ancestrale; e questo è niente in confronto alle difficoltà di Knaus, la cui corsa funziona principalmente con i suoi pattini di ghiaccio, strumento che non funziona a dovere in assenza di acqua. Knaus può raggiungere i punti più alti solamente in presenza dei suoi specifici cunicoli ma soprattutto, e questo è il difetto più grave, non dispone di un vero sistema d’offesa; la sua pala, con la quale può scavare una buca per poi muoversi sottoterra (esattamente come faceva Bugs Bunny), può solamente stordire i nemici senza ucciderli effettivamente. L’unica cosa che può placare le orde nemiche è la sua sola dinamite che di per sé è molto potente ma, ovviamente, bisogna aspettare l’esplosione mentre il nemico, giustamente, si allontana.

Alti e bassi

Tutto sommato, anche se la disomogeneità di caratteristiche e la mancata cooperazione fra i personaggi minano la nostra esperienza videoludica, non sono elementi così gravi da creare al giocatore difficoltà nella godibilità del titolo; insomma, le abilità sono molto belle e la meccanica di gioco è di per sé validissima e stimolante. World to the West non è assolutamente un gioco frustrante, la difficoltà generale del gioco è ben equilibrata e il titolo risulta molto piacevole; ha una buona longevità, l’avventura continua anche dopo la quest principale alla volta delle batterie che serviranno ad alimentare una speciale zona nel sottosuolo che custodisce la verità sulla civiltà teslamante.
Stavolta, a differenza di Teslagrad, lo storytelling è molto più semplice e si affida ai dialoghi e ai testi come un qualsiasi altro gioco di questo genere. La grafica, dai toni molto accesi e cartoonesca, dà al titolo un bel caratterino frizzante e si adatta bene sia ai tratti umoristici dei dialoghi che alle fasi più cupe della storia; gli ambienti, anche se un po’ vuoti, sono ben caratterizzati, e perdersi è abbastanza difficile anche se alcune volte, nell’intento di proseguire la storia, si finisce per girare a vuoto per molto tempo. La mappa mostra sia tutto l’overworld che il mondo sotterraneo, al quale sono collegati anche i dungeon; tuttavia, anche se è possibile guardare le mappe più o meno contemporaneamente, la scarsa risoluzione non permette di capire dove siano i punti d’accesso per il sottosuolo o e quelli d’uscita per la superfice.
La colonna sonora di World to the West è nettamente superiore a quella di Teslagrad: i brani composti da Jørn Lavoll e Linn Kathrin Taklo toccano diverse sfere emotive grazie a tracce che spaziano dalla musica gitana e world music, alla classica sino a pezzi in stile ambient acustico e sperimentali. Anche il comparto degli effetti sonori è buono anche se è molto strano che Lumina, Knaus e Teri condividano quasi lo stesso mormorio quando saltano da una rupe.
Sfortunatamente,ì, però, come per il precedente titolo di Rain Games, World to the West non è esente da bug e alcuni di loro possono mandare in tilt il sistema di gioco e addirittura richiamare l’errore di sistema facendovi chiudere forzatamente l’applicazione; al di là di qualche piccolo bug fisico, molti degli errori di sistema sembra siano collegati al richiamo di alcuni menù e alla abilità di controllo mentale di Miss Teri. Durante il controllo mentale è impossibile per Miss Teri aprire i forzieri, né può farlo il nemico controllato, perciò sarà necessario abbandonare l’ipnosi, aprire la cesta e riprendere il controllo del nemico; a quanto pare il ripetuto collegamento-scollegamento mentale (con la probabile aggiunta di un’azione) fa crashare il gioco, costringendo a chiudere forzatamente l’applicazione e, dunque, riaprire il titolo dal menù.
Un altro terribile errore si potrebbe presentare alla fine della vostra avventura, un bug che potrebbe bloccare il vostro intero salvataggio compromettendo dunque ore e ore di gioco, perciò prendete queste parole come un vero e proprio avviso. Per scrivere questa recensione abbiamo controllato i comandi dei personaggi: l’abbiamo fatto durante lo scontro con il boss finale e, durante il filmato di chiusura, presi gli spunti necessari, siamo tornati al menù principale tramite il menù di pausa. Dovendo riaccendere la console, ci siamo accorti che il gioco cominciava dal filmato finale e, a metà di quest’ultimo, lo schermo si oscurava totalmente mentre la musica di sottofondo continuava senza che vi fosse seguito all’immagine nera: abbiamo così capito di aver compromesso il nostro file di salvataggio! Perciò, quando arriverete alla fine della vostra avventura, lasciate che il filmato finale proceda tranquillamente fino alla fine per evitare che il vostro file di salvataggio diventi praticamente inutilizzabile. Altri errori di sistema si sono presentati con l’apertura e la chiusura ripetuta di alcune finestre di dialogo e menù (specialmente quello degli animaletti di Miss Teri) e con il controllo mentale di un nemico in prossimità di un totem. Tutti questi bug non sono certamente segno di un gioco ben programmato e Rain Games dovrebbe prenderne nota.

Sulla strada giusta, malgrado tutto

Ad ogni modo, dopo un interessante ma acerbo Teslagrad, Rain Games ci consegna un gioco più definito, con più carattere, più accessibile e, tutto sommato, più divertente; è bene dire che questa volta lo studio norvegese ha fatto centro anche se con diverse penalità. La vera sfortuna di questo gioco è solamente quella di non presentare una buona relazione meccanica-ambiente, con un puzzle solving scialbo, talvolta inesistente; tutto questo, unito alla disparità dei personaggi, alla non chiarissima mappa e al backtracking ripetitivo (nonché tempi di caricamento invadenti nel passaggio da un quadrante all’altro), non fa di World to the West uno di quei indie game che sconvolgono lo scenario videoludico, ed è un vero peccato perché ci sono tanti ottimi spunti. Viene da pensare: come mai Rain Games, in un gioco in cui ci sono quattro personaggi che collaborano fra di loro, non abbia inserito nessuna componente multiplayer? Avrebbero potuto realizzare una modalità multigiocatore dividendo i quattro personaggi fra due o quattro giocatori… e invece niente!
Avere quattro personaggi, tutti con abilità diverse, è certamente il punto di forza di questo titolo ma i diversi difetti nell’esecuzione non regalano al giocatore un’esperienza memorabile. L’arrivo su Nintendo Switch, casa dei milioni di fan di The Legend of Zelda, è certamente un vantaggio per World to the West in quanto probabilmente ¾ degli utenti potrebbe prendere in esame l’acquisto di un simile titolo, il cui prezzo è comunque abbastanza accessibile; tuttavia, proprio il trovarsi nella casa della popolarissima saga Nintendo potrebbe rivelarsi un boomerang, in quanto un gioco come questo, che presenta persino parecchi difetti, potrebbe passare inosservato e venire praticamente eclissato dal più popolare Breath of the Wild.
World to the West, come Teslagrad, è certamente un esperienza per i più curiosi, per i giocatori alla ricerca di uno stravolgimento della formula classica. È un titolo un po’ migliore del suo predecessore e, se non fosse per i succitati bug (nulla che una buona patch non possa fixare) potrebbe meritare anche un 7.5 ma, allo stato dell’arte, non ce la sentiamo. Ad ogni modo, il titolo rimane molto valido e godibile e, se siete in grado di accettare la curiosissima meccanica multi-protagonista e i diversi bug presenti nel gioco allora procedete pure all’acquisto di questo titolo.