Red Faction: Guerrilla Re-Mars-tered Edition – Comunisti su Marte

Sin dal 2001, la serie Red Faction non si è mai distinta particolarmente nel panorama videoludico, non solo a livello qualitativo ma soprattutto di vendite. Per ben quattro capitoli, i lavoratori di Marte hanno lottato per i propri diritti, portando in salsa fantascientifica la Rivoluzione d’Ottobre al suo compimento ultimo, anche se probabilmente Karl Marx, avrebbe sperato in esiti meno roboanti. Ha quindi incuriosito questa remastered, non dei primi capitoli ma del terzo, quel Red Faction: Guerrilla (2009) che nonostante qualche buona idea non riuscì a far breccia tra i videogiocatori. Che THQ Nordic stia tastando il terreno per un eventuale nuovo capitolo? Non c’è dato saperlo, ma il suo arrivo potrebbe segnare la svolta.

Zone of the Enders

Marte. Questo pianeta probabilmente è il nostro prossimo passo, ma già qualche scrittore si è portato avanti col lavoro, immaginando la nuova colonia umana come fonte di futuri problemi. L’indipendenza di Marte dalla Terra è stata trattata in così tante salse che non basterebbe questa recensione per elencarle tutte, eppure in questa terza versione di Red Faction possiamo trovare delle particolarità: nel 2075 parte la colonizzazione del Pianeta Rosso grazie alla Ultor Corporation che, vedendo le risorse della Terra pian piano sparire, decide di sfruttare fino al midollo la nuova colonia. Dopo un processo di terraformazione, migliaia di coloni si trasferiscono, pentendosene ben presto. I lavoratori infatti, vengono sfruttati così tanto da richiedere l’intervento dell’EDF (Earth Defense Federation) per ripristinare l’ordine. I salvatori diventano così però i nuovi tiranni, e per i lavoratori di Marte l’unica speranza risiede in Alec Mason.
Questo è l’incipit di Guerrilla, la cui narrazione è affidata a cutscene (semplicemente “ripulite”) e molti dialoghi, alcuni di questi interessanti e presenti solo in incarichi secondari. Purtroppo sia la scrittura che la caratterizzazione dei protagonisti non eccelle, non si ha mai la sensazione di fare qualcosa d’importante, nonostante si operi per cambiare le sorti di un intero pianeta. Ma la particolarità – dicevamo – risiede nella simbologia, che sta tutta appunto nella riproposizione di quanto avvenuto il secolo scorso in Russia, quanto nei simboli, addirittura con le musiche di sottofondo, come vedremo in seguito. Questa è la vera nota dolente, perché sarebbe bastato davvero poco a rendere il tutto un po’ più intrigante e memorabile. A questa campagna se ne aggiunge una “mini”, un prequel che racconta la storia dei Marauder, popolo che ha deciso di rendersi indipendente dalla comunità marziana e che risulta interessante solo per il diverso equipaggiamento a disposizione.
A completare l’offerta interviene la massiccia dose di multiplayer, con sette modalità diverse e tutte all’insegna della distruzione. A dir la verità trovare una partita a disposizione non è facile, forse a dimostrazione del fatto che le vendite non stiano andando poi così bene.

Wolverine!

L’ambiente di gioco, suddiviso in sei settori, è teatro delle nostre battaglie e distruzioni. Tutto il gameplay fa perno sull’essere “caciaroni” e il passaggio alla terza persona (avvenuto appunto con Guerrilla) non fa altro che esaltare il tutto. Diversi sono gli incarichi che, una volta completati e raggiunto l’azzeramento delle forze EDF, permetteranno di conquistare l’intera zona e liberare quindi il popolo marziano dalla tirannia. Questo è in sostanza il da farsi, suddiviso tra incarichi primari e secondari abbastanza vari per natura ma tutti tendenti alla ripetitività: ogni settore, infatti, verrà liberato con quasi le stesse modalità e, salvo la parte finale, in cui accade qualcosa di realmente nuovo, tutto è all’insegna della “imperfezione di Matrix” (déja vù). Un minimo di varietà è regalato solo dagli incarichi principali, anche se inficiati da una cattiva e imprecisa gestione dei checkpoint che, a volte, vi costringerà a rifare un’intera missione da zero nonostante cambino alcune modalità d’azione. Gli incarichi secondari invece si suddividono in una manciata di missioni che vanno dalla guerriglia per conquistare determinati avamposti alla distruzione caotica senza fare domande. Capiterà inoltre di trovarci di fronte a incarichi random come la difesa dei rifugi o catturare dei traditori. Insomma, siamo di fronte a un titolo che propone tante ore di gioco ma anche divertimento se approcciato col giusto spirito. Ovviamente non poteva mancare il gunplay, arricchito da numerose bocche da fuoco e diversificate per natura e potenza. Rimanere a corto di munizioni non è difficile, per cui sarà importante raccogliere armi e proiettili dai nemici sconfitti. L’intelligenza artificiale è su livelli standard e fa specie pensare che dal 2009 sia cambiato poco su questo fronte: i nemici cercheranno di aggirarvi per mettervi in difficoltà mentre, i vostri compagni, non saranno che carne da macello. Mal che vada c’è sempre il nostro martello ad accompagnarci: come dei novelli Thor, potremmo colpire con brutalità i nostri avversari ma soprattutto distruggere interi edifici. La distruzione è dunque un punto cardine e può avvenire in diversi modi, sfruttando appunto il martello ma anche esplosivi, disgregatori e, perché no, auto.
Red Faction: Guerrilla è anche un open world e spostarsi da un luogo all’altro può divenire tedioso senza un mezzo a disposizione, tutti con un modello di guida basilare ma abbastanza diversificato. È possibile prendere possesso anche di mezzi EDF come enormi carri armati o Exo-Suit militari o da lavoro. Questi mezzi regalano forse i momenti migliori, scatenando un putiferio GTA-style in grado di regalare grosse soddisfazioni.
Per essere un titolo del 2009 dunque riesce a intrattenere, ma dal punto di vista strettamente ludico sente il peso degli anni, un po’ come nel comparto tecnico.

