Cosa Stiamo Giocando!? (09/04/2020)

In questa rubrica dedichiamo tempo a cosa stiamo giocando in questi giorni, discutendo di titoli freschi di stampa o con qualche mese alle spalle.
In questa puntata:
Astral Chain
Shadow of the Colossus (PlayStation 4); 
Final Fantasy XV (Windows Edition); 
Tutto questo in compagnia di Marcello Ribuffo, Gero Micciché e Andrea Rizzo Pinna.
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Hi, my name is… Hideki Kamiya

Dopo una breve pausa, riprende la nostra consueta rubrica sulle più importanti personalità del mondo del Game Design. In occasione dell’uscita del quinto capitolo della saga action più apprezzata degli ultimi anni, Devil May Cry 5, ci occupiamo della mente che ha dato i natali alle avventure di Dante: Hideki Kamiya. Classe 1970, Kamiya ha avuto l’arduo onere di provocare un violento scossone all’interno del genere d’azione in terza persona, da anni ormai stagnante nelle sue vecchie meccaniche logore e non al passo con i tempi. Facciamo però qualche passo indietro.
Kamiya inizia la sua gavetta in casa SEGA e successivamente passa alla Namco ma, nonostante una buona partenza nel settore, il nostro Hideki non si sente pienamente realizzato, costretto dalle case produttrici a lavorare come semplice artista senza alcuno spazio nelle scelte di game design. Decide così di migrare verso altri lidi di sviluppo, riuscendo a ricoprire il ruolo di designer in Capcom nel 1994. Il suo primo incarico con la casa di Osaka comporta una notevole dose di responsabilità sulle spalle di Kamiya, il quale si ritrova a dover portare avanti una saga che si preannunciava iconica già fin dal primo titolo: il designer viene affiancato al maestro Shinji Mikami nella lavorazione di Resident Evil 2, sequel dell’apprezzatissimo capostipite, ricoprendo il delicato ruolo di director.
Il nuovo capitolo della saga horror di Capcom doveva rivoluzionare le meccaniche alla base del precedente capitolo ed espandere l’universo di gioco, pur rimanendo fedele a se stesso. Mikami in prima persona era stato messo al comando dello sviluppo ma i vertici di Osaka non rimasero soddisfatti del lavoro compiuto, motivo per cui il team venne affidato al giovane Kamiya alla sua prima esperienza come direttore. Il prototipo di Mikami, lo storico Resident Evil 1.5, viene messo da parte dal nuovo team di sviluppo e il progetto prende una piega completamente diversa. Viene rivisto il gameplay, rendendolo più dinamico rispetto al primo episodio, viene stravolto l’impianto scenografico conferendogli un respiro hollywoodiano e ampliato enormemente il numero di nemici su schermo superando il limite di 7 zombie per schermata, aspetto che mette a dura prova le capacità tecniche della prima PlayStation. Vengono introdotti nuovi personaggi per dare continuità ai fatti raccontati nel primo capitolo, grazie all’apporto in sceneggiatura di Noboru Sugimura e per la prima volta fanno la comparsa i temibili Licker , divenuti presto le icone di Resident Evil 2.
Il gioco è apprezzato dai capoccia di Capcom e anche in termini di vendite e critica viene accolto positivamente, stabilendo numeri che permisero al lavoro di Kamiya di entrare a far parte della lista dei best seller Playstation. Uscito nel 1998, Resident Evil 2 è stato il primo grande passo per il designer che ha saputo dimostrare all’intero mercato il suo valore e la grande capacità di unire novità e tradizione, incontrando anche i favori di un pubblico che si faceva sempre più esigente e diversificato.

