Intellivision Amico: impressioni a caldo

In questa rubrica abbiamo già visto il Polymega, una console di prossima uscita dedicata esclusivamente al retrogaming e al recupero dei vecchi giochi, sia tramite cartucce e dischi (la cui macchina estrarrà le immagini) sia tramite uno store online da lanciare nel tardo 2019. A percorrere quasi gli stessi binari della nostalgia, Tommy Tallarico, famoso compositore che per ha lavorato nell’industria videoludica per titoli come Aladdin per Sega Genesis, Terminator per Sega CD, Cool Spot e Metroid Prime, ha comprato nel Maggio 2018 gli asset di Intellivision Production di Keith Robinson, precedente detentore venuto a mancare l’anno scorso, fondando la nuova Intellivision Entertainment e, giusto qualche giorno fa (22 Ottobre) è stato lanciato un trailer per l’Intellivision Amico, una console, a detta del suo nuovo CEO, rivolta a tutta la famiglia, una macchina che propone giochi per ogni tipo di giocatore e non solo gli hardcore gamer. Sul nuovo sito di Intellivision Entertainment è possibile vedere tutti i dettagli della macchina (che a breve discuteremo); ma prima di buttarci a capofitto sulle novità, diamo prima uno sguardo alla precedente console di seconda generazione, giusto per ripercorrere la storia di questo marchio spesso dimenticato ma molto importante.

Meravigliosa creatura

L’originale Intellivision, prodotto da Mattel Electronics, fu lanciato nel 1980, previo test market a Fresno, in California nel 1979, introducendo sul mercato una marea di innovazioni all’avanguardia (forse anche troppo) per i suoi tempi, feature e capacità che avremmo visto anni o addirittura decenni, più tardi: per prima cosa, Intellivision è stata la prima console con processore 16bit in grado di dare alla macchina, sul piano grafico e sull’azione, un vantaggio decisivo contro la concorrenza, sottolineato tramite un’aggressiva campagna marketing, che poteva permettere l’inserimento dell’Intellivoice Voice Synthesis Module, un add-on esterno in grado di poter dare ad alcuni giochi delle vere e proprie tracce vocali digitali da ascoltare durante il gameplay; Intellivision è stata la prima macchina a puntare direttamente agli appassionati sportivi, proponendo all’interno della sua ottima libreria, che offriva titoli innovativi come Utopia e Advanced Dungeon and Dragons: Cloudy Mountain che gettarono le basi, rispettivamente, per i generi god simulator e avventura, i primi giochi su licenza delle varie federazioni sportive americane, come MLB, NFL, NBA, NHL, ect.; inoltre (e questo è veramente una feature più volte ripresa nel tempo ma decollata soltanto negli anni 2000) è stata la prima macchina a fornire una distribuzione digitale, tramite cavo televisivo, con il suo add-on Playcable, una qualità, ad oggi, immancabile nelle console moderne. Unico suo punto a sfavore era forse il poco intuitivo controller, direttamente saldato all’interno della console e dunque non sostituibile, che presentava un dischetto metallico, simile ma non uguale a una croce direzionale, che si sostituiva al joystick e che dava al giocatore ben 16 (eccessive) direzioni, quattro tasti principali sui lati e una tastiera numerica, simile a quella di un telefono, sulla quale era possibile attaccare degli overlay di cartone sulla quale erano spiegate le funzionalità di ogni singolo tasto per un determinato giochi; dunque, tenendo anche conto del fatto che il dischetto direzionale funziona anche come tasto se premuto al centro, ci sono ben 17 tasti, veramente troppi per una console di questa generazione. Fra pregi e difetti, possiamo senza dubbio dire che è stata una console veramente all’avanguardia, sia sul piano tecnico che sul piano marketing, ma fra Colecovision, Magnavox Odyssey2, Atari 5200 (che si dava battaglia da sola per rimpiazzare l’obsoleta Atari 2600 che, paradossalmente, era ancora la console che vendeva di più) e i nuovi PC casalinghi, l’Intellivision era una goccia d’acqua nell’oceano della competizione.
Successivamente, nel 1984, per limitare le perdite, Mattel fondò Intellivision Inc., tramutata in seguito in INTV Corporation, che continuò la distribuzione della console, adesso chiamata appunto INTV e la produzione di giochi e console, il tutto distribuito esclusivamente via posta ed esente dal marchio Mattel, fino al 1990, anno in cui Nintendo e Sega approcciarono i loro uffici per fermarne la produzione. Anche se meritava molto di più, Intellivision se ne uscì con oltre 3 milioni di console vendute in tutto il mondo e più in là, a testimonianza dell’amore e dell’innovazione portata da questa macchina, sotto la nuova Intellivision Production fondata da Keith Robinson nel 1997 furono licenziate diverse collection, fra PC Windows e console e addirittura l’Intellivision Flashback di AtGames, una retro-console plug and play per poter riscoprire una buona manciata di giochi. Intellivision è stata senza dubbio una console che ha saputo farsi spazio nei cuori della community.

Un nuovo Amico

Il marchio e il prestigio di Intellivision è sopravvissuto fino a oggi, anno in cui Tommy Tallarico ha comprato le possessioni di Keith Robinson e ha rilanciato l’intera azienda sotto il nome di Intellivision Entertainment mettendosi al capo. Ed è così, come un fulmine a ciel sereno, appare Amico, la nuova console Intellivision che verrà lanciata il 10 Ottobre 2020 (fate caso a 1010 2020! Piccoli stratagemmi per ricordare certe date, un po’ come Sega Dreamcast fece per il suo 09/09/1999) per un prezzo di lancio fra i 149 ai 179$. Vediamo un po’ cosa offre questa nuova console che propone caratteristiche veramente fuori dal comune.
Innanzitutto la macchina detta una regola tanto interessante quanto rigida, ovvero “2D only”: ebbene sì, la macchina conterrà un avanzatissimo chip in grado di offrire la migliore grafica 2D sul mercato. La macchina sarà ovviamente in grado di connettersi a internet via wi-fi, dove potremo accedere allo store online per acquistare i software aggiuntivi, che saranno esclusivamente digitali, giocare online, vedere le classifiche all’interno dei singoli giochi e partecipare a tornei. Per il resto, nella console, ci saranno delle porte USB, uscita HDMI, delle luci al led che cambieranno colore con le interazioni con i giochi e il sito Intellivision Entertainment parla anche di un “System Expansion Interface”, forse un qualche futuro add-on, chissà. I controller wireless presentati ricalcano la forma di quelli originali, dunque ci sarà un dischetto (che però stavolta sembra funzionare di più come un d-pad), i quattro tasti sui lati del controller e verranno aggiunti inoltre microfono, speaker, vibrazione, sensori giroscopici e sarà possibile ricaricarli sulla base della console; la più grande innovazione, però, è senza dubbio il touchscreen integrato che sostituirà il tastierino numerico, e magari riuscirà a restituire, forse, quel concetto pensato originariamente per l’Intellivision che ai tempi non funzionò benissimo per via della tecnologia poco avanzata. Sarà possibile inoltre collegare alla console i propri smartphone via app dedicata in assenza di controller originali Amico (fino a otto giocatori). Per ciò che riguarda i software, che non andranno oltre la classificazione ESRB 10+, non solo saranno esclusivamente in 2D ma saranno tutti esclusive Amico, sottolineando anche che la console non ospiterà porting, DLC o microtransazioni e che i prezzi varieranno da un minimo di 2,99$ a un massimo di 8,99$. Momentaneamente, sempre sul lato software, si parla di classici re-immaginati, dunque vecchi titoli che vedranno un upgrade grafico, sonoro, nuovi livelli, modalità multiplayer locale, online e molto più: questi verranno presi dalla libreria Intellivision, Atari, iMagic, famoso third party dei tempi e altri titoli arcade come Super Burger Time, Moon Patrol, R-Type, Toejam & Earl e molti altri. La console, al momento dell’acquisto, avrà alcuni classici inclusi ma sono stati promessi oltre 20 nuovi titoli per il lancio.

Amico o Nemico?

Il team di Intellivision Amico è composto da gente veramente competente: come abbiamo già detto, Tommy Tallarico sarà il CEO di Intellivision Entertainment, mentre al suo fianco troveremo i produttore Jason Enos, veterano dell’industria che ha lavorato in ben oltre 100 progetti fra Sega, Konami, E.A. e Namco, Phil Adam, Mike Mika, Perrin Kaplan, altra veterana che si occupò dei lanci di Super Nintendo, Nintendo DS, Wii, Gamecube e N64 (e che ovviamente si occuperà del lancio di Amico), Beth Llewelyn alle pubbliche relazioni, altra veterana Nintendo con ben 12 anni di carriera alle spalle, David Perry e Scott Tsumura come special advisor, il co-fondatore di Intellivision Steve Roney, Bill Fisher, altro programmatore dipendente dell’originale Intellivision, André Lamothe, specialista hardware che ha persino avuto esperienza alla NASA, Emily Rosenthal per ciò che riguarderà le comunicazioni e gli eventi e Paul Nurminen, attualmente l’host del Intellivisionaries podcast.
Come possiamo ben vedere, la nuova Intellivision Entertainment sta tracciando delle chiarissime linee direttive, a ben due anni di distanza dal lancio, con chiarissime idee su ciò che saranno i loro giochi, come verranno giocati, che aspetto avranno e persino quanto dovranno costare. Tommy Tallarico ha espressamente detto:

«Vogliamo creare una console che i genitori vorranno comprare, che non gli venga indicata dai figli».