Rosso ruggine

Questa remastered ha apportato diversi miglioramenti ma, nonostante ciò, gli anni passati dall’uscita del titolo originale si sentono, eccome. Il gioco adesso supporta il 4K ma già a 1080p si notano tutti gli upgrade, a cominciare da un framerate molto stabile con texture più definite e un aumento dei poligoni su diversi elementi. Se a un primo colpo d’occhio le differenze posso risultare minori, basta guardare i dettagli per capire come l’impianto luci sia stato potenziato, restituendo ambienti più credibili e ombre più realistiche in tutte le condizioni, essendo presente anche un ciclo giorno-notte. È un peccato che dal punto di vista artistico non si sia fatto di più: nonostante la maggiore distanza dal Sole e due piccole lune (Phobos e Deimos), Marte sembra fin troppo simile alla Terra, ma rossa. Stessa questione si può aprire per la gravità (0,4 rispetto quella terrestre), elemento non considerato e forse troppo complesso da replicare. Va bene la terraformazione, ma la massa del pianeta rimane comunque invariata…
Tutto è comunque incorniciato da filtri migliori e soprattutto da un’occlusione ambientale più precisa che cambia visibilmente la visione degli interni. Ma la particolarità tecnica di Guerrilla risiede nel suo motore fisico, innovativo e capace di restituire ottimi feedback. Il GeoMod 2.0 garantisce la massima distruttibilità ambientale, non solo dei vari edifici ma anche di vetture, piccole strutture e oggetti.
Come si comprende, dunque, si tratta di una “rimasterizzazione”, e quindi di un miglioramento di tutti gli aspetti tecnici del titolo. Fa specie dunque poter osservare alcuni glitch e bug dovuti essenzialmente alla fisica ma anche all’intelligenza artificiale, per non parlare dell’eccessivo pop-up degli elementi in lontananza. Sono difetti che in questo processo pesano molto di più.
Concludiamo con il comparto sonoro, abbastanza nella media e purtroppo non implementato in questa versione. Il doppiaggio, completamente in italiano tranne l’episodio sui Marauder, risulta di buon livello, anche se si nota un certo riciclo di voci dei vari NPC. Le musiche invece spaziano dall’anonimo all’interessante, e in questo range c’è spazio anche per alcune chicche precedentemente accennate come temi epici che richiamano la grande Rivoluzione d’Ottobre, ma purtroppo l’audio rimane un aspetto poco sfruttato. Come detto, il paragone con la Rivoluzione Russa poteva elevare questo titolo rispetto alla mediocrità generale ma forse questo va rinviato a un futuro capitolo.

In conclusione

Riprendere dopo quasi dieci anni Red Faction: Guerrilla nella sua versione rimasterizzata è stata una buona occasione per accorgerci di quanto sia cambiato il mondo videoludico, non solo nell’aspetto tecnico ma anche nella gestione di alcune meccaniche o incarichi secondari e non. Nonostante questo però, Guerrilla rimane un titolo interessante per chi ama passare le ore a distruggere qualunque cosa venga in mente in attesa, forse, di un futuro capitolo alla quale THQ starà probabilmente pensando.

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.




Sunset Overdrive presto su PC?

In Corea, Sunset Overdrive è stato inserito nella Game Rating Board coreana, ovvero il sito che raccoglie le schede di tutti i giochi presenti sul mercato. Sembrerebbe cosa normale, dato che stiamo parlando di un  free roaming del 2014, ma la scheda conteneva un particolare che non è certo passato inosservato; si tratta infatti della versione PC. Che sia in arrivo sul mercato?
Meglio però ripassare visto che il titolo è uscito 4 anni fa, vi lasciamo al trailer della versione Xbox.




Dusty Rooms: Il retrogaming oggi: storia, prodotti, metodi ed etica

Precedentemente, in uno dei nostri speciali, abbiamo dato delle linee guida molto generali su come mettere su una collezione retrò, che sia di grandi o piccole dimensioni (quello dipende dal vostro portafoglio); sempre rimanendo in tema retrogaming, oggi vogliamo discutere un po’ della “storia del retrogaming moderno” e dei mezzi che vengono usati per godersi l’esperienza retrò, che siano legali, diffusi o, perlomeno, poco ortodossi. Non tutti disponiamo di grandi quantità di denaro né, tantomeno, spazio per custodire console, giochi e accessori e pertanto finiamo per utilizzare stratagemmi discutibili che talvolta risultano essere l’unico modo per giocare alcuni titoli (vedi Panzer Dragoon Saga). Come dobbiamo approcciare qualora ciò che ci interessa, in ambito di retrogaming, è al di fuori della nostra portata?