La carriera del giovane Kamiya è soltanto agli albori e l’esperienza al fianco di Mikami non è del tutto archiviata. Agli inizi degli anni 2000 gli viene affidato il compito di lavorare al quarto capitolo della saga di RE con l’obiettivo primario di dare una svolta totale alle meccaniche di gioco; ripartire da zero nel tentativo di allargare sempre di più l’utenza senza rinunciare all’altissimo livello qualitativo richiesto dal publisher. Un compito per niente facile a cui il nostro Hideki non si sottrae.
Aiutato un’altra volta da Sugimura alla scrittura, il progetto prende una piega totalmente diversa rispetto alle idee iniziali. Lo scenario di gioco viene stravolto a favore di una ambientazione più gotica e medioevale; le meccaniche da survival horror abbandonate per fare spazio a un approccio più votato all’azione e al dinamismo, gli sfondi prerenderizzati che caratterizzavano i capitoli precedenti vengono del tutto sostituiti da ambientazioni completamente in 3D, e di conseguenza anche la telecamera fissa lascia il posto a una camera più attiva e veloce. Del classico Resident Evil insomma rimane veramente poco ed è Mikami a suggerire di dare la luce a una nuova IP, sfruttando le grandi potenzialità del nuovo progetto e mettendo la sua creatura al sicuro da possibili contaminazioni che avrebbero portato la serie verso altri lidi.

Il team capitanato da Kamiya viene soprannominato Team Little Devils ed è proprio da qui che il director prende spunto per battezzare il suo ultimo lavoro: Devil May Cry. Uscito esclusivamente su PS2, il gioco diventa subito una devastante killer application per la casalinga di Sony e con il tempo raggiunge lo status di vero e proprio cult riuscendo a stupire per l’incredibile audacia di Kamiya nel saper unire alla perfezione meccaniche hack’n’slash con l’azione in terza persona. Adrenalinico, divertente e con un forte carisma, la prima avventura di Dante ha dato il via a una saga che oggi conta 5 episodi e un reboot distribuiti su tre generazioni di console. Tra alti e bassi, Devil May Cry è diventato velocemente un titolo di punta per la casa di Osaka, anche se il suo padre ideatore ne ha curato solamente il primo episodio per poi focalizzarsi su altri progetti.

Dopo il grande successo ottenuto con DMC, Capcom ripone piena fiducia nelle capacità del giovane designer tanto da concedergli carta bianca per i futuri progetti, ma non abbastanza da affidargli esosi budget. Così Kamiya mette in cantiere un prodotto atipico, unendo la sua passione per i vecchi giochi a scorrimento orizzontale con quella per i supereroi. Nasce un gioco talmente bizzarro da riuscire a trovare soltanto una piccola fetta di pubblico entusiasta, ma viene totalmente ignorato dalle grandi masse. Previsto inizialmente come esclusiva per Nintendo Game Cube e un anno dopo approdato anche sui lidi PlayStation, nel 2003 la Capcom distribuisce Viewtiful Joe. Seguendo le vicende di Joe e della sua compagna Go-Go Silvia, Kamiya imbastisce un beat’em up a scorrimento orizzontale che fa della sua cifra stilistica il maggior punto di forza. Tra citazionismi da otaku e scelte di gameplay atipiche, basate su una sorta di slowmotion controllato dal giocatore, il gioco racchiude in sé un potenziale che verrà fuori pienamente soltanto con il secondo capitolo. Purtroppo la saga non avrà lunga vita e dopo due capitoli principali, uno spin off sulla falsa riga del picchiaduro Super Smash Bros. e qualche exploit su portatile, Viewtiful Joe e soci sono stati presto dimenticati dal pubblico e da Capcom stessa, che riserverà al supereroe in calzamaglia rossa soltanto sporadiche apparizioni in altri titoli, come a dire “sì, ci piaci ma non così tanto da concederti un’ulteriore possibilità”.

