RimWorld

Un’emergenza galattica. Una nave di linea viene distrutta, ma tre passeggeri riescono a salvarsi finendo nel pianeta più lontano della galassia. Questa è solo una delle storie di RimWorld, complesso colony sim ideato da Ludeon Studios sul modello di una vera e propria istituzione del genere come Dwarf Fortress.

Partiamo con ordine, visto la complessità del titolo: la schermata iniziale di RimWorld ci pone due scelte, ovvero il tutorial, consigliato ma non indispensabile per capire i meccanismi di gioco, e il fulcro di tutto, la nuova partita. Qui potremo decidere uno dei quattro scenari che il gioco ci offre: lo scenario base, ovvero quello dei tre sopravvissuti al disastro della nave di linea, la tribù perduta, con cinque umani sopravvissuti allo sterminio delle macchine, il ricco esploratore che vuole provare il brivido della sopravvivenza, e la cosiddetta naked survival, con un solo personaggio da controllare, ma completamente nudo e senza provviste. Quest’ultimo è lo scenario più difficile di tutto il gioco ed è consigliato solo a chi voglia provare un’esperienza davvero tosta, mentre crashlanded, il primo scenario, è consigliato ai novizi del titolo e a chi abbia avuto esperienze con giochi simili come Dwarf Fortress o Banished.
Il prossimo passo è quello di scegliere uno dei tre narratori, che fungono anche da selezionatori di difficoltà della nostra partita: abbiamo la “normale” Cassandra Classic, adatta a un’esperienza di gioco tradizionale con una difficoltà crescente, Phoebe Chillax che, come suggerisce il nome, è adatta a una partita più rilassata e concentrata sul building puro, e Randy Random, un vero e proprio anarchico capace di farci soffrire già nell’early game anche alle difficoltà più basse!
La meccanica dei narratori è uno dei punti di forza del titolo, regalando al giocatore una rigiocabilità davvero ampia, soprattutto se consideriamo che RimWorld è un titolo molto aperto alle mod di ogni tipo. Non ci sorprenderà vedere scenari pesantemente story-driven, come quelli ispirati a H.P. Lovecraft (dove troveremo il solitario di Providence come narratore) o al Signore degli Anelli, con protagonista J.R.R. Tolkien.
Dopo aver deciso l’ampiezza del nostro mondo, quest’ultimo generato da un seed casuale, sistema visto in giochi come Minecraft, e aver deciso il nostro bioma desiderato (si va dal deserto fino alla lastra di ghiaccio senza alcuna forma di vita), oltre alla nostra scelta di personaggi, rigorosamente casuali e ognuno con i vari pregi e difetti, sia fisici che mentali, si inizia finalmente a giocare!

In base allo scenario scelto, e soprattutto al bioma, si comincerà ad agire di conseguenza: sarà fondamentale raccogliere della legna o materiali analoghi sparsi per la mappa (e ce ne sono) per poter creare un rifugio, dei letti e soprattutto un armamentario di tutto punto. Quest’ultimo punto ricopre un ruolo fondamentale in RimWorld: che si parli di armi da melee come mazze o coltelli, oppure armi a lunga gittata come archi o pistole di ogni tipo (e la dotazione armamentaria del gioco è davvero vasta!), sarà importante per i nostri coloni avere qualcosa da usare per cacciare animali o, soprattutto difendersi dai raid di altre comunità. Proprio loro ricoprono un altro punto davvero importante del pianeta, visto che a ogni partita e a ogni generazione del mondo, verranno generate anche delle tribù con tanto di rapporti, siano essi amichevoli, neutrali o, nella maggior parte dei casi, vista la presenza di pirati, negativi. Ogni rapporto è mutevole nel tempo, in base a ogni nostra azione fatta: se attacchiamo una carovana mercantile di una certa tribù dovremo prepararci a subire tutta la loro ira, oppure, se cureremo e libereremo un prigioniero, potremo ottenere un aumento nell’amicizia col gruppo dato.
Descrivere ogni cosa possibile in RimWorld sarebbe veramente difficile, data la mole di contenuti disponibile nel titolo di Ludeon Studios: il sistema di combattimento ricalca quello di Dwarf Fortress, nessun exploit grafico particolare (anzi, lo stile grafico ricorda molto quello di Prison Architect), ma una libertà testuale letteralmente infinita. Potremo leggere per filo e per segno i colpi fatali messi a segno dal nostro tiratore scelto ai danni di un tacchino da cacciare, oppure di una cicatrice all’orecchio causata dal crollo di un tetto. Tutto è possibile!
E l’obiettivo finale? Pur potendo scegliere di poter affrontare una partita in modalità sandbox, il nostro destino è quello di riuscire ad arrivare all’astronave capace di farci tornare a casa. E se è dall’altra parte del mondo, come di solito succede? Nessun problema: possiamo fare tutto da soli, sfruttando i materiali e passando notti insonne al tavolo di ricerca, scoprendo nuove tecnologie per sbloccare oggetti più avanzati e migliorare il nostro tenore di vita.

