Travis Strikes Again: No More Heroes

“Non ci sono più gli eroi di una volta”, cantavano gli Stranglers nell’ormai lontano 1977, quegli stessi eroi che hanno ispirato intere generazioni e alimentato fantasiose leggende tramandate di padre in figlio fino a diventare parte e sostanza di una storia alternativa forse più accessibile, ma non per questo priva di una profonda rete di significati e simboli che per certi versi risultano più tangibili di qualsiasi altra entità materiale.

Tutto questo preambolo per dirvi che Travis Touchdown non è più l’uomo di una volta, appesantito dalla violenza perennemente costante nella sua vita. D’altro canto è un assassino, e nessuno di noi è chiamato a scegliere ciò che siamo: lo siamo e basta. Ed è per questo che l’unica maniera per rifugiarsi lontano dalla realtà a volte è quella di fuggire dalla stessa, magari viaggiando verso il Texas a bordo di un camper in compagnia dei nostri videogiochi preferiti. Ma il passato è duro a morire ed è inevitabile portarsi dietro qualche strascico, specialmente se sei un killer professionista. Così la quiete appena conquistata viene turbata dalla visita inaspettata di Badman, anche lui alla ricerca disperata di un lieto fine per i suoi tormenti. Portatore di un odio smisurato nei confronti del nostro Travis, reo di aver ucciso senza pietà la figlia Badgirl incontrata durante la sua prima scalata nell’olimpo degli assassini, Badman si ritrova suo malgrado ingarbugliato in una brutta faccenda: la console a cui Travis si diletta a giocare ai videogame è la terribile Death Drive MK-II, una pericolosa arma di distruzione di massa in grado di trascinare i nostri eroi all’interno del software e rendere un incubo lisergico partorito dalla mente malsana di Suda 51 quello che fino a pochi attimi prima era un innocuo passatempo elettronico.

Queste sono a grandi linee le premesse dello spin off di No More Heroes, uscito in esclusiva su Nintendo Switch con un grande carico di aspettative da parte dei fan. Ma uno strano presentimento aleggiava nell’aria sin dai primi trailer mostrati al pubblico. Quello che abbiamo avuto modo di vedere non era esattamente quanto ci potessimo aspettare da un nuovo capitolo della avventure di Travis ma fu Gōichi Suda in persona a ribadire a più riprese che questo Travis Strikes Again non sarebbe stato un titolo canonico ma un passaggio obbligato verso il compimento di una possibile (?) trilogia. È andato tutto per il verso giusto?

NO MORE HEROES ANYMORE

Iniziamo subito con l’affermare un concetto: il modo migliore per capire l’idea dietro questo spin-off è conoscere l‘iter creativo alla base. Può sembrare una banalità, ma è sempre un bene ribadirlo in virtù del fatto che stiamo parlando di un gioco di Gōichi Suda, dove alle volte scelte stilistiche o di gameplay vanno al di là di esigenze puramente commerciali o di budget, e mai come in questo caso. Dopo l’esperienza passata in Electronic Arts in compagnia del maestro Shinji Mikami che ha visto trasformare il suo titolo più ambizioso – quel Shadow of the Damned nato da un dream team di nomi illustri – in un semplice action shooter in terza persona più volte rimaneggiato e castrato dai produttori, il buon Suda ha preso prepotentemente le distanze da un modo di concepire l’intrattenimento videoludico come forma di ricavo economico sicuro e calcolato che si tiene alla larga dal correre rischi attraverso meccaniche collaudate pronte per il mercato.
Parliamo di un game designer che ha imparato a proprie spese cosa voglia dire lavorare per un colosso come Electronic Arts, nel quale per forza di cose è necessario comprimere gran parte della propria libertà autoriale. Il bisogno di tornare sui propri passi è stato la causa diretta del suo ritiro dalle scene per otto lunghi anni, durante i quali ha potuto trovare una nuova fonte di ispirazione e in qualche maniera una rinnovata fiducia verso un settore ormai pigro e disincantato.
Il mercato dei giochi indipendenti occidentali, o che a dir si voglia indie, è stato per Suda il trampolino di lancio verso una rinascita artistica ed è proprio qui che si colloca lo sviluppo di Travis Strikes Again. Ripartire in piccolo con un budget contenuto, ma con una consapevolezza di se stessi più forte che in passato, con la voglia di sperimentare e andare al di là dei generi fino ad ora conosciuti, creando qualcosa di indefinibile ma allo stesso tempo alla portata di tutti, significa creare un gioco d’avanguardia e un dichiarato atto d’amore verso le produzioni indipendenti che ormai regnano negli store digitali. Ma le sole buone intenzioni non bastano a creare un buon videogame.

MOE~

Il gioco nella sua semplice struttura può essere divisa in due diverse fasi: la prima è quella dove si sostanzia il gameplay vero e proprio, ambientata totalmente dentro i software della demoniaca console da salotto del nostro Travis. Ci troviamo lì innanzi a un hack ‘n slash vecchia maniera, dove tempismo e riflessi risultano essere l’arma vincente per districarsi nelle caotiche situazione create dagli sviluppatori. Per combattere avremo dalla nostra la Beam Katana, entrata pienamente di diritto nell’immaginario della serie. Gli attacchi di Travis si traducono principalmente in leggero, utile per eliminare facilmente e velocemente grossi agglomerati di nemici, e pesante, che dovrà essere sapientemente dosato, ma in grado di causare ingenti danni ai nemici singoli. Per ogni attacco inferto, la barra energetica della vostra spada andrà esaurendosi fino alla completa inibizione dell’arma, motivo per il quale sarete costretti a prendere un attimo di respiro per ricaricare l’arma attraverso un movimento (abbastanza ammiccante) del vostro Joy-con (parlando della versione per Nintendo Switch). Per variare queste semplici meccaniche di base, il giocatore avrà a disposizione diversi attacchi speciali sbloccabili durante la run in anfratti nascosti dei livelli o subito dopo una boss fight. Aggiungono dinamismo e un pizzico di strategia ai combattimenti ma alcuni di questi sono totalmente trascurabili ai fini dell’avanzamento. I nemici principali sono costituiti dai Bug, creature antropomorfe che nel loro particolare design richiamano fortemente gli Haven Smile di Killer 7. Potrete recuperare le vostre forze da un venditore ambulante di ramen che vi presenterà un piatto diverso per ogni livello. Il gioco è tutto qui.
Per tutta la durata del titolo gli sviluppatori si propongono di conferire un minimo di varietà alle situazioni che mandano avanti il plot e, a essere sinceri, certe volte ci riescono brillantemente trovando delle soluzioni sorprendenti e simpatiche, tutto ciò però a discapito delle coerenza interna, rendendo di fatto il proseguimento un po’ troppo sfilacciato e poco uniforme, aspetto che caratterizza la maggior parte dei giochi di Grasshopper Manufacture, ma che può risultare indigesto per un pubblico più eterogeneo. In questo senso, i continui omaggi e rimandi ai titoli indie (ma non solo) più importanti del settore, oltre che alle numerose autocitazioni del designer (che arriva a inserire se stesso come uno dei villain) risultano in un primo momento apprezzabili e con un loro senso all’interno della trama, ma con l’avanzare delle ore di gioco verranno a noia molto facilmente. Ovviamente la possibilità di giocare insieme a un amico in locale alza l’asticella del divertimento, sempre che riusciate a trovare qualcuno capace di sopportare la tediosa ripetitività di fondo dell’avventura, ingigantita ulteriormente dalla struttura a corridoio dei livelli. Insomma, la maggior parte del tempo lo passerete avanzando attraverso percorsi fin troppo elementari e poco stimolanti.

La seconda fase probabilmente peserà come un macigno a tutti quei giocatori che non hanno una spiccata passione per gli infiniti blocchi di testo. In buona sostanza il buon Gōichi ha pensato bene di mandare avanti la trama del gioco tramite schermate di testo in 8 bit sulla falsa riga di un Metal Gear Solid qualsiasi. La scrittura dei dialoghi e la caratterizzazione dei personaggi secondari è in pieno stile Suda51, piacevole e divertente, e il designer spesso gioca su questa particolare scelta stilistica; col passare delle schermate e delle parole si insinua un pensiero lancinante, ovvero che lo scherzo e l’autoironia possa trasformarsi in un mea culpa non troppo velato dettato da un budget risicato e da tempi di produzione stringenti, che di certo non è una buona giustificazione per coprire la svogliatezza con la quale sono stati realizzati certi aspetti del gioco, ma questo argomento lo approfondiremo più avanti.

Queste due fasi distinte del gioco sono intervallate da un HUB centrale rappresentato dal camper dove Travis trascorre le sue notti solitarie in compagnia di Hotline Miami (a quanto pare molto amato da Suda). Qui potrete scegliere il vostro vestiario preferito scegliendo tra numerose T-shirt a tema videogame, in continuo aggiornamento tramite update, potrete salvare i vostri progressi andando al bagno e dare una votazione tramite il web al ramen ingurgitato durante le vostre avventure all’interno della Death Drive MK-II.

What happened to the Hero?

Se già la ripetitività di fondo ha fatto storcere il naso, le cose non vanno meglio con il comparto grafico del titolo. Le potenzialità dello sbandierato Unreal Ungine 4 con il quale i ragazzi capitanati da Suda hanno imbastito le fondamenta del gioco (tanto da inserirlo come skin delle t-shirt selezionabili) non vengono minimamente sfruttate. A fronte di ristrettezze economiche produttive è più che lecito chiudere un occhio sulle diverse magagne tecniche riscontrate durante la partita, ma qui ci troviamo di fronte a una totale mancanza di idee e originalità, salvo alcuni particolari casi; fondali e pattern ripetuti in un eterno loop con una pochezza di poligoni imbarazzante. La cosa fa ancora più rabbia nel momento in cui a livello stilistico il gioco è al 100% made in Suda 51, con i suoi continui richiami a un certo tipo di estetica vintage di indubbio fascino. Se qualcosa in più si poteva fare, insomma, non è stata di certo fatta, probabilmente per la poca familiarità con il nuovo motore grafico della Unreal, non riuscendo ad ottimizzare al massimo il risultato dello sviluppo. A conti fatti questa è la prima produzione del team Grasshopper sull’ibrida Nintendo ed è come se l’intero titolo sia stato concepito come terreno di prova per futuri lavori.
Discorso diametralmente opposto per l’audio: il lavoro compiuto dal team è ottimo quanto per l’effettistica tanto che per la colonna sonora elettronica che riesce ad accompagnare perfettamente l’azione su schermo, alternando brillantemente loop in stile minimal a sinfonie strumentali riuscendo a dare carattere all’intera atmosfera di gioco.

In definitiva, il nuovo gioco di Gōichi Suda non spicca il volo come tutti speravamo. Non siamo di fronte a un disastro completo, questo è certo, nella sua immediatezza il titolo riesce comunque a divertire se preso a piccole dosi e possibilmente in compagnia di un secondo giocatore, ma un maggiore impegno ne avrebbe sicuramente giovato in termini di fruibilità e soprattutto di resa commerciale, dato che allo stato attuale esistono diverse alternative miglioriTravis Strikes Again a meno della metà del prezzo. Quindi c’è da riflettere a chi questo titolo è veramente indirizzato; alla piccola nicchia dei fan che lo acquisteranno quando il prezzo sarà diminuito o al grande pubblico generalista? Una spesa di 40 euro completa di Season Pass (2 DLC a oggi disponibili) per un gioco che non ha la minima voglia di farsi capire e di farsi piacere alle grandi masse è decisamente una presa di posizione azzardata e controversa. Ma d’altronde stiamo parlando di un gioco di Suda51 e in realtà c’è molto poco da capire, o si ama o si odia. Se appartenete alla prima categoria alzate il voto finale di mezzo punto.




Top 5: i Migliori Giochi di Aprile 2019

Ad aprile il tempo migliora e le giornate si fanno più lunghe, ma non sono mancati i giorni di pioggia: in entrambi i casi, ogni clima è adatto per dedicarci al nostro hobby preferito! Vediamo quindi quali sono i migliori giochi usciti questo mese.

#5 Cuphead

Cominciamo con un porting, ma di qualità: l’apprezzato run n’ gun di Studio MDHR, con grafica ispirata ai cartoni degli anni ’30, arriva anche sull’ibrida Nintendo: Cuphead, dopo aver ammaliato i giocatori di Xbox One e PC, convince anche su Switch, in quella che è probabilmente, la versione migliore del titolo.
Impersoneremo Cuphead (e Mugman in caso di campagna cooperativa) nella lunga battaglia contro il Diavolo, che ha vinto al tavolo da gioco le loro anime. Sarà un lungo viaggio, tra livelli lineari classici dei platform 2D e boss variopinti e unici per design e comportamento. Un titolo originale nel panorama videoludico odierno, capace di regalare emozioni a raffica anche in portabilità.

Cuphead

#4 Anno 1800

Dopo i non esaltanti Anno 2070 e Anno 2205, torna la serie gestionale di BlueByte con quello che è il suo miglior episodio dai tempi di Anno 1404, ma non solo: infatti Anno 1800 si dimostra essere anche uno dei migliori gestionali degli ultimi anni.
Il titolo è ambientato durante la rivoluzione industriale, diviso tra una campagna narrativa, dove cercheremo di scoprire l’assassino di nostro padre oltre a sviluppare la nostra isola abbandonata, e una modalità sandbox, come da prassi per il genere. Anno 1800 convince soprattutto per l’interfaccia, non più colma di menù e schede, ma più snella e intuitiva, dove spicca la pianificazione per la futura costruzione di edifici, vero e proprio toccasana per il genere. Un ritorno che convince, per una serie che aveva il disperato bisogno di tornare ai gloriosi fasti di un tempo.

#3 Katana Zero

Opera prima dello studio Askiisoft e distribuito dalla solita Devolver Digital, sempre molto attenta verso questo tipo di produzioni, Katana Zero si presenta a noi come un action bidimensionale frenetico e molto violento.
Guai a definirlo un clone di Hotline Miami: il titolo creato da Justin Stander, è un concentrato di estetica fatta di neon e colori accesi, ispirata dalla moda synthwave e del revival anni ’80, oltre che di serratissimo gameplay senza pause. Ma ciò che sorprende è la cura per la narrazione, fatto di scelte multiple con possibilità di interrompere i dialoghi degli NPC, che rappresenta più che un mero intermezzo tra uno stage e l’altro. Devolver Digital si conferma faro della scena indie e Katana Zero, è la prima sorpresa videoludica di questo 2019 per i possessori di PC e Nintendo Switch.

#2 Days Gone

Un’epidemia zombie scoppia nel bel mezzo dell’Oregon, e il biker Deacon St. John, si ritrova catapultato in un vero e proprio inferno: questo è l’incipit di Days Gone, titolo Bend Studio uscito in esclusiva per PlayStation 4 dopo uno sviluppo travagliato.
Il gioco prende ispirazioni da serie quali The Walking Dead e Sons of Anarchy e pone le sue basi su uno sviluppo narrativo tipico di titoli Sony come The Last of Us, ma occhio a considerarlo un esercizio di stile: si tratta di un viaggio di crescita, tra orde di furiosi mostri da contrastare e vari gruppi come la setta religiosa dei Ripugnanti o i soldati della NERO, capaci di rendere complicata la nostra vita.
Days Gone è un titolo che centra il punto, nonostante la sua genesi non proprio tranquilla, e che potrebbe risultare un piacevole divertissement in attesa di titoli più blasonati.

#1 Mortal Kombat 11

Il picchiaduro più violento di sempre torna nella sua undicesima iterazione, probabilmente la migliore finora: infatti NetherRealm ha alzato l’asticella per questo Mortal Kombat 11, puntando tutto sul sistema di combattimento che, a suon di novità come i Krushing Blow e i Fatal Blow, restituiscono al giocatore un feeling impareggiabile non solo per la saga, ma anche rispetto ai precedenti giochi della casa di Ed Boon, come Injustice.
I match sono divertenti e tattici come non mai, e se le modalità offline non deludono, l’online presenta una doppia faccia: nonostante un netcode pulito e completo come raramente si è visto nel genere, delude la modalità Krypta, ridotta a un mero grinding, che spinge i giocatori verso le microtransazioni. Nonostante questo difetto, che si spera venga limato in futuro grazie al supporto della community, Mortal Kombat 11 si presenta a noi come una Fatality brutale e spettacolare, esattamente come il suo gameplay, meritando il primo posto del mese di aprile.




Guacamelee 2

Al tempo della sua uscita, Guacamelee è stato acclamato come uno dei migliori metroidvania degli ultimi decenni. Le più grandi innovazione proposte da questo titolo, uscito ormai 6 anni fa, risiedevano senza dubbio nel sistema di combo e di prese, nel continuo passaggio fra due mondi e nella possibilità di giocare l’avventura in co-op locale fino a quattro giocatori, tutte caratteristiche mai implementate insieme in un genere definito come l’action-platformer e che finirono per dare un’insolita sfumatura arcade a un gameplay tipicamente casalingo. Guacamelee rimase ragionavolmente impresso nella memoria di milioni di giocatori nel mondo grazie al suo esilarante humor intriso di riferimenti ad altri videogiochi classici, meme e allo splendido art-style che rende la già particolarissima cultura messicana, nonché il vero e proprio culto dedicato alla lucha libre e ai luchador, ancora più frizzante e colorata – insomma, diciamo che dopo averlo completato viene voglia di visitare il Messico! Oggi Guacamelee 2, disponibile per PC, PlayStation 4, Xbox One e Nintendo Switch (la versione che prenderemo in considerazione), ci fa rivivere le stesse sensazioni e la stessa gioia che il primo titolo portò quasi cinque anni fa e si pone come un incredibile sequel di uno dei metroidvania più avvincenti degli ultimi anni. Vediamo insieme cosa Juan, Tostada e compagni hanno in serbo per noi in questo nuovo titolo DrinkBox Studios.