Ha anche rivendicato come l’industria, oggi, si concentri solo sugli hardcore gamer, tenendo fuori tutta quella fetta di pubblico che non gioca regolarmente coi videogiochi o, semplicemente, non ne sono attratti; Intellivision Amico dovrà essere una console rivolta a tutti, uno di quei dispositivi da accendere durante le feste a casa con amici e parenti per passare delle sane ore di gaming accessibile a tutti, un po’ come avvenne per Nintendo Wii – se è per questo, riflettendo, il nome di questa console rimanda proprio al suo significato italiano, amico, una console simpatica che può entrare nel cuore di tutti –. Sebbene ci sia un solidissimo team esperiente alle spalle dell’Intellivision Amico, ci sono alcune qualità che non ci entusiasmano, anzi, ci sembrano dei veri e propri diktat: per quanto interessante e audace possa sembrare una console che proporrà esclusivamente giochi in 2D ciò escluderà a priori tutti quei produttori che potrebbero realizzare titoli in 3D, anche con un forte richiamo nostalgico; in poche parole, non vediamo il motivo per cui il 3D, moderno o retrò che sia, debba essere bandito dalla libreria a priori; avere una console che si distingua nel mercato, esattamente come succedeva fra Super Nintendo e Sega Mega Drive nella quarta generazione di console, è sicuramente un fattore positivo ma bisogna anche trovare delle vie di mezzo, dei compromessi vitali per una buona immissione nel mercato. La scelta di creare giochi esclusivi per Intellivision è certamente interessante ma può comunque essere una lama a doppio taglio. L’industria vive di porting e di titoli multipiattaforma e, se è per questo, alcuni di questi titoli hanno contribuito a lanciare alcune console di nuova generazione. Pensiamo proprio a Shovel Knight, uno dei titoli più solidi per il lancio di Nintendo Switch (aiutato, ovviamente, al rilascio della campagna interna Specter of Torment) e che potrebbe essere assente dal parco titoli di  Intellivision Amico, una console che al meglio potrebbe valorizzare un gioco dai toni retrò come questo. Il concetto di esclusiva e ancora vivo e funzionante ma i porting e i titoli multipiattaforma sono decisamente vitali per la sopravvivenza di una console, anche in una visione di cross-play, caratteristica che a oggi diventa sempre più un must per alcuni titoli che offrono un multiplayer online. Come potranno mai approcciare le third party verso un sistema così esclusivo? Prendendo il caso di Shovel Knight: Yacht Club Games dovrà produrre da capo un nuovo titolo della saga oppure rimappare la grafica con una più moderna, per sfruttare al meglio le specifiche di questo nuovo chip 2D rendendolo esclusivo per l’Intellivision Amico senza poterlo rendere disponibile per PC o le restanti console?
Tommy Tallarico ha sottolineato che l’obiettivo della console sarà considerare ogni persona, far sì che le persone approccino ai videogiochi ma è molto difficile attuare un piano simile senza almeno far salire a bordo anche i giocatori più assidui che compongono la più grossa fetta del mercato, anche in una prospettiva di marketing in cui, gli ormai decisivi, “influencer” di YouTube o Twitch non si troveranno invogliati a  giocare con Intellivision Amico, oppure potrebbero produrre una sorta di “product placement forzato”. Neppure Nintendo, ai tempi dell’accessibilissimo Wii, ha escluso i giocatori più assidui, tanto è vero che quella console, insieme ai tantissimi party game per i giocatori più casuali, ha anche tanti altri titoli per gli hardcore gamer: basti citare i diversi titoli di Resident Evil su Wii, MadWorld, House of the Dead: Overkill, No More Heroes e molti altri poco “family friendly”.
Attrarre i giusti developer e avere una buona linea di lancio è spesso la chiave per il successo di una console ed è difficile che potranno costruire la loro fortuna su un parco titoli per console di seconda generazione; tutto si giocherà su quei 20 titoli esclusivi brand new non ancora annunciati. Non dimentichiamo poi i prezzi accessibili del software: quali saranno gli accordi dietro alla vendita di un gioco così a buon mercato? Quali saranno i vantaggi dei developer che intenderanno investire nel sistema e quali quelli di Intellivision Entertainment? Dietro al team di Amico c’è un team veramente competente e pertanto crediamo che ci sia ancora molto che non è stato ancora detto; tuttavia la politica sulle esclusive è probabilmente da rivedere e se Amico ospiterà solamente giochi esclusivi e allora bene che questi siano veramente eccellenti e che possano essere in grado di fronteggiare i modernissimi giochi proposti da Sony, Microsoft e Nintendo. Sperando che il tutto non sia un “Davide contro Golia”, speriamo che Intellivision Entertainment offrirà in futuro più dettagli riguardo ai giochi di lancio, sulla politica delle esclusive, che a noi sembra fin troppo restrittiva e sulle potenzialità di Amico. Non possiamo fare altro che seguire la pagina di Intellivision Entertainment su Facebook e iscriverci al canale YouTube. E voi farete entrare questo nuovo Amico a casa vostra?




Food Party: prodotti alimentari nei videogiochi

L’alimentazione è un bisogno primario degli esseri umani e, da giocatori, possiamo dire che è forse più forte nei gamer. Dobbiamo pur smettere di giocare, spegnere la console o il PC per poi addentare un bel panino, goderci un gustoso piatto di pasta o, visto che le calorie bruciate di fronte allo schermo non sono tantissime, rifocillarci con della sana frutta. Non tutti i videogiochi ci spingono a mangiare: magari passando da tutti quei fast food in Dead Rising o guardando quei cosciotti di maiale in Castlevania potrebbe venirci un insolito languorino, ma che succede quando il cibo stesso diventa il protagonista del gioco? Oggi, un po’ come abbiamo fatto tempo fa con le celebrità, vogliamo fare un excursus di sapori – più o meno sani – e gaming dando uno sguardo ad alcuni titoli il cui fine non è necessariamente la produzione di un gioco avvincente ma venderti un prodotto! In questo articolo troverete dei giochi il cui fulcro è la promozione di un brand alimentare, perciò, salvo casi eccezionali, non parleremo di casi product placement come il KFC in Crazy Taxi, le promozioni e gli oggetti speciali di Subway in Uncharted 3: Drake’s Deception o le mentine Airway in Splinter Cell: Chaos Theory. Al solito, la lista non sarà completissima perciò se ci dimentichiamo qualcosa fatecelo sapere pure nei commenti!

(COMPRA, COMPRA, COMPRA, COMPRA, COMPRA, COMPRA, COMPRA, COMPRA, COMPRA, COMPRA!)

Domande esistenziali

Sin dall’alba della nascita dei prodotti di consumo l’uomo è da sempre stato messo di fronte una domanda tanto semplice quanto decisiva: Coca Cola o Pepsi? Sin dal loro arrivo sul mercato, più o meno intorno alla fine del ‘800, le due compagnie si sono letteralmente odiate, una guerra combattuta prodotto su prodotto. Nel 1983, visto che Pepsi nel 1975 diede un duro colpo alla compagnia rivale con dei test a occhi bendati nei supermercati americani, Coca Cola distribuiva alle convention un gioco per Atari 2600 senza etichetta, insieme alla console (che per la crisi, tanto, costavano pochissimo), intitolato Coke Wins ma più in là rinominato dal pubblico Pepsi Invaders per via della sua estrema somiglianza con Space Invaders (tanto che, infatti, il titolo nasce dal codice madre del gioco Taito ed è pertanto considerabile, in tutto e per tutto, un hack). Il titolo, sviluppato da Atari stessa, mirava a promuovere il marchio Coca Cola, infatti lo scopo del gioco era annientare la schiera di navicelle che in cielo formavano sei pericolosissime scritte “PEPSI“, capitanate da altrettanti alieni residuati da Space Invaders, e quando si vinceva appariva la scintillante scritta “Coke Wins“; tuttavia, essendo il marchio del nemico così in bella vista, sembrava che stessero promuovendo la compagnia rivale anziché il promotore stesso e perciò oggi in molti vedono in questo gioco l’esempio lapalissiano di un colpo di zappa sui piedi. Il gioco non fu mai venduto al pubblico ed è pertanto uno dei più rari di sempre: delle copie sono state vendute su eBay per prezzi che oscillavano dai 1000 ai 2000 dollari americani. Se volete provare questo rarissimo gioco vi converrà ovviamente provarlo su un emulatore… oppure, potreste comprare una Coca Cola per 2 euro al bar!

Nel 1983, su Atari 2600 e Intellivision, ci fu un’altra famosa promozione, stavolta per un prodotto assente nei supermercati italiani: parliamo di Kool-Aid Man, gioco che promuove la famosa bevanda fruttata americana “fai-da-te”. Su Atari 2600 controlleremo la famosa brocca animata che da tanti anni promuove il brand e lo scopo del gioco è evitare i Thirsties in corsa, perché altrimenti verremo schiantati a destra e a manca nell’area di gioco e fermarli quando allungano le cannucce per bere dalla pozza di Kool-Aid nel fondo. Poco tempo dopo, per Intellivision, uscì un gioco in cui il nostro obiettivo era quello di controllare due bambini intenti a collezionare i tre ingredienti principali per fare una bella brocca di Kool-Aid (la bustina con la polvere, dello zucchero e una brocca di acqua ghiacciata… sbaglio o stiamo facendo pubblicità gratuita?). Anche qui, i Thirsties, i nemici di Kool-Aid Man, saranno alle nostre calcagna e se ci prendono due volte per noi sarà game over; ma se riusciremo a preparare la bevanda in tempo chiameremo la cara brocca sorridente e goderci il Kool-Aid in santa pace!

(Oh yeah!)

Basta aperitivi, abbiamo fame!

Avete fame? Non vi va di andare in cucina a preparavi un hamburger? A quanto pare, nell’anno 2025 (dunque fra sette anni, tenetevi forte!), i ricercatori Burger King creeranno un Whopper così buono che non dovrete spostarvi dal divano, sarà lui a venire da voi! In Whopper Chase, gioco del 1987 per Commodore 64, ZX Spectrum e MSX, controlleremo il famoso hamburger di casa Burger King alla volta delle fauci di un avventore che lo chiama per telefono; per strada dovremo eliminare pomodori e cetrioli ostili e chef gelosi a colpi di maionese in eccesso (sapete, quella che scola via ai lati del panino morso dopo morso). Il gioco è stato prodotto in Spagna su musicassetta ed era possibile ottenerlo con un Whopper solo nei Burger King spagnoli; al di là dell’intento commerciale la diffusione è stata un successo e come conseguenza i prezzi su eBay, oggi, non sono per niente proibitivi nonostante la circoscrizione al territorio iberico. Di sicuro, nel 1987, i bimbi spagnoli saranno andati ben più volentieri al Burger King con questa scusa (e forse saranno anche ingrassati parecchio)!

Ronald McDonald alla riscossa!