L’evoluzione della scena del retrogaming

Con l’arrivo della grafica 3D, più specificatamente con la quinta generazione di console (Sony PlayStation, Sega Saturn e Nintendo 64), il 2D, seppur non è mai stato abbandonato, ha perso il suo smalto e ha assunto uno status di “poco rilevante”; per quanto Castlevania: Symphony of the Night, Tombi, Mischief Makers o Silhouette Mirage fossero dei giochi spettacolari erano sempre eclissati, nelle riviste, nel primordiale internet o semplicemente nelle chiacchiere fra gli appassionati, da più grossi titoli come Metal Gear Solid, Final Fantasy VII o The Legend of Zelda: Ocarina of Time. Con l’avvento della sesta generazione il 3D raggiunse livelli eccellenti e i generi più classici sulla quale si fondarono le precedenti generazioni, quelli più collegati al 2D, vennero totalmente trascurati, divenendo quasi esclusiva delle console portatili; sono stati pochissimi – se ci fate caso – i titoli platform sidescroller su console di quell’epoca e quelli che uscirono, come Mega Man: Network Transmission o Contra: Shattered Soldier, passarono totalmente inosservati nonostante l’interessantissimo gameplay. Insieme ai platform, ovviamente, erano in crisi anche gli shoot ‘em up, le avventure grafiche, il cui disinteresse distolse totalmente la Lucasarts dal suo genere di punta (vi consigliamo, per tanto, di dare un’occhiata al nostro speciale sulle avventure grafiche), i beat ‘em up classici, eclissati dai più moderni hack and slash, etc… Tuttavia, nel 2006 avvenne una rivoluzione che, in retrospettiva, è stato uno dei motivi per cui il retrogaming (e di conseguenza anche la scena indie più tardi) è divenuto così popolare: stiamo parlando proprio della Virtual Console, servizio online lanciato insieme al Nintendo Wii: per la prima volta, dopo tanti anni, non solo un infinità di titoli per NES, SNES, Nintendo 64, Sega Master System, Mega Drive, Commodore 64 e molti altri tornavano disponibili in formato digitale ma si trovavano di nuovo sotto ai riflettori. I titoli retrò si rivelarono un successo e il servizio (che sfortunatamente terminerà definitivamente il 31 Gennaio 2019) diede voce ai moltissimi giocatori intenti sia a giocare ai titoli del passato e sia a quelli desiderosi di un gameplay più classico; il “ritorno dei pixel”, per ciò che riguarda i giochi moderni, fu sancito, infatti, definitivamente da Mega Man 9, rilasciato nel 2008 più o meno per tutti gli store digitali per console, e da allora sempre più developer fecero volentieri un “passo indietro” con risultati sempre positivi.
La “retromania” cominciò e oggi, sia per quanto riguarda le vecchie release che i giochi moderni in salsa vintage, stiamo godendo del suo massimo splendore; giocare ai titoli del passato ormai è una vera passeggiata e in ogni parte, che sia in uno store digitale o un semplice negozio di elettronica, troviamo sempre qualcosa per placare la nostra fame di retrogaming. Per prima cosa, per le console attuali e pc, si possono trovare tanti di titoli del passato, sottoforma di remastered o in formato originale (sugli store digitali), ma oggi si trovano soluzioni più convenienti nelle collection, con contenuti spesso migliorati per le TV di oggi e tanti extra: Mega Man Legacy Collection I & II, Rare Replay, e le imminenti Street Fighter 30th Anniversary Collection e Shenmue I & II sono solo alcuni dei bundle per riscoprire questi titoli che hanno fatto la storia del gaming. Se invece desiderate un’esperienza un po’ più vicina a quella originale sfruttando i joypad originali e le tv attuali (sfoggiando anche un po’ di sfarzosità) allora ci sono le mini console: NES e SNES Classic Mini vi offriranno, rispettivamente, ben 30 e 21 giochi, tutti in qualità HD e con componenti di qualità, il Sega Mega Drive Flashback di AT Games che, nonostante non raggiunga la qualità Nintendo in termini di hardware, vi darà una buona base di 85 giochi e la possibilità di utilizzare le cartucce e i controller originali, l’Atari Flashback 8 Gold, sempre di AT Games, con ben 120 giochi e caratteristiche simili alle console precedentemente citate, il prossimo Neo Geo Mini (annunciato ufficialmente da SNK) dalla forma di un cabinato con schermo, joystick arcade e casse integrate. La lista andrebbe avanti ancora per molto ma per ora vogliamo soffermarci solo, diciamo, ai canali e alle soluzioni “pubblicizzate”.