Intanto, nei corridoi di Capcom, alcuni sviluppatori cominciano a sentire una certa insofferenza verso la casa produttrice, riguardo le sue scelte aziendali. Molti dei progetti in cantiere in quel periodo sono indirizzati con l’obiettivo di rischiare il meno possibile in termini di risorse ed investimenti. La dirigenza preferisce spendere budget in sequel di saghe che hanno dimostrato un ricavo sicuro e le creazione di nuovi brand non viene neanche preso in considerazione. Autori come lo stesso Mikami, Keiji Inafune, Atsushi Inaba e Masafumi Takada cercano di svincolarsi dal controllo dei vertici attraverso la creazione di team di sviluppo interni che rivendicano la loro indipendenza concettuale. Nasce così il leggendario Clover Studio, una piccola bottega delle meraviglie dove presero vita, oltre a Viewtiful Joe lo sfortunato God Hand e un secondo gioco di Kamiya: Okami.
È il 2006 quando il gioco viene pubblicato e fino ad oggi risulta essere il titolo tecnicamente più ispirato di tutta la produzione del designer giapponese. Okami è un vero e proprio tributo d’amore alle saghe preferite di Hideki, prima fra tutti un immancabile The Legend of Zelda, se non altro per le meccaniche di gameplay che strizzano continuamente l’occhio al capolavoro Nintendo; Kamiya non si limita a una vuota riproposizione degli stilemi classici della serie, ma aggiunge tasselli nuovi e originali, come la capacità del giocatore di pennellare letteralmente gli oggetti su schermo e di attaccare i nemici tramite questo magico strumento. E se un solidissimo adventure non dovesse bastare, i ragazzi Clover regalano ai giocatori uno spettacolo per gli occhi prendendo a piene mani dall’arte tradizionale del Sumi-e, ovvero la pittura a inchiostro e acqua. Uscito come esclusiva PS2, Okami non ha mai realmente brillato sul piano delle vendite, ma è stato così apprezzato nel lungo periodo che sono stati numerosi i porting operati da Capcom nel corso degli anni, portandolo su Wii e su tutte le console di attuale generazione attraverso i corrispettivi store digitali, dando la possibilità agli utenti di poter giocare a questa piccola gemma senza tempo.

Dopo la parentesi Okami, Clover Studio viene chiuso definitivamente da Capcom e gran parte del team si riunisce sotto un nuovo nome: lo stesso anno infatti viene fondata PlatinumGames, oggi famosa nell’intero globo per aver dato i natali ai migliori action degli utlimi anni. Grazie alla nuova indipendenza conquistata, i membri di Platinum iniziano a sviluppare giochi multi piattaforma sotto diversi publisher, mantenendo un buon margine di libertà creativa. Nel 2009 è sega la casa a finanziare i primi giochi del nuovo team a partire dal divertente Mad World uscito in esclusiva su Wii, passando per lo strabiliante Vanquish su PS3 e X-box 360.
Ed è sotto la nuova software house che Kamiya concepisce, a giudizio di chi scrive, il suo capolavoro: pubblicato per le console casalinghe di Sony e Microsoft, Bayonetta sarà la summa totale di ciò che il designer ha sempre cercato di raggiungere, l’action game definitivo. Il gioco è l’esatta evoluzione di quanto fatto con Dante su PS2: con un colpo di spugna Kamiya setta un nuovo standard per tutta la concorrenza e crea un manuale perfetto per le software house che da quel momento in poi vogliano cimentarsi nello sviluppo di un gioco d’azione. Con un palese riferimento allo storico Team dei “piccoli diavoli”, il designer chiama a raccolta i suoi migliori sviluppatori e crea il Team Little Angels lanciando più di una frecciatina alla sua ex compagnia, la Capcom. Kamiya alleggerisce i toni rispetto al più serioso e oscuro Devil May Cry: i personaggi si prendono meno sul serio e la storia, nonostante raggiunga momenti drammatici, non risulta mai pesante. Il gamepla è d’altro canto quanto di meglio si possa desiderare da un gioco di questo genere, la componente di attacco è incredibilmente bilanciata con la pericolosità e velocità dei nemici. Inoltre per poter uccidere un determinato tipo di avversari sarà necessario sbloccare il climax, ovvero una sorta di dimensione parallela dove Bayonetta può indistintamente colpire senza dare la possibilità al nemico di difendersi. Stilisticamente il gioco si discosta dalle avventure di Dante, preferendo un’ambientazione gotica che convive con strutture Liberty in grado di dare eleganza e un giusto tocco di femminilità e grazia. Tutto il gioco è un continuo ammiccare verso il giocatore e più di una volta vi ritroverete a parlare direttamente con la protagonista come se fosse cosciente della vostra presenza al di là dello schermo del televisore, una rottura della quarta parete inserita con intelligenza e grazia. Al momento della sua uscita il gioco riscosse un discreto successo di pubblico, purtroppo limitato dalla sventurata versione PS3 convertita in fretta e furia e senza le adeguate attenzioni. Il risultato fu talmente disastroso da inficiare il gameplay, con FPS ballerini e una resa grafica mediocre. Nel corso del tempo, e grazie alla mano vigile di Nintendo sul brand, il capolavoro di Kamiya ha ritrovato una seconda giovinezza passando da multi piattaforma a esclusiva totale per le console della casa di Tokyo, fatto che ha portato Bayonetta 2 (diretto da Hirono Sato) a essere una killer application per WiiU nel 2014 e che vedrà un terzo capitolo in esclusiva per la ibrida Nintendo nei prossimi anni.