Poteva McDonald’s tirarsi fuori dalla guerra dei software digitali per promuovere i loro ristoranti fast food per famiglie? Nel 1992 arriva M.C. Kids (non Mc Kids…) su Nintendo Entertainment System, noto come McDonald’s Land in Europa, un grazioso platformer ispirato primariamente a Super Mario Bros. 3 per quel che riguarda il design dei livelli e l’overworld diviso in sette mondi. Contrariamente a quel che si possa pensare, il gioco non mette in risalto i prodotti McDonald’s ma di certo è una gran bella presentazione delle mascotte dei loro ristoranti come Ronald McDonald, Birdie, Grimace e l’avido Hamburglar che in questo gioco ruba una borsa magica al famoso (e spaventoso) clown. Per avanzare nell’overworld ci servirà collezionare delle carte da consegnare alle mascotte una volta terminato un livello – gameplay che verrà ripreso anni più tardi nel terribile Spartan per Nintendo Switch –; di certo non è fra i platformer migliori che il NES possa offrire ma per essere un gioco su licenza e, in tutto questo, anche una chiara trovata commerciale per promuovere i ristoranti McDonald’s il risultato non è male e il gioco, nonostante alcuni difetti, risulta tuttavia godibile.

Dopo questo titolo, McDonald’s rientrò nel mondo dei videogiochi con altri due platformer per Sega Mega Drive o Genesis in Nord America: il primo è Global Gladiators del 1992, un gioco in cui due ragazzini di nome Mick e Mack vengono catapultati nel loro fumetto preferito (guarda caso pieno di doppi archi dorati) grazie a una magia di Ronal McDonald, e l’altro è McDonald’s Treasure Land Adventure del 1993. L’ultimo titolo è davvero niente male, specialmente perché dietro allo sviluppo di tale gioco c’è il leggendario studio Treasure, noto per aver prodotto alcuni dei migliori videogiochi mai sviluppati come Gunstar Heroes, Dynamite Headdy, Guardian Heroes, Radiant Silvergun e Ikaruga! Che dire? Anche i migliori hanno bisogno di un Big Mac di tanto in tanto!

I’ vogl na pizz!…

Ai napoletani sicuramente non piacerà ma per gli americani è una garanzia quando non ci si vuole avventurare in un ristorante italiano sconosciuto: Domino’s Pizza è un brand molto famoso negli Stati Uniti e dal 2015 è presente anche nel territorio italiano con otto ristoranti a Milano e uno a Bergamo. Il titolo che vedremo adesso è Yo! Noid, videogioco con protagonista il Noid, protagonista e mascotte delle pubblicità di questo popolare brand americano. A differenza dei giochi McDonald’s il gioco, che in realtà era un titolo per Famicom di Capcom originariamente uscito come Kamen no Ninja Hanamaru, risulta molto carente sia sul piano della dinamicità, offrendo un gameplay poco bilanciato per il fatto che il Noid viene annientato solo dopo un colpo e una grafica buona ma confusionaria sul piano dell’uso dei layer di scorrimento. Ad aggravare la situazione sono presenti le orrende sezioni dei pizza eating contest in cui bisognerà mangiare più pizza di un altro Noid; queste sono delle vere e proprie boss battle in cui regna la casualità, in quanto i due partecipanti pescheranno in maniera radomica un numero da un selettore e, il partecipante col numero più alto aggiungerà un punto sul suo pizza meter. Meglio andare a mangiare una pizza!

… e una Pepsi!

Più tardi, nel 1999, anche Pepsi si buttò nel mercato videoludico proponendo un titolo a oggi molto discusso, una vera e propria bestia rara, visto che uscì solo in Giappone, ma molto divertente e soprattutto bizzarra. Sviluppato dallo studio giapponese KID, Pepsiman per PlayStation è una sorta di gioco d’azione in cui controlleremo l’iconico (non in Italia) supereroe gasato nel intento di portare una Pepsi a chi ne ha bisogno, come un militare nel deserto; il gioco si presenta come uno runner sullo stile di Metro Cross o Penguin Adventure – oggi sarebbe un gioco ideale per smartphone – e bisognerà evitare bizzarri ostacoli come dei lavori in corso per strada, stendibiancheria nei giardini, camion carichi di Pepsi e lattine giganti che ci inseguono come il masso all’inizio di Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta. Stranamente, il gioco è interamente doppiato in inglese, il che lo rende tranquillamente giocabile per chi non parla giapponese, e con alcune cutscene girate a Los Angeles che includono la presenza dell’attore Mike Butters, ricordato per essere stata la prima vittima del killer in Saw: l’Enigmista; a quanto pare era programmata una release internazionale ma alla fine il gioco rimase relegato al Giappone.
Il gioco, tuttavia, non segna la prima apparizione di Pepsiman in un videogioco; il supereroe era presente nel picchiaduro Fighting Vipers nel 1996 per Sega Satun (di cui potrete vedere un footage nel fondo di questo articolo sul Polymega, anche se Pepsiman non è presente) dove divenne un personaggio sbloccabile grazie a un accordo pubblicitario fra Pepsi e Sega.

Prima di concludere il discorso di questi particolari titoli promozionali vogliamo parlare un secondo dei “videogiochi originali” presenti nelle confezioni delle merendine Ferrero. A oggi è molto difficile tracciare tutte le “release” di questi titoli, che comprendono titoli del calibro de Gli Straspeed e la Strarace e il videogioco de i Magicanti, delle mascotte Ferrero durate per poco tempo, ma vale la pena di ricordare lo spettacolare Fresh Adventure, un lentissimo e davvero scadente platform con il pinguino del Kinder Pinguì e Fetta al latte; perché spettacolare? Per questo esatto motivo:

GameCompass per la vostra salute

Ci sono ancora molti giochi che promuovono brand alimentari, come Cool Spot per le console 16 bit che promuoveva la 7-Up, Chester Cheetah: Wild Wild Quest per Sega Mega Drive e Super Nintendo che promuoveva il brand di chips Cheetos e persino i recenti Dash of Destruction e Crash Course per Xbox 360 per promuovere il brand Doritos. Tuttavia, i giochi che abbiamo promosso finora contengono prodotti ipercalorici che nel peggiore dei casi, possono portare a malattie come il diabete.
Per scongiurare casi come questi la Novo Nordisk, una compagnia danese specializzata nel trattamento del diabete e nella produzione di insulina, si è buttata nel ring nel 1992 con Captain Novolin per SNES, un titolo sviluppato da Sculptured Software per sensibilizzare i bambini affetti da diabete (ma solo quelli col Super Nintendo. Al diavolo quelli col Mega Drive o i computer!). Nel gioco ci verranno spiegate le migliori soluzioni per trattare questa brutta malattia e per proseguire le avventure dell’unico supereroe affetto da diabete di tipo 1 bisognerà di tanto in tanto rispondere a qualche domanda sull’argomento; sia genitori che bambini hanno trovato questo gioco molto utile nonostante il gameplay poco interessante ma bisogna anche ammettere che mirare alla sensibilizzazione a un problema così grande e spesso sottovalutato è un obiettivo veramente nobile… il vero problema, giusto per concludere in bellezza, era che il gioco veniva venduto a prezzo pieno e nessuna parte dei proventi venne investita per la ricerca; dunque, alla fine dei conti, il vero obiettivo del gioco era venderti l’insulina della Novo Disk!

Dunque, state attenti a cosa mangiate, non andate a mangiare cibo spazzatura di frequente o altrimenti vi toccherà giocare con Captain Novolin!

(Bene Captain Novolin, ha salvato il mondo! Per festeggiare che ne direbbe di un bel pezzo di tor… ops…)



Ode a Sega Dreamcast

«It’s better to burn out than to fade away» diceva Neil Young in My my, hey hey, citata anche da Kurt Cobain dei Nirvana nella sua lettera di suicidio. “Meglio ardere in una fiamma piuttosto che spegnersi lentamente” probabilmente era anche la mentalità di Sega verso la fine degli anni ‘90, quando per riprendersi dal fallimento commerciale e, in parte, progettuale che è stato il Saturn tirarono fuori dal cilindro il Dreamcast. L’ultima console che ho veramente amato, insieme al Gamecube di Nintendo, ma questa è un’altra storia…

Le cause del fallimento commerciale di Dreamcast sono note a tutti gli appassionati: una campagna marketing discutibile come, per esempio, la sponsorizzazione sulle maglie da calcio dell’Arsenal, Sampdoria, Saint-Etienne e Deportivo La Coruña. L’assenza del supporto di due grosse case di terze parti come Electronic Arts e Squaresoft (la fusione con Enix sarebbe arrivata solamente nel 2003), il formato del GD-ROM, più economico di un ancora acerbo DVD, ma che spalancava le porte a una pirateria forsennata, e soprattutto una macchina e un marchio inarrestabile come PlayStation che si era imposta con forza sul mercato grazie a un marketing aggressivo e una libreria di giochi completa come raramente s’era vista prima di allora.
Ma non siamo qui a parlare delle cause del ritiro di Sega dal mercato hardware: piuttosto, ci concentreremo su quanto Dreamcast sia stata una console rivoluzionaria, capace di sfornare idee che all’epoca potevano sembrare un azzardo, ma che in realtà hanno modellato il mondo dei videogiochi in quello che è al giorno d’oggi. Può sembrare assurdo, ma pensiamoci: Dreamcast arrivava nelle case con il pieno supporto a Windows CE (direttamente sviluppato da Microsoft stessa, con tanto supporto alle DirectX!) e con un modem a 56kbps. Il sistema operativo della casa di Redmond era più pensato per gli sviluppatori rispetto all’utente medio, visto che l’inclusione sulla console Sega era atta a facilitare una conversione dei giochi Dreamcast verso il PC. Ma includeva alcune chicche da non poco, come, per esempio, la possibilità di importare file immagine direttamente nelle VMU (le particolari memory card dotate di schermo LCD e plancia di comando in stile Game Boy) per poi usarle in giochi come Jet Set Radio (a tal proposito, il primo gioco in grafica cel-shading). Un’accoppiata desktop-console che è stata riproposta ben diciotto anni dopo con l’avvento di, Xbox Play Anywhere e la combo Xbox One-Windows 10.
Il modem incluso nella console anticipò solamente di pochi mesi la direzione intrapresa dai concorrenti: se la stessa Microsoft con la prima Xbox e il lancio di Xbox Live dettò i tempi per il futuro del gaming online su console, fu Sega a muovere il primo passo, con il lancio di SegaNet. Servizio in abbonamento a quasi 22$ al mese, permetteva agli utenti di navigare sul web, chattare e mandare email, oltre a giocare a titoli inclusi nell’abbonamento (PlayStation Plus e Xbox Play With Gold docet). Purtroppo, non si andò mai oltre al solo Chu Chu Rocket tra i giochi presenti dal servizio, ma Dreamcast poteva dire la sua grazie a NFL 2K1, i buoni port da PC di Quake III Arena e Unreal Tournament, e soprattutto, il primo MMORPG per console: Phantasy Star Online.