Prima di chiudere questo capitolo, però, non dobbiamo dimenticarci di altri grossi fattori culturali che hanno permesso la riscoperta delle vecchie console: stiamo parlando dei siti internet dedicati come Screwattack, Retroware, Classic Game Room (il cui show partì già nel 1999) e delle personalità a esse collegate, che diventarono parallelamente star del primordiale YouTube, come James Rolfe (ovvero l’Angry Video Game Nerd), Patrick Contri (Pat the Nes Punk), Chris Bores (Irate Gamer, oggi Chris Neo), Projared, Angry Joe, Mark Bussler e molti altri. In un epoca in cui si guardava al futuro, le arcade si svuotavano in favore del gioco online e la risoluzione HD diventava obbligatoria per il gaming queste persone rispolveravano le loro vecchie console, rievocando, anche con un po’ di rabbia, i loro ricordi a essi connessi e rivendicando un passato più semplice fatto prima di esperienze, di giochi comprati giudicando dalla copertina e da qualche debole descrizione sulla scatola o su qualche rivista, di chiacchiere a scuola e poi di tecnologia; i loro buffi show ebbero, per l’epoca, un grossissimo riscontro poiché per molti fu motivo di condivisione, un “tornare bambini” dopo una giornata di duro lavoro, magari trovare recensito quel gioco che si possedeva tanto tempo fa e non sentirsi l’unico a “rimanere bloccato in quel punto”. È impossibile non dare a YouTube, alle piattaforme indipendenti citate (nonché al succeso di Facebook e i gruppi di retrogaming ad esso collegati) buona parte del merito per l’esplosione del retrogaming.

Le terze parti, l’emulazione, le Everdrive e le modifiche

La retromania su internet spinse sempre più persone ad andare su eBay e cominciare a mettere su la propria collezione; ma come la retromania diventava sempre più popolare anche i prezzi su eBay crescevano di conseguenza e perciò cominciarono ad apparire le prime alternative agli hardware originali e persino ai giochi troppo rari sotto forma di reproduction cartdrige; alcune compagnie, come Hyperkin e Retro-Bit, sono sorte proprio per colmare molte delle esigenze relative al retrogaming, fornendo ai giocatori cavi e joypad di qualità, accessori di ogni tipo e anche console in grado di leggere cartucce di più sistemi, come appunto il Retron-5 o il Super RetroTRIO. In molti, soprattutto i puristi, non sono grandi estimatori di questi nuovi sistemi poiché, per via dell’emulazione, sono spesso presenti alcuni problemi minori per ciò che riguarda la risoluzione (nonostante molte abbiano l’uscita HDMI) e il sonoro. Gli hardware interni, poiché gli originali sono spesso difficili da riprodurre, sfruttano dei sistemi operativi proprietari e spesso questi copiano l’immagine della cartuccia inserita e li emulano nei propri sistemi.

L’emulazione, soprattutto su PC, è stata per molti anni l’alternativa per non comprare dei sistemi obsoleti su eBay e, per un certo verso, non è stato eticamente troppo sbagliato; fino a quando, con gli store online delle console e PC, i singoli giochi non sono stati resi di nuovo disponibili per la vendita, essa ha permesso la sopravvivenza di questi sistemi e questi giochi per gli appassionati e, senza di loro, oggi probabilmente non avremmo avuto cose come la Virtual Console, le mini console o il neo-annunciato catalogo online di giochi NES per Switch. In alcuni casi l’emulazione, e tutta la hacking scene a essa collegata, hanno permesso la sopravvivenza di alcuni titoli che altrimenti sarebbero andati persi per sempre: ne sono un esempio i titoli per l’esclusivo add-on giapponese Satellaview per il Super Famicom, dalla quale era possibile giocare via streaming a Radical Dreamers, una side-story di Chrono Trigger, BS Legend of Zelda e il suo sequel Ancient Stone Tablets, o l’intera scena arcade prima dell’arrivo dei titoli per Xbox Live Arcade; grazie al MAME, emulatore creato dall’italiano Nicola Salmoria, è stato possibile salvaguardare le schede che contenevano i giochi arcade e renderli disponibili fino all’arrivo dei canali ufficiali, tanto è vero che non è mai stato avviato alcun processo per violazione per copyright per i creatori del MAME. Ma se ad alcuni basta giocare su computer con una tastiera ai giochi più classici, ad altri questo non basta e allora si ricercano metodi per poter avere una riproduzione più fedele possibile senza dover spendere un capitale.

(Il Nesticle fu il primo emulatore gratuito NES mai concepito per PC. Uscito nel 1997 girava su Windows 95 e Dos)