Tirando le somme, dopo anni di lavoro e una lunga fase early access, finalmente RimWorld arriva tra noi in forma completa, facendo centro sotto ogni aspetto. Grafica e colonna sonora risultano semplici ma molto efficaci, e ben si sposano con il mood sci-fi misto western che abbiamo visto in serie televisive come Firefly oppure Westworld. Il gameplay è uno dei punti di forza, una vera evoluzione di Dwarf Fortress, che, grazie al motore grafico, tira fuori tutti i suoi punti di forza, con sessioni lunghe e che vi costringeranno a pronunciare la sempiterna frase “altri cinque minuti e poi stacco”. Il mostruoso supporto alle mod, poi, dona una longevità davvero impressionante al titolo tra miglioramenti delle meccaniche di gioco e scenari narrativi unici.
Se per anni il titolo di Bay 12 Games ha rappresentato un vero e proprio baluardo del colony sim roguelike, ora è arrivato il passaggio di consegne: RimWorld è l’evoluzione di Dwarf Fortress, ed è il momento che i fan del genere attendevano da almeno dieci anni.

 




Mothergunship

Grip Digital e Terrible Posture Games ci avevano già provato nel 2014: con Tower of Guns erano riusciti, seppur in parte, a creare un connubio tra bullet hell, roguelike e FPS, catapultando il giocatore in un mondo davvero singolare, con livelli creati casualmente e un comparto grafico abbastanza grezzo e cartoonesco.
Quest’anno però, Grip Digital e Terrible Posture Games ha deciso di rilasciare Mothergunship, un FPS con meccaniche da roguelike e bullet hell, proprio come il suo predecessore, ma a questo si affianca una maggior cura e un gameplay piuttosto divertente. Mothergunship è riuscito a conciliare tutti questi tre generi senza snaturare quello che è l’obiettivo principale del gioco: divertire.

Mothergunship non è basato sulla storia, avendo una trama abbastanza banale e fragile: la Terra è stata attaccata dagli alieni e noi dobbiamo salire sulla loro nave madre per sconfiggerli. Una storia semplice che serve a dare un contesto a quello che incontreremo durante tutti i livelli.
Come già detto i nemici saranno degli alieni, ma non aspettatevi i soliti omini verdi dalla testa ovale; gli antagonisti saranno delle vere e proprie macchine da guerra che dovremo distruggere per salvare il mondo e l’intero Universo.
La peculiarità di Mothergunship è sicuramente il gameplay, più nello specifico il crafting delle armi. In game non esistono classi o set di armi predefinite, ma saremo noi a creare il nostro arsenale. Un crafting fuori dal comune che permette la creazione e la combinazione di armi davvero uniche. Nei vari livelli si potranno ottenere, sconfiggendo i vari nemici, delle monete d’oro che serviranno per acquistare degli elementi per modificare e potenziare la nostra arma. Si potranno equipaggiare solamente due armi, una nella mano destra e una nella sinistra ma, grazie all’editor, si potranno accoppiare moltissimi elementi per forgiare l’arma definitiva.
Si avranno a disposizione dei connettori, che serviranno a collegare le varie bocche di fuoco, le canne, che potranno essere accoppiate tra loro grazie ai connettori e degli upgrade che aumenteranno la potenza di fuoco, diminuiranno il rinculo e altro.
Le armi che si potranno creare saranno infinite; l’unico limite sarà la nostra fantasia e ovviamente il costo delle singole parti.
Mothergunship oltre ad avere un gameplay molto frenetico, essendo un bullet hell, contiene anche la possibilità di potenziare la nostra armatura, fornendogli un salto aggiuntivo – sbloccandone circa cinque si potrà letteralmente fluttuare a mezz’aria –, una difesa maggiore, una resistenza al rinculo delle armi e molto altro, ma anche se non si utilizzeranno queste feature, non se ne sentirà la mancanza. Nella maggior parte delle volte si porrà l’attenzione alla pura potenza di fuoco delle varie armi.
Nota dolente per quanto riguarda i nemici, perché dopo aver giocato per qualche ora e aver creato delle armi potentissime, i nemici saranno facilmente abbattibili: molte volte è capitato di non esser nemmeno sfiorati dalle pallottole degli avversari. Il bilanciamento tra armi e nemici dunque, non è dei migliori; è sufficiente creare delle armi OP per poter proseguire senza problemi al livello successivo.