Vorrei soffermarmi un attimo proprio su quest’ultimo: purtroppo non ho mai avuto la possibilità di giocarci online, visto che i servizi di Dreamcast in Italia erano gestiti da Albacom (!!!), però mi accontentavo delle quest offline e delle guide spulciate sul web e su riviste come Dreamcast Arena (del quale custodisco gelosamente gli ultimi due numeri). Bastava questo a un allora ragazzo tredicenne per sognare epiche storie come quelle che succedevano su PC con titoli come Ultima Online o Dark Age of Camelot. Se adesso su PlayStation 4 abbiamo la possibilità di giocare a MMORPG come Final Fantasy XIV: Stormblood, si deve tutto a Phantasy Star Online.
Mettendo da parte le innovazioni sull’hardware, come il controller per la pesca che poteva esser usato per giocare a Soul Calibur grazie ai sensori di movimento inclusi, rendendolo di fatto un Wiimote ante litteram o il Dreameye, una webcam che avrebbe anticipato di molti anni la Eyetoy di Sony, di Dreamcast si può lodare soprattutto la filosofia libera di Sega data alle case di sviluppo, interne e non, che decidevano di supportarne la causa.
Se dal freddo lato del marketing, il mancato supporto dato da sviluppatori influenti è stato una delle cause della sua fine prematura, dal lato che più ci interessa, quello del giocatore, ne è stata la sua fortuna. Senza la presenza di Electronic Arts non avremmo avuto gli sportivi di Visual Concepts da cui sarebbero nate le serie sportive di 2K NBA. Niente JRPG di Squaresoft? Nessun problema: largo agli eccezionali Skies of Arcadia, Grandia II e l’innovazione dei quick time event arrivata con i due Shenmue di Yu Suzuki. Strada libera a prodotti visionari come Jet Set Radio, Rez e soprattutto a perle arcade convertite alla perfezione come Ikaruga, Sega Rally 2, Virtua Striker 2, e Street Fighter III: 3rd Strike su tutti. Soprattutto quest’ultimo è considerato uno dei titoli più “longevi” della console, grazie allo status di culto di cui gode nel circuito professionistico dei picchiaduro.
Stare qui a scrivere di quanto avrebbe potuto dare Dreamcast al mondo videoludico, dopo vent’anni dalla sua uscita in Giappone, e diciannove dall’arrivo nel vecchio continente, fa quasi male. Forse il più spettacolare autogol della storia videoludica. Una console nata sotto una cattiva stella che, nonostante tutto, continua a raccogliere consensi anche postuma. Sia grazie a una libreria dalla qualità veramente alta e con tante killer application, che grazie al continuo lavoro di piccoli sviluppatori e homebrew che continuano a far uscire titoli ancora oggi.
Mi piace paragonare Dreamcast a Jeff Buckley, uno dei talenti più cristallini della musica degli ultimi 30 anni, che abbiamo perso troppo presto e solamente dopo un incredibile e, purtroppo unico, disco come Grace. La macchina dei sogni di Sega resta l’ultimo epitaffio dell’azienda di Tokyo sul lato hardware, e nonostante si sia convertita con successo come software house e publisher di titoli come Yakuza, Bayonetta e Football Manager, il vuoto lasciato da Dreamcast resta ancora incolmabile nel mio animo di videogiocatore. Dal 2001 a oggi non sono più riuscito a trovare interesse nel mercato console: troppo uniforme e poco propenso ad alternative videoludiche di spessore, se non contiamo le gemme indie. È sotto questo punto di vista che sento la mancanza di una console come quella di Sega, capace di tenermi incollato per ore davanti al televisore.
Bono Vox degli U2 disse di Buckley che era una goccia pura in un oceano di rumore. Credo che non ci sia definizione migliore che possa accomunare il cantautore americano e Sega Dreamcast.




Calcio e videogiochi: un legame radicato nel tempo

Negli ultimi anni il fenomeno degli eSport ha dimostrato quanto sia forte il legame tra il mondo dei videogiochi e quello dello sport, soprattutto se consideriamo il formarsi di squadre e leghe professionistiche, come la Overwatch League o il tesseramento di molti pro player da parte delle squadre di calcio, com’è successo in Italia con Mattia “Lonewolf92” Guarracino tesserato dalla Sampdoria.
In realtà, questi due mondi avevano già molte cose in comune, già a partire dalla metà degli anni ‘80: stiamo parlando delle sponsorizzazioni di vari publisher e sviluppatori sulle maglie di molte squadre di calcio dal blasone nazionale e internazionale. In questo numero di EVOL faremo un excursus storico su questo tema.

Partiamo dagli inizi: dobbiamo la palma di pionieri del genere alla Commodore, allora tra i leader del settore videoludico. Dal 1988 fino al ‘92/’93, l’azienda fondata da Jack Tramiel è apparsa sulle maglie del Chelsea: i tempi dei petrodollari di Roman Abramovich e del tatticismo di Maurizio Sarri erano ancora lontani, visto che la squadra londinese retrocesse in Second Division (la attuale Championship) alla fine della stagione ‘87/’89, salvo poi ritornare in First Division (ora Premier League) dopo un anno per poi veleggiare in zone di metà classifica. Nella stagione ‘93/’94 vi fu una piccola sostituzione: da Commodore si passò ad Amiga, però senza cambiare risultati, visto che la squadra allora allenata da Glenn Hoddle finì la stagione al quattordicesimo posto, perdendo inoltre la finale di FA Cup contro il Manchester United.
Commodore nel frattempo finì anche sulle maglie del Bayern Monaco in Germania dal 1984 fino al 1989, ottenendo risultati decisamente migliori rispetto ai blues, visto che i bavaresi vinsero ben quattro scudetti, una coppa e una supercoppa di Germania. Risultati analoghi anche in Francia, visto che il Paris Saint Germain, dal 1991 al 1995, vinse due coppe di Francia, una coppa di lega e un campionato nazionale.

Passiamo a Sega, che cominciò a sponsorizzarsi in casa con il JEF United, squadra di Ichihara che dal 1992 al 1996 ottenne solamente dei risultati da mezza classifica. Ben più celebre, invece, l’operazione di marketing che portò Arsenal, Deportivo La Coruña, Saint-Etienne e Sampdoria ad avere il logo di Sega Dreamcast sulle maglie. Fu un’operazione che per molti decretò il flop dell’ultima console della casa giapponese, anche a causa del costoso accordo con i “gunners”. Alla fine, solamente la squadra allenata ai tempi da Arsene Wenger ottenne dei buoni risultati nel triennio che va dal 1999 al 2002, con un Charity Shield (oggi Community Shield), una FA Cup e un campionato vinto. La Sampdoria finì quinta in Serie B per le due stagioni (1999-2002), mentre la singola stagione (2001) della console Sega sulle maglie della squadra francese e spagnola non regalarono molte gioie, visto che il Deportivo arrivò secondo e staccato di sette punti dal Real Madrid e, il Saint-Etienne, addirittura retrocesse in Ligue 2.
Curiosamente, Sega aveva già avuto legami con il calcio nel nostro paese, con le indimenticabili pubblicità di Master System II, Game Gear e Mega Drive con protagonisti Walter Zenga, Gianluigi Lentini e l’attuale CT della nazionale italiana Roberto Mancini, allora stella della Sampdoria campione d’Italia nel 1991.

Dopo Sega è il turno di Nintendo: l’associazione più nota è quella con la Fiorentina dal 1997 fino al 1999, anni dove i viola finirono nella parte alta della classifica andando a un passo dallo scudetto nel 1998 (alla fine ottennero un terzo posto), sfumato per il grave  infortunio ai danni di Gabriel Omar Batistuta, capitano e stella della squadra. Ben prima invece, nella stagione 1992-1993 il Siviglia di Diego Armando Maradona, sponsorizzato dal Super Nintendo, concluse la stagione al dodicesimo posto. Invece, in madrepatria, l’azienda di Kyoto detiene il 16,6% della proprietà del Kyoto Sanga FC, squadra che vivacchia in seconda divisione e che ha avuto il suo piccolo momento di gloria nel 2002, con la vittoria della Coppa dell’Imperatore.

Storia travagliata, invece, per quanto riguarda Atari: se gli appassionati si ricorderanno della maglia del Lione dal 1999 al 2001 con i loghi dell’azienda, oltre che di Infogrames, e capace di vincere una coppa di lega francese, pochi sapranno che la compagnia fondata da Nolan Bushnell e Ted Dabney era coinvolta, sotto l’agglomerato di aziende della Warner Corporations, in una importante fetta dei New York Cosmos e della North American Soccer League. All’epoca il calcio statunitense era fortemente amatoriale, ma grazie alla mostruosa disponibilità economica derivante dal gruppo Warner, i Cosmos riuscirono ad acquistare Pelè, probabilmente il più forte calciatore di tutti i tempi. La compagine della grande mela riuscì a vincere ben tre campionati dal 1977 al 1980, non solo grazie all’apporto di “o rey”, ma anche con l’arrivo di vecchie glorie sulla via del ritiro, come Franz Beckenbauer o la leggenda della Lazio, Giorgio Chinaglia. Purtroppo la NASL, l’allora campionato di calcio nordamericano, cessò di esistere nel 1984, con squadre soffocate da debiti e con sponsor sull’orlo del fallimento: tra di esse vi era proprio Atari, reduce dal flop commerciale del tie-in di E.T. che, non solo causò il celebre crash dei videogiochi, ma anche il fallimento sia dei New York Cosmos, che della NASL stessa.