Una delle soluzioni meno invasive e che negli ultimi anni hanno preso piede, soprattutto per le console pre-compact disk, sono le sempre più popolari Everdrive. Questi dispositivi, similarmente alle notissime R4 per Nintendo DS e 3DS, non sono altro che cartucce, modellate per ogni singola console vintage, con uno slot per le schede SD da dove è possibile inserire le rom scaricate da internet. È vero che gli store online di console e PC offrono molti dei giochi che potrebbero essere giocati legalmente ma questo è, tuttavia, un metodo per risalire alla fonte e dunque poter giocare con la risoluzione originale (ammesso e concesso che avete un televisore CRT), i joypad originali e, soprattutto, la console originale. Le Everdrive, tuttavia, sono un ottimo metodo per giocare in un insolito modo “originale” ai giochi hack (delle versioni di un gioco modificato dai fan) e con le rom di quei titoli mai usciti al di fuori del Giappone tradotti dai fan; è importante, in ogni caso, sapere che non tutti i giochi sono compatibili con le Everdrive in quanto, alcune volte, le cartucce originali includevano dei chip aggiuntivi per una migliore resa dell’esperienza (come il chip FX incluso in Star Fox o il chip SA-1 incluso in Kirby’s Fun Pack) e perciò, non potendo emulare questi pezzi di hardware, è bene conoscere quali titoli, specificatamente, non funzionano in questi curiosi dispositivi.
Esistono tuttavia, come si sa, altri metodi per rendere l’esperienza di gioco sempre più conveniente e non sempre sono molto etici: stiamo parlando ovviamente delle modifiche interne che, a differenza di quel che si possa pensare, possono servire a diversi scopi. Le console mod sono esistite sin dall’alba dei tempi e queste sono servite per motivi più o meno leciti: il taglio del quarto piedino del chip 10NES del NES europeo per permettere la lettura di tutti i giochi PAL (poiché nel continente c’erano due diverse codifiche a seconda della zona: PAL-A e PAL-B), la rimozione di due pezzettini di plastica all’interno dello slot delle cartucce dello SNES americano per renderlo, praticamente, compatibile coi giochi giapponesi, l’over clocking del Sega Mega Drive/Genesis per poter cambiare, con un interruttore, la codifica del video ma le più comuni sono quelle per leggere i backup nelle console che leggono i compact disk. Nonostante la lettura dei backup può rivelarsi un ottimo metodo per accedere all’intera libreria di giochi per console obsolete (dunque non più supportate) come Sony PlayStation, Sega Saturn e PlayStation 2, noi ve le sconsigliamo vivamente al di là dell’etica perché il dover toccare con mano i componenti potrebbe comunque danneggiare, talvolta irreversibilmente, le vostre console. Per tanto noi non contempliamo nulla di tutto ciò e, per quel che riguarda le console come queste, comprate sempre giochi originali o, se esistono, applicate una modifica software che sia facilmente applicabile e reversibile.

Qual è il nostro parere sulla “retro-etica”? Come già ribadito, viviamo in un epoca di riscoperta (potremmo addirittura chiamarlo rinascimento videoludico) e pertanto è facilissimo trovare i videogiochi retrò che ci interessano, che siano sotto forma di software digitali negli store di console e pc, all’interno di collezioni o incluse nelle spettacolari retroconsole che stanno spopolando fra gli appassionati; dall’altra parte, per ciò che riguarda il possedere gli hardware originali o dei cloni moderni con feature più vicine ai TV set moderni (come l’Analogue NT o l’AVS di Retro USB), esiste una scena attivissima sempre in evoluzione in grado mantenere vivi i vostri vecchi sistemi. Il nostro consiglio è semplicemente quello di scegliere le strade più etiche e corrette e dunque, che ci sia una grande compagnia come Nintendo o Hyperkin dietro a qualche progetto di retrogaming, sempre finanziarle e comprare tutto in maniera ufficiale, non solo per supportarle ma tanto più per far sentire la nostra voce da retrogamer e far capire che la scena a essa legata rimanga in totale attività. Lo stesso vale per le console moderne e ricordate sempre che la pirateria è un reato e pertanto comprate sempre tutto in maniera ufficiale per voi e per chi per anni ha lavorato allo sviluppo di un gioco e dunque a dissociare da ogni tipo di metodo illecito.




Dark Souls e la cultura del contesto

Se avete giocato almeno una volta a Dark Souls, fiore all’occhiello della nipponica From Software, sarete sicuramente scesi a patti (come del resto accade con le Fazioni all’interno del gioco) con la sua controversa e dibattuta “non narrazione” o lore (della quale trovate una disamina in questo corposo speciale) che di fatto costituisce una grossa fetta di quella fortuna che lo ha reso capostipite di un vero e proprio sottogenere di giochi di ruolo, quello dei soulslike.
Oltre che a reinterpretare la difficoltà dei tempi passati con un gameplay tanto punitivo quanto gratificante, Dark Souls fa della libera interpretazione il più grande punto di forza, perché è proprio attraverso le speculazioni che la community arricchisce l’esperienza di gioco, donandogli una linfa vitale che si rinnova a ogni discussione.
È però il gioco stesso a richiedere cooperazione da parte del suo interlocutore (inteso come “giocatore”) e su questa impernia il suo significato più profondo. Tutto ciò, in maniera consapevole o meno, può essere relazionato alla cultura d’origine dell’opera ed è quello su cui ci concentreremo qui di seguito.