Nelle puntate precedenti

Esattamente come in Castlevania: Symphony of the Night, la primissima schermata di gioco è una rievocazione dell’ultima battaglia avvenuta in Guacamelee, con tanto di «what is a luchador? A miserable little pile of secrets», giusto per rendere il rimando al fantastico metroidvania Konami ancora più chiaro. Juan sconfigge il temibile Calaca, libera Lupita, la figlia del sindaco, e la maschera del coraggioso lucador si sgretola permettendo così ai due di vivere una vita tranquilla nei tranquillissimi campi di agave accanto alla tranquilla cittadina di Pueblucho… forse fin troppo tranquilla! Juan subisce i terribili effetti della vita da sposato, non è più in forma e possente come un luchador ma vive una vita felice insieme la sua bella moglie e i suoi adorabili figli. Quella che sembrava essere una normale giornata, in cui Lupita aveva chiesto a Juan di andare al mercato a comprare qualche avocado per fare una buona salsa guacamole, si è rivelata invece l’inizio di un disastro senza precedenti; Uay Chivo, l’iconico sciamano dello scorso titolo in grado di trasformarsi in una capra, spiega a Juan che in un’altra timeline, in cui Juan e Lupita venivano uccisi da Calaca, un luchador corrotto di nome Salvador, responsabile invece della fine di Calaca, si era messo alla ricerca della guacamole sacra per diventare l’essere più potente del mondo, ignaro del fatto che ciò avrebbe distrutto l’intero mexiverso. La guacamole sacra fu creata con meticolosa cura da Tiempochtli, dio del tempo, e siccome tutti la desideravano decise di nascondere la sua magica salsa nel Otromundo, accessibile solamente collezionando le tre reliquie sacre a forma di nachos, solitamente disposti a piramide (dunque triangoli… Tre triangoli… Due alla base e uno in alto… Dove li abbiamo già visti?). Dopo essere finiti in due timeline sbagliate, una sorta di purgatorio e una timeline “Nes-osa”, arriviamo alla timeline più oscura (si chiama proprio così!) dove ci riuniremo con la maschera e Tostada, la luchador che rappresenta lo spirito di quest’ultima, e ciò ci farà trasformare — esattamente come Sailor Moon con lo scettro magico — nel possente luchador di sei anni fa; da qui comincerà l’avventura vera e propria e sarà anche possibile far partecipare un secondo giocatore che prenderà il comando di Tostada (fino a un totale di quattro che potranno usare, all’inizio, Uay Chivos e X’tabay). Ci si renderà subito conto, anche nelle sezioni prologo, di come i comandi siano incredibilmente reattivi e, senza mezzi termini, perfetti per il sistema di combattimento e combo che Guacamelee 2 pone; per questo motivo, per quanto sia possibile giocare questo titolo in due giocatori con un set di Joy Con, raccomandiamo di giocare in multiplayer con un set per giocatore, in quanto la mappatura dei tasti in questa modalità rappresenta la migliore scelta di gioco (al giocatore servono immediatamente alla pressione 7 degli 8 tasti del controller, in modalità Joy Con singolo uno di questi sarà “L”, dunque alla sinistra o alla destra del vostro controller, dipende da quale avete. a disposizione Una vera tortura!). Se volete giocare con questo gioco in multiplayer allora vi converrà giocarci con un amico che come voi possiede Switch, altrimenti dovrete abituarvi a questa astrusa mappatura.

(La frenetica prima parte di Guacamelee 2!)

Well! Agilità fra i non agili qui!

Prenderemo presto dimestichezza coi controlli e presto cominceremo, come tipico di questi generi, a collezionare gradualmente le abilità che permetteranno a Juan di superare ostacoli e rompere barriere per accedere a zone precedentemente inaccessibili. Il fattore backtracking, fondamentale per il genere metroidvania, è tarato alla perfezione e ciò potrà permettere al giocatore di accedere ad aree segrete o semplicemente liberare un passaggio alla volta di creare una scorciatoia. Troveremo spesso, come succedeva nel precedente titolo, delle aree che metteranno alla prova, man mano, tutte le abilità che andremo acquisendo con dei percorsi a ostacoli veramente folli e alla fine verremo ricompensati con un baule contenente soldi, porta cuori, costumi alternativi o “porta abilità”, quest’ultimi necessari per eseguire le mosse speciali eseguibili col tasto “A”: ci toccherà fare montanti in aria (dai, a chi vogliamo prendere in giro? Sono degli Shoryuken!), fare doppi salti, wall-jump, sfruttare delle “catapulte volanti” (dopo vi spiegheremo) e soprattutto cambiare la polarità dell’ambiente, altra meccanica fondamentale di questo gioco. Esattamente come in Guacamelee, Juan ha il potere di spostarsi dal mondo dei vivi al mondo dei morti e viceversa (prima trovando degli appositi portali e poi, trovata la specifica abilità, comodamente premendo il tasto “L” o “ZL”) ed entrambi i mondi presentano spesso delle caratteristiche ambientali diverse (come ad esempio la presenza/assenza di un muro o nemici, nel mondo dei morti un geyser di lava diventa un pilastro nel mondo dei vivi, e così via). Guacamelee 2, così come il suo predecessore, chiede al giocatore di padroneggiare al meglio questa abilità senza la quale non si potranno superare gli ostacoli più astrusi del gioco; spesso e volentieri si finisce bloccati nello stesso punto, soprattutto il quelle aree extra in cui la ricompensa è un baule, ma questo titolo, in fondo, non fa che incarnare lo spirito dei titoli classici degli anni ‘80, ‘90 e un po’ anche 2000 in cui il trial & error era spesso la meccanica che permetteva a un gioco, spesso senza sistema di salvataggio, di essere più longevo possibile. A ogni modo, con la giusta pazienza, superare una di queste aree è solamente una questione di pratica, e ogni giocatore riuscirà, con più o meno tentativi, sempre a ottenere l’ambito premio di queste stanze.
Juan troverà le abilità di cui ha bisogno nelle varie aree del gioco (rigorosamente all’interno delle statue ChoozoVi dice niente?) ma potrà renderle ancora più efficienti grazie all’implementazione del nuovo albero delle abilità in uno dei menù di pausa: qui, con i soldi collezionati, potrete rendere ancora più potenti i vostri colpi singoli, abilità varie di schivate e combo, prese di wrestling, mosse speciali e mosse pollo (sì, per offrire un qualcosa di simile alla morfosfera di Samus, Juan e Tostada potranno trasformarsi in polli!). Parlando di abilità, Guacamelee 2 introduce le nuove catapulte volanti, simili a quelle presenti in Castlevania: Order of Ecclesia: queste sono come dei ganci sospesi in aria dalla quale Juan e Tostada potranno aggrapparsi e catapultarsi verso la direzione opposta premendo “X” (un po’ come fa Spider-Man con le ragnatele). Tuttavia l’implementazione non può considerarsi riuscita al 100%, e i veterani che hanno giocato all’appena citato capitolo di Castlevania se ne renderanno conto facilmente: Shanoa attivava una sorta di aura che le permetteva di gravitare verso “il gancio” per poi stabilire meglio la direzione caricandosi verso la direzione opposta desiderata con la croce direzionale. In Guacamelee 2 invece sarà tutto più immediato: la direzione verrà stabilità dall’angolo del salto con la quale ci lanciamo verso questi ganci e una volta premuto “X” non sarà più possibile correggere l’angolo. Tante volte l’angolo risulterà corretto come quante volte, per via della fretta, sbaglieremo il lancio, costringendoci a riprovare il salto da capo. Fortunatamente in Guacamelee 2 non ci sono vite e i checkpoint sono abbastanza vicini fra loro, perciò nonostante le difficoltà che questi ganci possono dare si può riprovare infinite volte una stessa sezione. Tuttavia, la cosa più importante da padroneggiare in Guacamelee 2 è senza dubbio il sistema di combo; imparare a combattere per ottenere la combo più alta, il che significa assestare tanti colpi e schivare gli attacchi come un ninja. Schivando gli attacchi si conserva la combo e più è alta più saranno i soldi che otterremo alla fine del combattimento; ma come gonfiamo una combo? Da qui si capisce quanto complesso, intricato ma soprattutto divertente sia il sistema di combo in Guacamelee 2: i colpi a nostra disposizione saranno una hit combo semplice con “Y”, le 5 mosse speciali con il tasto “A” e i lanci/prese con “X” (quest’ultime da sbloccare dall’albero delle abilità). Frequentando la scuola di Faccia di fuoco (che scopriremo qui essere il cugino di Grillby, il barista dell’omonima locanda in Undertale!) impareremo man mano degli esempi di combo ma nel campo di battaglia daremo sfogo alla nostra creatività concatenando questi attacchi principali come vorremo; cosa c’è di meglio di partire con un bel uppercut semplice, poi una combo di jab con “Y” in aria, super montante con “A+ su, altra combo di Jab, poi un pugno a siluro, altra combo e per finire un bel piledriver o una frog splash se il nemico è un gigante? Una di quelle situazioni in cui Dan Peterson, iconico cronista della WWF/E negli anni ‘80 e 2000, non potrebbe fare a meno di gridare: «mamma, butta la pasta!». Nuovi campi di battaglia significano nuove possibilità di combo e perciò, sotto questo aspetto, ogni sezione di combattimento necessità di nuove strategie e nuovi metodi per far fuori più nemici velocemente conservando nel processo la combo; Guacamelee 2 in questo offre un sistema di lotta mai stancante e divertente come pochi altri giochi del suo genere.

Lo llamaban Juan

Per coloro che non lo sapessero, il wrestling in Messico, rigorosamente chiamato lucha libre, si discosta totalmente dal suo omologo americano o giapponese (per il quale si trova un ottimo rappresentante videoludico in Fire Pro Wrestling World), sia per lo stile di lotta nei match, sia per l’importanza che questi eventi hanno a livello sociale. I luchador in Messico sono dei veri e propri eroi in carne e ossa, e un’avventura come Guacamelee 2 non fa che rappresentare quello che è l’immaginario collettivo messicano quando si parla di questi eroi fuori dal comune, trasfigurato con stravaganze e leggerezze qui e là. Pensate che tempo addietro, negli anni ‘40, ci fu un wrestler chiamato El Santo che venne venerato esattamente come un dio: di lui, oltre ai suoi spettacolari match nel quadrato, venivano venduti fumetti e film in cui lui interpretava se stesso e agiva esattamente come un eroe, soltanto che lui a differenza dei vari Batman e Spider-Man esisteva veramente! A testimonianza del suo status d’eroe El Santo si toglieva la maschera per pochissime occasioni (nessuna delle quali in pubblico) e, alla sua morte, fu sepolto con la sua preziosissima maschera. L’atmosfera e l’epicità della storia prova, anche spiritosamente, a rievocare le leggendarie imprese di questi personaggi mascherati, un misto fra storia e leggenda che viene tramandato con vivacità. Guacamelee 2 ci presenta un Messico policromo, con una moltitudine di colori inebriante, un luogo frizzante e pieno di vita grazie a un 2D splendido animato ad hoc, esattamente come nel primo capitolo. Ci sono in più giusto un paio di elementi in 3D nei background che reagiscono perfettamente alla luce e donano un filo di profondità in più rispetto al primo episodio. In poche parole, la grafica risulta sempre chiara al giocatore e anche la mappa in game, abbastanza diversa dalla disposizione a blocchi di molti altri metroidvania, risulta sempre chiara e mai astrusa; talvolta permette pure di capire dove sono le aree segrete!
Altro plauso va fatto ovviamente alla colonna sonora: come il primo capitolo, anche Guacamelee 2 non presenta alcuna linea di dialogo doppiata (giusto qualche lamento, sforzi, etc…) ma in compenso abbiamo dei bellissimi brani che ci accompagneranno in questa coloratissima avventura. Torna qualche tema familiare, come quello della città di Pueblucho (in chiave minore), ma ovviamente abbiamo tante belle musiche nuove. Le melodie attingono dalle più iconiche tradizioni musicali folkloristiche messicane, soprattutto quelle dei mariachi fatte di trombe squillanti e chitarre scanzonate che definiscono il ritmo, ma attingono molto da generi moderni come la musica elettronica e, essendo un gioco abbastanza “old school”, anche e soprattutto dalla chiptune. In realtà nulla che sia davvero degno di nota, ma neppure una colonna sonora da scartare.

Uno, due, tre, Vittoria!

Guacamelee 2, così come una bella terra come il Messico, è un gioco in grado di trasmetterti il più puro buon umore e l’allegria grazie alla sua coloratissima grafica, alla sua storia un po’ strampalata e ovviamente alle migliaia di citazioni ad altri giochi, cartoni animati, meme, cultura internettiana, film e quant’altro in giro per le città delle sue lande piene di vita. Il divertimento inoltre non si ferma solo con l’avventura principale: è possibile integrare con il contenuto aggiuntivo acquistabile Terreni di Prova, dove sarà possibile competere in nuove modalità e affrontare nuove sfide. Abbiamo certamente un sequel all’altezza delle aspettative, anche se, dispiace dirlo, un po’ inferiore al primo titolo; elementi come le nuove catapulte volanti non sono il massimo, come del resto alcune sfide poste nelle stanze extra, le quali, laddove si deve prendere un baule, risultano spesso un continuo trial and error dettato in parte dal caso. Si perde molto tempo nelle sezioni extra e meno nelle sezioni principali e ciò, per quanto possa incentivare la longevità, talvolta risulta un prolungamento affatto necessario.
Tuttavia, il gameplay di base, non è per nulla cambiato e Guacamelee 2, così come il suo predecessore, è un validissimo titolo in grado di regalare ore e ore di divertimento da soli o in compagnia (diremmo anche doppio, visto che, una volta completato verrà sbloccata la modalità difficile). Non ci si può aspettare di meglio da un titolo indie di prima categoria e il suo prezzo di lancio di 19,99€ è più che giustificato.

Botte, nachos e azione caliente… una volta terminato non potrete fare a meno di gridare: «Ay, caramba!». Non potevamo aspettarci di meglio da DrinkBox Studios.




Hi, my name is… Hideki Kamiya

Dopo una breve pausa, riprende la nostra consueta rubrica sulle più importanti personalità del mondo del Game Design. In occasione dell’uscita del quinto capitolo della saga action più apprezzata degli ultimi anni, Devil May Cry 5, ci occupiamo della mente che ha dato i natali alle avventure di Dante: Hideki Kamiya. Classe 1970, Kamiya ha avuto l’arduo onere di provocare un violento scossone all’interno del genere d’azione in terza persona, da anni ormai stagnante nelle sue vecchie meccaniche logore e non al passo con i tempi. Facciamo però qualche passo indietro.
Kamiya inizia la sua gavetta in casa SEGA e successivamente passa alla Namco ma, nonostante una buona partenza nel settore, il nostro Hideki non si sente pienamente realizzato, costretto dalle case produttrici a lavorare come semplice artista senza alcuno spazio nelle scelte di game design. Decide così di migrare verso altri lidi di sviluppo, riuscendo a ricoprire il ruolo di designer in Capcom nel 1994. Il suo primo incarico con la casa di Osaka comporta una notevole dose di responsabilità sulle spalle di Kamiya, il quale si ritrova a dover portare avanti una saga che si preannunciava iconica già fin dal primo titolo: il designer viene affiancato al maestro Shinji Mikami nella lavorazione di Resident Evil 2, sequel dell’apprezzatissimo capostipite, ricoprendo il delicato ruolo di director.
Il nuovo capitolo della saga horror di Capcom doveva rivoluzionare le meccaniche alla base del precedente capitolo ed espandere l’universo di gioco, pur rimanendo fedele a se stesso. Mikami in prima persona era stato messo al comando dello sviluppo ma i vertici di Osaka non rimasero soddisfatti del lavoro compiuto, motivo per cui il team venne affidato al giovane Kamiya alla sua prima esperienza come direttore. Il prototipo di Mikami, lo storico Resident Evil 1.5, viene messo da parte dal nuovo team di sviluppo e il progetto prende una piega completamente diversa. Viene rivisto il gameplay, rendendolo più dinamico rispetto al primo episodio, viene stravolto l’impianto scenografico conferendogli un respiro hollywoodiano e ampliato enormemente il numero di nemici su schermo superando il limite di 7 zombie per schermata, aspetto che mette a dura prova le capacità tecniche della prima PlayStation. Vengono introdotti nuovi personaggi per dare continuità ai fatti raccontati nel primo capitolo, grazie all’apporto in sceneggiatura di Noboru Sugimura e per la prima volta fanno la comparsa i temibili Licker , divenuti presto le icone di Resident Evil 2.
Il gioco è apprezzato dai capoccia di Capcom e anche in termini di vendite e critica viene accolto positivamente, stabilendo numeri che permisero al lavoro di Kamiya di entrare a far parte della lista dei best seller Playstation. Uscito nel 1998, Resident Evil 2 è stato il primo grande passo per il designer che ha saputo dimostrare all’intero mercato il suo valore e la grande capacità di unire novità e tradizione, incontrando anche i favori di un pubblico che si faceva sempre più esigente e diversificato.