L’ultimo gioco diretto da Kamiya risale però al 2013 ancora una volta su WiiU e rappresenta l’esperimento più bizzarro dell’ex Capcom: The Wonderful 101, un particolare incrocio tra un RTS e un gioco d’azione, basato sui riflessi e la coordinazione del giocatore. Il gioco chiama in causa un gruppo di supereroi determinati a salvare la terra dall’attacco di terroristi alieni nominati Geathjerk. Assurdo e improbabile, il gioco è un concentrato di idee geniali che sfruttano pienamente il paddone del WiiU. Graficamente piacevole e dal ritmo sfrenato, purtroppo non è stato considerato dal pubblico relegandolo nel girone dei giochi dimenticati troppo velocemente. È notizia recente però la volontà del designer giapponese di riportare la sua creatura all’attenzione del mercato attraverso un porting su Switch, occasione perfetta per incontrare il favore del pubblico su una piattaforma molto più popolare della precedente.

Il lavoro e la grande passione di Hideki Kamiya hanno portato una importantissima rivoluzione all’interno del genere action , creando due brand che hanno spinto i limiti fino ad allora raggiunti e che ancora oggi sono considerati dei veri e proprio cult nel settore. Nonostante la sua versatilità, il designer non sempre è riuscito a catturare l’attenzione del mercato mondiale pur continuando a regalare ai suoi sostenitori prodotti di una qualità estremamente elevata. In attesa di farci stupire ancora una volta dal padre di Dante non possiamo fare altro che augurare un futuro radioso all’intero team, abbracciando pienamente la loro filosofia di sviluppo che ha saputo donarci più di una soddisfazione da videogiocatore.




NieR Automata in arrivo su Xbox One?

Secondo vari rumor anonimi vicini al sito Jeuxvideo, pare che NieR Automata possa arrivare anche su Xbox One. L’RPG di Platinum Games, sviluppato dall’eccentrico Yoko Taro, è uscito lo scorso anno per PC e Playstation 4, ottenendo un successo sia di vendite che di critica.
Considerando che non esiste un accordo di esclusività tra Sony e Square Enix, publisher del titolo, e che il sito francese in passato abbia beccato alcuni giochi in arrivo sulla console di casa Microsoft, le voci potrebbero presto diventare realtà. Senza dimenticare che fra qualche settimana si svolgerà l’E3 2018, non è impossibile aspettarsi un annuncio ufficiale da parte della casa giapponese, magari direttamente dal palco del Los Angeles Convention Center.




Bayonetta 1-2

Bayonetta è un hack’n slash uscito nel 2009, sviluppato da Platinum Games, prodotto da Sega e diretto da Hideki Kamiya, celebre per aver diretto il primo episodio di Devil May Cry, del quale Bayonetta rappresenta un’evoluzione, come ha detto lo stesso dello stesso Kamiya.
Il gioco fu inizialmente sviluppato per Xbox 360, per essere poi portato da un altro team su PS3 (con risultati disastrosi al lancio), e ottenne un ottimo riscontro di critica ricevendo molti perfect score, entrando di diritto nell’hall of fame degli hack’n slash.
Tuttavia le vendite, seppur buone, non furono entusiasmanti, e Sega si mostrò titubante all’idea di produrne un seguito, il quale arrivò – come Kamiya ha recentemente raccontato dal proprio profilo Twitter – soltanto nel 2014 grazie ai finanzimenti di Nintendo in esclusiva per Wii U; anche il seguito ottenne voti altissimi, ma le vendite furono addirittura inferiori rispetto al prequel, probabilmente anche a causa dello scarso successo commerciale di Wii U.
Nintendo comunque non sembra volere rinunciare a Bayonetta, e al Game Awards 2017 ha annunciato l’uscita di un terzo capitolo per la console ibrida Switch, e nella stessa serata ha anche annunciato l’uscita dei 2 capitoli precedenti in versione rimasterizzata sempre per Switch, ed è di questi che ci occuperemo in questa recensione.