L’unica big che manca al riassunto è Sony: pur essendo conosciuta anche per il marketing rivoluzionario e al passo con i tempi, l’azienda giapponese ha solamente sfruttato il marchio PlayStation per sponsorizzare l’Auxerre, squadra francese che milita attualmente in Ligue 2 e che, dal 1999 al 2006 ha solamente vinto due coppe di Francia. Ben più nota invece, la sponsorizzazione dell’azienda madre sulle maglie della Juventus dal 1995 fino al 1998, anni dove la “vecchia signora” vinse due scudetti, due supercoppe italiane, una supercoppa UEFA, una coppa intercontinentale e la Champions League del 1996, vinta contro l’Ajax.

Concludiamo con un rapido excursus riguardanti altre compagnie: Capcom sulle maglie del Cerezo Osaka dal 1994 al 1996, Konami su quella dei Tokyo Verdy dal 1999 al 2001, la brevissima parentesi natalizia di Pro Evolution Soccer 2009 con la Lazio, il rivale FIFA con lo Swindon Town dal 2011 al 2014, Football Manager sponsor del Watford nella stagione 2012-2013, Ocean Software che sponsorizza Jurassic Park nelle maglie dell’FC Martigues nel 1993 e la partnership tra Eidos e il Manchester City dal 1999 al 2002.

E attualmente? Le uniche presenze videoludiche nel calcio attuale sono limitate solamente a due squadre: una è l’AFC Wimbledon, squadra di League One inglese (il corrispettivo della nostra Lega Pro, per intenderci) che, dal 2002 a oggi viene sponsorizzata da Football Manager, venendo pure usata nelle immagini dimostrative del popolare manageriale calcistico di Sports Interactive. L’altra squadra ad avere forti legami col settore videoludico sono i Seattle Sounders della Major League Soccer americana, sponsorizzati da Microsoft: nel 2009-2010 con il logo di Xbox Live e dall’anno successivo semplicemente dalla console di casa Redmond. I Sounders vantano nel loro palmares una vittoria della MLS nel 2016 e una U.S. Open Cup nel 2014.

La storia ci insegna che il calcio, ma anche molti altri sport (su tutti il wrestling, e cito due nomi: Xavier Woods e Kenny Omega, quest’ultimo addirittura nei panni di Cody in un trailer per Street Fighter V) hanno un legame fortissimo con i videogiochi, e il recente interessamento del CIO per gli eSport ha radice ben più profonde del semplice interesse economico.




Football Manager 2019: in arrivo la nuova versione dello storico gioco manageriale

Ormai sulla cresta dell’onda da più di 10 anni, Football Manager può essere definito il simbolo dei giochi manageriali di calcio, un vero e proprio simulatore gestionale per aspiranti commissari tecnici, caratterizzato da un ricchissimo database e da numerose e realistiche funzioni. L’edizione 2019 di quello che è uno dei videogames più amati dal grande pubblico è in uscita il prossimo 2 novembre: scopriamo alcune delle novità già annunciate, ripercorrendo anche le tappe principali di una storia di incredibile successo.
Fortemente atteso dagli amanti del genere, Football Manager 2019, sembra già promettere diversi interessanti ritocchi. È proprio di questi giorni, infatti, il comunicato lanciato da Sega e Sports Interactive, che hanno presentato alcune delle principali novità che interesseranno la nuova versione del gioco, a partire dalle numerose opzioni introdotte negli allenamenti delle squadre.
Dopo un attento studio sul campo, gli sviluppatori delle due case produttrici hanno realizzato importanti modifiche proprio sulle sessioni di allenamento, rese più complete e realistiche grazie a programmi del tutto simili a quelli portati avanti nel mondo reale. Non sono però solo queste le novità che gli appassionati troveranno all’interno del loro gioco preferito: anche la modalità partita vedrà Football Manager 2019 avvicinarsi sempre più alla realtà calcistica a 360 gradi.

A livello tattico, i manager avranno la possibilità di scegliere tra opzioni preimpostate oppure sviluppare un proprio sistema di gioco, con la massima flessibilità nelle istruzioni da impartire ai giocatori in ogni fase di gioco. Proprio come veri allenatori in panchina, gli utenti potranno comunicare ai calciatori in campo le variazioni tattiche in tempo reale, modificare lo schema in base all’andamento della partita e scegliere di puntare sull’attacco o chiudersi in difesa per portare a casa il risultato desiderato.
Sta proprio nella vastità di informazioni gestibili uno dei principali pregi di Football Manager 2019, che riesce a trasferire su un videogame in maniera quasi completa tutte le emozioni del vero sport, inclusa la tanto discussa innovazione del VAR (Video Assistant Referee).
Altra importante novità è l’accordo di licenza finalmente chiuso con la Bundesliga e la Bundesliga 2, che consentirà per la prima volta ai giocatori di scegliere la propria squadra tra quelle delle due principali serie del campionato tedesco, con tanto di divise originali, distintivi e tratti somatici dei calciatori.
Nel presentare i cambiamenti apportati, Miles Jacobson, Director di Football Manager, ha affermato: “Nell’ultimo anno abbiamo affrontato un importante cambiamento come studio, spostando gli uffici, migliorando le nostre pratiche lavorative e passando una grande quantità di tempo a effettuare ricerche. Il risultato di tutto questo lavoro può essere visto in Football Manager 2019 – ha un look pulito e anche molta freschezza, non solo con le nuove funzionalità, ma anche attraverso molte altre modifiche che lo rendono un’esperienza ancora più avvincente da giocare: siamo tutti molto orgogliosi di ciò che abbiamo ottenuto con FM19 e non vediamo l’ora di ascoltare ciò che i nostri fan hanno da dire”.
Oggi Football Manager può essere considerato il titolo più importante nell’ambito dei giochi manageriali: ma come si è arrivati a tanto successo? Nato come rivale dell’altro must del genere, ossia Championship Manager, uno dei videogames più amati degli anni ’90, Football Manager ha saputo scalzare la concorrenza del suo avversario sfruttando da un lato il lento declino del gioco di casa Eidos e dall’altro l’attento lavoro di ricerca e sviluppo portato avanti negli anni dai suoi programmatori.
Se da un lato, titoli come Pes e Fifa tengono incollati i videogiocatori al monitor per l’aspetto quasi esclusivamente tecnico, fatto di colpi di classe e giocate imprevedibili, i giochi di tipo manageriale ampliano lo spettro di situazioni vivibili coinvolgendo temi fino ad alcuni anni fa considerati poco attraenti.
La gestione completa di un club di calcio, dagli aspetti economici a quelli tattici, può infatti sembrare tutt’altro che coinvolgente, ma basta calarsi per pochi minuti nei panni del presidente/allenatore di turno per trasformarsi in accaniti manager alla Gaucci, pronti a cercare i talenti del futuro nelle serie minori dei paesi più improbabili e a spingere la propria squadra verso traguardi fino a quel momento impensabili.
Mentre in Italia, sin dai primi anni ’90, tale modalità veniva introdotta dall’indimenticato PcCalcio, fu la serie di giochi conosciuta come Championship Manager (Scudetto nel nostro Paese) a toccare l’apice all’inizio degli anni 2000. La rottura tra Sports Interactive ed Eidos nel 2004, con il successivo accordo tra i primi e la Sega, fu però l’evento che spinse i fan di CM a tuffarsi sulla completezza e sulla giocabilità proprio di Football Manager.

In pochi anni, Football Manager ha finito per diventare un must non solo tra i fan dei giochi manageriali ma anche tra gli stessi addetti ai lavori, che più di una volta hanno ammesso di aver attinto all’infinito database del videogame per scoprire i campioni del futuro. Addirittura poi, c’è chi utilizza il gioco per i propri pronostici, affidandosi ai risultati da questo elaborati per scommettere sugli eventi sportivi reali: basti pensare a quando, in un simpatico “esperimento” FM 2018 ha suggerito la mancata qualificazione dell’Italia agli ultimi mondiali, azzeccando in pieno questo e altri avvenimenti della stagione in corso.
Le premesse per divertirsi, dunque, ci sono tutte: Football Manager 2019 sarà disponibile sia per PC che per Mac, oltre che in versione Mobile e Touch, già dai primi giorni di novembre, mentre la versione per Nintendo Switch sarà probabilmente rilasciata a fine novembre. Ancora solo pochi giorni di attesa e potremo valutare i progressi fatti in quest’ultima edizione.




Slitta l’uscita del Sega Mega Drive Mini

Mentre Sony ha annunciato nelle scorse ore l’uscita di PlayStation Classic (che uscirà il 3 dicembre 2018), Sega ha al contempo reso noto il ritardo del lancio del Mega Drive Mini al 2019.
Sega aveva dichiarato ad aprile che il rilascio della mini console sarebbe avvenuto entro la fine del 2018.
La ragione di tale ritardo è da attribuire principalmente alla richiesta in territori al di fuori del Giappone e su ulteriori lavori di design dell’hardware e sul software, che hanno richiesto l’ingrandimento del team di sviluppo con nuovi talenti esperti nello sviluppo.




Polymega: la nuova frontiera del retrogaming

Le librerie digitali di PC e console sono inondate da titoli dall’aspetto vintage ma per ora, dopo la chiusura di LOVEroms e LOVEretro e dell’effetto domino che si è venuto a creare, gli interessati a riscoprire i veri e propri titoli del passato per ora non vivono giorni facili. Sia Steam che gli store digitali delle console non stanno offrendo una vera alternativa alle tanto amate ROM e i rivenditori su eBay sembrano voler girare il coltello nella piaga. Per quanto nero possa sembrare lo scenario attuale qualcuno si sta già muovendo e un ambiziosissimo progetto avviato un anno fa sta per vedere la luce: stiamo parlando della Polymega, una console di una nuova compagnia chiamata Playmaji e fondata da ex dipendenti di Insomniac e Bluepoint games (senza contare che questi hanno lavorato a giochi tripla A come Ratchet & Clank e Titanfall) e che promette compatibilità con ben 13 sistemi (in realtà 30 se contiamo che questa “frankenmacchina” è region free). Questi, per la gioia dei più appassionati, sono:

  • Sony PlayStation
  • Neo Geo CD
  • Turbografx 16/PC Engine
  • Turbografx 16 CD/PC Engine CD-ROM2
  • Supergrafx
  • Super CD ROM2
  • NES
  • SNES
  • Sega Mega Drive
  • Sega CD
  • Sega 32X
  • Sega CD32X
  • Sega Saturn (quest’ultima annunciata a sorpresa con il trailer di lancio per l’apertura dei preorder)

Chiunque di fronte una tale lista rimarrebbe senza fiato e i retrogamer di tutto il mondo potrebbero ritrovarsi un sistema che potrebbe risolvere un’infinità di problemi, dallo spazio in casa ai soldi da spendere per i sistemi, i giochi ed eventuali pezzi di ricambio o per la manutenzione di quest’ultime (specialmente per le console a CD costruite con un sacco di pezzi mobili o batterie RAM da cambiare). Ma cosa è esattamente questa macchina? Come può promettere una compatibilità così ampia e come risolverebbe l’attuale fame del retrogaming?