La carriera del giovane Kamiya è soltanto agli albori e l’esperienza al fianco di Mikami non è del tutto archiviata. Agli inizi degli anni 2000 gli viene affidato il compito di lavorare al quarto capitolo della saga di RE con l’obiettivo primario di dare una svolta totale alle meccaniche di gioco; ripartire da zero nel tentativo di allargare sempre di più l’utenza senza rinunciare all’altissimo livello qualitativo richiesto dal publisher. Un compito per niente facile a cui il nostro Hideki non si sottrae.
Aiutato un’altra volta da Sugimura alla scrittura, il progetto prende una piega totalmente diversa rispetto alle idee iniziali. Lo scenario di gioco viene stravolto a favore di una ambientazione più gotica e medioevale; le meccaniche da survival horror abbandonate per fare spazio a un approccio più votato all’azione e al dinamismo, gli sfondi prerenderizzati che caratterizzavano i capitoli precedenti vengono del tutto sostituiti da ambientazioni completamente in 3D, e di conseguenza anche la telecamera fissa lascia il posto a una camera più attiva e veloce. Del classico Resident Evil insomma rimane veramente poco ed è Mikami a suggerire di dare la luce a una nuova IP, sfruttando le grandi potenzialità del nuovo progetto e mettendo la sua creatura al sicuro da possibili contaminazioni che avrebbero portato la serie verso altri lidi.

Il team capitanato da Kamiya viene soprannominato Team Little Devils ed è proprio da qui che il director prende spunto per battezzare il suo ultimo lavoro: Devil May Cry. Uscito esclusivamente su PS2, il gioco diventa subito una devastante killer application per la casalinga di Sony e con il tempo raggiunge lo status di vero e proprio cult riuscendo a stupire per l’incredibile audacia di Kamiya nel saper unire alla perfezione meccaniche hack’n’slash con l’azione in terza persona. Adrenalinico, divertente e con un forte carisma, la prima avventura di Dante ha dato il via a una saga che oggi conta 5 episodi e un reboot distribuiti su tre generazioni di console. Tra alti e bassi, Devil May Cry è diventato velocemente un titolo di punta per la casa di Osaka, anche se il suo padre ideatore ne ha curato solamente il primo episodio per poi focalizzarsi su altri progetti.

Dopo il grande successo ottenuto con DMC, Capcom ripone piena fiducia nelle capacità del giovane designer tanto da concedergli carta bianca per i futuri progetti, ma non abbastanza da affidargli esosi budget. Così Kamiya mette in cantiere un prodotto atipico, unendo la sua passione per i vecchi giochi a scorrimento orizzontale con quella per i supereroi. Nasce un gioco talmente bizzarro da riuscire a trovare soltanto una piccola fetta di pubblico entusiasta, ma viene totalmente ignorato dalle grandi masse. Previsto inizialmente come esclusiva per Nintendo Game Cube e un anno dopo approdato anche sui lidi PlayStation, nel 2003 la Capcom distribuisce Viewtiful Joe. Seguendo le vicende di Joe e della sua compagna Go-Go Silvia, Kamiya imbastisce un beat’em up a scorrimento orizzontale che fa della sua cifra stilistica il maggior punto di forza. Tra citazionismi da otaku e scelte di gameplay atipiche, basate su una sorta di slowmotion controllato dal giocatore, il gioco racchiude in sé un potenziale che verrà fuori pienamente soltanto con il secondo capitolo. Purtroppo la saga non avrà lunga vita e dopo due capitoli principali, uno spin off sulla falsa riga del picchiaduro Super Smash Bros. e qualche exploit su portatile, Viewtiful Joe e soci sono stati presto dimenticati dal pubblico e da Capcom stessa, che riserverà al supereroe in calzamaglia rossa soltanto sporadiche apparizioni in altri titoli, come a dire “sì, ci piaci ma non così tanto da concederti un’ulteriore possibilità”.

Intanto, nei corridoi di Capcom, alcuni sviluppatori cominciano a sentire una certa insofferenza verso la casa produttrice, riguardo le sue scelte aziendali. Molti dei progetti in cantiere in quel periodo sono indirizzati con l’obiettivo di rischiare il meno possibile in termini di risorse ed investimenti. La dirigenza preferisce spendere budget in sequel di saghe che hanno dimostrato un ricavo sicuro e le creazione di nuovi brand non viene neanche preso in considerazione. Autori come lo stesso Mikami, Keiji Inafune, Atsushi Inaba e Masafumi Takada cercano di svincolarsi dal controllo dei vertici attraverso la creazione di team di sviluppo interni che rivendicano la loro indipendenza concettuale. Nasce così il leggendario Clover Studio, una piccola bottega delle meraviglie dove presero vita, oltre a Viewtiful Joe lo sfortunato God Hand e un secondo gioco di Kamiya: Okami.
È il 2006 quando il gioco viene pubblicato e fino ad oggi risulta essere il titolo tecnicamente più ispirato di tutta la produzione del designer giapponese. Okami è un vero e proprio tributo d’amore alle saghe preferite di Hideki, prima fra tutti un immancabile The Legend of Zelda, se non altro per le meccaniche di gameplay che strizzano continuamente l’occhio al capolavoro Nintendo; Kamiya non si limita a una vuota riproposizione degli stilemi classici della serie, ma aggiunge tasselli nuovi e originali, come la capacità del giocatore di pennellare letteralmente gli oggetti su schermo e di attaccare i nemici tramite questo magico strumento. E se un solidissimo adventure non dovesse bastare, i ragazzi Clover regalano ai giocatori uno spettacolo per gli occhi prendendo a piene mani dall’arte tradizionale del Sumi-e, ovvero la pittura a inchiostro e acqua. Uscito come esclusiva PS2, Okami non ha mai realmente brillato sul piano delle vendite, ma è stato così apprezzato nel lungo periodo che sono stati numerosi i porting operati da Capcom nel corso degli anni, portandolo su Wii e su tutte le console di attuale generazione attraverso i corrispettivi store digitali, dando la possibilità agli utenti di poter giocare a questa piccola gemma senza tempo.

Dopo la parentesi Okami, Clover Studio viene chiuso definitivamente da Capcom e gran parte del team si riunisce sotto un nuovo nome: lo stesso anno infatti viene fondata PlatinumGames, oggi famosa nell’intero globo per aver dato i natali ai migliori action degli utlimi anni. Grazie alla nuova indipendenza conquistata, i membri di Platinum iniziano a sviluppare giochi multi piattaforma sotto diversi publisher, mantenendo un buon margine di libertà creativa. Nel 2009 è sega la casa a finanziare i primi giochi del nuovo team a partire dal divertente Mad World uscito in esclusiva su Wii, passando per lo strabiliante Vanquish su PS3 e X-box 360.
Ed è sotto la nuova software house che Kamiya concepisce, a giudizio di chi scrive, il suo capolavoro: pubblicato per le console casalinghe di Sony e Microsoft, Bayonetta sarà la summa totale di ciò che il designer ha sempre cercato di raggiungere, l’action game definitivo. Il gioco è l’esatta evoluzione di quanto fatto con Dante su PS2: con un colpo di spugna Kamiya setta un nuovo standard per tutta la concorrenza e crea un manuale perfetto per le software house che da quel momento in poi vogliano cimentarsi nello sviluppo di un gioco d’azione. Con un palese riferimento allo storico Team dei “piccoli diavoli”, il designer chiama a raccolta i suoi migliori sviluppatori e crea il Team Little Angels lanciando più di una frecciatina alla sua ex compagnia, la Capcom. Kamiya alleggerisce i toni rispetto al più serioso e oscuro Devil May Cry: i personaggi si prendono meno sul serio e la storia, nonostante raggiunga momenti drammatici, non risulta mai pesante. Il gamepla è d’altro canto quanto di meglio si possa desiderare da un gioco di questo genere, la componente di attacco è incredibilmente bilanciata con la pericolosità e velocità dei nemici. Inoltre per poter uccidere un determinato tipo di avversari sarà necessario sbloccare il climax, ovvero una sorta di dimensione parallela dove Bayonetta può indistintamente colpire senza dare la possibilità al nemico di difendersi. Stilisticamente il gioco si discosta dalle avventure di Dante, preferendo un’ambientazione gotica che convive con strutture Liberty in grado di dare eleganza e un giusto tocco di femminilità e grazia. Tutto il gioco è un continuo ammiccare verso il giocatore e più di una volta vi ritroverete a parlare direttamente con la protagonista come se fosse cosciente della vostra presenza al di là dello schermo del televisore, una rottura della quarta parete inserita con intelligenza e grazia. Al momento della sua uscita il gioco riscosse un discreto successo di pubblico, purtroppo limitato dalla sventurata versione PS3 convertita in fretta e furia e senza le adeguate attenzioni. Il risultato fu talmente disastroso da inficiare il gameplay, con FPS ballerini e una resa grafica mediocre. Nel corso del tempo, e grazie alla mano vigile di Nintendo sul brand, il capolavoro di Kamiya ha ritrovato una seconda giovinezza passando da multi piattaforma a esclusiva totale per le console della casa di Tokyo, fatto che ha portato Bayonetta 2 (diretto da Hirono Sato) a essere una killer application per WiiU nel 2014 e che vedrà un terzo capitolo in esclusiva per la ibrida Nintendo nei prossimi anni.

L’ultimo gioco diretto da Kamiya risale però al 2013 ancora una volta su WiiU e rappresenta l’esperimento più bizzarro dell’ex Capcom: The Wonderful 101, un particolare incrocio tra un RTS e un gioco d’azione, basato sui riflessi e la coordinazione del giocatore. Il gioco chiama in causa un gruppo di supereroi determinati a salvare la terra dall’attacco di terroristi alieni nominati Geathjerk. Assurdo e improbabile, il gioco è un concentrato di idee geniali che sfruttano pienamente il paddone del WiiU. Graficamente piacevole e dal ritmo sfrenato, purtroppo non è stato considerato dal pubblico relegandolo nel girone dei giochi dimenticati troppo velocemente. È notizia recente però la volontà del designer giapponese di riportare la sua creatura all’attenzione del mercato attraverso un porting su Switch, occasione perfetta per incontrare il favore del pubblico su una piattaforma molto più popolare della precedente.

Il lavoro e la grande passione di Hideki Kamiya hanno portato una importantissima rivoluzione all’interno del genere action , creando due brand che hanno spinto i limiti fino ad allora raggiunti e che ancora oggi sono considerati dei veri e proprio cult nel settore. Nonostante la sua versatilità, il designer non sempre è riuscito a catturare l’attenzione del mercato mondiale pur continuando a regalare ai suoi sostenitori prodotti di una qualità estremamente elevata. In attesa di farci stupire ancora una volta dal padre di Dante non possiamo fare altro che augurare un futuro radioso all’intero team, abbracciando pienamente la loro filosofia di sviluppo che ha saputo donarci più di una soddisfazione da videogiocatore.




SNK 40th Anniversary Collection

Se qualcuno non lo sapesse, cominciamo col ricordare che SNK è stata una delle case videoludiche più influenti e importanti del Giappone in campo hardware e software. La Shin Nihon Kikaku (in inglese “New Japan Project”) fu fondata nel 1973 e cominciarono a produrre videogiochi dal ’79 per tutti gli anni ’80 ma fu negli anni ’90 che diventarono dei protagonisti del gaming di quegli anni. Popolari nell’home market ma soprattutto nelle arcade, la SNK rilasciò il Neo Geo MVS (che sta per Multi Video Sistem) nel 1990, segnando così un punto di svolta nel mercato. Oggi SNK è una delle compagnie più attive nell’ambito del retrogaming, avendo rilasciato molti dei suoi titoli chiave sullo store del Nintendo E-Shop e lo spettacolare Neo Geo Mini, una bellissima mini console che riproduce la forma e le funzionalità di un cabinato MVS.
A fine 2018, il 13 Novembre, SNK ha rilasciato per Nintendo Switch la bellissima SNK 40th Anniversary Collection, approdata lo scorso 29 marzo su PS4, una raccolta di titoli pre-MVS curata da Digital Eclipse e SNK, che racconta le radici di questa nota compagnia giapponese. Non troveremo nessun Metal Slug, King of Fighters, Fatal Fury o Samurai Showdown ma avremo in compenso dei grandi titoli che hanno posto le basi per l’avvenire di SNK e i suoi futuri “big red monster”, i cabinati Neo Geo MVS,  che dominarono le arcade negli anni 90. Vediamo cosa c’è all’interno di questa bellissima collection che celebra la vita e l’eredità di una compagnia giapponese che fronteggiò Nintendo e Sega con risultati veramente eccellenti.

Una notte al museo

Prima di scendere nelle (brevi) analisi dei singoli giochi che compongono questa raccolta, vogliamo analizzare la presentazione della collection in sé. All’avvio avremo la possibilità di accedere alla sezione museo dove poter conoscere la storia dei titoli SNK dal 1978 – pensate –  al 1990, anno in cui fu lanciato il più standardizzato sistema Neo Geo MVS, includendo dunque anche giochi che non sono presenti in questa raccolta. Ogni presentazione include solitamente artwork, manuali di istruzioni, illustrazioni pubblicitarie, screenshot e a volte anche foto dei cabinati, il tutto accompagnato da brevi ma dettagliatissime linee di testo che ci raccontano la storia dello sviluppo del gioco in questione, le innovazioni portate e retroscena esclusivi. Sono così utili e belle che le abbiamo consultate più volte nel compilare questa stessa recensione!
La sezione museo include inoltre le colonne sonore di tutti i giochi presenti in questa collezione, nel caso vorreste ascoltare singolarmente alcuni dei brani dei giochi a cui avete giocato. Nelle opzioni invece potrete guardare i crediti, cambiare la lingua (dei menù, non certo dei giochi), vedere il progresso degli achievement esclusivi di questa collection e scegliere la visualizzazione verticale o orizzontale, come un vero cabinato arcade (ma questa opzione è possibile solo in modalità portatile).
Nei giochi, così come accade per le migliori collection che si rispettino, abbiamo la possibilità di cambiare il ratio dell’immagine, ovvero il classico 4:3 (spesso allungato) centrato, il 4:3 che si lega ai bordi superiori e inferiori dello schermo e 16:9 (le stesse opzioni presenti nella release Sega Ages di Thunder Force IV); poi possiamo cambiare filtro dell’immagine, ovvero il pixel perfect (senza filtro), con gli scalini della TV e il filtro monitor da sala giochi, ai tempi più avanzati rispetto ai monitor casalinghi. Essendo questa collection principalmente indirizzata ai giocatori di una certa età che hanno giocato in passato a questi titoli, e che con buona probabilità hanno sempre meno tempo per giocare ai videogiochi, è stato inserito un tasto rewind, “L”, che permette di mandare indietro l’emulazione dei giochi giocati e dunque giocare al meglio ogni singola partita; un compromesso veramente superiore, e più veloce, dei più comuni save/load state (a ogni modo presenti e utilizzabili dal menù di pausa). Qualora doveste abbandonare per forza la vostra partita potrete tornare al menù principale con l’opzione “salva ed esci”; in questo modo, quando riprenderete la vostra partita, vi ritroverete esattamente nel punto in cui l’avevate lasciata, una scelta semplice, standard, essenziale e perfettamente funzionale. In alcuni dei giochi è possibile cambiare la regione e scegliere le versioni arcade e Nintendo Entertainment System (ove presente). Quest’ultima opzione è una vera e propria manna dal cielo per quegli utenti che non hanno ancora preso in considerazione l’iscrizione al servizio online di Nintendo Switch che permette l’accesso ai titoli NES in streaming. Ma adesso diamo un breve sguardo di dettaglio a buona parte dei giochi inclusi in questa raccolta.
Di seguito vi verranno riportati i titoli (anche alternativi), l’anno di produzione, le versioni regionali (selezionabili dal menù col tasto “X”) e versione hardware, ovvero arcade e/o NES.

  • Alpha Mission/ASO1985US, JPArcade, NES. Uno dei primi shoot ‘em up moderni della SNK, che dunque seguì la rivoluzione lanciata da Gradius nel 1985. Il gameplay si rifà principalmente a Xevious, con obiettivi in volo e in superficie da eliminare coi missili, ma la sua unica meccanica consistente nel raccogliere pezzi di armatura in volo, e dunque creare diverse combinazioni di offesa e difesa, lo accostava tranquillamente ai giochi RPG di cui i programmatori SNK erano ghiotti. È un gioco veramente difficile e tedioso ma grazie alle opzioni inserite in questa collection potremo giocarlo con molta calma, la stessa che mancava tempo addietro quando orde di bambini sudati inserivano le proprie 500 lire per provare a superare anche un solo livello.
  • Athena1986INTArcade, NES. Platform che ha per protagonista la dea greca della sapienza, dell’arte e della guerra (rigorosamente in bikini rosso come da tradizione epica), lo si può considerare come un insolito mix di Alex Kidd in Miracle World, per il design generale, e Ghost ‘n Goblins per la sua incredibile difficoltà. Sebbene il gioco non sia esente da difetti, Athena fu una delle più grandi hit della SNK prima del lancio del Neo Geo MVS; il titolo portò elementi propri del RPG, genere più propriamente legato alla dimensione casalinga, in un semplice platform per arcade tramite la semplice collezione di armi, scudi e pezzi di armatura che apparivano addosso ad Athena una volta raccolti: una vera rivoluzione per l’epoca. La protagonista stessa divenne una delle prime mascotte della SNK, tanto che per il titolo Psycho Soldier (che vedremo più avanti) venne creata Athena Asamiya, una discendente diretta dell’originale Athena, che apparirà più in là anche nella serie picchiaduro King of Fighters, anche con l’iconico bikini rosso nelle schermate di vittoria. Sconsigliato a chi ha poca pazienza e ai puristi dell’epica greco-romana.
  • Crystalis/God Slayer1990US, JPNES. Questo titolo per NES si discosta in tutto e per tutto dallo stile arcade che caratterizza molti dei giochi SNK presenti in questa collection, infatti Crystalis è un iconico gioco d’avventura sullo stile di The Legend of Zelda che provò a colmare la grande fame venutasi a creare dopo il rilascio di Zelda II: The adventure of Link, titolo che lasciò i fan della saga con uno strano amaro in bocca per il suo forte scostamento dal primo capitolo. A differenza dell’iconica saga Nintendo, il design generale di Crystalis ha una spiccata sfumatura sci-fi, più vicina a Phantasy Star, e altre componenti RPG non presenti in The Legend of Zelda, prima fra tutti la crescita livellare. Il gioco ricevette nel 2000 un porting per Gameboy Color ma solamente con l’avvento di internet Crystalis ottenne lo status di cult following. Una vera e propria chicca per NES che difficilmente gli iscritti del servizio online di Nintendo Switch vedranno in tempi brevi (sempre se mai arriverà) in streaming; una vera e propria gemma nascosta che potrete persino giocare offline! Se c’è un titolo che vale l’acquisto di questa collection, Crystalis è esattamente quel gioco.