Mothergunship non possiede un mondo di gioco vasto, ma per proseguire si dovranno attraversare stanze piene di nemici – che equivalgono a un livello – e dopo averle superato tutte, si arriverà a un boss, una macchina gigante, più difficile da sconfiggere ed equipaggiata con armi molto più potenti.
Come in Tower of Gun, nell’ultimo gioco di Grip Digital i livelli saranno creati casualmente, anche se questo meccanismo costruisce livelli molto simili tra loro o con gli stessi nemici. Fortunatamente i casi sono limitati, ma può risultare comunque ripetitivo.
Inoltre, in Mothergunship si può giocare in coop online, ma manca quello in LAN, una feature che poteva allungare la longevità del titolo e divertire ancor di più i giocatori, fornendo la possibilità di creare un party LAN o semplicemente di giocare a schermo condiviso.
La grafica è senza dubbio migliorata rispetto a Tower of Gun, risultando molto più dettagliata e con una caratterizzazione delle armi che ricorda l’art style di Borderlands. Anche gli scenari sono ben definiti, con colori né troppo accesi né troppo spenti, quasi metallici, proprio per ricordarci che in fin dei conti, siamo all’interno di una nave spaziale.
Il comparto sonoro invece, non è nulla di particolare: la soundtrack e i suoni ambientali sono discretamente realizzati; il rumore degli spari, a lungo andare, risulta ripetitivo, visto che continueremo a premere il grilletto per quasi tutta la durata del livello, ma nel complesso fa il suo lavoro, quello di far sentire il giocatore all’interno di una navicella spaziale aliena, con suoni metallici e robotici.
Tecnicamente Mothergunship – noi abbiamo provato solo la versione PlayStation 4 Pro – ha dei problemi legati al frame rate. Gli FPS calano drasticamente quando a schermo sono presenti parecchi elementi, come i proiettili. L’unico modo per risolvere questo problema è semplicemente quello di sconfiggere i vari robot e liberare lo schermo.




ADOM (Ancient Domains of Mystery)

ADOM (Ancient Domains of Mystery) è un RPG roguelike a turni pubblicato originariamente nel 1994 da Thomas Biskup su Linux. Inizialmente, la versione “originale” del titolo era stata sviluppata basandosi sul linguaggio di programmazione C ed è stata aggiornata costantemente fino al novembre del 2002, venendo trasportata, negli anni, anche sugli altri sistemi operativi conosciuti. Il gioco di cui sto parlando quest’oggi è “nato” invece grazie a un crowfunding ideato nel 2012 sulla famosa piattaforma Indiegogo (nella quale il creatore aveva proposto, per la modica cifra di 50.000 dollari, la possibilità di ricevere il codice per intero del suo gioco recapitato da lui in persona), che ha portato al rilascio di una versione “deluxe” su Steam, compatibile con Windows, Linux e macOS. All’interno del gioco vestiremo i panni di un’eroe incaricato di salvare la terra di Ancardia dalla forza maligna del caos.

Il titolo è stato dotato di una semplificazione a favore dei neofiti, con un’utile modalità tutorial e difficoltà di gioco scalabili a seconda delle capacità di ogni giocatore, nonché svariate modalità: una modalità custom, che permette di modificare a piacimento la difficoltà, mentre la story mode consente, a differenza delle difficoltà base, di salvare e ricaricare i salvataggi anche dopo la morte, e infine la Crowd mode che permette di giocare con degli amici. Come ogni RPG, che si rispetti anche ADOM ha una personalizzazione del personaggio ampia, molto ampia. Il nostro eroe, può essere generato casualmente o creato con le nostre mani. Il sistema di personalizzazione offre la bellezza di 12 razze e altrettante, se non di più, classi (combattente, ladro, mago, cavaliere del caos ecc ecc). Ovviamente, ogni razza offre un bonus nelle statistiche mentre le classi, invece, hanno dei punti di forza e dei svantaggi unici. L’essere strutturato in turni permette al giocatore di strutturare il suo gameplay in maniera strategica, cambiare armi, scegliere la miglior mossa e quale nemico attaccare prima, tutto questo rende l’ambiente di gioco più piacevole e, soprattutto, interessante.

All’interno del titolo sono presenti molte armi, che variano da semplici spade a bacchette magiche. Un altro elemento importante che in ADOM è fondamentale è la fame. Se il nostro personaggio non si nutrirà a dovere, dopo un determinato numero di turni comincerà a morire di fame. Tuttavia, non è questa l’unica limitazione: infatti, dovrete cibarlo solamente con ottime razioni di cibo perché l’alimentazione a base di carne di mostro marcia potrebbe avvelenarlo o farlo ammalare. Inoltre, durante i movimenti del nostro personaggio sul territorio della mappa, si ha la possibilità di imbattersi in nemici di vario tipo: branchi di iene, goblin e tanto altro.
Sul piano grafico, il titolo è stato svecchiato grazie all’aggiunta di una grafica in stile cartoon senza molte pretese. Gli effetti sonori sono ben congegnati e la colonna sonora rimane orecchiabile anche dopo un periodo di gioco prolungato.

