Governala perché è tropicana, ye

Sole, mare, le orribili hit musicali della stagione sparate a volumi siderali dagli stabilimenti balneari… questa è l’estate. Lo avete capito, non sono esattamente un suo fan, anzi. I mesi tra giugno e agosto portano troppo caldo per permetterci di dedicare anima e corpo al nostro hobby preferito, eppure, per quanto possa sembrare strano, l’estate ha portato con sé alcune delle mie sessioni videoludiche preferite: impossibile non pensare ai tornei casalinghi con amici fatti su Virtua Striker 2 su Sega Dreamcast, in barba ai gettoni da acquistare nelle sale giochi locali. O quando, anno domini 2004, mi innamorai del puroresu (il wrestling giapponese) dopo ore di match e tornei simulati su Giant Gram 2000, sempre uscito su Dreamcast. Ma questa è una storia diversa. Qui vi racconto come e perché sono diventato un fan dei videogame gestionali, genere che tutt’oggi prediligo. Questa è la storia di Tropico: Paradise Island, primo in ordine d’uscita della saga di PopTop Software prima e Kalypso Media poi, che vedrà il sesto capitolo in uscita quest’anno.

Ma facciamo un passo indietro: non era la prima volta che cadevo nel tunnel dei gestionali. Avevo già alle spalle ore e ore passate sulle demo di Railroad Tycoon 2 (il primo titolo PopTop!) e su Rollercoaster Tycoon: mi piaceva l’idea di poter costruire dei tratti ferroviari o parchi di divertimento, era il giusto relax al termine di un pomeriggio di mare. Nel 2002 arrivò un’altra demo, quella che mi cambiò la vita, sempre a cura di quella PopTop che mi aveva stregato con Railroad Tycoon 2: il primo Tropico era tra le mie mani, e in esse risiedeva adesso il destino di centinaia di abitanti di una piccola isoletta del pacifico.
Tropico: Paradise Island è un gioco incredibile, a 16 anni dalla sua uscita lo considero  ancora il migliore della saga… Tropico 6 permettendo. Le possibilità di gameplay sono letteralmente infinite: possiamo scegliere se essere un buon Presidente, cercando di ascoltare i bisogni del nostro popolo, oppure fregarcene altamente e instaurare un bel regime dittatoriale, con tanto di elezioni truccate (!!!), noncuranti del pericolo di subire una rivolta da un momento all’altro. Io, essendo buono d’animo, tendevo sempre alla prima opzione, cercavo in tutti i modi di aiutare i miei tropicani: un buon tetto sopra la testa, un lavoro ben pagato e la giusta attenzione da dedicare a ogni gruppo politico dell’isola. Sì, perché in Tropico era praticamente quotidiano lo scontro con i comunisti che chiedevano case migliori e lavori ben retribuiti, con gli ambientalisti che protestavano contro la deforestazione, con i capitalisti che d’altro canto volevano si puntasse tutto su turismo e industrializzazione, con i militari che si lamentavano in caso di armate esigue, e con i religiosi che reclamavano più chiese e leggi meno “peccaminose”. Già, le leggi. In Tropico ci sono anche quelle. E anch’esse rappresentano un casino diplomatico. Perché, mettiamo caso, se l’alleanza e una base militare nell’isola da parte degli Stati Uniti accontenta i capitalisti, vedrà scontenti i comunisti,con risultati opposti nel caso decidessimo di diventare amici dell’Unione Sovietica. Il gioco è ambientato nel pieno della Guerra Fredda, e il parallelismo con la Cuba castrista è ovviamente esplicito, e Fidel Castro è a pieno diritto uno degli “avatar” selezionabili nel gioco completo, insieme ad altri personaggi come Evita Peron o Lou Bega (sì, proprio l’autore di Mambo N°5), tutti con bonus e malus storicamente precisi.

Ciò che porto nel cuore di Tropico non è soltanto l’immenso e strutturato gameplay, ma soprattutto la colonna sonora a cura di Daniel Indart: premetto di non essere un grande fan della musica latino americana, anzi, proprio la detesto. Ma la soundtrack di Tropico è perfetta sotto ogni punto di vista, un tripudio di son cubano sullo stile del leggendario Compay Segundo e del Buena Vista Social Club. D’altronde, l’omonimo documentario di Wim Wenders era uscito solamente tre anni prima del gioco, e la sua influenza a livello popolare si faceva ancora sentire. Che ci crediate o no, non riuscivo a staccarmi dal PC anche per questa ragione: non solo era intrigante vedere lo sviluppo del proprio isolotto pacifico anno dopo anno, ma tutto era coadiuvato da una colonna sonora che, ancora oggi, reputo tra le migliori nella storia dei videogiochi.

Credo di aver passato mesi e mesi dietro alla demo di Tropico: Paradise Island, e non nascondo che ancora oggi mi viene voglia di tornarci, nonostante i capitoli recenti siano più al passo con i tempi. Sarà per una sfida più appassionante, sarà per la musica, o sarà semplicemente uno spleen adolescenziale. O forse perché vi dedicai così tanto tempo da arrivare a sentire in testa le frasi del mio consigliere anche quando uscivo la sera. Probabilmente è per quest’ultimo motivo:
«Presidente, la sua gente sta morendo di fame, ci serve subito del cibo!»