  • Ikari Warriors/Ikari1986US, JPArcade, NES. Ispirato a film come Rambo e Commando, Ikari Warriors è un gioco simile a uno shoot ‘em up che però ci permette di controllare l’avanzamento dei nostri soldati Ralph e Clark (Paul e Vince al di fuori del Giappone), futuri combattenti in King of Fighters. Sebbene, come Athena, il gioco presentava una miriade di difetti (soprattutto sulla versione per console) il gioco diventò popolarissimo, sia nelle sale giochi che nelle case dei possessori del NES, per via dell’avvincente campagna da giocare in due giocatori contemporaneamente. Dopotutto, come non poteva Ikari Warriors diventare popolare? Insomma, includeva due virili soldati che uccidevano ondate di nemici in una giungla a petto nudo a colpi di fucile (infatti molti giocatori speculavano che i due personaggi giocabili erano proprio John Rambo e John Matrix di Commando, in poche parole Sylvester Stallone e Arnold SchwarzeneggerRambo Commando!), granate ed era possibile anche guidare i carri armati, feature che diventerà essenziale in Metal Slug. La versione per console è decisamente la più difficile in quanto non era possibile includere la feature dello stick rotante presente in sala giochi (oggi fedelmente riprodotta nella la versione arcade col secondo stick del controller del Nintendo Switch, le stesse meccaniche di un twin stick) e non era possibile continuare a giocare dopo la perdita delle due vite; tuttavia, alla perdita dell’ultima vita, potrete riprendere a giocare se digiterete, con i tasti “A” e “B” del NES, il nome di una famosa pop band svedese di quattro lettere… Mamma Mia, che complicazione!
  • Ikari Warriors II: Victory Road1986US, JPArcade, NES. Terminata la prima avventura, Paul e Vince tornano a casa in aereo ma una strana turbolenza li porta avanti nel futuro, in uno strano mondo sci-fi popolato da strane creature e alieni. Il gameplay generale rimase lo stesso del primo capitolo ma furono aggiunte giusto nuove armi, come i bazooka e le spade in grado di uccidere i nemici senza un proiettile, le aree nascoste e sostituiti i carri armati con delle armature. Questo nuovo titolo incluse inoltre delle chiarissime linee di dialogo, uniche per entrambe le versioni. Nonostante i temi più seriosi, in Ikari Warriors II furono inseriti elementi di humor per rendere la fruizione del gioco più leggera. Se giocate a questo gioco in due provate a incrociare le spade come si vede nell’artwork!
  • Guerrilla Wars/Guevara1987US, JPArcade, NES. Inizialmente il gioco fu concepito come un ulteriore sequel di Ikari Warriors ma durante lo sviluppo il presidente della SNK si interessò ai personaggi di Ernesto “Che” Guevara e Fidel Castro dopo aver letto il libro “La Guerra di Guerriglia” scritto dal rivoluzionario cubano, unico libro che trattava la rivoluzione cubana disponibile in Giappone. Fu così che un giorno, a metà dello sviluppo del sequel, si presentò ai programmatori chiedendo che il titolo venisse trasformato in un gioco sui rivoluzionari cubani. Ebbene sì, nella versione Giapponese (in realtà anche quella americana ma i nomi dei personaggi giocabili non vengono mai menzionati) controllerete il guerrigliero Che Guevara e l’ex leader cubano Fidel Castro, come secondo giocatore, intenti a rovesciare il durissimo governo di Fulgencio Batista… altro che lezioni di storia! Il gameplay riprende Ikari Warriors in tutto e per tutto ma aggiunge il salvataggio di ostaggi, che se colpiti da un nostro proiettile comporteranno la perdita di 500 punti, e il miglioramento delle AI dei nemici, ora più furbe e più strategiche. Probabilmente è un gioco che non portò grandi innovazioni, ma era un gioco “rivoluzionario” a modo suo!

  • Ikari III: The Rescue1989US, JPArcade, NES. Stavolta per la rabbia, visto che “Ikari” in giapponese significa proprio “rabbia”, Paul e Vince abbandonano le armi e decidono di far fuori i nemici alla vecchia maniera: “mazzate”! In Ikari III le armi da fuoco si fanno rare, così come i neo-introdotti oggetti contundenti, e il nostro metodo di difesa principale diventano i pugni e i calci – un vero e proprio tributo a Chuck Norris!. Da notare è anche l’abbandono dello stile animato degli artwork in favore di uno più realistico e crudo.
  • Iron Tank1988US, JPNES. Altro titolo sviluppato per NES che non arrivò mai nelle sale giochi ma che, a differenza di Crystalis, conserva un gameplay prettamente arcade. Iron Tank è il sequel di TNK III (che vedremo più avanti), ovvero un gioco simile a Ikari Warriors ma in cui controlleremo un carro armato. I due tasti del NES serviranno a sparare due tipi di fuoco diversi, ovvero uno sparo che segue la direzione del carro armato e uno direzionato nel verso del cannone principale. TNK III era dotato dello stesso stick rotante di cui Ikari Warriors era munito per muovere il cannone principale (dunque si poteva mirare dritto col cannone principale e spostarsi lateralmente continuando a sparare coi cannoni inferiori, sparando così in due direzioni contemporaneamente) ma col controller del NES è tutto un altro discorso: il cannone superiore si muove soltanto quando terremo premuto “B” (layout del NES), ovvero il tasto dei cannoni inferiori, perciò sarà impossibile sparare in due direzioni in questa versione. Nonostante le limitazioni Iron Tank risulta comunque un gioco molto gradevole.
  • P.O.W. Prisoners of War/Datsugoku1988US, JPArcade, NES. Uno dei primi beat ‘em up della SNK, P.O.W. si rifà principalmente a film come Fuga di mezzanotte o Fuga da Alcatraz in cui un protagonista programma, e conclude, una fuga da una prigione di massima sicurezza. La versione arcade di questo gioco ha un sistema di controllo a quattro tasti che includono un calcio e un pugno forte, un tasto per le combo e un tasto per il salto. Nel 1989 P.O.W. uscì per NES e, visti i problemi relativi al controller e alla memoria del sistema, fu semplificato il sistema di combattimento e tolta la modalità per due giocatori; in compenso furono introdotte nuove armi e oggetti contundenti, sub-aree e un nuovo boss finale. Per una volta la versione NES sembra che abbia dato di più rispetto alla controparte arcade!

  • Prehistoric Isle in 19301989US, JPArcade. In questo spettacolare shoot ‘em up sulla scia di R-Type partiremo alla volta di una misteriosa isola per capire cosa si cela dietro allo strano fenomeno della scomparsa degli aerei che le si avvicinano; una volta lì scopriremo che l’isola è abitata da creature preistoriche, dinosauri, cavernicoli e altri esseri ancestrali. Come il rivoluzionario gioco della Irem, avremo una sorta di satellite che rimarrà attaccato al nostro aereo ma potremo posizionarlo in otto posizioni diverse dalle quali partirà un colpo di supporto diverso: in diagonale bassa verrà lanciato un siluro in pieno stile Gradius, se lo posizioneremo sul retro lasceremo delle mine, e così via. I passi avanti rispetto ad Alpha Mission e Chopper I (arrivato in questa collection come DLC) sono evidenti e, fra gli Shmup presenti in questa collection, Prehistoric Isle in 1930 è certamente il più completo e il più avvincente.
  • Psycho Soldier1987US, JPArcade. Sequel spirituale di Athena che include la sua erede Athena Asamiya, Psycho Soldier è un platform a scorrimento automatico che funziona su quattro superfici, un po’ come avviene in City Connection della Jaleco. Ha pochi legami con l’originale Athena, come il poter rompere i blocchi e l’inclusione di Athena stessa, ma offre un gameplay nettamente superiore al suo predecessore, con potenziamenti di vario tipo e persino trasformazioni, e si gioca con molto piacere, soprattutto in cooperativa con un secondo giocatore che comanderà l’amico Sie Kensou, anche lui futuro combattente in King of Fighters. Di degna nota è soprattutto la colonna sonora, la prima nella storia dei videogiochi a includere una traccia con delle linee cantate dalla cantante giapponese Kaori Shimizu; la versione giapponese venne curata con particolare attenzione, tanto che poi per l’uscita di Athena per Famicom venne inclusa una musicassetta con il singolo, ma la versione inglese presenta delle linee “broken english” molto risibili!
  • Street Smart1989US,JPArcade. Il primo esperimento della SNK in ambito picchiaduro. Il genere era ancora agli albori: Street Fighter, uscito nel 1987, pose le basi per i picchiaduro in tutto il mondo, ma non stupì abbastanza da imporre uno standard, e molte compagnie videoludiche ponevano in essere un proprio sistema di gioco sempre diverso. Street Smart mette i giocatori in un area di gioco tridimensionale, ponendosi dunque come una specie di area boss di un beat ‘em up, ma il tutto risulta molto giocabile pur non avendo mosse speciali e tutte quelle feature che faranno grandi i tournament fighter à la Street Fighter II. Al posto della parata, Street Smart offre un tasto per fare una capriola all’indietro e evitare con stile gli attacchi avversari. Gli unici due personaggi disponibili, Karate Man e Wrestler, sono rispettivamente primo o secondo giocatore. L’obiettivo del gioco? Mettere al tappeto gli avversari per la gloria, i soldi… e le ragazze!

  • TNK III/T.A.N.K.1985US, JPArcade. In TNK III si combatte con un carro armato, guidato dal Ralph di Ikari Warriors, e il sistema dello stick rotante, per la prima volta implementato qui, permette di far fuoco col cannone principale in una direzione e muoversi in un’altra facendo fuoco con un altro cannone che segue la direzione dell’autoblindo. Grazie ai controlli di una console moderna come il Nintendo Switch possiamo rivivere l’esperienza autentica di questo storico titolo che non solo ha avviato questo filone di titoli di sparatutto dall’alto con lo stick rotante ma ha anche salvato la SNK da un incombente fallimento. Un vero e proprio capolavoro!
  • Vanguard 1981 INTArcade. Primo grande successo mondiale per SNK, Vanguard era così popolare che Atari ne comprò i diritti per poter fare un porting per l’Atari 2600 che divenne un successo anche nel mercato casalingo. Era uno shooter simile a Scramble, gioco della Konami che pose le basi per gli shmup e la sua stessa saga di Gradius, ma proponeva feature ambiziosissime: aveva quattro tasti per sparare in alto, in basso, a destra e a sinistra, scorreva in orizzontale, in diagonale e in verticale, aveva delle linee di dialogo, rese con una primitiva sintesi vocale simile a quella vista in Berzerk, ed era uno dei primi giochi per sala giochi a includere una funzione di continue (tanto che nei filmati demo, prima di inserire il gettone, veniva spiegata questa futuristica feature). A bordo della nostra navicella dobbiamo arrivare in fondo alla caverna in cui risiede il re Gondo, un alieno che terrorizza le colonie vicine; al termine dell’avventura, come consueto per i primi giochi arcade, il gioco ricomincia a una difficolta elevata e potremo continuare fin quando ne abbiamo voglia (che fortuna non dover più inserire monete in una macchina). Magari ai giocatori più giovani Vanguard potrebbe non dire niente, ma ciò non toglie che è uno dei giochi più importanti della storia del gaming e merita di essere giocato almeno una volta nella vita. L’unica cosa che avrebbe potuto migliorare questo gioco sarebbe stata inserendo un’intonazione di Danger Zone di Kenny Loggins ogni qual volta la voce robotica annuncia l’ingresso in una “danger zone“, ma in fondo va bene così (e poi… non l’aveva ancora scritta)!

Quelli che abbiamo elencato sono i titoli originariamente rilasciati per Nintendo Switch, ma la stessa edizione è stata gratuitamente implementata l’11 dicembre 2018, quando tutti i possessori di SNK 40th Anniversary Collection si sono ritrovati un aggiornamento che aggiungeva ben altri 9 titoli:

  • Bermuda Triangle1987US, JPArcade. Un insolito shoot ‘em up che incorpora le meccaniche dello stick rotante visto in TNK III e Ikari Warrior, Bermuda Triangle permette di controllare una nave madre di grandi dimensioni (simile a una Great Fox della saga di Star Fox, per intenderci) e pertanto, visto che schivare i proiettili non sarà semplicissimo, potremo contare sui caccia che affiancheranno la nostra nave madre, anche per quel che riguarda la potenza di fuoco. Ciò che stupì all’epoca, insieme all’emozionante gameplay che includeva anche meccaniche di viaggio nel tempo, fu anche la sua coloratissima e vibrante grafica, visivamente un grande passo in avanti per SNK.
  • Chopper I/Legend of Air Cavalry1988US, JPArcade. Un moderno shoot ‘em up che ricorda nelle sue fattezze la saga di 19XX di Capcom. Altro grande titolo per SNK, Chopper I offre un gameplay veramente da manuale, con un intensità di proiettili nemici simile ai primi titoli della Toaplan, come Truxton e Zero Wing, famosi per aver – diciamo – lanciato quella tendenza che anni più avanti si sarebbe evoluta nel bullet hell (ma questo titolo è ben lontano dall’esserlo). Un titolo più che mai adatto per gli appassionati degli shmup vecchio stile, non troppo moderno ma neanche troppo datato.
  • Fantasy 1981US, JPArcade. Altro titolo proveniente dall’epoca d’oro delle arcade, per tanto costruito intorno allo stesso hardware di Vanguard e Sasuke vs. Commander (rilasciato in questi DLC), questo titolo offre un gameplay incredibilmente vario che si rifà principalmente ai più popolari Donkey Kong, Jungle Hunt e lo stesso Vanguard, in cui un ragazzo corre dietro alla sua sfortunata ragazza che viene rapita da pirati, scimmioni e tribù di cannibali. Come il precedente successo arcade SNK, Fantasy include l’innovativa feature di continue, chiare (ed esilaranti) linee vocali e persino, in un livello, parte della popolarissima hit disco “Funkytown”! Un altro titolo storico che, come Vanguard, possiede quella magia capace di portarci in un epoca in cui ci si stupiva con poco fatta principalmente di giochi elettronici, code interminabili dietro a un cabinato, senza cellulari e senza internet.

  • Munch Mobile/Joyful Road1983US, JPArcade. In questo strano gioco dai toni “pucciosi” controlleremo un’automobile senziente dalle braccia elastiche, utili per raccogliere mele, ciliegie, pesci, sacchi di soldi e taniche di benzina ai bordi della strada. Munch Mobile è un gioco particolarmente difficile, soprattutto perché la strada è piccola e l’uscita fuori strada comporta la perdita di una vita, ma se si è bravi potremo arrivare addirittura agli uffici della SNK! Il gioco, inoltre, tenta di sensibilizzare i più piccoli riguardo i temi dell’ambiente e dell’inquinamento: una volta raccolto e mangiato un oggetto commestibile possiamo guadagnare molti più punti se getteremo i suoi resti nei cestini della spazzatura riallungando le braccia verso questi oggetti sparsi nei per i bordi della strada. L’ironia sta proprio nel fatto di come un’automobile, un oggetto artificiale, riesca ad essere più pulita di certe persone!
  • Ozma Wars1979 INTArcade. Questo titolo, il più vintage di questa collection, è un fix shooter sulla scia di Space Invaders, il primo gioco che imitò il successo arcade della Taito. Ozma Wars nacque dall’impossibilità di Taito di produrre abbastanza cabinati e tabletop di Space Invaders; SNK, in mezzo alle tante compagnie che acquistarono i diritti per produrre Space Invaders al fine di aiutare Taito con la distribuzione, creò parallelamente sullo stesso hardware un kit di conversione per offrire ai giocatori delle sale giochi, che erano colme di cabinati di Space Invaders, un’esperienza diversa e lanciarsi nel mercato come un nuovo produttore, al pari di Taito, Sega e Nintendo. Anziché far fuori una schiera di alieni come nel popolare arcade, Ozma Wars innova il concetto proponendo navicelle, più dettagliate e sullo stile dei caccia spaziali di Star Wars, che come in uno shooter moderno scendono dall’alto verso il basso, sparano con più frequenza e persino di riducono la loro hitbox mettendosi di taglio (come quando si premono “L” e “R” in Star Fox) o addirittura rendendosi invisibili per qualche secondo; probabilmente, però, l’innovazione più grande di questo titolo fu quella di offrire dei livelli sempre diversi e la barra di energia, che si ricarica attaccando la nostra navicella alla più grande nave madre. Il modesto successo di questo gioco, primo vero loro titolo originale, spinse la SNK a puntare sempre più in alto e Ozma Wars rappresenta in tutto e per tutto l’inizio della compagnia che noi oggi conosciamo e amiamo.
  • Paddle Mania 1988INT Arcade. Probabilmente uno dei primi crossover della storia, ma non come intendiamo oggi un Super Smash Bros.: Paddle Mania mette faccia a faccia, in un campo chiuso in cui la palla non può andare fuori campo, giocatori di tennis, pallavolo, pallanuoto, sumo e persino surfisti! Nonostante le bizzarre premesse lo scopo del gioco è comunque molto semplice: mandare la palla nella porta avversaria, esattamente come in Pong. Sebbene il gioco originale prestava due tasti per muovere la racchetta da destra verso sinistra e viceversa, sul Nintendo Switch si è deciso di optare per dei controlli twin stick che rendono l’esperienza un po’ tediosa e non realmente gradevole. L’esperienza del twin stick è portata avanti in tutta la collection, ma probabilmente Paddle Mania è il gioco a cui meno serve questa feature!