In conclusione, si può dire che ADOM, anche dopo tutti questi anni, rimane comunque una validissima scelta nel campo dei roguelike, grazie alle sue meccaniche, forse un po’ datate, ma comunque ben strutturate. Il titolo del buon vecchio Biskup, anche dopo tutto questo tempo, riesce a far passare le varie ore di gioco con un pizzico di ansia e di piacevole gameplay che, ancora oggi, viene aggiornato costantemente con il rilascio di nuove patch. Titolo consigliato, soprattutto a tutti gli amanti dei videogiochi old-style.




Dead Cells

Sarebbe uno sbaglio definire Dead Cells come “l’ennesimo metroidvania con grafica retro 2D“. Il titolo dei francesi Motion Twin ha qualcosa di diverso dagli altri: Dead Cells è, infatti, il padre fondatore di un nuovo genere, che molte voci autorevoli del settore non hanno esitato a definire “roguevania”, un felice incontro tra uno dei generi più inflazionati degli ultimi anni (il metroidvania, appunto) e il roguelike (dinamico): dopo ogni morte del nostro personaggio, ricominceremo il gioco da capo conservando solamente le abilità che siamo riusciti a sbloccare nel corso delle nostre partite, ma perdendo ogni accessorio, arma o potenziamento trovati in giro per la mappa durante l’avventura, aspetto che personalmente non ho apprezzato affatto, probabilmente perché sono troppo legato alla modalità più classica, ma che effettivamente, per i giocatori più pazienti e caparbi, potrebbe diventare un espediente per non stancarsi di giocare.

Tutto inizia sempre dalla cellula

Come i primi esseri viventi immersi nel brodo primordiale, anche noi all’inizio del gioco saremo solo un ammasso di cellule, con la sottile differenza che le nostre saranno putride. Dopo una brevissimo intro in cui vedremo l’ammasso di cellule impossessarsi del povero cadavere di un soldato senza testa, saremo pronti per iniziare il nostro cammino e sbrogliare finalmente la matassa che cela il mistero della nostra esistenza: chi siamo, dove siamo e perché. La storia sarà una sorta di puzzle da comporre man mano, scopriremo andando qualche porzione, trovando pergamene o altri indizi qua e là nel corso del gioco. La narrativa non è da premio Pulitzer, ed è parecchio marginale: ma poco male, sarete più impegnati a godervi il gameplay che a seguire la storia.

Taglia lì, squarcia qui

Dopo la prima partita, che sarà quasi un tutorial, rinasceremo all’interno di una stanza (stanza che sarà differente ogni volta che ricominceremo la partita), gremita di strane ampolle e vasi pendenti; ogni volta che riusciremo a sbloccare una nuova abilità o arma, verrà inserita in uno di questi contenitori.
Lo scopo del gioco è quello di scoprire la nostra provenienza passando attraverso diversi livelli (13 in tutto, ma per completare il gioco non sarà necessario visitarli tutti). Non mancano le bossfight al termine delle quali potremmo ricevere importanti “drop” dal boss in questione, come armi rare o progetti per la creazione delle stesse. I boss non tantissimi, ma gli scontri sono congegnati in modo da regalare attimi di pura adrenalina, anche perché sappiamo già che essere sconfitti durante un combattimento segnerà la fine della partita in corso.
È interessante il sistema di livellamento delle abilità, acquisibili o potenziabili scambiando con uno strano essere chiamato “Il Collezionista” (che incontreremo in alcuni punti random della mappa) tutte le anime raccolte dai precedenti scontri con i mostri (sì, il discorso della raccolta di anime è un po’ un cliché, ma che volete farci?).
Per quanto riguarda le armi invece, più avanti nel gioco si sbloccherà anche il Fabbro, tramite il quale potremo migliorare quelle che abbiamo in dotazione ma non siate troppo entusiasti, perché non importa quale potentissima spada o arco abbiate trovato o creato: dopo la morte ogni vostra conquista andrà perduta e, volta per volta, quando ricominceremo il livello, potremo scegliere solo le armi base, costringendoci quindi a una sfrenata ricerca di armi più potenti in giro per il livello. Esiste un altro modo per trovare dell’ottimo equipaggiamento, ed è possibile grazie all’acquisto di armi o accessori presso i “mercanti”, presenti in punti sempre diversi della mappa: in questo caso lo scambio avviene tramite il denaro o le gemme preziose raccolte durante la partita. Può risultare frustrante a volte perdere denaro e anime dopo una morte inaspettata, quindi, una volta raggiunta una ingente quantità di materiali preziosi, grazie ai portali che man mano si andranno a sbloccare in giro per il livello, diventerà opportuno teletrasportarsi nei pressi di un mercante o di un “Collezionista”, in modo da poter investire quello che abbiamo faticosamente accumulato prima che sia troppo tardi.