I can make this work

Il termine “frankenmacchina” che abbiamo usato poco fa descrive perfettamente la natura di questo prodotto – cara Accademia della Crusca, il mio codice IBAN è… –: la console è composta da una base, il cuore della macchina, in cui è presente il lettore CD che permette di leggere tutti i sistemi a supporto ottico (dunque ben sei sistemi) e a questa possono essere aggiunti dei moduli che leggeranno le cartucce originali, le cui ROM verranno caricate nel sistema interno per essere emulate (pertanto non sarà necessario inserirle ogni volta che vogliamo giocare con un determinato gioco), e saranno compatibili con i controller originali. Nella base troveremo inoltre due porte USB (come spiega la sezione FAQ del sito di Polymega e da come possiamo vedere dal trailer introduttivo), sarà compatibile con bluetooth e, visto che gli sviluppatori promettono aggiornamenti per il sistema operativo interno, sarà possibile connettere la macchina a internet per accedere a un futuro store, che verrà lanciato nell’ultimo quarto del 2019, dove poter scaricare giochi e, se l’obiettivo dei 500.000$ verrà raggiunto nei primi 35 giorni, persino mandare il proprio gameplay in streaming su Twitch e YouTube. Il sito ha da poco aperto i preorder: il modello base, che comprende un controller standard simil PlayStation 4 per giocare ai sistemi CD, costa 249,99$ (al cambio attuale, in Euro, sono circa 215,60€) mentre i singoli moduli, che verranno venduti insieme a dei controller cablati simili a quelli dei sistemi emulati, costeranno 59,99$ (attualmente 51,74€) e al loro interno saranno caricati ben cinque giochi. Essendo un sistema moderno, l’attacco principale della console sarà l’HDMI ma, come un NES mini o SNES mini ci permette, sarà possibile regolare l’immagine e pertanto decidere se scegliere il formato 4.3 o 16:9, se mostrare tutti i pixel, mostrare gli “scalini” o avere un’immagine “pixel perfect“. Come già accennato, questa console estrarrà le ROM dalle cartucce per poi, essenzialmente, emularle all’interno dei moduli (e permettere tutto quello quello che permettono gli emulatori: save e load state, fare screenshot, registrare il gameplay, etc) ma gli sviluppatori hanno promesso di creare degli emulatori da zero, senza l’ausilio di altri software preesistenti.

Cosa significa Polymega per l’industria?

Prima di sottolineare come Polymega potrebbe incidere sul mercato vogliamo, per prima cosa, evidenziarne alcuni aspetti. Innanzitutto, questa console viene incontro alle richieste dei retrogamer finora rimaste inascoltate; nessuna terza compagnia, le molte che operano nel campo del retrogaming per offrire nuovi dispositivi per le vecchie macchine, aveva finora pensato alle piccolezze di alcune di queste, come offrire la compatibilità con il 32X per i cloni del Sega Mega Drive, offrire un’alternativa moderna agli ormai costosissimi Turbografx 16/PC Engine, senza contare che il loro modulo leggerà, praticamente, le sei cartucce del Supergrafx (console che si sarebbe dovuta comprare a parte anche possedendo una delle due versioni della console NEC), ma soprattutto offre la prima vera soluzione per i giochi su compact disk la cui compatibilità, grazie agli aggiornamenti firmware, potrà essere espansa a ben altre console a supporto ottico in futuro come il Sega Dreamcast (continuamente citato nella sezione FAQ) il 3DO o persino la PlayStation 2. Non dimentichiamoci inoltre che l’annunciata compatibilità con i giochi per Sega Saturn è molto importante perché da sempre questa console ha avuto la negativa fama di essere la più difficile da emulare per via del suo arduo sistema dual core, parallelamente all’essere una delle più ricercate fra i retrogamer. Similarmente, i moduli da comprare a parte, che potranno anche essere sviluppati da altre compagnie, continueranno ad uscire per offrire ai giocatori nuove soluzioni per console come il Nintendo 64, Atari 2600 o chissà cosa!
La console, diversamente da altre come il Retron 5 di Hyperkin o l’AVS di Retro USB, vuole porsi letteramente come un faro per i retrogamer e, come già citato precedentemente, vuole lanciare uno store digitale dove offrire legalmente tutte le ROM apparse finora nei maggiori siti di emulazione come emuparadise.me; questo significa anche, e soprattutto, raggiungere gli sviluppatori originali e coinvolgerli in tutto e per tutto nel progetto Polymega, ponendosi come una quarta console attuale ma dedicata esclusivamente al retrogaming. Alcune grandi compagnie come Capcom o Irem hanno già espresso interesse verso questo particolare mercato fornendo, pur sempre in quantità limitate, delle cartucce commemorative funzionanti e operative prodotte da RetroBit di Street Fighter II, Mega Man 2 e Mega Man X, R-Type III e Holy Diver (ebbene sì, un gioco ispirato a Ronnie James Dio e ai Black Sabbath! Un giorno ne parleremo), senza contare che altre compagnie, anche senza il consenso dei publisher, hanno prodotto molte reproduction cartridge per giochi ormai andati persi nelle obbrobriose aste eBay come Nintendo World Championship. Grazie a Polymega potrebbe esserci un rinnovato interesse in questi prodotti repro che potrebbero persino coinvolgere i giochi su disco, cosa che finora nessuna compagnia ha mai preso in considerazione, e dunque vedere delle nuove stampe – dei reproduction disk oseremo dire – di molti giochi per Saturn, Neo Geo CD o TG16/PC Engine CD, spesso dimenticati nel vastissimo oceano retrò. Playmoji, probabilmente visti i recenti sviluppi, non si è espressa sul tema ROM da caricare via USB o backup, per ciò che riguarda i giochi su CD, però hanno lasciato intendere che una volta caricata l’immagine sul sistema, potranno essere patchati; questo aprirebbe Polymega all’intera scena hack e delle traduzioni. Che dunque che potrà esistere un modo per permettere tutto questo? Probabilmente lo sapremo solo una volta che metteremo le mani su questo fantastico prodotto.

Questioni sul sito e il chip FPGA

Un po’ di tempo addietro, il sito è stato chiuso per qualche giorno e, alla riapertura, che ha lanciato definitivamente i preorder, sono state cambiate alcune specifiche del sistema: tutti i cambiamenti sono stati spiegati in un articolo su Nintendolife, redazione molto vicina alla compagnia che sta producendo il Polymega. Playmoji ha aperto uno stand durante l’ultimo E3 in cui era possibile provare la base della console e alcuni moduli, il tutto ancora in stadio di prototipo; lì hanno raccolto i primi feedback dei potenziali consumatori e in molti si sono lamentati dei lag durante l’emulazione dei giochi per PlayStation. Gli ingegneri hanno considerato attentamente l’opinione dei giocatori e così si è optato per ottimizzare l’hardware della console cambiando il vecchio processore FPGA quad core Rockchip RK3288 di 1.8Ghz che emula i sistemi in questione, un tipo di chip montato in console come l’Analogue NT o l’AVS; per spiegarlo in breve, le schede madre delle vecchie console non vengono ricreate da capo o in una maniera diversa per evitare questioni con le case produttrici originali, ma l’intero hardware viene emulato all’interno di un processore chiamato FPGA. Adesso, all’interno del modulo base, il chip in questione è stato sostituito da un più potente Intel CM8068403377713 dual core, il ché dovrebbe un fattore positivo (e che avrebbe probabilmente permesso l’emulazione per Sega Saturn) ma non è un chip specifico FPGA che permette l’emulazione ibrida dei sistemi sopracitati; per altro, questi chip dovrebbero essere inseriti all’interno di ogni modulo ma adesso il tutto grava sul nuovo chip montato all’interno della base. È possibile che il cambio del processore non gravi per nulla sull’emulazione dei sistemi e che i competenti sviluppatori in questione sanno quello che fanno (senza contare che un prototipo funzionante è apparso all’E3 e presentava solamente problemi per l’emulazione PlayStation) ma dalla riapertura del sito Playmoji non ha rilasciato nessuna dichiarazione ufficiale oltre all’articolo su Nintendolife e le domande degli appasionati alla ricerca dell’emulazione perfetta sono ancora senza una risposta ufficiale. Ad alcuni non interessa e sono certi, visto che il nuovo processore è più potente del precedente (e dunque semplicemente facendo 2 + 2), che il sistema possa essere addirittura migliorato ma ad altri sorgono altri dubbi, specialmente visto lo strano silenzio della compagnia dopo il rilascio dell’articolo e la riapertura del sito. Bisogna dire che la zona FAQ del sito è veramente esaustiva ma ancora molte domande necessitano di una risposta abbastanza tempestiva.
Vale ricordare inoltre, che il Polymega non è un kickstarter o un crowdfunding ma c’è un reward system dalla quale, in base alle prevendite, si raggiungeranno degli obbiettivi che permetteranno di creare nuove feature per gli acquirenti, come compatibilità espansa per il lettore CD e nuovi moduli; se l’obiettivo minimo di 500.000$ non verrà raggiunto le console verranno richiamate e rilanciate successivamente seguendo il feedback dei compratori ed è per questo che Playmoji, ora più che mai, deve garantire una buona comunicazione con chi sta per prendere in considerazione l’acquisto del sistema. Di certo non si tratta di una truffa come il Coleco Chameleon (tratteremo questo tema in futuro) in quanto il sistema è già stato mostrato funzionante all’E3 e le persone dietro al progetto sono davvero competenti ma le uniche domande che per ora gli appassionati si pongono sono: sarà un sistema all’altezza delle aspettative? Vale la pena comprare questo sistema al lancio? E se il lancio va male?