  • Sasuke vs. Commander 1980INTArcade. Altro innovativo gioco arcade della SNK, costruito ancora una volta sullo stesso hardware di Vanguard, Sasuke vs. Commander è ancora una volta un gioco simile a Space Invaders. Invece di conformarsi a uno stile sci-fi, come andava di moda ai tempi, questo titolo offrì al giocatore uno scenario tipicamente giapponese con shogun, il carattere “grande” che si vede in lontananza (che segnala il culmine della festa dei morti di Kyoto) e gli immancabili ninja. Alla fine delle schermate di combattimento, in cui i ninja lanceranno a Sasuke gli iconici shuriken, apparirà un nemico più tenace e più grande; per tale motivo si dice che Sasuke vs. Commander introdusse il concetto di boss al termine di un livello. Un altro gioco che ci racconta le origini delle arcade.
  • Time Soldiers/Battle Field1987 US, JPArcade. Ancora una volta un top-down shooter sulla scia di Ikari Warriors con la differenza che lo stick ruotante qui montato ruota in 16 direzioni anziché in 8 come in tutti i giochi con questa caratteristica che abbiamo visto in questa collection. Time Soldier offre un campo di gioco più ampio e perciò possiamo muoverci in tutte le direzioni che vogliamo. Ovviamente, come il titolo ci suggerisce, questi futuristici combattenti – uno dei quali, dall’alto, sembra Pegasus dei Cavalieri dello Zodiaco – si spostano nel tempo per salvare i loro compagni, alcuni di loro in un’antica Roma popolata da soldati romani e persino creature mitologiche! Anche se il gameplay, dopo aver giocato ai vari Ikari Warriors, Guerrilla Wars e TNK III, può risultare ripetitivo almeno ci consola il fatto che qui il ritmo si presenta un po’ più veloce, con una difficoltà attenuata e una grafica più dettagliata.
  • World Wars1987 INTArcade. Sequel di Bermuda Triangle, il gioco, che gira sulla stessa arcade board, presenta le medesime caratteristiche del suo prequel ma con una navicella più piccola. Il concept della nave madre fu abbandonato in favore di un gameplay più fruibile e classico, con power up e proiettili più facilmente evitabili; viene abbandonata anche la componente del viaggio nel tempo in favore di un più semplice viaggio intorno al mondo, anche se mantiene le stesse componenti sci-fi. Da provare indubbiamente.

The future is now!

Come abbiamo visto, la collection (che include anche Beast Busters e SAR: Search and RescueI) prende in considerazione un periodo poco conosciuto della storia della SNK ma ciò non toglie che sono comunque 32 grandi giochi che vi possono regalare ore e ore di gameplay di stampo prettamente arcade, ormai quasi del tutto perduto. La presentazione e le funzionalità di questa collection sono veramente superbe e ci sono comunque diversi giochi in grado di giustificare l’acquisto per Nintendo Switch e PS4, primo fra tutti Crystalis. Non sarà forse una collection che interesserà ai più giovani (a parte i più virtuosi interessati a “studiare la storia”) ma vi garantiamo che è un gran salto nel passato e, per chi non conosce la SNK, una vera e propria lezione sulla loro storia e sulla loro eredità che ancora oggi influenza il panorama videoludico mondiale.




Top 5: Marzo 2019

L‘inverno è giunto alla sua conclusione, lasciando il palcoscenico alla primavera e al rifiorire della natura. È anche il tempo di nuove uscite videoludiche, tra gemme inaspettate e titoli che non hanno deluso. Vediamo quali.

#5 Tropico 6

Sesta iterazione per il popolare gestionale di Kalypso Media a tema social-politico: vestiremo ancora una volta i panni di El Presidente in quello che, forse, è il compito più arduo di tutta la serie. Non gestiremo più una sola isola, bensì un arcipelago! È questa la novità più eclatante di questo Tropico 6, che aggiunge delle variazioni ben riuscite nel classico gameplay della saga. Avremo quindi più isolotti da gestire, come se fossero delle macro aree ognuna diverse dall’altra, senza dimenticare l’occhio alle varie fazioni politiche di Tropico, fattore fondamentale per una lunga presidenza, o nel peggiore dei casi, dittatura.
Dopo il mezzo passo falso del precedente capitolo, Tropico 6 torna in carreggiata, offrendoci uno dei migliori capitoli della serie da lungo tempo, capace di offrire ore e ore di puro divertimento caraibico.

#4 Baba is You

Baba is You, puzzle ideato dal finlandese Arvi “Hempuli” Teikari, ha un’idea semplice quanto complessa allo stesso tempo: per completare i livelli bisognerà “comporre” delle frasi di senso compiuto, usando degli aggettivi trovati in giro per i livelli. Per esempio, se un fiume di lava ci blocca il passaggio, basta mettere in sequenza le parole “lava is melt” per veder sparire l’ostacolo. È un titolo originale che, come l’idea del suo creatore, può sembrare semplice ma in realtà nasconde un cuore arduo e complesso, come ogni buon puzzle game che si rispetti. Uscito su PC e su Nintendo Switch, Baba is You è una gemma nascosta nel mare delle pubblicazioni indie, che consigliamo ai fan del genere e a chi vuole giocare un titolo che fa della semplicità e dell’originalità il suo punto di forza.

#3 Tom Clancy’s The Division 2

Abbandonata la notte perenne e innevata di New York per l’assolata e verde Washington D.C., The Division 2 ci riporta a lottare contro il virus scatenatisi nel primo episodio, portandoci nella capitale degli Stati Uniti contesa tra quattro diverse bande in guerra per la supremazia territoriale. Il titolo Ubisoft mantiene le promesse fatte durante lo sviluppo e dona ai giocatori un buon ibrido tra gioco di ruolo e shooter con coperture, migliorando i difetti del precedente capitolo. Unica pecca forse un endgame ancora non all’altezza dell’offerta, ma The Division 2 è comunque il miglior loot shooter del mercato, riuscendo dove altri titoli ancora non riescono a incidere.

#2 Devil May Cry 5

La rinascita di Capcom passa anche da qui: dopo Monster Hunter: World e Resident Evil 7, tocca a Dante e colleghi portare in alto il vessillo della software house giapponese. Devil May Cry 5 torna sui nostri schermi più bello che mai, grazie all’uso del RE Engine, e soprattutto più spettacolare che mai. Se Dante e Nero possono eseguire combo in stile picchiaduro, quest’ultimo usando anche la particolare protesi robotiche denominata Devil Breaker, particolare è il gameplay del nuovo V, un evocatore capace di chiamare in battaglia tre demoni da usare per combattere dalla distanza.
Il Re degli hack n’ slash è tornato e Devil May Cry 5 non delude le aspettative dei fan, donandoci un titolo sia bello da vedere che divertente pad alla mano.

#1 Sekiro: Shadows Die Twice

Un giovane shinobi del periodo Sengoku, alle prese con un arduo compito: vendicarsi della perdita del proprio braccio, sostituito da una particolare protesi, e salvare il proprio signore . È questo il prologo di Sekiro: Shadows Die Twice, ultima fatica di From Software e del suo mastermind Hidetaka Miyazaki. Nonostante la parentela con la serie dei Souls e del genere a essa legato, Sekiro si dimostra diverso rispetto ai titoli del recente passato, il gioco è più votato all’azione e al combattimento tra spadaccini, ed è possibile eseguire anche delle uccisioni stealth che richiamano un titolo sempre legato agli sviluppatori giapponesi: Tenchu.
Il level design è una delle peculiarità del titolo, con scenari mozzafiato come da tradizione, che ben si sposano con il setting del Giappone feudale. Sekiro centra il colpo alla perfezione e consacra il lavoro del suo creatore ai massimi livelli, donandoci non solo il miglior gioco del mese, ma anche uno dei migliori titoli del 2019.




Super Smash Bros. Ultimate

Super Smash Bros. è più di una semplice saga videoludica, è il culmine generazionale di tutto ciò che è Nintendo, la cronaca che registra la storia dei personaggi ad essa legati a questa leggendaria compagnia giapponese. Dall’inaspettato successo del primo gioco su Nintendo 64, all’ottenimento dello status di eccellenza con Melee, al meno fortunato Brawl e ai più o meno popolari Super Smash Bros. for Wii U & 3DS arriviamo a Nintendo Switch, la console che ha preso il mondo di sorpresa grazie alla sua natura ibrida: qui, giusto lo scorso dicembre, è stato rilasciato l’incredibile Super Smash Bros. Ultimate, un gioco che, come ha promesso il creatore Masahiro Sakurai, estrae tutto il meglio dei precedenti giochi, traducendosi nel miglior gameplay, estratto ovviamente da Melee, i migliori stage e ogni personaggio mai apparso nella serie di Super Smash Bros., insieme a tanti nuovi combattenti che prendono parte (e più in là prenderanno parte) al più grande crossover della storia. Vediamo insieme questo nuovo titanico capitolo della saga, oggi più voga che mai grazie anche ai grandissimi tornei che lo vedono protagonista.

Anni di tradizione

Come abbiamo già menzionato, il gameplay è quello del velocissimo Super Smash Bros. Melee, e ciò da per scontato che gli scivoloni casuali, presenti invece in Brawl, qui non sono presenti. Il sistema di combattimento, lo stesso sin dai tempi del Nintendo 64, differisce sia dai più classici picchiaduro 2D che presentano sistemi di combo e mosse speciali (come Street Fighter, per intenderci) che da quelli 3D “free range” alla Tekken o Dead or Alive, basate invece su combo veloci e chain attack: con il tasto “A” possiamo eseguire gli attacchi fisici e gli iconici “smash” anticipando di poco un movimento alla pressione del tasto (gli stessi possono essere richiamati, e caricati, con lo stick destro), con il tasto “B” e direzione possiamo eseguire i 5 attacchi speciali presenti in ogni personaggio, come attacchi a proiettile, colpi caricati, contromosse e molto altro, con i dorsali “ZL” e “ZR” attiviamo lo scudo per proteggerci dai colpi avversari o evitarli se lo richiamiamo insieme a una direzione e con “L” e “R”, in prossimità dell’avversario, potremmo bloccarlo ed eseguire una presa. Ogni personaggio, inoltre, ha anche uno smash finale ma questo sarà eseguibile, con “B”, solo se il giocatore riuscirà a rompere una sfera smash che (salvo modifiche al match in modalità Smash) apparirà casualmente nello stage, oppure riempiendo la barra di energia speciale, come in Street Fighter, in modalità avventura o tabellone degli spiriti (di cui parleremo più in là). Il salto, come tipico della saga, è eseguibile premendo i tasti “X” e “Y” oppure, come tipico di ogni picchiaduro 2D o 3D, inclinando lo stick per il movimento verso l’alto; inoltre, come da tradizione, potrete eseguire dei taunt, 3 per ogni personaggio, premendo uno dei tasti direzionali (o una direzione del pro controller o controller Gamecube, indicato, da sempre, per la migliore esperienza con questi picchiaduro).
Super Smash Bros. Ultimate, così come ogni altra uscita precedente, offre una miriade di customizzazioni ma, senza scendere troppo nel dettaglio (credeteci, ci vorrebbe un infinità di tempo), ci sono principalmente tre tipi di incontri: a tempo, in cui nel tempo limite stabilito bisogna mandare più volte possibile l’avversario fuori dal riquadro dello stage, a vite, in cui un giocatore ha un numero di vite stabilito e deve cercare di farle perdere agli altri combattenti, e a energia in cui, come nei più classici picchiaduro, bisogna mandare KO il nostro avversario facendo terminare la sua stamina, indicata nella parte bassa dello schermo. Come appunto anticipato, e come ovviamente vuole la tradizione, a ogni colpo a segno aumenteremo la percentuale di eliminazione del nostro avversario, indicata nella parte bassa dello schermo: più è alta più abbiamo la possibilità di mandarlo fuori dallo schermo (ovviamente ciò non accade con l’incontro a vita).
All’avvio del gioco finiremo sul menù principale, questo diviso in 5 grandi categorie; per darvi un overview benomale completa di questo gioco (credeteci, è immenso) li guarderemo tutti uno per uno, spiegando anche a caratteri generali le particolarità di questo nuovo capitolo di Super Smash Bros.. La modalità smash, che troveremo in alto a sinistra del menù principale, ci permetterà di esplorare, da soli contro il computer o insieme ai nostri amici in locale, tutte le possibili modalità di combattimento che includono anche l’apparizione degli oggetti contundenti, assistenti, sfere poké, frequenza di quest’ultimi, la possibilità di aggiungere agli stage, che presentano sempre 3 versioni differenti (standard, rovine e omega), terreni infuocati, elettrificati, soporiferi, avvelenati e tanto altro ancora; insomma, è veramente impossibile riproporre due volte lo stesso match! In questo menù, visto che è quello che apre gli utenti al multiplayer in locale, potrete avviare gli incontri a squadre, i tornei e accedere alla sezione “mischia speciale” in cui potrete accedere agli incontri “sudden death”, mischia totale, che funziona più o meno come un incontro a vite ma in cui potrete assegnare a ciascuna di essa un personaggio diverso, e mischia variabile, ancora una volta un’altra modalità in cui avrete ancora un’altra miriadi di customizzazioni, stavolta relativi ai singoli partecipanti di un incontro. Tutto questo, diciamo, copre la base del gameplay di questo Super Smash Bros. Ultimate, rispetto ai precedenti più vario che mai.
Inutile a dirlo, potrete usufruire di tutte queste customizzazioni anche in online, dove potrete competere in match casuali veloci oppure creando o partecipando in lobby in cui si stabiliscono tipologia di match, modalità di eliminazione, eventuali modifiche e molto altro ancora. La qualità degli incontri online, al solito, dipende dalla connessione dei giocatori che incontrerete, soprattutto di quelli che organizzeranno la stanza, ma vi possiamo assicurare che il più delle volte non ci siamo imbattuti in problemi che hanno limitato la nostra esperienza esperienza online; giocare online non solo protenderà la vostra esperienza con Super Smash Bros. Ultimate verso l’infinito ma potrete anche collezionale le schede smash, delle vere e propre placchette contenenti i nomi degli avversari che sconfiggerete online e che potrete anche scambiare per dei gettoni da spendere nel negozio in-game, in cui potrete comprare brani musicali, vestiti e accessori per i Mii fighters, spiriti, snack (di questi ultimi due ne parleremo più avanti) e aiuti vari per la modalità tabellone degli spiriti.

Everyone is here

Prima di analizzare le due restanti sezioni principali del menù iniziale, vogliamo dare un attento sguardo all’immenso roster di personaggi di questo nuovo capitolo che comprende letteralmente ogni personaggio mai apparso in questa serie di picchiaduro, anche i personaggi non-Nintendo come Solid Snake, Sonic, Bayonetta o Cloud Strife. In questo gioco sono presenti ben 76 personaggi selezionabili (che si sbloccheranno piano piano ma comunque molto facilmente) e altri sono in arrivo come Joker dalla serie RPG Persona di Atlus e il cubettosissimo Steve direttamente dal popolarissimo Minecraft. Ogni personaggio potrà portarvi alla vittoria in quanto, in linea generale, non esistono disparità di nessun tipo (ma solo vantaggi e svantaggi) o personaggi particolarmente over-powered; Sora Ltd. e Bandai Namco hanno davvero consegnato ai giocatori dei combattenti ben bilanciati in grado di offrire delle sfide sempre eque e ciò non è facile quando si consegna un roster di questa portata. Per ogni personaggio, o meglio per ogni saga presente in questo gioco, c’è una gran bella selezione di stage che ben le rappresentano, molti storici, come il Castello di Peach per la saga di Super Mario, le rapide di Donkey Kong Country, Brinstar di Metroid, Mute City di F-Zero, Onett di Earthbound e lo stage di Pictochat, ma molti nuovi come New Donk City da Super Mario Odyssey, la torre delle origini di The Legend of Zelda: Breath of the Wild o le Torri Cittadine di Splatoon e Splatoon 2.
Fornire un’overview dei temi degli stage (che, come tipico della saga, sono più di uno per stage ed è possibile impostarne la frequenza nel menù delle opzioni), è veramente impossibile in quanto, in proporziona alla grandezza del gioco, tanti sono i personaggi, tanti gli stage, tanti i brani! Nella sezione musica, dove possiamo ascoltare i brani liberamente (con una convenientissima divisione per saghe), possiamo renderci conto non solo della quantità di quest’ultimi ma anche della qualità degli stessi. Come al solito troveremo tanti nuovi temi composti per l’occasione ma a rubare la scena saranno senza dubbio i temi familiari delle saghe dei combattenti presenti, che sia rivisitati per l’occasione che in versione originale; ascoltare per credere!
Sempre nella stessa sezione “musica” è possibile creare delle playlist con i vostri brani preferiti ma anziché fissare come dei vegetali la schermata di selezione durante l’ascolto potrete premere “L” e ”R” insieme per fare andare la console in modalità riposo: in questo modo, in modalità portatile, potrete attaccare gli auricolari alla console e continuare ad ascoltare la musica dal vostro Nintendo Switch come fosse un tablet, l’ideale se la trasporterete all’interno di uno zaino.
La grafica, come al solito, non presenta caratteri di particolare rilievo ma i dettagli dei personaggi, laddove sono richiesti (insomma, ricordiamo che è un gioco dove potrete far scontrare Mario contro Bayonetta o Pac Man con Snake) sono sempre ben accentuati e ben presentati, come la texture a jeans della salopette di Mario o la pelliccia dei “combattenti pelosi” come Fox, Inceniroar, Pikachu o la versione yarn di Yoshi; sia in dock che in modalità portatile la qualità della grafica HD vi restituirà sempre una grafica veramente all’altezza e per nessun motivo l’eccezionale azione di Super Smash Bros. Ultimate calerà dai suoi stabili 60 FPS (fatta eccezione per qualche match online con qualche giocatore con una brutta connessione di rete, ma lì parliamo di lag e non di cali di framerate).