Le streghe di Umbra e i Saggi di Lumen

La nostra protagonista, Bayonetta, è l’ultima discendente delle streghe di Umbra, un clan con membri di sesso prevalentemente femminile che praticano arti oscure, invocano demoni dall’Inferno, e che sono estremamente abili con le armi.
Dopo una lunga guerra contro i saggi di Lumen (i quali invece padroneggiano i poteri della Luce e sono capaci di invocare creature celesti), quasi tutti decimati dalle streghe, esse sono state prese di mira e quasi del tutto eliminate da una caccia contro la stregoneria.
Bayonetta si sveglia dopo un lungo sonno dentro una bara, e sembra aver perso la memoria: ricorda soltanto di essere una strega di Umbra e, nell’intento di ritrovare i propri ricordi, dovrà affrontare orde di creature angeliche.
Lo screenplay non è certamente il punto forte di questa serie, ed è infatti l’unico aspetto in cui è stata penalizzata dai critici al lancio; inoltre, spesso la trama viene raccontata durante i combattimenti (sono presenti i sottotitoli in italiano con parlato in inglese) e leggere i sottotitoli risulta quasi impossibile, visto il caos che si viene a creare su schermo.

Doppia Apoteosi

Entrambi i giochi fanno una gran bella figura in modalità portatile, che gira a una risoluzione di 720p e 60 fps quasi sempre costanti, mentre nella modalità docked, nonostante la risoluzione risulti invariata, si nota un effetto costante di aliasing, specialmente nelle cut scene, le quali sono realizzate utilizzando dei fermi immagine in cui si notano non solo una bassa risoluzione, ma anche una bassa qualità di certe texture, sapientemente camuffate durante il gioco a causa dei cambi repentini di inquadratura e della velocità dell’azione durante i combattimenti.
Ciò nonostante, entrambi i giochi risultano uno spettacolo visivo, che non sfigura rispetto ai titoli usciti di recente sull’ibrida targata Nintendo, e mostrano miglioramenti rispetto alle versioni uscite sulle console di precedente generazione, compresa Wii U.
Per quanto riguarda il comparto audio, i due giochi spiccano per originalità, si passa da brani classici come Fly Me to the Moon (di evangelioniana memoria, e riarrangiata per l’occasione) a brani di vecchi coin-op Sega (utilizzati spesso durante i minigame), fino a brani originali che ben si sposano con l’azione di gioco; Bayonetta si esibisce inoltre in balletti in stile idol giapponese quando esegue delle mosse speciali, danzando perfettamente a ritmo.
Gli effetti sonori non sono da meno: spari, esplosioni, fragori di spade e martelli, urla dei nemici, e battute ciniche della protagonista, vengono a creare quel caos che dona al titolo un carattere unico e distintivo.