Il Design è tutto

Per il titolo di Motion Twin non si parla di comparto grafico come qualcosa a sé stante, ma di qualcosa che risulta un tuttuno con game e level design.
L’utilizzo degli sprite, che rievoca uno stile retro molto in voga, sembra ormai esser diventato uno degli aspetti più comuni tra le etichette indipendenti, tanto che la medesima scelta è stata fatta anche per giochi come Slain! Back from Hell, Axiom Verge o ancora l’acclamato Bloodstained: Curse of the Moon.
La vera differenza del “moderno” modello retro di Dead Cells sta nelle animazioni degli sprite, fluide e ben dettagliate. I livelli sono molto caratteristici, e ognuno diverso dall’altro, e ci porteranno dalle fetide fogne a dungeon intricati e cupi. La grande varietà e quantità di elementi su schermo lascia intravedere un profondo studio e una cura del dettaglio da parte degli sviluppatori, caratteristica che fa ancor più apprezzare il lavoro svolto dagli sviluppatori.
Il comparto audio è globalmente buono, con una soundtrack abbastanza coinvolgente, anche se alla lunga potrebbe risultare leggermente ripetitiva in alcuni leitmotiv, SFX di armi effetti video ed esplosioni riprodotti in maniera eccezionale, che riescono a rendere bene l’idea della potenza sprigionata dalle azioni del nostro personaggio.

A conti fatti

Dead Cells è risultato essere uno dei migliori metroidvania/roguevania mai sviluppati, niente e nessuno dovrebbe impedirvi di far vostro questo piccolo grande capolavoro videoludico. Abbiamo testato questo titolo su PC (Steam), ma sono fermamente convinto che un gioco del genere veda un’ottima espressione del proprio potenziale su Nintendo Switch, console sulla quale è presente insieme a PS4 e Xbox One.




Prey: Mooncrash (DLC) – Abuso di “Vivi, Muori, Ripeti”

Circa un anno fa, Prey tornava sui nostri schermi grazie all’egregio lavoro di Arkane Studios, team che ha confezionato un titolo vario, appagante e soprattutto sorretto da un impianto narrativo di prim’ordine. Del Prey originale, targato 2006 (e piccolo flop commerciale) non è rimasto nulla, e anche questo reboot ha fatto fatica a farsi strada nel combattutissimo mercato videoludico moderno, trovando comunque il favore della critica, che lo ha elevato a uno dei migliori titoli del 2017. Mooncrash è il primo DLC del franchise, concepito in uno stile rouguelike che inaspettatamente ben si sposa con le atmosfere del gioco, e, che risulta soprattutto ben giustificato. Seguirà più avanti Typhon Hunter, espansione che per la prima volta aggiungerà componenti multiplayer a un titolo già strutturato come Prey.

Vivi, muori, ripeti

Dopo aver vestito i panni di Morgan Yu, in questa espansione saremo Peter, un hacker che dovrà fare luce sui misteri della stazione lunare segreta Pytheas, con la quale la TranStar ha perso i contatti. Per risolvere la faccenda, Peter dovrà rivivere gli ultimi momenti di cinque membri dello staff della stazione, attraverso una sorta di realtà virtuale. Vivremo dunque altrettante storie parallele che, se ultimate con successo, riveleranno anche l’epilogo del protagonista. Questa è la base su cui poggia la narrativa del DLC ma, come  Arkane insegna, ci sarà ben molto di più da scoprire, al fine di collegare tutte le tessere del puzzle e fare luce sui misteri della Pytheas.
L’intera stazione lunare è l’hub delle nostre disavventure, abbastanza estesa e varia e con nuovi nemici come lo Squalo Lunare – detto così fa ridere, ma una volta incontrato avrete soltanto voglia di scappare – e nuove armi come le Granate GLOO. All’interno della mappa gli elementi saranno sempre variabili, da posizione e numero dei nemici alla distribuzione e reperibilità di materiali e consumabili.
Ogni run si presta a essere un’esperienza unica ed estremamente appagante con ognuno dei cinque personaggi disponibili; questi vantano a loro volta peculiarità uniche e verranno sbloccati una volta terminata una sessione, oppure saranno “trovati” lungo il percorso. Ognuno di essi avrà inoltre obbiettivi specifici, che innalzano il livello di varietà e longevità dell’espansione.
Ogni potenziamento, disponibile grazie alla valuta di gioco e a nuovi progetti scoperti, potrà renderci vere macchine di morte, ma ovviamente questo non si traduce in invincibilità: l’IA dei nemici sembra imparare dalle nostre azioni, modificando il comportamento e rendendo tutto ancor più difficile. La morte in questa espansione fa semplicemente parte del gioco. La natura roguelike del contenuto si fa sentire senza mai risultare frustrante: se all’inizio la meccanica sembra rispondere a logiche di “trial and error“, basterà entrare in confidenza con le i meccanismi di gioco per essere nuovamente rapiti dallo stile di Prey.
Riguardo al resto, rimane tutto quel che abbiamo imparato a conoscere del titolo principale, dove le fasi di puro shooting non raggiungono l’eccellenza, ma tutto il  resto bilancia bene questa lacuna, aggiungendo anche un nuovo sistema di danni semi-permanenti al protagonista, dal sanguinamento alle fratture, curabili solamente con specifiche soluzioni. Il nuovo sistema trova spazio non solo in questa espansione ma anche nel gioco base, rendendo Prey – soprattutto per chi l’affronta per la prima volta – ancor più profondo e complesso.