On that day…

Passiamo alla modalità avventura, qui un mix della precedente campagna di Brawl, L’Emissario del Sub-spazio, e la event mode di Melee, caratterizzata da una serie di sfide a tema. Abbiamo anche una storia il cui filmato iniziale, apparso in diretta mondiale nell’ultima direct di Nintendo dedicata a Super Smash Bros. Ultimate prima del lancio, ci mostra una creatura celeste al comando di un esercito di Master Hand. Gli eroi Nintendo, appositamente schierati per combatterli, cadono uno dopo l’altro e una volta catturati vengono clonati; l’unico a salvarsi è Kirby, non a caso la prima creazione di Masahiro Sakurai, e toccherà dunque a lui salvare i restanti personaggi del roster. Come al solito, le tematiche che avvolgono la ormai famosa lore di Super Smash Bros. sono celate dietro a un simbolismo abbastanza complesso che racconta metaforicamente la vita e il rapporto di Masahiro Sakurai con Nintendo e, anche una volta arrivati al termine dell’avventura, non tutto è mai chiarissimo; affronteremo questo discorso in un futuro articolo, a continuazione del precedente (che vi abbiamo linkato qualche riga più su) in cui spiegammo la complessa lore di questo gioco, in quanto ci sembra di aver decifrato i simboli di questa nuova avventura… E vi anticipiamo che i risvolti possono essere abbastanza tragici!
Nella modalità avventura ci verrà spiegato tutto ciò che c’è da sapere riguardo agli spiriti di cui si parla tanto nel gioco. Questi sostituiscono i trofei dei precedenti giochi in tutto e per tutto e dunque viene abbandonato il modellino 3D in favore di un più semplice ma più caratteristico artwork originale; a questi, adesso, vengono attribuiti elementi RPG e diventano dunque degli equip da usare in battaglia in questa modalità. Gli spiriti, oltre agli spiriti del personaggio ottenibili dalla modalità classica (e dal negozio per quel che riguarda i costumi alternativi di alcuni personaggi, come Mario sposo, Alphie o i Koopalings), si dividono in spiriti combattenti e spiriti aiutanti. I primi sono di tre tipi + uno, ovvero attacco, difesa, presa e neutro: fra i primi tre c’è un rapporto triangolare (difesa batte attacco, presa batte difesa e attacco batte presa) e tendono a migliorare quel determinato aspetto (se ci equipaggiamo di uno spirito difensivo dureremo di più in battaglia, con attacco infliggeremo più danni e con quelli presa infliggeremo più danni con le prese) mentre il neutro batte tutti quanti anche se non concede particolari vantaggi. Lo spirito combattente equipaggiatoad ogni battaglia accumulerà esperienza salendo di livello e ciò aumenterà il numero di overall: questo ci permette di capire orientativamente il livello del nostro avversario o squadra avversaria perciò, se vogliamo avvantaggiarci in battaglia è meglio sempre superare quello del nostro avversario e selezionare la tipologia opposta (insieme ad una buona tecnica generale, non sempre il numero più alto e la tipologia inversa assicura la vittoria). Si possono potenziare questi spiriti, inoltre, con i già citati snack, le basi del personaggio, che otterremo quando congederemo uno spirito dal menù congeda, con la palestra di Doc Luis, l’iconico allenatore di Little Mac di Punch Out!!, e le zone di esplorazione di Toadette, Charlie e Linebeck (questi da sbloccare nel corso dell’avventura).
Ogni spirito combattente ha degli slot, da uno a tre, a questi possiamo assegnare gli spiriti aiutanti: questi modificheranno ancora di più l’esperienza di gioco migliorando un nostro determinato aspetto, come l’aumento della potenza degli attacchi fisici, frontali, in corsa, alzare la difesa contro pugni e calci, esplosioni e oggetti contundenti, oppure annullare delle particolarità dello stage o dell’avversario. Gli effetti sono veramente tantissimi e ci è impossibile elencarli tutti ma ciò che vi basta sapere è che tutti questi permettono un tipo di gameplay, in modalità avventura o persino in modalità smash o online se i giocatori vorranno, altamente personalizzabile. Capire tutti questi meccanismi, specialmente con le poche righe di tutorial, è abbastanza difficile e confusionario ma vi assicuriamo che facendo esperienza nella modalità avventura capirete tutto quello che c’è da sapere su questa nuova meccanica RPG.
Il nostro Kirby verrà catapultato in un mondo devastato da questa creatura celeste di nome Kiaran (o Galeem in inglese) e qui, passo dopo passo, incontrerà spiriti dei combattenti da liberare, diventando dunque giocabili in questa modalità, e spiriti combattenti e aiutanti da salvare, incarnati dalle copie generate dalla loro cattura all’inizio del gioco. Gli spiriti, anche se non l’abbiamo menzionato, sono – diciamo – personaggi non giocabili di cui è però presente l’artwork all’interno della lista degli spiriti: pertanto, qualora dobbiamo affrontare uno spirito in battaglia, troveremo il o i personaggi del roster che più somiglia a quello spirito: lo spirito di Baby Bowser (che ricordiamo non è Bowser Jr. ma il Bowser bambino della saga di Yoshi’s Island) sarà rappresentato da un Bowser Maxi (esattamente come nel finale del primo titolo della sua saga), X verrà rappresentato da un Mega Man con un blu più schiarito, Chibi Robo da R.O.B., Meowth da Fuffi (o Isabelle), T. Hawk da un Inceneroar blu e così via. Nonostante l’assenza dal roster principali di questi personaggi (e che forse, apparendo lì, Nintendo ci sta facendo intendere che non usciranno più tardi come DLC… Spiacente fan di Waluigi di tutto il mondo!) è veramente interessante vedere come gli sviluppatori abbiano fatto di tutto pur di offrire al giocatore una lotta, seppur scarna, con questi ipotetici personaggi al di là del semplice colore: la lotta contro Rocky, uno dei nemici/amici di Kirby che permette la trasformazione in roccia nella sua saga, è rappresentata da una battaglia contro più Kirby ma l’unico attacco che questi faranno è solamente la mossa speciale in basso, la trasformazione in roccia, esattamente il potere che conferiva questo nemico a Kirby nei suoi giochi! È davvero uno spasso riconoscere tutti questi segnali, specialmente per i “nintendari” più affiatati!
In questo overworld, costruito all’incirca sulla falsariga dei Super Mario in 2D, incontreremo questi spiriti sotto forma di aura luminosa e una volta superata la sua battaglia lo otterremo e sarà disponibile nel nostro arsenale degli spiriti. A ogni modo, il vagare per l’overworld alla ricerca di spiriti non è di certo tutto, né l’esplorazione sarà così lineare come pensiamo: al di là dei semplici incroci troveremo le palestre per attribuire ai nostri spiriti combattenti ulteriori abilità, le zone di esplorazione, empori dove poter comprare spiriti esclusivi, ma anche sentieri bloccati dalle rocce, ponti rotti, ferrovie, laghi da attraversare ma soprattutto sub-aree tematiche, importantissime per procedere nell’avventura.
A ogni battaglia riceveremo inoltre delle sfere abilità da spendere nell’albero delle abilità del menù di pausa della modalità avventura: similarmente a Final Fantasy X o Fist of the North Star: Ken’s Rage (l’iconico spin-off della saga di Dynasty Warriors basato sulla saga di Ken il Guerriero per Xbox 360 e PlayStation 3) avremo una mappa delle abilità in cui espanderemo le nostre abilità spendendo le sfere, dal centro verso fuori. I giocatori potranno cominciare a sbloccare le abilità più avvantaggianti rispetto al loro stile di gioco, come per esempio migliorare le prese se ne sono grandi utilizzatori, ma una volta riempito il 50% delle abilità di questo albero (e ci vorrà del tempo) il nostro stile di gioco, inevitabilmente, diventerà un po’ troppo over-powered e ciò lederà un po’ alla fruizione della modalità avventura visto che le battaglie, nonostante gli avversari diventano sempre più forti, diventeranno molto facili, anche impostando la difficoltà a difficile. Nonostante tutto, questa modalità ci porterà a milioni di sorprese e proprio quando pensiamo che l’avventura stia volgendo al termine, ecco che ci sorprende con qualcosa di inaspettato (vogliamo rimanere più no spoiler possibili), sensazioni paragonabili al trovare il castello inverso in Castlevania: Symphony of the Night. Provare per credere!

L’ultima modalità del menù spiriti è il Tabellone degli spiriti. Qui si possono trovare grossissima parte degli spiriti che non siamo riusciti a trovare nella modalità avventura (e ve ne accorgerete guardando l’elenco degli spiriti nel sub-menù collezione) ed è di base, diciamo, un proseguo parallelo alla modalità avventura: in questo menù c’è un tabellone con 10 spazi, ognuno contenente uno spirito, dunque una battaglia alla fine della quale parteciperemo a un minigioco che ci permetterà di ottenere effettivamente lo spirito. La particolarità sta nel fatto che questi 10 spazi hanno un tempo limite, 5 minuti per slot (15 se si tratta di uno spirito leggenda, uno raro), e perciò, anche qui, bisogna agire con astuzia e dar dunque precedenza agli spiriti che non abbiamo o ci servono per evocare gli altri spiriti nella modalità evocazione. In questa modalità, come possiamo aspettarci, gli spiriti appariranno casualmente e anche se troveremo spesso tanti spiriti che possediamo già vi garantiamo che quasi sempre troverete almeno uno spiriti che non avete; diciamo che la probabilità, nel tabellone degli spiriti, gioca a vostro favore, diversamente dalla vecchia macchinetta dei premi/slot machine di Melee e il flipper/pachinko di Brawl.
L’ultimo modo, invece, per ottenere gli spiriti è evocarli dall’apposito menù: qui troveremo ancora molti altri spiriti, molti dei quali non appariranno né nel tabellone degli spiriti né nell’overworld dell’avventura, e per ottenerli dobbiamo semplicemente sacrificare almeno due spiriti dalla nostra collezione. All’inizio sarà difficile scegliere quale e addirittura se evocare uno spirito, tanto che l’istinto naturale è quello di aspettare di collezionare dei doppioni per poi evocare uno degli spiriti, ma il nostro consiglio è tuttavia quello di buttarvi: anche se si perdono due o a volte anche tre, quattro spiriti l’importante è riempire la collezione, che non si priverà mai di uno spirito perduto, e anche se si perdono certi spiriti alla quale potreste essere particolarmente affezionati vi basterà sapere che quello che evocate sarà superiore in tutto rispetto a quelli che sacrificherete. Perciò non vi preoccupate, riempite la vostra collezione generale anche perché vi garantiamo che, a differenza di tutte le precedenti entrate della serie Super Smash Bros. in cui per ottenere tutti i trofei spesso e volentieri si ricorreva a Game Shark e Action Replay, sarà possibile collezionare tutti 1303 spiriti presenti nel gioco (perora), giusto per mostrare il vostro “spirito nerd” al mondo intero!
Ultima azione che potrete fare nel sub-menù collezione e congedare gli spiriti. In questo menù potrete liberarvi degli spiriti che non vi piacciono oppure dei doppioni, facendoli trasformare in basi e ottenendo dei punti spirito, che permettono il potenziamento coi snack degli spiriti combattenti e possono essere spesi per comprare gli oggetti in vendita negli empori della modalità avventura. Una base può esservi utile per il potenziamento degli spiriti combattenti ma in realtà sono ancora più ultili per le evocazioni: nel caso avevate già congedato, per farvi un esempio, un doppione, e dunque ottenuta la sua base (che rimarrà legata al personaggio dalla quale viene ottenuta), qualora serva il suo spirito per una evocazione potrete usare questa anziché sacrificare uno spirito.

Una nuova pietra miliare

Anche per questa generazione Sora LTD. e Bandai Namco, insieme a Nintendo e tutte quelle compagnie esterne che si sono offerti di partecipare a questo incredibile crossover come Sega, Konami, Capcom e persino Yacht Club Games e Way Forward (che hanno garantito la presenza di Shovel Knight negli spiriti e nel roster degli aiutanti e di Shantae solo negli spiriti), si sono letteralmente superati consegnando un gioco capace di offrire a un giocatore un quantitativo di ore infinite di gioco fra campagne single player, multiplayer locale e online. Non ci sono pecche in questo eccellente picchiaduro che non mostra alcun segno di invecchiamento… Se non un accorgimento (personale) che vorremo fare. L’unico punto a sfavore, secondo noi, di questo incredibile Super Smash Bros. Ultimate è proprio il sistema e la sezione degli spiriti. Per quanto funzionante, funzionale e chiara possa essere questa veste RPG nelle modalità in cui è applicabile essa, in parte, snatura ciò che è la serie in sé, ovvero un gioco picchiaduro in cui ogni secondo conta: per quanto ciò non intacchi il gameplay in generale e sia giustamente innovativa in un gioco del genere, essa è difficile da comprendere ed è un qualcosa che secondo noi, per quanto interessante, possa essere quanto di più lontano c’è da questo genere videoludico. E, in conclusione, vorremo anche sottolineare quanto abbozzata sia stata la scelta di soppiantare i trofei in favore degli spiriti, che sono in sé degli artwork originali dei giochi da cui provengono. Sì, sono molto belli, sì, è molto bello guardarli e inserirli stato senza dubbio molto più conveniente di creare dei modellini 3D da zero risparmiando tempo, denaro e spazio in memoria – sarà bastato buttare a casaccio una serie di file png – ma perché togliere le descrizioni che accompagnavano i trofei in Melee e Brawl? I vecchi giochi, sotto questo aspetto, non erano solo dei giochi competitivi ma erano anche delle vere e proprie enciclopedie dalla quale era possibile conoscere la storia di ogni trofeo, e dunque personaggio (o oggetto), rappresentato nei trofei, una vera e propria celebrazione della storia di Nintendo. Super Smash Bros. Ultimate è certamente un titolo inarrivabile… Ma forse non riesce ancora a detronizzare un gioco come Melee che, a distanza di quasi diciotto anni, risulta ancora incredibilmente attuale.
A ogni modo, come il titolo ci suggerisce, è il titolo definitivo di questa immensa saga che a sua volta ne abbraccia tante altre, il culmine del gameplay, il coronamento generazionale della “nintendosità” che ha soddisfatto in toto le aspettative degli appassionati. Decisamente un titolo obbligatorio per chi possiede un Nintendo Switch, un titolo che ancora ha ancora molto da dire grazie ai DLC che ancora devono addirittura essere annunciati.




Not a Hero: Super Snazzy Edition

C’è chi dice che 3D e 2D sono due mondi separati e in quanto tali non convergono in nessun modo. Nella storia dei videogiochi spesso delle meccaniche proprie del 2D sono state riproposte 3D, non sempre con risultati eccellenti, ma il processo inverso è veramente raro, tanto che è difficile riportare degli esempi concreti; non siamo qui per farvi una top 10 dei giochi che hanno sfidato le leggi della bidimensionalità, però possiamo parlarvi di Not a Hero: Super Snazzy Edition, un gioco interamente 2D che implementa, con risultati davvero ottimi, il cover system tipico dei più frenetici third person shooter 3D come Gears of War o Uncharted. Questo frenetico sparatutto, uscito originariamente nel 2015 su PC e arrivato su Nintendo Switch soltanto quest’anno, è un mix di azione, tatticismo, violenza e follie alla Quentin Tarantino con una spruzzata di humor e parlate inglesi che donano all’intero gioco una veste unica e veramente eccezionale. Vediamo insieme questo gioco sviluppato dallo studio inglese Roll7 e pubblicato da Devolver Digital che, ancora una volta, mette nella sua immensa libreria un gioco veramente audace e innovativo come i già visti Minit e Crossing Souls.