Analizzandone il linguaggio, possiamo considerare quella nipponica come una High Context Culture (HCC), ovvero quel tipo di cultura basata più sul senso complessivo di una frase che sul significato della singola parola che la compone. Nella lingua giapponese non esiste differenziazione tra maschile e femminile, singolare e plurale; inoltre, i verbi sono coniugati in maniera uguale per tutte le persone ed esistono soltanto due tempi verbali: il “passato” e il “non passato”, il quale racchiude in sé presente e futuro. Tutto ciò evidenzia come il sistema linguistico valorizzi il contesto come chiave di lettura per la comprensione. Tornando a Dark Souls, riuscite a immaginare quanto la lingua di partenza possa creare un allontanamento dalla nostra attuale capacità di interpretazione? Se avete provato un forte senso di alienazione giocando, sì; e se ne siete stati affascinati al punto da sentire il bisogno fisiologico di approfondire, be’, gioite, siete i giocatori perfetti per Dark Souls.
L’appartenenza a una HCC coinvolge in maniera incisiva, oltre che la lingua, anche la sfera personale, influenzando le tradizioni, il linguaggio non verbale e la stessa percezione del tempo. Generalmente, infatti, gli occidentali tendono a vedere il tempo proiettato verso il futuro, in maniera lineare, mentre nella cultura orientale la ciclicità sta alla base di tutto. Chiusa una stagione se ne aprirà una nuova, come in cerchio, esattamente come avviene per le varie ere che compongono la (apparentemente) distorta linea temporale dei vari Souls.
Tornando al linguaggio in relazione alla HCC, i gesti rappresentano, nel gioco di Miyazaki, l’unico strumento di comunicazione tra i giocatori, che interfacciandosi sono riusciti in senso lato a coniare parole nuove e locuzioni, riutilizzate usualmente all’interno della community («Loda il Sole» vi dice qualcosa?); inoltre, si è venuta a creare una forma autentica di galateo (inchinarsi dinnanzi a un nuovo giocatore, soprattutto se ostile, rappresenta sempre il primo passo per ottenere un “leale scambio di opinioni”). Tutto ciò rispecchia in pieno l’idea di tradizione di origine, pur rappresentando di fatto un’innovazione all’interno del mondo del gaming.

Ma Dark Souls è unico nel suo genere?
Solo in parte, perché sono tantissimi i giochi che richiedono una cooperazione simile da parte dell’interlocutore-giocatore. Basti pensare ai giochi del Team Ico, come The Last Guardian e Shadow Of The Colossus (tornato da poco sugli scaffali in veste rimodernata) o più semplicemente all’idraulico più famoso di tutti i tempi: Super Mario.
Quindi tutti i giochi provenienti da una HCC necessitano di interpretazione?
Come in ogni opera (dal cinema alla musica), pensare al contesto sociopolitico e culturale di partenza aiuta a comprendere più a fondo i significati più o meno espliciti, ma la risposta, anche in questo caso, è un parzialissimo “no”. Le eccezioni sono tante in numero proporzionale a quanti sono i giochi appartenenti alla regola. La saga di Resident Evil, ad esempio, meriterebbe un’analisi approfondita, ma in linea di massima riesce bene nell’intento di raccontarsi, probabilmente perché nel tempo ha subito una più profonda influenza da parte del mondo occidentale.

Viviamo in un melting pot di culture, e in questa sede è impossibile non citare giochi non narrati e ad alto contesto di provenienza europea, come lo struggente quanto nostrano Last Day of June, sviluppato da Ovosonico; Inside dei danesi Playdead (dei quali si potrebbe citare anche Limbo); infine anche Little Nightmares degli svedesi Tarsier Studios, come gli stessi Souls distribuiti da Bandai Namco.
Va da sé che questa è solo la punta dell’iceberg: a ragion veduta si potrebbero analizzare miriadi di realtà differenti, soprattutto in un momento così florido per il mercato degli indie game, che spesso fanno del linguaggio visivo una forma d’arte. Puntualizzato che questo articolo voleva soltanto fornire degli spunti di riflessione, rimaniamo al vostro fianco in attesa dell’uscita di Dark Souls Remastered, il 25 maggio su PC, Playstation 4, Xbox One e Switch.

Gaetano Cappello

Carmen Santaniello




Il valore delle remastered

Il retrogaming fa parte delle nostre vite da diversi decenni, spesso trainati da un forte fattore nostalgico, come recentemente dimostrato dalle classifiche inglesi, dominate dalla rimasterizzazione di Shadow of the Colossus, titolo uscito su Playstation 2 ben 13 anni fa e dalla remastered di Crash Bandicoot. Contando anche il nuovo status di culto raggiunto da Rez Infinite e dalle pazzesche vendite di NES e SNES Mini, stiamo assistendo non a un nuovo boom dominato dalla nostalgia, ma a un cambio di percezione verso il retrogaming.

I tempi sono cambiati da quando bastava mettere una rom del Super Nintendo in un emulatore per iOS, cosa che veniva vista come un metodo facile per guadagnare soldi. Adesso titoli come il succitato Shadow of the Colossus vengono riconosciuti come pietre miliari dell’epoca, e sono in grado di competere commercialmente con le nuove IP. Tutto questo segna un deciso cambio di rotta nell’industria videoludica: dapprima si cercava sempre di puntare sulle novità escludendo tutto il resto, mentre adesso, grazie anche all’aiuto degli store digitali, è più difficile vedere dei titoli del passato sparire completamente dalla circolazione.
C’è anche un forte fattore demografico nel successo delle rimasterizzazioni: nel precedente retro-boom si puntava più ai titoli a 8 e 16 bit. Oggigiorno, invece, si punta più ai titoli dell’era Playstation 2, (e, in misura minore, della prima era Playstation ), generazione che ha segnato la grande esplosione del mercato videoludico, con giochi dal grande successo commerciale.