Ti porto sulla Luna

Dal punto di vista tecnico, la base lunare Pytheas è un bel vedere, ricca di elementi particolareggiati, ambienti vari e con un ottimo level design. Il CryEngine fa anche qui il suo bel lavoro, inficiato da momenti di “bloodborniana” memoria nelle fasi di caricamento, così lunghe da poter includere potenzialmente un altro DLC al loro interno.
Anche questa espansione vanta un ottimo doppiaggio italiano e un’attenta localizzazione, così come lo è la realizzazione degli effetti sonori.

In conclusione

Prey: Mooncrash rispecchia la voglia di sperimentale del team Arkane che, dopo i Dishonored, continua a essere all’altezza della sua nomea, confermandosi uno degli studios più talentuosi della scena videoludica. Questa espansione è solo la prima parte in vista del Typhon Hunter che porterà grossi cambiamenti all’interno del franchise, magari anche in vista di un eventuale futuro secondo capitolo. Al prezzo di lancio di 19,99€, Mooncrash è un’ottima occasione per riprendere in mano uno dei migliori titoli del 2017: non un semplice compitino, ma un DLC vario, con nuove sfide e capace di intrattenere. Attenderemo i prossimi mesi per verificare l’impatto dato dall’avvento del multiplayer.

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.




Next Up Hero

Oggi giorno sono realmente pochi i giochi che riescono ad amalgamare egregiamente il genere roguelike con la modalità multiplayer, e tra questi si può sicuramente annoverare Next Up Hero.
Con questo titolo dalle tinte retrò, la Digital Continue catapulterà in un gameplay degno dei cabinati anni ’80 con annesse gioie e frustrazioni. Il gioco ci darà la possibilità di scegliere tra uno dei 7 personaggi selezionabili ogni volta che inizieremo una partita, ognuno dei quali avrà diverse abilità, attacchi e peculiarità con ampia scelta tra un approccio ravvicinato o a distanza. Una volta selezionata la partita da fronteggiare, ci si ritroverà in un classico beat em’up dalla visuale isometrica, dalle mappe procedurali  e divise per livelli colme di mostri di vario genere pronti a farci a pezzi. Ma il gioco non è così basilare come appare: è proprio qui che la componente multiplayer ha la sua maggior funzione. Durante i piani della nostra run, potremmo trovare i cadaveri degli eroi di altri giocatori che sono caduti in battaglia in quel preciso punto e sarà proprio lì che il nostro personaggio griderà «NEXT UP HERO!», riuscendo a resuscitarlo per farlo così combattere al proprio fianco in veste di NPC.

Insomma, più giocatori avranno fallito durante l’avventura, più possibilità avremo di sopravvivere. In compenso, ogni dungeon avrà una difficoltà crescente facendoci arrivare al Boss finale in preda al panico, con la consapevolezza che sia impossibile terminare la partita con un good ending. Ma non disperate, il gioco è stato appositamente programmato per avere un’estrema difficoltà nel Boss finale proprio perché questi sarà l’unica creatura che condividerà i punti vita con la community: ogni giocatore che arriverà a fronteggiarlo toglierà infatti permanentemente vita al boss creando una sorta di raid, una volta morto, ogni giocatore riceverà una somma di monete dipendente dalla percentuale di vita tolta. Una volta finita la run, che l’abbiate completata o meno, riceveremo per l’appunto una somma di monete che ci permetterà di fare un upgrade del personaggio cambiando skin o acquistando abilità; ma non è la sola cosa acquistabile. Esiste infatti un sistema di achievement che ci permetterà di acquisire dei bonus permanenti durante le nostre avventure: questi si acquisiranno uccidendo un certo numero di mostri e, una volta raggiunta la somma richiesta, potremo usufruire del potere speciale del mostro e usarlo con qualsiasi eroe selezionato. Prima ho parlato di selezione dell’avventura poiché nel gioco non esistono mappe pre-costruite dagli sviluppatori ma solo dungeon creati da altri giocatori, essendo possibile cambiare la difficoltà, i numeri dei piani e la possibilità di incontrare mosti rari, ovviamente, pagando una cospicua somma di monete.