Ta ta ta ta ta ta ta ta ta ta…

Siamo a 21 giorni da un’elezione in una città del Regno Unito e il singolare Bunnylord, un coniglio viola antropomorfo venuto dal futuro, vuole a tutti i costi diventare sindaco per scongiurare il crimine che, a detta sua, farà affondare la città in una crisi irreversibile. Con il poco tempo rimasto, Bunnylord attuerà una campagna anticrimine per mano delle peggiori canaglie del Regno Unito, sociopatici senza il minimo scrupolo quando si tratta di far fuori qualcuno; cominceremo utilizzando Steve, il migliore amico di Bunnylord, ma piano piano, una volta diminuiti i crimini, salirà il consenso e perciò sempre più folli esaltati, come Mike, Samantha e Cletus, cominceranno ad appoggiare il coniglio viola; ma andiamo con ordine. I livelli proposti in Not a Hero sono fatiscenti palazzi di periferia a più piani dove si nascondono intere bande di criminali: ci sarà sempre un obiettivo principale, come uccidere uno specifico NPC, rubare degli oggetti, piazzare bombe, salvare ostaggi e altri tre obiettivi secondari, come chiudere un livello in un tempo limite, uccidere tutti i nemici o chiudere una determinata sequenza di uccisioni senza essere colpito e tanti altri (a volte anche precedenti obiettivi principali) e, più obiettivi completiamo in un livello più crescerà il nostro consenso (che servirà appunto per sbloccare più velocemente tutti i personaggi). Il primo livello spiegherà la meccanica portante di Not a Hero, ovvero il sistema di scivolata, con “b”, seguita dalla successiva (quasi assicurata) copertura dietro a un oggetto del background, dalla quale rimarremo coperti dal fuoco nemico e potremo sparare quando questo non sarà nascosto come noi; capire questa meccanica è fondamentale per compiere delle run senza sbavature ma anche per sopravvivere al meglio fra le orde nemiche e dunque completare il livello. Scivolare, in fondo, è l’unico modo per trovare copertura e perciò, piano piano, dobbiamo capire come funzionano queste strane (ma interessanti) meccaniche allenandoci a premere e rilasciare il tasto al momento giusto per finire nel punto più strategico dalla quale far fuoco. Importantissimo, oltre allo scivolare, nascondersi e sparare, è ricaricare l’arma al momento giusto e nel punto giusto, possibilmente nascosti dietro a un oggetto del background e quando il fuoco nemico si fa meno denso.
I personaggi variano a seconda dell’arma che usano, il che influirà sul tipo di fuoco in sé (la pistola spara un colpo dritto e preciso, il fucile un colpo ampio ma con caricatore  meno ampio e il mitra, con ampio rateo di fuoco ma scarsa precisione), la velocità di movimento, il tipo di esecuzione (di cui parleremo a breve) e possibilmente altre abilità uniche di uno specifico personaggio. L’esecuzione è un tipo di uccisione che potremo compiere quando andremo incontro a un nemico in scivolata facendolo cadere: una volta che sarà a terra, premendo il tasto del fuoco, il nostro personaggio ucciderà il nemico, chi con colpo di pistola e chi con una mossa particolare o un oggetto contundente come un coltello o una katana. Nei livelli, inoltre, possiamo trovare delle armi secondarie, molto utili per liberare le schermate più affollate e degli upgrade per i proiettili della nostra arma, che li renderanno infuocati, esplosivi, perforanti, rimbalzanti e molto altro ancora. Ogni personaggio offrirà dunque un gameplay diverso e pertanto, per via delle molteplici variabili che contraddistinguono ognuno di loro, si vengono a creare delle spiacevoli disparità portando il giocatore a preferire giusto una cerchia di personaggi più vicini al suo stile di gioco senza necessariamente provarli tutti; tuttavia, tanti stili significano anche un gameplay veramente vario già solo sul piano della scelta e perciò il sottolineare la disparità fra i personaggi non è un fattore necessariamente (forse anche per niente) negativo nell’intero.
Not a Hero è di base uno shooter che mischia elementi da alcuni giochi classici come Elevator Action Return, Contra e in parte alcuni altri classici per computer sulla scia di Persian Gulf Inferno ma si comporta nelle meccaniche come un modernissimo sparatutto sulla scia di Gears of War; ciò permette un gameplay infuocato il cui tempismo tra far fuoco e copertura è fondamentale se si vuole sopravvivere alle orde di nemici, che faranno fuoco manco fossero dei napoletani a Capodanno. Grazie alla suddivisione in tre capitoli, in cui in ordine faremo fuori una mafia russa, una gang di afro-britannici e una triade panasiatica, possiamo gradualmente approcciare questo singolare sistema e capire qual è lo stile di gioco che più ci aggrada, ovvero quale fra quello più casinista e cruento o quello furtivo e tattico. Più il giorno delle elezioni si avvicina più i livelli si faranno sempre più irti di nemici più forti, che sfoggeranno nuove armi o più coriacei da eliminare; in questo Not a Hero, offre una learning curve veramente piacevole e anche se gli obiettivi si faranno sempre più difficili (che dovranno essere soddisfatti tutti in una run di un livello) il gameplay non porterà mai il giocatore alla frustrazione.
In aggiunta alla campagna principale, è possibile trovare in alcuni livelli delle porte rosse che ci porteranno in delle aree bonus e la campagna “me, myself and Bunnylord”, precedentemente rilasciata come DLC (il che ne fa la particolarità di questa Super Snazzy Edition), in cui controlleremo in prima persona il politico che non si fa alcun scrupolo nella lotta contro il crimine. Peccato solamente che una volta completati tutti gli obiettivi delle 21 missioni (che servono per ottenere i finali migliori), più quelli della campagna aggiuntiva che includono solamente tre missioni extra, non ci rimarrà più niente da fare, accorgendoci di quanto il gioco sia abbastanza breve nonostante il buon livello di sfida e i numerosi livelli; sarebbe bastata anche una semplice partita +, magari utilizzando il solo Bunnylord oppure con obiettivi secondari del tutto nuovi, ma l’unica cosa che rimane è solamente l’opzione di azzerare il file di salvataggio e ricominciare un nuovo file se proprio vogliamo rigiocare da capo questo titolo (che lo merita parecchio nonostante tutto).

Menomale che Bunnylord c’è!

Not a Hero mischia grafiche vintage, principalmente quelle di Atari 2600, Nintendo Entertainment System e dei computer Commodore 64 e Atari ST, presentando delle tonalità retrò comunque “remixate” e animate a modo per appellarsi al meglio ai giocatori odierni. Lo scenario riesce a essere immediatamente chiaro e ciò è fondamentale per il giocatore in quanto, bisogna capire sin da subito quali sono i punti in cui si possa cercare riparo. La grafica riesce a essere funzionale al giocatore e al gameplay e ciò non può che essere un punto a favore per la fruizione di questo gioco in quanto, in sostanza, ogni punto che ci sembra un riparo lo è per davvero. I personaggi sono ritratti con uno stile un po’ più “atarieggiante” ma ciò non toglie la possibilità di distinguere tutti i tratti distintivi di ogni personaggio come una collana, un occhio schizzato, una determinata capigliatura, una sigaretta o altro ancora. Inoltre, per i fan de Il Grande Lebowsky, in questo gioco potrete giocare con un Jesus molto simile a quello del film, con dei capelli neri raccolti, pizzetto, una camicia viola e un “gioco d’anca costante” – diteci come si fa a non amare questo gioco! –. Tutti i personaggi sono abbastanza “singolari” e ciò lo si può evincere dalle loro esilaranti linee di dialogo, rigorosamente prodotte con accenti inglesi veramente incomprensibili; sebbene tutte le linee testuali sono tradotte in italiano e i giocatori, per la maggior parte, possono ritrovarsi con una buona esperienza d’inglese ciò non basta per capire gli astrusi accenti che per altro sono parte dello humor delle one-liner qui prodotte. Insomma, per capire buona parte dell’umorismo delle linee di dialogo dei personaggi (e dei nemici) conviene allenare le vostre orecchie guardando un bel po’ di puntate di Monty Python’s Flying Circus, per intenderci! Impossibile poi non notare la forte componente satirica del gioco che tende principalmente a ridicolizzare ed esagerare le mire politiche e la losca vita di alcuni personaggi politici del mondo attuale, supportati per altro da gente psicopatica come tutti i personaggi che useremo per “attuare” la politica di sicurezza di Bunnylord basata sulla forza bruta e il terrore (se questo gioco fosse stato ambientato in Italia sicuramente avremo potuto stilare qualche particolare analogia…).
Parlando invece del comparto sonoro, Not a Hero propone una colonna sonora che mischia molti generi prettamente elettronici, fra cui il synthpop, la musica elettronica inglese e la chiptune, ma ciò che fa da padrone è certamente la componente dubstep. Sebbene ci sia un richiamo nostalgico nelle melodie, il gioco vuole proporre comunque qualcosa che tutti possano apprezzare e pertanto viene offerta una colonna sonora di tutto rispetto, fatta con bisunti chip sonori e con sintetizzatori moderni: ogni livello, ha un suo brano originale, perciò possiamo affermare che è stato fatto davvero un bel lavoro, anche perché i temi sono veramente graziosi.

Vota Bunnylord!

Ancora una volta i giochi proposti da Devolver Digital non si smentiscono e abbiamo di nuovo un piccolo capolavoro fra le mani. Not a Hero: Super Snazzy Edition è certamente un titolo da tenere in considerazione, specialmente in vista di qualche periodo di saldo in cui potremmo aggiudicarcelo per un prezzo ancora più basso di quello standard (12,99€). Questo insolito e, in parte, sconosciuto titolo potrà certamente regalare tantissime ore di sano divertimento a qualsiasi giocatore, specialmente quelli più abituati a vedere questo tipo di giochi in tre dimensioni, pur accettando la sua veste retrò e il suo humor pungente. Nonostante qualche lieve bug è sempre un vero peccato che questo titolo non si annoveri fra gli indie più gettonati del panorama recente; diamo a Bunnylord il rispetto che merita (o altrimenti ci manderà a casa uno dei suoi killer psicopatici!).




Minit

Speedrunner: quante volte ci è capitato di vedere su YouTube un video di qualcuno che completa nel giro di  pochi minuti qualche gioco classico? Chi più o chi meno, tutti ogni tanto ci siamo detti: «caspita! Magari fossi così bravo!». Da oggi, per coloro che vogliono imitare i propri speedrunner preferiti, esiste un gioco adatto per questi esatti scopi, un gioco breve e minimale il cui slogan sembra proprio voler dire “less is more”: stiamo parlando di Minit, un titolo sviluppato da Kitty Calis, Jan Willem Nijman, Jukio Kallio e Dominik Johann. Come al solito Devolver Digital, che si è occupata della pubblicazione di questo titolo, ha ancora una volta premiato i game designer più audaci in quanto Minit è molto lontano da qualsiasi definizione o similitudine gli possiamo affibbiare, è un titolo unico che offre delle meccaniche mai viste prima, o per lo meno mai implementate in questo modo. Dunque cos’è che rende unico questo gioco? Vediamo insieme questo titolo per Nintendo Switch, ma anche presente per le restanti console e PC, macOS e Linux.

Maledizione! Un’altra spada maledetta!

Minit, in quanto a trama, offre l’essenziale, una storia breve che si svolge anche in pochi passaggi: troviamo in spiaggia una bella spada ma, una volta presa, scopriamo che è maledetta e dunque non solo non potremo più abbandonarla, ma ogni 60 secondi questa ci ucciderà, facendoci respawnare a casa nostra o in un’abitazione che fa da checkpoint intermedio. Chi non si arrabbierebbe in una situazione del genere? Il nostro obiettivo infatti sarà sporgere reclamo alla fabbrica di spade e capire cosa si cela dietro a questo lotto difettoso. Poste queste premesse, il gioco si pone come un insolito mix fra The Legend of Zelda, per l’overworld, il sistema di combattimento, crescita dinamica e il design generale, e WarioWare per l’assurda meccanica del limite di tempo e la bizzarria generale; dunque, come già accennato, ogni 60 secondi (o meno) ricominceremo sempre dallo stesso checkpoint e se non dovessimo completare quello che stavamo facendo in un determinato punto dovremmo tornare nello stesso e tentare una seconda volta, sperando che il timer non si azzeri una seconda volta. Queste strambe meccaniche sono veramente originali ma, anche se in maniera altalenante; il più delle volte gli obiettivi principali o le sidequest sono posizionati a una buona distanza dal checkpoint, dando al giocatore una buona dose di calma per risolvere i problemi che ci vengono posti, ma ci sono (meno) volte in cui tutto è abbastanza distante, dunque ci ritroveremo spesso nella situazione in cui spenderemo molti preziosi secondi solamente per recarci nel luogo della quest per poi risolverla con il tempo rimanente, appena sufficiente (soprattutto nella seconda quest in cui il timer passa da 60 secondi a 40 e non avremo la possibilità di raccogliere i cuori per aumentare la vita massima). Come risultato, torneremo di nuovo al checkpoint per ri-recarci al punto della quest con, ancora, i secondi necessari per risolverla e tentare la sorte una seconda volta. Non vogliamo dire che il gioco non sia stato testato (lo è, eccome), ma sarebbe stato meglio tarare l’overworld per i giocatori non abilissimi, soprattutto quei curiosi che non hanno idea di cosa sia questo gioco. Come tipico del gioco d’avventura, il nostro personaggio, obiettivo dopo obiettivo, diventerà sempre più abile e poco per volta saremo sempre più in grado di risolvere tutte le situazioni che ci si pongono di fronte. Anche sul fronte crescita, Minit offre sempre lo stretto indispensabile e i dialoghi comunicano sempre il minimo indispensabile, il tutto con il solito spirito strambo della quale il gioco è intriso; per quanto simpatico possa sembrare, a volte ci sono obiettivi indispensabili per continuare l’avventura e non sempre quello che dobbiamo fare risulta chiarissimo. L’area totale di gioco, alla fin fine, è piccola e dunque, anche girando a vuoto, prima o poi si porterà a termine un obiettivo più o meno rilevante; ci sarebbe piaciuto comunque giusto qualche informazione in più ma è anche vero che una volta scoperto il segreto della casa dei fantasmi il gioco potrebbe diventare giusto un po’ più semplice, anche se questo accadrà a gioco inoltrato (sempre se lo capiremo). Semplici sono anche i controlli: gli unici due tasti che useremo sono il tasto di attacco “B”, e il tasto di respawn “A”, per tornare più velocemente al checkpoint quando sarà necessario, un vero e proprio “suicide button” – Attenti solamente a non confondervi quando usate la spada nelle sezioni di combattimento; gamer con le manone: siete stati avvertiti! –.
In definitiva, Minit è un gioco molto breve ed è possibile completarlo in un paio d’ore… Se l’avremo completato almeno una volta! La forza di questo titolo sta proprio nella sua brevità, infatti il completare il gioco, all’inizio, in un paio di giorni per poi completare una seconda quest, che pone nuove difficoltà al giocatore, in un paio d’ore crea in insolito effetto di piacere, un rilascio estasiante di dopamina paragonabile, forse, a quello di uno speedrunner quando completa un gioco in tempo record. La nostra sfida, fra noi e noi (o altri), sta proprio nel completare Minit nel minor tempo possibile, con la percentuale di completamento più alta (che aumenterà, ovviamente, in base agli oggetti sparsi nell’overworld, le monete e i portacuori, tutte cose non indispensabili per il completamento della quest principale) e, possibilmente, con meno respawn possibili. Le meccaniche di questo titolo sono allo stesso tempo semplici e intriganti, anche se forse la breve durata del gioco potrebbe comunque ledere il gioco in termini di rigiocabilità – Insomma, a completare lo stesso gioco di continuo, anche segnando tempi da record, prima o poi stancherà! –. Ad ogni modo, una volta finita la prima run possiamo comunque avviare la seconda partita + o, se avremo completato un file con una percentuale di completamento pari al 110%, la Mary mode, una campagna in cui controlleremo un altro personaggio ma senza la meccanica portante del tempo limite, lasciandoci dunque liberi di esplorare il mondo che ci circonda in santa pace.

Don’t fight me, fight the system!

Nonostante gli strambi personaggi di questo mondo e le bizzarre premesse di questo titolo, Minit offre al giocatore una grafica vicina al deprimente, con soli due colori, bianco e nero, senza alcuna tonalità di grigio (simile in parte alla grafica delle schermate di combattimento di Undertale), anche se è chiaro comunque l’intento degli sviluppatori nel creare qualcosa con uno stile vicino al Gameboy. Visto il richiamo nostalgico sarebbe stato bello poter inserire più filtri di visualizzazione, un po’ come accadeva per il Super Gameboy (storico add-on per Super Nintendo che permetteva di giocare alla libreria della console portatile sul televisore di casa), ma invece Minit rimane ai due soliti colori, talvolta stancando un po’ la vista del giocatore, specialmente se giocato al buio. È bene dire comunque che, anche se questa grafica può non piacere, ha una sua originalità e serve, forse, a rispecchiare una sottile denuncia alla società odierna, che viene qui presentata piatta, senza fantasia, senza genuinità, corrotta, monotona e dedicata maggiormente alla produzione e al consumo sfrenato senza riflettere sulle conseguenze. Non pochi personaggi, appunto, ci diranno di non combatterli, rivendicando invece di combattere il sistema! Che possa essere una delle chiavi di lettura… Chissà!
La piattezza e la bizzarria generale si riflette anche nella colonna sonora, giusto con un po’ più stile: non sono presentati grandi temi pomposi, come ci si aspetterebbe in un’avventura a là The Legend of Zelda, ma vengono riprodotti dei temi molto semplici, spensierati, orecchiabili ma comunque molto piacevoli e di buona qualità. Diciamo che tentano di riproporre un po’ quello che è stato fatto con la grafica, delle melodie “ignoranti” – oseremo dire sceme! – ma tutto sommato memorabili. Le sonorità includono l’uso di chip sonori ma anche di strumenti acustici come kalimbe, chitarre e pianoforti (da come si può notare, soprattutto, ogni volta che si muore). In ogni caso, il comparto sonoro presenta un grosso problema: come è normale che sia, le aree, divise principalmente in quattro grandi zone, hanno temi diversi ma il loro continuo cambio e il passaggio nelle aree senza musica provocheranno spesso un alt nella riproduzione audio, finendo per sentire i soli effetti sonori. È un difetto “poco elegante”, visto che la colonna sonora è abbastanza piacevole e, l’unico modo per ripristinare l’audio, sarà chiudere l’applicazione dall’home e riavviare il gioco dal nostro ultimo salvataggio (che sono comunque automatici). Non sappiamo dirvi se la stessa cosa accade su Steam o sulle altre console ma è bene che Devolver, o chi di competenza, applichi presto una patch per risolvere questo problema, che non fa che ledere al godimento di questo particolarissimo titolo.

In… Breve!