Gameplay

Hideki Kamiya sa il fatto suo riguardo gli hack’n slash e Bayonetta e il suo seguito portano il genere a vette a tutt’oggi non eguagliate.
La nostra eroina può contare su due tipi di attacchi principali, che rappresentano i pugni e i calci, o le armi assegnate ai suoi arti (si possono assegnare anche armi alle gambe), un tasto adibito agli attacchi a distanza (in genere attacchi con le pistole), uno per il salto e uno per la schivata.
Premendo il tasto per la schivata appena prima di ricevere un attacco, si entrerà nella modalità “Sabbat Temporale“, nella quale il tempo verrà rallentato, permettendoci di infierire sui nemici con combo devastanti.
Quando si sarà accumulato abbastanza potere magico (che aumenta in base alle combo durante i combattimenti) potranno essere eseguite delle mosse speciali che “puniranno” in maniena spettacolare i nemici.
In Bayonetta 2 il gameplay risulta quasi invariato rispetto al primo episodio, con l’eccezione di alcune modifiche alle schivate e alle mosse attivabili utilizzando il potere magico.
Sono presenti tante armi che vengono sbloccate tramite oggetti collezionabili a forma di dischi a 33 giri, nascosti nei più disparati luoghi, ogni arma ha il proprio moveset e si possono creare combinazioni uniche assegnandole sia alle braccia che alle gambe.
Possiamo aumentare le caratteristiche del nostro personaggio sia tramite oggetti consumabili che possono essere trovati nel gioco oppure acquistati, i quali danno dei bonus temporanei al danno o alla salute, o ripristinano l’energia vitale o magica.
Inoltre, è possibile aumentare permanentemente sia la salute che la magia tramite degli oggetti che possono essere acquistati oppure ricevuti in premio per aver superato delle prove situate in zone segrete nella mappa di gioco.

Conclusioni

Bayonetta sbarca su Switch con questo doppio remaster, e piazza un altro importante tassello alla collezione di capolavori presenti sulla console Nintendo, entrambi i giochi sono il non plus ultra per quanto riguarda il genere hack’n slash, e vederli in azione specialmente in modalità portatile è uno spettacolo.
Non possiamo fare altro che consigliarli senza riserve a tutti i possessori di Switch, che potranno godere di tantissime ore di divertimento grazie alla sensuale strega di Platinum Games.




Nuovi titoli in cantiere per il team di Bayonetta

Platinum Games, nel prossimo futuro, prevede di pubblicare 2 nuovi titoli che, sebbene abbiano un budget non troppo ridotto, non risulteranno comunque dispendiosi quanto gli altri tripla A dello studio, come Bayonetta o il più recente Nier:Automata.

Durante un’intervista ai microfoni di GameInformer, Atsushi Inaba, capo dello sviluppo di Platinum Games, condivide il proprio desiderio di voler raggiungere un buon equilibrio tra un titolo indie e un tripla A.

«Non possiamo sviluppare un titolo da più di 10M di dollari, per il semplice motivo che non disponiamo di quella cifra come sviluppatore indipendente. Ma ad ogni modo non vogliamo neanche seguire la strada degli indie con soltanto 10 persone nello staff per produrre il gioco, probabilmente staremo nel mezzo, con un organico di circa 20 persone per lo sviluppo.»

Inaba ha inoltre parlato della propria politica di mantenere le porte aperte alle nuove idee dello staff. Infatti ci sono circa 70 nuovi concept proposti dallo stesso team, che sono stati scremati per capire su quali poter lavorare con il budget disponibile.

Forse la nuova politica di Platinum Games potrebbe dare un forte scossone all’industry, donando nuova vita e un nuovo spazio ai giochi mid-range, che potrebbero essere apprezzati anche da quei giocatori che normalmente non apprezzerebbero un titolo di uno studio indipendente. E chissà che magari non potrebbero anche ridurre le lamentele dei grossi publisher sul profitto non esattamente commisurato al costo di produzione di certi titoli AAA.




Nier: Automata avrà un sequel

Nier: Automata (del quale trovate qui la nostra recensione) si è rivelato un grande successo per Platinum Games Square Enix, con oltre due milioni di copie vendute a partire dal suo lancio avvenuto lo scorso marzo. Ma Square Enix non ha intenzione di porre fine all’IP, annunciando di voler continuare a lavorarci in futuro. In un’intervista alla rivista giapponese Dengeki PlayStation, il producer Yosuke Saito ha rivelato che è in fase di sviluppo proprio un sequel del titolo, ma non è chiaro se sarà affidato a Platinum Games. Nonostante questo dubbio, Yoko Taro resterà nel team di sviluppo, anche se non è stata chiarita la mansione a lui affidata. In proposito Saito ha dichiarato:

«Taro-san ha detto che farà qualsiasi cosa affinché il titolo trovi i finanziamenti, non c’è nessun altro che io conosca che riesca a muoversi per trovare i soldi necessari per realizzare qualcosa tanto quanto lui.»