Ma non è tutto oro ciò che luccica: il gioco nonostante, sia ancora in fase beta, appare ancora in uno stato embrionale al punto da rendere impossibile intravedere il risultato finale. Tutte le modalità sono ancora bloccate facendoci solo lontanamente percepire una ipotetica profondità nel multiplayer, le mappe sono ancora molto spoglie e visibilmente monotone, alcuni personaggi non sono ancora selezionabili ma soprattutto il gameplay risulta profondamente squilibrato in relazione al personaggio che si usa. Durante le nostre run non avremo quasi mai la possibilità di curarci, questo rende l’approccio ravvicinato coi nemici totalmente evitabile poiché uno scambio di colpi non eguaglierà mai un personaggio in grado di colpire da lontano, con maggior danno e senza essere mai colpiti.

Nel complesso il gioco si presenta con un’idea originale ma al contempo molto scarna: per quanto sia stato lanciato come beta, il contenuto attuale lo rassomiglia più a un’alpha.
Le premesse per renderlo un gioco di rango ci sono tutte, e speriamo che Digital Continue riesca a riempire tutte le falle presenti nel titolo prima del lancio ufficiale.
Next Up Hero arriverà nei primi mesi del 2018 su PC, Linux, PS4, Xbox One e Nintendo Switch.
Non ci resta che aspettare.




TumbleSeed

Creato dal piccolo gruppo di sviluppatori indie Aeiowu, TumbleSeed trae ispirazione da meccaniche piuttosto diverse: l’estenuante difficoltà che contraddistingue il genere roguelike e un classico gioco arcade meccanico noto come Ice Cold Beer. Nonostante il particolare connubio, la combinazione rende il gioco straordinariamente singolare.Proprio perchè TumbleSeed dispone di pochi punti chiari, non è facile fare una breve descrizione e spiegare quel che il gioco vuole rappresentare. In ogni caso, le novità che presenta TumbleSeed  in termini di gameplay lasciano il giocatore con delle sensazioni di “prima esperienza” e al contempo eccitazione.La storia è alquanto minimale: in TumbleSeed si assume il ruolo di un seme che vive insieme a molti altri semi in un piccolo villaggio nella foresta, più precisamente alla base di una montagna. Mentre il villaggio sembra pacifico, sulla cima della montagna qualcosa si sta agitando. Una certa forza sta causando l’apertura di buchi giganti lungo tutto il sentiero che conduce al villaggio, e questo ha comportato il conseguente risveglio delle creature abitanti che sicuramente non sprizzano di gioia. L’unica soluzione è quella di salire sulla montagna e di compiere “La Profezia” prima che il villaggio sia distrutto.Ho detto che si assume il ruolo di un seme, ma non è del tutto preciso: quel che si controlla è piuttosto una lunga barra che si estende da un lato all’altro dello schermo e che deve essere utilizzata per spingere verticalmente il seme lungo la mappa. I lati della barra vengono controllati in maniera indipendente, così da sollevare soltanto il lato sinistro per far scorrere lentamente il seme a destra e viceversa.Non è per niente una sfida da sottovalutare ma, detto questo, non sono ancora sicuro che alla lunga risulti molto divertente. Personalmente, mentre passavano le ore di gioco la mia abilità andava crescendo, spingendomi a salire la montagna più velocemente rispetto alle prove precedenti, ma non ho mai provato il reale desiderio di essere competitivo nella classifica di questo gioco. C’erano sempre momenti in cui mi sono ritrovato a giudicarne male la fisica ma, soprattutto, nelle fasi più ardue del titolo, trattandosi di un “procedurale” mi son dovuto affidare più alla fortuna del seed che alle mie abilità: questo mi pare anche una scorrettezza nei confronti del player da parte di uno sviluppatore.L’abilità non si limita ovviamente solo nell’evitare buche o mostri. È anche necessario serpeggiare attorno il sentiero per raccogliere i frammenti di cristallo che servono come valuta nel gioco, e che, una volta presi, possono essere piantati scorrendo su appositi buchi nel terreno per ricevere una ricompensa a seconda della forma assunta attualmente dal proprio seme.La capacità di cambiare le forme è la chiave per TumbleSeed. Avviate una run con quattro diversi tipi di semi che si possono scambiare ogni volta a nostro piacimento; la bandiera permette di piantare un checkpoint casomai si cada in un buco; piantare le spine creerà una piccola lancia che inizierà a ruotare intorno al seme al fine di danneggiare i nemici, la terza forma provvederà a un piccolo rifornimento di cristalli e la forma del cuore incrementerà i nostri punti vita. Al di là di questi tipi di semi iniziali, è possibile trovare forme nuove e più complicate nascoste nel sottosuolo man mano si progredisce.Questo elemento di strategia e pianificazione è il pezzo più interessante della formula di TumbleSeed, dove si è spesso costretti a prendere decisioni difficili. Devo piantare una bandiera perché ho paura di cadere in un buco e perdere tutti i miei progressi oppure dovrei piantare un heartseed perché ho solo un cuore e potrei morire del tutto? Anche dall’inizio di una nuova run ho trovato molta soddisfazione nel testare nuove tattiche, scegliendo se concentrarmi sull’offensiva, sulla difesa o su una combinazione di entrambe.L’esperimento è divertente, ma TumbleSeed rende ogni errore costoso e doloroso. Come già detto, il gioco porta la struttura di un roguelike, e dunque, quando si muore, si torna alla base della montagna e si ricomincia senza alcuno degli upgrade precedentemente acquistati o valute guadagnate col sudore della fronte. Per non farci cadere in una facile frustrazione, in TumbleSeed si inizia ogni run con tre cuori, ognuno dei quali permette di ricevere un danno da caduta a causa di un buco o prendere un colpo da un nemico. È anche possibile guadagnare più cuori attraverso il già citato heartseed ,creandoci meno pressing psicologico tra le eventuali insidie che nasconde la montagna.Che TumbleSeed ti costringa a ricominciare quando si muore non è un grosso problema: tra le meccaniche che compongono un roguelike, esiste quella di ricevere oggetti o simili quando si ricomincia una run dopo essere morto rendendo il gioco non solo più accattivante ma anche piuttosto longevo. Qui questa meccanica non esiste e, inoltre, quel che rende Tumbleseed veramente frustrante è quanto il gioco ti punisca per ogni singolo danno ricevuto: quando accade, si vedranno resettati tutti i progressi fatti dal seme in uso, vanificando tutti i nostri sforzi.Un esempio: una volta ho deciso di spendere gran parte dei miei cristalli, costruendo uno strato protettivo di lance. Avevo anche un’aura, un bonus passivo che puoi raccogliere; ho fatto in modo che mi colpissero fino a rimanere con un solo cuore. Grazie all’aura, e con un solo cuore, avevo la possibilità di piantare gratuitamente i semi. Muovendomi nelle profondità della giungla – il secondo bioma del gioco – cominciavo a sentirmi invincibile. Ma, mentre stavo risanando un punto vita, ho avuto un attimo di distrazione e sono accidentalmente rotolato verso una piccola mosca che, muovendosi in maniera innaturale e spasmodica, è riuscita miracolosamente a evitare le mie lance e a colpirmi. Un singolo danno mi ha fatto perdere tutte le lance, l’aura e i cristalli, distruggendo tutto quello che avevo costruito fin dall’inizio della run.In conclusione posso dire che Tumbleseed è un gioco dedicato sia a chi ama le alte difficoltà ma soprattutto a chi è ricco di pazienza, poiché questa è la principale abilità su cui gli sviluppatori pare abbiano puntato per sfidare i proprio giocatori, e forse per far inserire una sottile, inconscia morale nel gioco.