Stiamo vivendo un cambiamento epocale dell’industria videoludica, dove i videogiochi del passato vengono percepiti come capolavori culturali: il successo commerciale di Shadow of the Colossus dimostra che il gioco viene comprato non solamente dai nostalgici dei tempi che furono, ma da chi vuole provare con mano un gioco fantastico. Esattamente come si usa fare nel cinema, con la riedizione in blu-ray di un Blade Runner o uno Star Wars.




Annunciata la Remastered di Dark Souls

A un anno di distanza dall’uscita di Switch, Nintendo ha pubblicato sul proprio sito l’ultimo Nintendo Direct Mini dove, fra i vari titoli annunciati per il 2018, è stata annunciata la Dark Souls Remastered.

Dark Souls arriverà anche per PC, PS4, e Xbox e uscirà il 25 maggio 2018. Un cambiamento di cui siamo certi è che il multiplayer sarà espanso per supportare sei giocatori simultanei, il che ha senso se l’obiettivo è quello di far funzionare il sistema di alleanze dei Dark Souls un po’ più agevolmente. Le principali migliorie saranno svariati SFX, basati su quelli di Dark Souls 3, e il comparto luci rinnovato.

Una fonte abbastanza attendibile, come riporta anche Kotaku Uk, conferma anche che Bandai Namco ha tutta l’intenzione di portare l’intera trilogia su Switch.




Playstation Experience 2017: torna anche Medievil

La PlayStation Experience di Sony è piena di novità e trailer riguardanti gli ultimi giochi in uscita, che includono MediEvil Remastered, God Of War, Soul Calibur VI, Death Stranding e altri. Sono stati annunciati due giochi nuovi da aggiungere al repertorio della Ps4: Firewall Zero Hour, uno sparatutto in VR, e MediEvil Remastered. È stato annunciato che quest’ultimo girerà in 4K su Ps4. Riguardo i giochi già annunciati, si hanno delle novità. Questo è il caso di Death Stranding, il cui trailer sembra avere senso solo dopo 4-5 ore di gioco.
Detroit: Become Human è stato giocato in live al PSX 2017 e i presenti hanno potuto assistere al gameplay. Il catalogo di giochi per VR si sta espandendo piano piano, aggiungendo adesso The Last Guardian, che avrà un adattamento per VR, e Wipeout, che avrà degli upgrade al VR. È stata mostrata una piccola curiosità riguardante God Of Wars. Lo sviluppatore dell’omonimo gioco, infatti, ha annunciato che ci vorranno dalle 25 alle 35 ore di gioco per poterlo completare. Riguardo Soul Calibur VI, invece, è stato mostrato un trailer dove si vede il combattimento tra due personaggi, Mìtsurugi e Sophìtìa. Da ciò che c’è scritto nel trailer, il gioco dovrebbe uscire nel 2018 per piattaforme Sony, Microsoft e su Steam.

Il nuovo trailer di Death Stranding:

Il gameplay di Detroid: Become Human giocato in live al PSX 2017:

Il trailer mostrato con l’annuncio di MediEvil Remastered per Ps4:

Il nuovo trailer di Soul Calibur VI:




Demon's Souls

Sony si prepara a (ri)annunciare Demon’s Souls?

ENB, guru a capo della community mondiale di Dark Souls che ha cominciato la propria carriera su Youtube trasmettendo i propri gameplay su Demon’s Souls ai tempi della sua prima uscita in Giappone nel 2009 e al quale successivamente sono anche stati affidati compiti ufficiali quali la stesura della guida strategica del secondo capitolo della più famosa saga di From Software, ha rilasciato – durante la notte – un breve video su Youtube nel quale esprime il suo personale parere sulla probabile uscita di una remastered di Demon’s Souls. A dar forza alle sue congetture gli annunci ufficiali susseguitisi durante la giornata di ieri da parte prima di Sony Japan e successivamente di Bandai e Atlus – che gestiscono rispettivamente i server europei e nord americani del gioco – sull’imminente shut down delle modalità multiplayer, che dovrebbe avvenire in contemporanea mondiale il 28 febbraio 2018. Marcus ha pertanto supposto, nella sua personale speculazione, che proprio questa coincidenza di date insieme al fatto che la chiusura dell’anno fiscale per la software house giapponese avverrà proprio durante quel periodo, rappresenterebbero il momento più propizio per annunciare il nuovo titolo, considerato anche che gli eventuali preorder verrebbero calcolati nell’anno fiscale giovando al bilancio corrente. A ciò si aggiungono un misterioso annuncio di Bandai, la Playstation Experience 2017 ormai alle porte e il fatto che non abbiamo notizie di From Software ormai da un bel pezzo.