Attendiamo con ansia sviluppi in merito.




Nier: Automata supera i due milioni di copie vendute

Square Enix ha annunciato oggi che NieR:Automata ha venduto oltre due milioni di copie tra fisiche e digitali.
Fin dal lancio del gioco su PS4 e su PC a inizio d’anno, il titolo creato da Yoko Taro è stato accolto con favore dal pubblico e dalla critica (anche dalla nostra redazione) e ha ricevuto moltissimi riscontri positivi grazie a un ottimo gameplay e a una storia ben curata dal game director per Platinum Games.
Dal 25 settembre 2017 ricordiamo che partirà in Europa e nei territori che adottano lo standard PAL il pre-order del cofanetto della colonna sonora su vinili NieR:Automata/NIER: Gestalt & Replicant in esclusiva su Square Enix Online Store.
Il cofanetto verrà pubblicato a dicembre e includerà quattro vinili con una serie di brani selezionati dal compositore Keiichi Okabe e delle illustrazioni esclusive di Sui Ishida (illustratore di Tokyo Ghoul).
I fan potranno anche riascoltare le musiche inquietanti di NieR:Automata nei Blu-ray NieR Music Concert & Talk Live e NieR Music Concert: The Memories of Puppets, già disponibili per il pre-order sempre su Square Enix Online Store.




Yoko Taro ha salvato Platinum Games, Kamiya ringrazia

In un recente tweet, il co-fondatore di Platinum Games, Hideki Kamiya, ha ringraziato pubblicamente Yoko Taro, creatore di Nier: Automata, il quale avrebbe avuto il merito di salvare lo studio.

Sulla base di un traduzione in inglese lasciata su NeoGAF dall’user BRSxIgnition, il tweet sarebbe traducibile come segue:
«Il successo di NieR: Automata ha dato a Platinum Games un più vasta fanbase, un aumento del personale, una brillante storia di successo, un aumento dei candidati qualificati e grandi benefici.Normalmente non posso fare a meno di fare tutto da solo, è una storia pietosa. Ma dire che Yoko-san ha salvato Platinum non è un’esagerazione, non potrò ringraziarlo mai abbastanza»
Il nuovo gioco di Yoko Taro sembra aver alleviato il colpo subito con la cancellazione di Scalebound, e pare sia stato un sollievo per l’intero studio.




Nier: Automata

Parlare dell’ultima fatica di Yoko Taro, prolifico e mai banale game designer del Sol Levante, non è impresa facile: Nier: Automata, infatti, pur essendo classificato come semplice action-rpg, racchiude in sé svariate sfaccettature, divenendo di tanto in tanto uno sparatutto con visuale aerea in stile Space Invaders, altre volte un platform, altre ancora un’avventura testuale. Yoko Taro è sicuramente uno dei personaggi più creativi e multidisciplinari nel panorama giapponese: oltre ad aver diretto i giochi della serie Drakengard e i due capitoli di Nier (ci troviamo, infatti, dinanzi al secondo lavoro della serie) è anche autore romanzi, manga, e persino opere teatrali, tra le quali anche una non facile trasposizione proprio di Nier: Automata. In Occidente si conosce praticamente soltanto il game-designer e ben poco della sua attività artistica. Ma di certo possiamo riscontrare la sua versatilità e il suo approccio multidisciplinare anche nelle sue opere videoludiche, spesso videogames dalla trama complessa e quasi tutti collegati tra loro, poiché elaborati nello stesso universo narrativo (basti pensare che il primo Nier, uscito nel 2010, è il sequel di uno dei tanti finali del primo Drakengard). Nier: Automata, dicevamo, è il sequel dello sfortunato Nier uscito per Xbox 360 e Playstation 3 sette anni addietro, il quale, pur godendo di una trama molto interessante, finì presto nel dimenticatoio a causa di una realizzazione tecnica penosa.