Aggiornamento del 13/09/2018

Proprio di recente, per fortuna, gli sviluppatori hanno dato prova della potenza del loro  sistema e tutto sembra essere tornato alla normalità. Sul loro canale YouTube sono apparsi ben tre video di gameplay di alcuni giochi per Sega Saturn, che si avviano dalla selezione dei titoli nel sistema operativo; con questa mossa gli sviluppatori hanno dimostrato che il processore è in grado di emulare perfettamente questa macchina problematica (visto che alcuni si sono lamentati del fatto che alcuni video di gameplay mostrati nel trailer di lancio appartenessero ad alcune controparti arcade) e perciò, se è in grado di emulare il Saturn, è fondamentalmente in grado di emulare tutto il resto. In breve, la console 32 bit di Sega era la prova del nove e Polymega l’ha superata. Il primo video mostra un gameplay variegato: vengono caricati Guardian Heroes, Sega Rally Championship, Panzer Dragoon Zwei, Fighting Vipers, Dungeons and Dragons Collection: Shadow Over Mystara (questo titolo è molto importante poiché richiede l’esclusiva cartuccia RAM da 4 Mb da inserire nel Saturn, dunque questa è la prova che è anche in grado di emulare questo hardware esterno) e House of the Dead (giocato col controller, visto che le lightgun dei tempi non funzionano più coi televisori nuovi). Il secondo e il terzo video mostrano un ulteriori gameplay di Sega Rally Championship e Fighting Vipers girare a 60 FPS, meglio di come potrebbe fare un Sega Saturn originale. In tutti i video, insieme al gameplay cristallino, viene inoltre mostrata la capacità di creare dei save state e ricominciare esattamente dal punto in cui si lascia l’azione, sottolineando dunque che la macchina estrae letteralmente l’immagine per poi emularla. A questo punto, tutti i peccati di Playmoji sono stati assolti ma rimane giusto qualche dubbio: l’ultima cosa che gli utenti vorrebbero solamente vedere, stando ai commenti sui video, è uno stream su Twitch/YouTube in cui mostrano gli sviluppatori giocare effettivamente con la Polymega, inserire qualche disco e vedere il sistema che estrae l’immagine, provare e scambiare qualche modulo, etc… Si spera dunque che gli sviluppatori diano ancora più prove a sostegno della versatilità di Polymega (anche se, in realtà, ne hanno date abbastanza all’ultimo E3) ma a ogni modo, finalmente, alla preoccupazione più grande, ovvero l’efficienza del nuovo chip, è stata data una risposta molto esaustiva.
Per le comunicazioni ufficiali da parte degli sviluppatori vi basterà seguirli sul loro canale YouTube e sulla loro pagina Facebook.

(video del gameplay variegato)

(Sega Rally Championship a 60 FPS)

(Fighting Vipers a 60 FPS)



Yakuza Kiwami 2

Yakuza Kiwami 2 è (come il prequel uscito nel 2017) il remake di Yakuza 2, uscito su PS2 in Giappone nel 2006 e in Occidente nel 2008. A differenza del primo Kiwami questa volta gli sviluppatori hanno usato lo stesso motore di Yakuza 6 ovvero il Dragon Engine, con un risultato è a dir poco spettacolare, specialmente considerando la differenza tra la versione originale e la attuale.

Doppio Drago

Il gioco è ambientato un anno dopo gli eventi di Yakuza Kiwami: mentre Kiryu si trova (insieme ad Haruka) nel cimitero per visitare la tomba del padre adottivo Shintaro Kazama, incontra il nuovo capofamiglia del clan Tojo, Yukio Terada, il quale però subisce un attentato sotto gli occhi del protagonista.
Scoperti gli artefici del crimine, gli esponenti del clan Omi (che opera nel quartiere fittizio di Osaka chiamato Sotenbori), Kiryu si recherà a Osaka per incontrare il capofamiglia: lì conoscerà Ryuji Goda, imponente figlio adottivo del capo clan, il quale viene chiamato il drago del Kansai, tra i due si instaurerà da subito una forte rivalità in quanto può esistere soltanto un drago (ricordiamo che Kiryu è chiamato il drago di Dojima) a detta di Ryuji.
I due si scontreranno diverse volte durante una storia raccontata con maestria e piena di colpi di scena e momenti molto drammatici, rappresentando probabilmente l’apice dell’intera saga.

Un Dragon Engine migliorato

Gli sviluppatori hanno ricreato come nel prequel, oltre all’intero mondo di gioco, anche le cutscene, ma questa volta hanno utilizzato il nuovissimo Dragon Engine, il motore di Yakuza 6, e il colpo d’occhio risulta migliorato anche rispetto a quest’ultimo titolo, in quanto si ha un antialiasing migliore e anche il frame rate risulta molto più stabile, sempre ancorato ai 30 fps; anche la nuova area di Sotenbori (vista anche in Yakuza 0) trae un grande giovamento grazie al nuovo motore, il quale garantisce una migliore gestione dell’open world, adesso come in Yakuza 6 si può entrare negli edifici, e gli scontri non necessitano di caricamenti (che nei giochi precedenti rappresentavano una perdita di tempo e motivo di frustrazione) e possono essere affrontati anche all’interno dei negozi, dove è possibile sfruttare gli environment per eseguire determinate mosse speciali.
Come ci ha abituato la saga, le cutscene sono molto ben realizzate, e le animazioni facciali sono tra le migliori delle recenti produzioni provenienti dal Sol Levante (siamo ancora siamo lontani da un Uncharted, ma la differenza si fa meno marcata).
Una nota negativa è rappresentata dal riciclo di tanto materiale proveniente da Yakuza 6, compreso il modello di Kiryu che è identico, e questo fa un po’ storcere il naso se si pensa che il gioco è ambientato circa 10 anni prima.
Anche la colonna sonora è migliore delle precedenti, con nuovi brani realizzati appositamente e che ben si sposano con ogni situazione di gioco, mentre la qualità recitativa dei doppiatori giapponesi (anche questo titolo ha solamente il doppiaggio in giapponese con sottotitoli in inglese) è sempre ai massimi livelli, in linea con gli altri episodi.

In termini di combat system si ha un’evoluzione di quanto già visto in Yakuza 6, con un solo stile di combattimento, ma molte più mosse che è possibile imparare e scontri adesso risultano molto più impegnativi, che ci spingeranno a utilizzare una più ampia gamma di combo per uscire vittoriosi; è stato anche aggiunto il Colosseo (grossa assenza in Yakuza 6), dove potremo affrontare fortissimi avversari e affinare la nostra tecnica oltre a ottenere diversi premi.
Rispetto al gioco originale manca una piccola zona, ma è stata aggiunta una nuova modalità, in cui controlleremo il co-protagonista di Yakuza 0, il cane pazzo di Shimano, Goro Majima, in una storia in tre atti, in cui scopriremo dei retroscena inediti della storia principale: lo stile di combattimento di Goro, anche se semplificato rispetto a Yakuza 0, risulta molto divertente (anche se un po’ troppo potente).
Inoltre sono state aggiunte moltissime missioni secondarie, alcune delle quali servono al nostro protagonista ad acquisire nuove mosse o vari tipi di equipaggiamento: sono presenti come di consueto una miriade di attività e mini giochi, come i giochi arcade in cui sono presenti Virtua Fighter 2 e Virtual On, oppure potremo gestire un night club in cui potremo guadagnare grandissime quantità di denaro, o potremo aiutare l’impresa di costruzione di Goro Majima in un mini game strategico, o ancora potremo affrontare delle missioni secondarie lavorando come buttafuori in un locale.
Queste sono soltanto alcune delle attività che possiamo svolgere in Yakuza Kiwami 2, elencarle tutte in questa recensione sarebbe praticamente impossibile, il che garantisce una longevità degna di nota per un gioco del genere, un centinaio di ore potrebbero anche non bastare.

Conclusioni

Ci troviamo a mio parere davanti a quello che è l’apice dell’intera saga, sia per quanto riguarda il comparto narrativo, sia per quello tecnico, e l’elevata longevità, unita a un gameplay molto vario e divertente, rende Yakuza Kiwami 2 un acquisto consigliato per tutti coloro che conoscono la lingua inglese e non disdegnano la cultura giapponese, di cui il titolo rappresenta una vetrina molto invitante e ricca di contenuti.




Two Point Hospital

Facciamo un salto indietro nel tempo: 1997, anno d’uscita di Theme Hospital di Bullfrog. Uno dei gestionali più amati di tutti i tempi: sia per il gioco in sé, vasto e profondo per l’epoca, sia per la sua incredibile ironia e leggerezza nel trattare un tema spinoso come quello delle malattie. In quegli anni era la prassi lottare con teste giganti ed imitatori di Elvis Presley, e il gioco fu una delle ultime hit dello studio inglese fondato da Peter Molyneux e Les Edgar, prima di essere accorpato agli studi inglesi di Electronic Arts.
Torniamo al presente: dopo ben ventuno anni esce Two Point Hospital, seguito spirituale di Theme Hospital creato da Two Point Studios, studio di sviluppo che vede nel team due figure fondamentali che hanno partecipato alla creazione del predecessore, i designer Mark Webley e Gary Carr.

Ma andiamo a vedere come si propone questo seguito spirituale…

I’m no Superman

Two Point Hospital ci presenta da subito un sistema di progressione simile a quello visto in giochi come Overcooked: con dei livelli (o meglio, strutture ospedaliere) dove si devono ottenere delle stelle. Per ottenerle, basta seguire delle simil-quest varie per livello, come l’ottenere un’alta reputazione o conseguire un certo numero di pazienti curati. Una struttura che ben si sposa con un titolo del genere, facendo contento sia chi voglia ottenere la singola stella atta a sbloccare le altre strutture nel minor tempo, che i completisti. Vi è anche un minimo di backtracking, visto che è possibile tornare nei precedenti livelli quando si vuole, direttamente dalla mappa di gioco, così da aggiungere stanze e oggetti sbloccati avanti nel tempo e magari ottenere quella tanto agognata terza stella.