Sony registra il marchio di Shadow of the Colossus

Da poche ore un rumor sta girando per il web e pare che Sony abbia registrato, poche ore prima della sua conferenza, alcuni marchi molto famosi, cioè: Shadow of the Colossus, Bravo Team, Frantics e The Inpatient Knowledge is PowerKnowledge is Power.
Che Sony non stia preparando qualcosa di grande per questo E3? Potrebbe rilasciare una remastered o un nuovo titolo? Lo sapremo solamente questa notte, durante la sua conferenza all’E3.
Noi la seguiremo su YouTube insieme a quella Ubisoft. Stay tuned.




Phantom Dust Remastered

Phantom box

Nato nel 2004 dalla mente di Yukio Futatsugi (ideatore della serie Panzer Dragoon), Phantom Dust fu una perla nascosta della prima Xbox, console che, appena entrata sul mercato, non riuscì a opporsi allo strapotere di Playstation 2, nonostante svariate esclusive di spessore (Ninja gaiden, Halo, Fable, per citarne alcune) e una potenza oggettivamente superiore.
Il gioco non fu esattamente un successo commerciale, tanto da non essere pubblicato in Europa, e per gli occidentali è disponibile solamente in lingua inglese.

Brutto ma buono

A una prima impressione, osservando dal punto di vista grafico Phantom Dust non ci si fa un’idea positiva: il gioco non è invecchiato bene, le textures sono in bassa risoluzione, le animazioni legnose; insomma, a parte la risoluzione, il frame rate (quasi sempre fisso sui 30 fps) e l’adattamento agli schermi wide screen, il gioco è esattamente identico all’originale del 2004.
Non facendoci condizionare dalle prime impressioni possiamo però renderci conto che abbiamo a che fare con un gioco dalla trama interessante e dal gameplay originale e profondo.

Storia

Phantom Dust è ambientato in un futuro post apocalittico in cui la superficie esterna della Terra è pervasa da una misteriosa polvere che causa la perdita della memoria a chiunque ne sia esposto per un certo lasso di tempo.
Gli esseri umani sono costretti quindi ad abitare nel sottosuolo e fanno affidamento su un ristretto gruppo di persone che manifestano poteri “esper” con i quali sono in grado di manipolare la polvere e utilizzarla a proprio vantaggio.
Gli esper (così vengono metonimicamente chiamate le persone dotate degli stessi poteri) vanno spesso in missioni di esplorazione per trovare reliquie del passato chiamate “Ruins” con la speranza di riuscire a trovare la causa e la ragione di questa polvere misteriosa della cui origine l’umanità ha perso totalmente i ricordi.
Noi controlleremo un esper senza nome, trovato dentro un sarcofago insieme a un altro suo simile che dice di chiamarsi Edgar: i due si uniranno a un gruppo di persone chiamato “Vision” e verranno coinvolti in missioni nel mondo esterno per trovare le già citate Ruins.

Gameplay

Il gioco è un misto tra un trading card game e un pvp arena game, non c’è nessun gioco – almeno fra quelli che conosco – che si avvicini anche lontanamente a unire due generi così distanti tra loro e questo è un pregio non da poco.
Prima di affrontare le missioni bisogna creare il proprio arsenale (paragonabile a un mazzo da gioco): le abilità in esso contenute verranno generate poco alla volta nell’arena di combattimento, e noi potremo usarne soltanto 4 alla volta. É possibile sovrascrivere un’abilità con un’altra più utile ma quella sovrascritta verrà persa per tutto il match, e starà al giocatore scegliere quali abilità mettere nell’arsenale e quali usare nel campo di battaglia (tranne nelle fasi iniziali in cui le abilità sono predefinite).
Possiamo avere più di un arsenale, da scegliere a seconda della missione o dell’avversario che dovremo combattere in multiplayer, composto da 30 slots nei quali possiamo inserire abilità di diverse scuole, nel dettaglio: Psycho, Optical, Ki, Nature, Faith. A loro volta le abilità possono essere di diversi colori: rosso (attacco), blu(difesa), verde (cambiamenti di stato), viola (annullamento abilità nemica), giallo (abilità speciali), bianco (particella aura).
Nella campagna single player, quando non affrontiamo delle missioni, possiamo esplorare l’accampamento sotterraneo dei Visions, visitare varie locations e parlare con diversi personaggi che ci daranno consigli, ci assegneranno delle missioni o ci permetteranno di acquistare abilità da inserire nell’arsenale (per chi non voglia affrontare la campagna single player è possibile acquistare le abilità tramite microtransazioni).
Nonostante il valido gameplay, il gioco tenderà a stancare a lungo andare: le ambientazioni tendono a ripetersi e le missioni sono troppo simili tra loro, allungando eccessivamente il brodo. A mio avviso si sarebbe potuto accorciare di almeno un terzo la campagna, la quale dovrebbe essere principalmente un tutorial per il multiplayer.

Conclusioni

Microsoft ci ha fatto un bel regalo (ricordiamo che il gioco è gratis per tutti i possessori di Xbox One e PC con Windows 10) permettendoci di scoprire questo gioco che può offrire una lunga campagna single player e una modalità multiplayer che ci permetterà di sfidare amici in locale o altri utenti di Xbox live.
Nonostante i succitati difetti, il gioco è un passo nella direzione giusta per Microsoft, e nel panorama videoludico rappresenta un titolo certamente unico nel suo genere, a cui raramente se ne potrà accostare un altro per similarità.