Svelata la data d’uscita di Tumbleseed

Ha destato la curiosità di numerosi gamer e adesso ne è stata annunciata la data d’uscita con un tweet:

Definito un “rolly roguelike” dagli stessi sviluppatori (nessuna software house, semplicemente “Benedict, Joel, Greg, Jenna & David“, come scrivono sul sito web ufficiale del gioco), e basato sulle meccaniche di gioco di Ice Cold Beer, Tumbleseed è un videogame in cui il giocatore ha lo scopo di tenere in equilibri un seme su un piano orizzontale inclinato che avanza gradualmente, superando vari ostacoli e nemici per raggiungere la cima di una montagna. Il “Greg” che figura tra gli sviluppatori è nient’altro che lo statunitense Greg Wohlwend, già autore di Threes!, Hundreds, Ridiculous Fishing, Puzzlejuice e Solipskier.
Definito il “dark souls of marble rolls”, Tumbleseed uscirà il prossimo 2 maggio per PS4, Nintendo Switch e PC (su Steam).




Team 17 annuncia Genesis Alpha One

Team17 ritorna alla fantascienza: i creatori delle fortunate serie Alien Breed e Worms hanno annunciato Genesis Alpha one, definito come un “mix of roguelike shooter, base building and survival”
La storia sarà ambientata in un pianeta terra futuristico (o futuribile) collassato a causa dello sfruttamento delle risorse globali e dell’inquinamento). In questo contesto, è stata avviata una ricerca per trovare un nuovo pianeta che ospiti l’umanità, il programma Genesis.
Il giocatore avrà il compito di gestire la propria navicella e le risorse, combattere gli alieni nemici, dedicarsi all’esplorazione e al crafting per sopravvivere e portare a termine la missione.
Il gioco verrà sviluppato in collaborazione con Radiation Blue (Hitman: Blood Money, Spec Ops: The Line, SpellForce 2: Shadow Wars, The Settlers, etc.), sarà basato sul motore grafico Unreal Engine 4 e verrà distribuito su PC, PS4 e Xbox One.
Di seguito il trailer rilasciato ieri da Team17.