Ma passiamo al gioco vero e proprio: il design è rotondo e gommoso, e il lavoro di Ben Huskins e Gary Carr sembra quasi un’evoluzione di Theme Hospital, e ben si sposa con l’atmosfera del titolo. Il gameplay è vario e, nei momenti più concitati, come le emergenze che consistono nell’arrivo di pazienti da curare il prima possibile, offre quel giusto grado di sfida tipica dei titoli del genere, e del predecessore. La costruzione e la pianificazione delle stanze che formeranno il nostro ospedale dei sogni è tanto semplice quanto completa, con un editor che prende a piene mani dal titolo originale e anche da giochi come The Sims di Maxis: in poco più di qualche secondo, avremo creato il nostro ospedale dei sogni, con stanze e oggetti che sbloccheremo man mano nel gioco. Siano esse ottenute tramite ricompensa per le stelle raggiunte, o sbloccate tramite i kudosh, punti accumulabili tramite varie quest lanciate dal nostro staff, una delle novità introdotte in Two Point Hospital.

I cultori dell’originale titolo Bullfrog sanno, però, che la feature più importante del gioco erano le malattie, ricettacolo di incredibile ironia e motivo di divertimento. Per fortuna, nonostante la lunga assenza, le patologie divertenti (per quanto possa risultare un ossimoro) non mancano. I testoni e gli imitatori di Elvis lasciano il posto a uomini-lampadina, pentole incastrate in testa, e soprattutto imitatori di Freddie Mercury e del Tony Manero de La Febbre del Sabato Sera. A tal proposito: un plauso alla localizzazione italiana per l’ottimo lavoro svolto, che ha visto trasformare l’originale “mock star” in “rapsodite”, rendendo più netta e divertente il collegamento riguardante lo storico frontman dei Queen. E non sarà nemmeno l’unica citazione pop nascosta nel gioco! Two Point Hospital offre di tutto, dai Ghostbusters passando a Grey’s Anatomy, il gioco è una continua celebrazione della pop culture dagli anni ‘80 fino ai giorni nostri.

Insomma, concludendo, questo Two Point Hospital è un centro sotto tutti i punti di vista: il titolo è principalmente mirato agli orfani di Theme Hospital che hanno dovuto aspettare ben ventuno anni per avere un altro capitolo della serie, seppur come sequel spirituale. Le sfide sono tante, e tutto ciò va a favore della longevità del gioco, davvero vasto e capace di far pronunciare al giocatore le fatidiche parole “altri cinque minuti e stacco”, come ogni buon gestionale che si rispetti. Ora, si spera solamente di non dover attendere altri vent’anni e passa per un sequel ufficiale… ma, nel frattempo, diamo il bentornato a uno dei capisaldi del genere gestionale!




Ikaruga: la potenza proveniente da due energie

Boom! Kaboom! Spepepepeum! Quanto è bello provocare il caos a bordo di una navicella spaziale che svolazza a tutta birra nel cielo! Il genere shoot ‘em up è un vero e proprio pilastro del gaming moderno, basti pensare a titoli come Space Invaders, Galaga, Xevious, Gradius o R-Type per capire il peso di questa categoria nella storia del gaming. Col tempo, nonostante le uscite continue di ottimi shooter come Thunder Force V, Einhänder o Darius Gaiden, il genere è stato messo in disparte per giochi meno arcade e più focalizzati sulle storyline, ma oggi, grazie ai diversi Shmup indipendenti su Steam e Nintendo Switch, si sta assistendo a un vero e proprio revival di questo genere. Insieme ai nuovi titoli, come Super Hydorah, Crimzon Clover WORLD IGNITION e i bullet hell di Cave, ci sono da tenere in considerazione tutti i classici riscoperti in questo periodo, primi fra tutti gli shooter di Treasure, considerati dagli appassionati i più raffinati del genere. Oggi su Dusty Rooms, per il suo 26esimo anniversario dalla sua importante uscita su Sega Dreamcast, vi parleremo di Ikaruga, uno shooter unico nel suo genere, considerato un must per coloro che vogliono esplorare questo genere videoludico e della sua importanza nella scena videoludica generale.

Radici e meccaniche

In pochi sanno che Ikaruga è in realtà un sequel spirituale di Radiant Silvergun, altro fantastico shooter di Treasure uscito prima per arcade e poi per Sega Saturn (ove diventò un cult classic fra i suoi collezionisti). Il suo titolo in fase di progettazione era proprio Radiant Silvergun 2 ma, con l’evolversi dello sviluppo, il gioco assunse sembianze quasi totalmente diverse nonostante mantenne alcune delle sue caratteristiche chiave: il mantenuto design generale, un rimando alla storia del suo prequel spirituale (che vedrete alla fine del gioco), l’assenza totale di power up e il suo sistema di combo basato sul distruggere i nemici di uno stesso colore. Quest’ultimo elemento fu la base per costruire l’intero sistema delle polarità di Ikaruga (ispirato in parte dal platform di Treasure, Silhouette Mirage), caratteristica che lo fa spiccare all’interno del suo genere: a differenza di un qualsiasi Shmup, in cui un qualsiasi proiettile o laser è da evitare, qui ci è concesso assorbire i proiettili del colore della nostra nave, che possiamo cambiare con un tasto. I proiettili possono essere bianchi o neri e, quando li assorbiremo, la loro energia si immagazzinerà in una barra di energia (indipendentemente dal colore); quando vogliamo, possibilmente con la barra caricata al massimo, possiamo liberare questa energia per abbattere più nemici possibili con un colpo solo. Il titolo offre al giocatore due strategie per approcciare il suo unico gameplay: si può far fuoco ai nemici di polarità inversa per arrecare più danno, e dunque liberare le schermate più velocemente possibile, oppure possiamo far fuoco ai nemici della nostra stessa polarità per poi far sì che le navi, esplodendo, rilascino dei proiettili del loro colore per poi assorbirli e immagazzinarli nella nostra barra (e questo è il metodo preferito dai giocatori più ambiziosi). Capito tutto questo possiamo gettarci nella mischia e provare ad arrivare a fine gioco con… meno gettoni possibili!
La storia si cela fra il manuale e qualche frase durante il gameplay, esattamente superata la fase di dogfight iniziale (un termine per gli appassionati del genere che sta a indicare una sorta di pre-stage). Un tale Tenro Horai, dell’impero degli Horai, scopre un potere magico vicino a quello degli dei; consegnatolo alle genti della sua nazione, questi cominciano a razziare il mondo con quest’arma micidiale. Un gruppo di ribelli, noti come i Tenkaku, si oppongono all’impero cadendo però in rovina; un loro pilota chiamato Shinra, dopo aver provato, un’ultima offensiva solo contro l’impero viene purtroppo abbattuto e si schianta sull’isola di Ikaruga. Il luogo rimane fuori dal radar dell’Impero e la gente che l’abitava viene esiliati dall’impero Horai. Shinra spiega così agli isolani che, pur essendo rimasto solo, era determinato a distruggere l’Impero e così gli abitanti dell’isola, credendo all’ardore delle sue parole (che probabilmente sono quelle che appaiono prima di partire per il primo stage, ovvero «I will not die until I achieve something. Even though the ideal is high, I never give in. Therefore, I never die with regrets»), gli mostrano la navicella in grado di sfruttare le debolezze delle armi dell’Impero, la Ikaruga (lo so, non avevano molta fantasia); Shinra parte così con la sua nuova arma, intento a ristabilire la pace una volta e per tutte. Se gli stage di questo gioco ci sembreranno troppo difficili da affrontare in solitaria, è possibile fare entrare un secondo giocatore che potrà pilotare un altro mezzo volante, simile all’Ikaruga, guidato da una pilota donna di nome Kagari.

Agire o non agire?

Per prima cosa, Ikaruga è uno dei giochi più importanti mai usciti per Sega Dreamcast: arrivato originariamente per arcade, il titolo di Treasure arrivò sulla  console il 5 Settembre del 2002, anno in cui la sua produzione era già stata fermata. È vero che dopo Ikaruga molti altri titoli su licenza Sega arrivarono su Dreamcast in Giappone, fino al 2007, anno dell’uscita del suo ultimo gioco Karous, ma questo evento fu molto importante e segnante; nonostante le scarse vendite della console Sega e la sua annunciata interruzione di produzione, Ikaruga ricordò al mondo che Dreamcast aveva ancora molto da dire, e non con semplici giochini homebrew ma con capolavori degni di PlayStation 2 e Xbox che, nel frattempo, l’avevano eclissata. Il titolo di Treasure, seppur prodotto in copie molto limitate per quei pochi utenti che non abbandonarono il sistema, iniettò nuova vita al Dreamcast e poco dopo si assistette all’uscita di altri titoli come Border Down, Chaos Field e Under Defeat che, come Ikaruga, erano stati programmati originariamente per il sistema arcade Sega NAOMI e che potevano trovare ancora il miglior riscontro casalingo sull’ormai defunta console. Il suo art-style, la sua particolarissima grafica, i suoi strani messaggi e la sua fantastica musica erano solamente esche per attrarre il giocatore e, una volta lì, si veniva assorbiti da Ikaruga come un proiettile di polarità uguale sul gioco.
I prezzi per la versione Dreamcast e quella Nintendo Gamecube, che permise il suo primo rilascio internazionale, sono oggi abbastanza alti e, a meno che non si ami particolarmente il gioco, è meglio starne alla larga. Tuttavia, a oggi, ci sono diversi metodi per godersi Ikaruga senza spendere un capitale: tutte le versioni digitali, ovvero Steam, Nintendo Switch, PlayStation 4 e persino Xbox 360, offrono una splendida grafica HD, dashboard online con i migliori punteggi e la possibilità di giocare con lo schermo in verticale, il vero modo per godersi questo shooter. Anche se è un titolo non adatto ai principianti, Ikaruga è una vera e propria pietra miliare del gaming moderno e degli shooter in generale, un titolo dalle semplici meccaniche in grado di mettere in difficoltà anche il più abile dei giocatori.