Cinque cose illogiche nei videogames

I videogame come ormai ben sappiamo sono pieni zeppi di piccoli “difettucci” che potrebbero essere tranquillamente evitati, ma quelli che mostreremo in questa Top sono così illogici che meriterebbero il daspo da tutte le leggi fisiche conosciute. Tuttavia alcuni di essi rendono il gameplay sicuramente meno noioso, perché diciamolo pure, morire costantemente al primo colpo di calibro 50 BMG sarebbe fin troppo stressante.

“Tu sei nuovo, non ti ho mai picchiato”

Perché differenziare tutti gli NPC quando possiamo farne 10-15 e “spawnarli” a caso? Effettivamente in una caterva di videogame sono presenti giusto un paio di “esemplari” di NPC, inseriti all’interno del gioco senza curarsi del fatto che a volte possiamo beccarne una decina, uguali, in un singolo vicolo. La soluzione a questo problema potrebbe essere una vasta gamma di accessori e un sistema di combinazioni procedurale per variare il più possibile gli NPC riducendo ovviamente il rischio di incontrare costantemente dei gemelli.

Una piuma e una armatura nucleare hanno lo stesso peso

Armature nucleari, minigun, arsenali completi, dal melee ai lanciamissili, passando per le mitragliatrici leggere, il tutto senza pesare un solo grammo sul nostro personaggio che al confronto Steve di Minecraft è una mammoletta. In fondo che volete che sia trasportare 450kg di armi e non perdere un solo punto di mobilità? Certo, è anche vero che fermarsi ogni 100 metri è abbastanza noioso e fin “troppo” realistico per un gameplay accessibile, ma in fondo, noi gamer siamo incontentabili, che ci volete fare.

Bassi profili… e mitragliatrici leggere

Riprendendo in piccola parte il paragrafo precedente possiamo ancora notare come tutti gli arsenali di cui veniamo dotati siano totalmente trasparenti! Ce ne andiamo tranquillamente in giro in bermuda e polo con dentro RPG-7 e M249 (si GTA V ci riferiamo a te). Cosa totalmente irrealistica e oltre ogni logica, che però aiuta ad avere un basso profilo… anche se in titoli come GTA il basso profilo è un sacrilegio.

“Il tempo guarisce tutte le ferite”

È esattamente così che dissero i grandi saggi, tuttavia non avrebbero mai pensato che il mondo videoludico prendesse alla lettera questa massima. Di fatto, in moltissimi titoli non importa se abbiate un’emorragia in corso o un arto quasi tranciato, il tempo riparerà qualsiasi cosa. Roba da far invidia ai più grandi traumatologi e reparti di pronto soccorso al mondo, venire sfiorati da un colpo di artiglieria e risanarsi automaticamente dopo 10 secondi appena.

Uno alla volta per favore

È vero, dei nostri tanto amati nemici possiamo dire di tutto ma tralasciando i loro difetti, si dimostrano gentili ed educati. Stanno lì a guardarci mentre riduciamo i loro alleati come scolapasta e non appena abbiamo finito con un loro compagno si fanno avanti gentilmente senza tante pretese, chiedono solo di essere malamente uccisi. Non volete accontentarli?

Come avete visto ce ne sono per tutti i gusti, ma non finisce sicuramente qui, e probabilmente ritorneremo con una seconda parte di questa Top a breve.




La questione scelte nelle storie interattive

Partendo dalle prime avventure testuali, fino ad arrivare ai moderni giochi di ruolo, la storia è sempre stato un punto focale per il giocatore. Grandi colossi come Bioware hanno sempre puntato su di essa, così come, nella scena indie, è più presente una maggiore sperimentazione dello storytelling.

Ma come si fa a creare una storia interessante per il giocatore? Ce lo spiega Cash DeCuir, ex scrittore di Failbetter Games, in una lunga intervista concessa al sito Gamesindustry.biz

«Il grande segreto è che il giocatore sarà sempre indirizzato da dei binari, visto che si potrà offrire solamente un certo margine di libertà. Ma la cosa importante è dare al giocatore una domanda alla quale potrà rispondere, oltre che fargli riflettere su di essa lungo tutto l’arco della storia.»

DeCuir prende due giochi come esempio: uno è 80 Days degli Inkle Studios, mentre l’altro è Over The Alps degli Stave Studios, entrambi giochi con lo stesso tema focale, ovvero il viaggio. Il primo aggiunge un’anima steampunk alla scommessa di Phileas Fogg ne Il Giro del Mondo in 80 Giorni di Jules Verne, mentre il secondo si concentra di più nella traversata della catena montuosa che separa l’Italia dalla Francia.