Storia

Nier: Automata è ambientato diversi millenni dopo la fine del prequel: l’umanità è stata quasi del tutto eliminata da un attacco alieno e i pochi sopravvissuti si sono rifugiati sulla Luna. Nel tentativo di riconquistare il pianeta Terra, gli umani inviano un gruppo di androidi chiamati YoRHa, fra i quali l’androide 2b, al quale si affiancherà l’androide 9s: tra i due si verrà a creare un legame affettivo (evento fuori dal comune, visto che sono degli androidi progettati per non avere emozioni) che andrà a farsi sempre più forte nel corso del gioco, portando la trama ad assumere aspetti più tragici ed emozionanti. Anche le macchine nemiche create dagli alieni saranno capaci di provare emozioni: alcune ci supplicheranno di ucciderle, altre arriveranno ai suicidi di massa, altre ancora rinnegheranno la guerra e vorranno creare un villaggio in cui regna la pace. Una volta terminato il gioco, per la prima volta ci verrà chiesto di ricominciare da un punto di vista differente, e si avrà l’opportunità di scoprire particolari che erano sfuggiti nel percorso precedente. Nier: Automata consta in tutto di 26 finali differenti, di cui 5 sono quelli principali, e fondamentali per capire appieno la storia.

Gameplay

Per lo sviluppo di Nier: Automata, Yoko Taro si è affidato ai tipi di Platinum games, studio talentuoso ormai scafato nel genere action (Bayonetta, Metal Gear: Rising Revengeance per citare alcuni titoli sviluppati dallo studio nipponico). Probabilmente anche per questo le differenze con il prequel sul piano del gameplay sono tante e saltano subito all’occhio. Entrando nel dettaglio, la protagonista può fare uso di due armi principali e di un POD (un mini robot volante dotatato di proiettili di varia tipologia). Inoltre, con il pulsante per l’attacco leggero si attaccherà con la prima arma, mentre con quello per l’attacco pesante si userà l’altra. Le combinazioni di armi con le quali eseguire combo sono davvero tantissime, il combat system è molto vario e divertente oltre a risultare diretto e al contempo abbastanza profondo (non si toccano certo i livelli di action puro di Bayonetta, ma siamo dinanzia un ottimo sistema di gioco). I numerosi boss offrono un tasso di sfida di tutto rispetto (specialmente se si gioca in modalità difficile, cosa che consigliamo ai giocatori più esigneti), con diverse fasi che spesso cambiano la modalità di gioco, rendendo lo scontro ancora più interessante.

Grafica e sonoro

Il mondo di Nier: Automata è rappresentato con un uso particolare della palette dei colori, le quali mettono in risalto la desolazione di un mondo in cui sono rimaste praticamente soltanto le macchine e qualche animale. Dal punto di vista strettamente artistico, ci troviamo di fronte a un ottimo lavoro di visual art, specie riguardo gli automi, rappresentati con cura minuziosa, e i paesaggi, spesso suggestivi e dal piacevole impatto visivo. Le note dolenti arrivano, invece, sul piano tecnico: le textures sembrano essere spesso in bassa risoluzione, la mole poligonale bassa, sono presenti parecchi muri invisibili che fanno storcere un po’ il naso; anche il frame rate (almeno su console, noi lo abbiamo provato su PS4) ha dei cali e risulta incostante e, infine, alla lunga le ambientazioni tendono a stancare. Il discorso cambia parlando del comparto audio: la colonna sonora è unica nel suo genere, sfiorando talvolta i confini del geniale. Basti pensare che in un punto del gioco troviamo dei robot parlare in coro in maniera ossessiva, come recitassero un mantra, e il suono che ne viene fuori si fonde magistralmente con la colonna sonora, creando un ritmo incalzante raramente visto in un videogame.

Conclusioni

Nier: Automata rappresenta un ritorno in grande stile per Yoko Taro: siamo di fronte a un titolo capace di emozionare e divertire grazie a una trama di spessore e un gameplay sopraffino, e che riesce a superare in tutti gli aspetti il suo predecessore. Pur non brillando per realizzazione tecnica, la sua unicità lo rende un gioco che tutti i possessori di PS4 e PC dovrebbero assolutamente provare.