«Sono entrambi giochi dove puoi scegliere la tua rotta: in 80 Days puoi decidere se visitare Parigi o Cambridge, e vieni posto davanti a una pletora di scelte, ma si sa che, alla fine del giorno, tutte le strade portano a Roma. Sono le decisioni prese lungo la strada che fanno il viaggio, ed esse si basano tutte sul creare abbastanza opportunità da dare al giocatore, così da far sentire sia le loro scelte fatte che la libertà di rispondere a certe domande in molteplici modi.»

Ma una sovrabbondanza di opzioni non equivalgono automaticamente a un gioco con un’ottima storia: esistono casi dove alcuni titoli aggiungono più scelte solamente per far sentire al giocatore di esser parte della storia.
Per esempio, un’avventura testuale su mobile presenta un protagonista principale
ferito, e il giocatore ha a disposizione due risposte come “stai bene” oppure “cos’è successo?”, ma la risposta del protagonista, in sintesi, è sempre la stessa. Ciò rende il titolo più lineare oltre che inutilmente lungo.
Gli sviluppatori come possono assicurarsi che ogni scelta sia importante ai fini del giocatore? A proposito interviene DeCuir:

«Per riuscire nell’intento, lo scrittore deve scomporre il metodo narrativo in quattro elementi: Il primo è la domanda in sé, ovvero, qual è la scelta che stai chiedendo al giocatore. Il secondo punto è dare un informazione a proposito della decisione da intraprendere, arrivando, infine, alla valutazione delle opzioni e alla scelta. Il terzo elemento, ovvero la valutazione, è quello che ritengo più importante per la costruzione di una relazione con il personaggio. Si, risposte trite e ritrite come “stai bene?” sono importanti, ma gli sviluppatori non dovrebbero limitarsi esclusivamente a esse, altrimenti si trasforma tutto in una partita di tennis, con un continuo botta e risposta.»

È altrettanto importante evitare la forzatura delle emozioni: prendendo sempre come esempio ancora il gioco testuale, il personaggio chiede al giocatore come preferisce essere presentato, se come migliore amico o come cugino. Scegliendo la seconda opzione, l’NPC viene ferito dalla risposta, perché credeva in una relazione più intima con il giocatore. Se quest’ultimo non sente nessun legame con il personaggio del gioco, una risposta del genere può minare il suo interesse verso il gioco.

«Ci saranno sempre persone che odieranno i tuoi personaggi, non puoi basarti sul giocatore che deve tassativamente farseli piacere: quando detti le risposte emozionali, chi gioca è destinato ad avere più controllo rispetto ai personaggi dell’opera. Si possono avere sensazioni infinite su tale soggetto, per questo non sta allo scrittore decidere se li ami oppure no: si dovrebbe, invece, puntare sul costruire una storia con essi, e se sbocciasse una relazione, dire esattamente come ci si sente, così da rifletterlo all’interno del gioco, sia in positivo, che in negativo.
È questo il trucco: analizzare bene le scelte
e assicurarsi di soddisfare i quattro elementi citati in precedenza per assicurarsi che il giocatore abbia un’esperienza divertente e accattivante. Se si riesce a dare un’esperienza così credo che al giocatore poco importi della linearità della storia, visto quanto ne è intrigato.»

Fra i tanti modelli di narrazione trova particolarmente spazio anche quello legato alla moralità, dove gli sviluppatori presentano un sistema di scelte positive o negative. Secondo DeCuir questo sarebbe un sistema da evitare, se si vuole dare al giocatore abbastanza libertà pur restando tra i binari della storia. Ed ecco perché:

«Il punto è che quando il giocatore ha la possibilità di rispondere a una domanda e compiere la sua scelta, non cerco di dargli agganci verso una delle due opzioni. Voglio dire che, in quel momento, si deve avere la libertà di rispondere a una domanda, così da non forzare il viaggio di chi gioca. D’altronde i giochi pongono dei problemi  agli utenti, ma anche delle soluzioni per risolverli: abbiamo un obiettivo, e la meccanica del gioco che ci aiuta a perseguirlo, come per esempio, Super Mario che deve raggiungere la bandiera per finire il livello. Invece, su Papers, Please, abbiamo sì l’abilità di interrogare le persone che vogliono accedere ad Arstotzka, controllando i loro documenti e accertandoci che tutto sia regolare, ma abbiamo anche un elemento in più: quello umano. Abbiamo una madre che non vede il figlio da sei anni, ma ha un passaporto irregolare: sceglieremo di seguire l’obiettivo del gioco, quindi far sì che tutto sia regolare, oppure cederemo il passo all’emotività? Questo dualismo crea un’esperienza più appassionante per il giocatore, dove una semplice partita può trasformarsi in un vero e proprio gioco di ruolo.»