Insomma, Minit è un titolo incredibilmente particolare e pone delle meccaniche così insolite che risulta davvero difficile trovare una fascia di giocatori alla quale possa interessare. Di sicuro consigliamo questo titolo ai fan di Devolver, poiché ancora una volta viene consegnato un titolo veramente sopra le righe e intriso di quella bizzarria tipica di questo studio texano e ai giocatori più folli, quelli che apprezzano meccaniche sperimentali come quella proposta qui e i design strani e singolari – insomma, non abbiamo ancora capito cosa è il protagonista: è un animale? È una persona? È un alieno? Boh! Magari non è importante saperlo! –. Tuttavia, al di là di queste due specifiche categorie, ci risulta veramente difficile consigliare questo titolo a un semplice fan, per esempio, della saga di The Legend of Zelda o a coloro che giocano a titoli più grandi e più complessi; non solo potrebbero non apprezzare la singolare presentazione di questo titolo ma potrebbero, più gravemente, non apprezzare le folli meccaniche del tempo limite e dello speedrunning qui proposto. Purtroppo Minit è, e potrebbe rimanere per sempre, un titolo incredibilmente di nicchia, inaccessibile, difficile da capire e da apprezzare; soltanto chi comprende le basi sulla quale questo gioco si fonda può trovare in Minit una genialità incompresa, anche se non è espressa in maniera eccelsa. A ogni modo, il modico prezzo di 9,99€ sullo store (addirittura meno se in saldo) non è certamente un ostacolo e perciò, se questa recensione vi ha incuriosito, vi invitiamo dunque a giocare a questo titolo strampalato e, soprattutto, breve ma intenso.




Hi, my name is… Michel Ancel

Nella storia dell’industria videoludica la maggior parte dei giochi in grado di trainare intere generazioni di designer e giocatori nascono da un’idea semplice, elementare ma che nella loro immediata intuitività lasciano un solco indelebile, un passaggio obbligato per tutto quello che verrà da quel momento in poi. È l’esempio della saga, ormai diventato uno dei franchising più redditizi del mercato, di Super Mario Bros. o quella di Sonic the Hedgehog rispettivamente di Nintendo e Sega. Prodotti che hanno saputo creare due icone indelebili del videogioco e che ancora oggi vengono facilmente identificati come simboli dell’intero settore. Come si può mai pensare di arrivare a concepire un personaggio con una forza iconica tale da essere accostato a questi due giganti? Un buffo omino francese è riuscito nell’impresa nell’ormai lontano 1995, ritagliandosi un piccolo spazio nella legenda: stiamo parlando di Michel Ancel, il papà di Rayman.

Classe 1972, Michel Ancel inizia la sua avventura come graphic artist alla Lankhor curando l’estetica dei mecha in Mechanic Warriors. L’abilità di riuscire a sfruttare la pochezza dell’hardware corrente riuscendo a disegnare splendidi sprite in pixel art convince la dirigenza di una giovane Ubisoft a chiamarlo tra le sue fila, affidandogli il delicatissimo compito di sviluppare un gioco che potesse donare alla compagnia un’identità, in grado di distinguerla dalla concorrenza. Ancel accetta la sfida e recupera il concept di un personaggio disegnato anni prima, influenzato da vecchie fiabe dell’est Europa. Inconfondibile, grazie al suo ciuffo biondo, il naso pronunciato e la pancia ovale dal colore di una melanzana; Ancel dà vita al personaggio di Rayman la prima vera e propria mascotte della compagnia transalpina. Il primo capitolo della serie si presenta come un classico platform a scorrimento 2D con tratti adventure. Lo scopo dell’eroe è quello di salvare il mondo dalle forze del male scatenate dal pericoloso Mr. Dark e per riuscire nell’impresa, Rayman dovrà salvare tutti gli Electoons e ripristinare l’equilibrio attraverso il Grande Protone, il cuore pulsante del mondo. Con questo primo capitolo Ancel entra a gamba tesa in un mercato in piena fibrillazione (la nascita del dominio Sony con PlayStation) e lancia in tutto il globo la sua nuova creatura, ridefinendo il concetto di platform 2D. Rayman è in grado di correre, arrampicarsi, attaccare i nemici dalla distanza, planare col suo ciuffo giallo in scenari pregni di una fantasia creativa spiazzante. Il mondo di gioco è curato nei minimi dettagli, i personaggi sono carismatici e divertenti e le composizioni musicali di Didier Lord e Stephane Bellanger, in grado di mescolare generi totalmente differenti tra loro in maniera impeccabile, stupiscono per la freschezza e originalità. Rayman entra prepotentemente nell’immaginario di moltissimi giocatori facendo la fortuna di Michel e sicuramente quella di Ubisoft che decide di lanciare il prodotto su più piattaforme, dall’ Atari Jaguar al Sega Saturn dimenticando però le sue origini: il 3 Luglio 2017 viene rilasciata una ROM contenente il prototipo di quello che sarebbe stato il primo episodio dell’uomo melanzana, confermando di fatto la tesi che il progetto in origine doveva sbarcare sui lidi del Super Nintendo abbandonandolo all’ultimo momento per un supporto su CD-rom molto più economico e funzionale. Ciò nonostante la creatura di Ancel fa il botto con le sue 10 milioni di copie vendute in tutte le edizioni, garantendo lunga vita a quella che sarebbe diventata una delle saghe più amate dagli utenti e consegnando alla storia un grandissimo capolavoro degno del suo successo.

Subito dopo la fine della produzione del primo capitolo, Ancel e il suo team si resero conto della mole di idee accumulate durante lo sviluppo; tante quante ne basterebbero per una seconda avventura. Tuttavia agli inizi dei lavori ci fu una svolta inaspettata: l’idea di un platform bidimensionale fu messa da parte per concentrarsi in qualcosa di nuovo al passo con l’evoluzione della grafica 3D. La concorrenza aveva già dimostrato come fosse possibile incastrare le meccaniche del genere ampliandole a dismisura grazie alla tridimensionalità (Super Mario 64, Crash Bandicoot, Sonic Adventure). Così nel 1998 Ubisoft pubblica Rayman 2: The Great Escape su tutte le piattaforme casalinghe divenendo sin da subito un successo planetario di critica e pubblico. Ancel decide di allargare l’universo intorno Rayman aggiungendo nuovi personaggi, abilità inedite e scenari radicalmente differenti a quelli presenti nel predecessore; i toni sono più cupi e l’atmosfera si fa generalmente più seria, pur non mancando una divertente dose di humor, tra gag e battute al vetriolo, mai banale e ben congegnate conferendo spessore ai personaggi che si fanno amare sin dai primi momenti. Il designer decide di affiancare al protagonista un ottimo comprimario come Goblox, che dal secondo capitolo in poi diventerà una presenza fissa nell’universo dell’uomo melanzana, affidandogli gran parte dell’aspetto comico del titolo in contrapposizione con la maturità raggiunta dal protagonista. Fanno la prima apparizione anche i Teens strani ominidi dal naso lungo che si riveleranno utili per salvezza del mondo, la fata Ly La personaggio che non verrà più ripreso negli episodi canonici della serie ma che traccerà la via per tutti i personaggi femminili e un nuovo villain: l’ammiraglio Razorbeard un cattivissimo pirata robotico intento nella conquista di tutto ciò che lo circonda. Il lavoro partorito da Ancel e il suo team si rivela un prodotto perfetto in ogni suo aspetto e una validissima continuazione del percorso tracciato con il primo capitolo. Il designer crea un platform tridimensionale gigantesco, prendendo le dovute distanze con i suoi diretti oppositori per creare qualcosa di unico e in qualche maniera rivoluzionario. Universalmente riconosciuto come uno dei più bei giochi della storia, Rayman 2 aggiunge un ulteriore tassello al mosaico di Ancel, portando la sua creatura al massimo compimento concettuale. Con il secondo capitolo di Rayman il nome del designer esplode in tutto il mondo e da questo momento in poi gli viene conferita la più totale libertà creativa necessaria per sviluppare le sue opere future, senza limiti di sorta.

Arriviamo così agli anni 2000 nei quali Ubisoft sente la necessità di sfruttare al meglio il brand, inserendo il personaggio dell’uomo melanzana in inutili spin-off (Rayman M, Rayman Rush) che, pur non essendo un completo fallimento di vendita, nulla aggiungono alla saga che ormai si regge benissimo in piedi da sola. Nel 2003 la casa di produzione francese pubblica il terzo capitolo Rayman 3: Hoodlum Havoc questa volta senza la direzione del padre creatore. Il design della maggior parte dei personaggi viene ritoccato e modernizzato, la componente platforming leggermente ridimensionata per fare spazio all’aspetto più action e tattico. I toni vengono smorzati dalla continua ironia dei personaggi e da una sapiente rottura della quarta parete. Vengono introdotti power up ed un sistema di combo a punteggi per invogliare il giocatore a ripetere i livelli in cerca del massimo score possibile. Nonostante la mancanza di Ancel, il terzo capitolo si dimostra all’altezza della situazione, senza grosse sbavature nel gameplay e con un lato tecnico impeccabile per l’epoca. Il design dei personaggi e delle ambientazioni è piacevole e mai stancante. La trovata delle combo multiple si rivela azzeccata e spinge il giocatore a portare al massimo la sua bravura e i suoi riflessi. Il nuovo villain, il Lum cattivo Andrè, insieme ai suoi sgherri svolge egregiamente il suo compito e gli autori sono riusciti a dare il giusto carisma e simpatia senza risultare fuori contesto o ridondanti. Tutto risulta fresco e moderno grazie a un gameplay più frenetico rispetto al passato, riducendo di molto l’esplorazione del capitolo precedente. Ancel non ne fu pienamente convinto dichiarando che la sua idea era profondamente diversa, ma le vendite su tutte le piattaforme di quarta generazione furono soddisfacenti per i dirigenti Ubisoft che decisero di scommettere ancora su questa saga.

Nel frattempo Michel lavorava a quello che probabilmente è il suo più grande capolavoro, passato in sordina a causa di scelte commerciali di Ubisoft poco condivisibili; si tratta di Beyond Good & Evil, uscito lo stesso anno su PS2, Xbox e GameCube.
Nessuno si sarebbe aspettato da questo gioco una tale profondità nei temi e nelle intenzioni. Un’action adventure che va oltre la sua origine di medium d’intrattenimento, scavando nella natura umana/umanoide dei personaggi tirati in ballo. La storia si focalizza sulla protagonista Jane rimasta orfana in tenera età e accolta dal maiale senziente Pei’j. I due insieme fondano una casa di accoglienza per orfani dove vivono e trascorrono la maggior parte del loro tempo libero: Jane infatti lavora come fotografa d’inchiesta freelance per varie testate, Pei’j invece si occupa della manutenzione del casa e della creazione di congegni meccanici utili alla protagonista. L’apparente serenità delle loro vite verrà sconvolto a causa di un improvviso attacco da parte dei DomZ, entità aliene in grado di nutrirsi attraverso le energie vitali degli essere viventi. Con colpi di scena inaspettati e voltagabbana pronti a mettere in discussione le posizione e le ambiguità dei personaggi, Ancel descrive una realtà incredibilmente complessa ed efficace, arrivando a toccare corde emozionali raramente raggiunte in un titolo del genere. La psicologia e le relazioni tra i protagonisti ricorda i celebri lungometraggi di Hayao Miyazaki per la sensibilità con cui vengono proposte certe tematiche, senza mai incappare nell’errore di risultare pedante e retorico. Tecnicamente tutto si presenta in maniera superba, con modelli poligonali e animazioni dettagliatissime, un gameplay vario e sempre divertente, esente da momenti di stanca e ripetitività, un accompagnamento sonoro di primissimo livello con le musiche scritte dall’artista Cristophe Heràl che ritroveremo insieme al designer in progetti futuri, scenari straordinariamente vivi e complessi che strizzano più volte l’occhiolino a giganti della letteratura come il Fahrenheit 451 di Ray Bradbury o 1984 di George Orwell, con la loro paranoica chiave di lettura di un mondo oppresso e compiaciuto della propria obbedienza civile. BG&E è un titolo splendido, magistralmente diretto da una mano delicatissima e in stato di grazia; Ancel alza ancora una volta l’asticella qualitativa consegnando ai giocatori un gioiello più unico che raro. Un prodotto imprescindibile e di smisurata bellezza che purtroppo ha visto soffocare le proprie aspirazioni (originariamente concepito come una trilogia) a causa di vendite mortificanti, decretate da una finestra di lancio sbagliatissima per una nuova IP; il titolo si trovò a gareggiare con un altro prodotto Ubisoft sotto il periodo di Natale: Prince Of Persia: Le Sabbie del Tempo, maggiormente spinto da una campagna pubblicitaria assordante che lasciò nell’ombra dell’indifferenza da parte del pubblico il capolavoro del designer francese. La critica al contrario lo accolse con grande calore definendolo il gioco d’avventura più bello della generazione insieme al monumentale The Legend of Zelda: Wind Waker. A causa del flop, il titolo venne reso disponibile dopo pochi mesi con un significativo sconto del 70% sul prezzo di base, nella speranza di spingere le vendite in maniera piuttosto vana. Solo con la rimasterizzazione in HD del 2012 il gioco vide riconosciuti i suoi meriti dalla utenza che spianò la via alla produzione di un prequel, annunciato per la scorsa generazione e ancora in fase di sviluppo. Non si hanno notizie sulla sua eventuale data di uscita e su quale piattaforma sbarcherà definitivamente, ma rimaniamo fiduciosi in attesa di notizie da parte di Ubisoft.

Arriviamo così al 2005 anno in cui Ancel si trova lavorare a un progetto atipico rispetto ai suoi precedenti lavori. Infatti il designer viene contattato personalmente dal regista di blockbuster Peter Jackson, da sempre amante dei videogiochi e profondo stimatore del lavoro di Ancel, per lavorare al tie-in della sua ultima pellicola, ovvero il remake del classicissimo King Kong. Il team guidato da Michel sviluppa un first person shooter con l’intenzione di creare un’altissima immedesimazione da parte del giocatore, eliminando qualsiasi indicatore su schermo e lasciando tutto lo spazio libero alla visuale in game. Quello che ne viene fuori è un ottimo gioco su licenza, probabilmente uno dei migliori mai prodotti, che riporta fedelmente l’atmosfera della pellicola riuscendo a creare una genuina sensazione di scoperta e di costante precarietà, minacciati dai pericoli incombenti da ogni angolo. Tecnicamente, il team di sviluppo, spreme al massimo le capacità degli hardware disponibili, supportati anche da un cospicuo budget di fondo. Questa volta riesce ad accontentare tutti sia nei numeri che nella critica di settore, incassando vendite che riescono a soddisfare le aspettative di mercato (si parla di 5 milioni di copie, mica male per un gioco su licenza) e portando a compimento un altro grande lavoro del designer, che non si farà ricordare di certo per questo prodotto ma che dimostra ulteriormente la propria versatilità e lungimiranza nel campo.

Da qui in poi Ancel si prende una lunga pausa durante la quale da a battesimo lo spin-off più longevo della saga di Rayman; ovvero Rayman Raving Rabbids. Il titolo viene presentato nel 2004 come un possibile ritorno dell’uomo melanzana, questa volta alle prese con una invasione di massa da parte dei Rabbids, conigli dotati di un quoziente intellettivo pari a un comodino in grado però di creare problemi al nostro eroe di turno. Il gameplay era pensato per sfruttare i sensori di movimento dei nuovi controller del Nintendo Wii, ma le cose alla fine andarono diversamente. Ubisoft decise di mettere tutto in discussione e il franchise dei Rabbids prese una via autonoma e nettamente diversa dalle idee iniziali. La serie divenne presto un successo di vendite grazie alla decisione di sfruttare i nuovi personaggi in un contesto da partygame. I capitoli uscirono uno dopo l’altro perdendo presto lo smalto di novità e divertimento, uscendo a cavallo tra due generazioni di console. Gli unici titoli degni di nota sono il divertente puzzle platform Rabbids Go Home, uscito nel 2009 sulla piattaforma casalinga di Nintendo, che decise di staccarsi dalla schiera di giochi da festa riuscendo, meglio dei capitoli precedenti, a sfruttare la simpatica antipatia dei protagonisti conigli e lo strategico a turni Mario + Rabbids Kingdom Battle, giunto nel mercato nel 2017 come un fulmine al cielo sereno; sviluppato dalla italiana Ubisoft Milano su Switch in collaborazione con una Nintendo che stranamente si apre a nuove possibilità di sfruttamento dei propri marchi, il gioco sorprende per la capacità di sapere coniugare due titoli molto distanti tra loro in un contesto inedito e ben architettato. I Rabbids divennero rapidamente un fenomeno di massa nel mondo, con milioni di copie vendute, gadget e corti animati dedicati totalmente a loro mettendo in secondo piano Rayman che nel frattempo rifletteva in silenzio sul suo destino.

Nel 2011 Ancel riporta al centro dell’attenzione la sua preziosa creatura con il bellissimo Rayman Origins uscito su PS3, Xbox 360, Nintendo Wii e console portatili. Una sorta di reboot della saga, una partenza da zero ritornando alla essenza originale: il platform a scorrimento bidimensionale. Grazie al nuovo engine grafico proprietario (il versatile UbiArt Framework) il team  riesce nell’impresa di regalare ai giocatori un vero e proprio cartoon interattivo. Il tratto dei personaggi è disegnato a mano, così come gli scenari e qualsiasi altro elemento in game; differendo però concettualmente nello stile rispetto al capostipite; qui tutto è molto più caricaturale e smaccatamente ironico e autocitazionista. Il level design è quanto mai brillante e puntuale; ogni movimento è studiato nel millimetro e la sensazione di frenesia incontrollata è ripagata da una repentina soddisfazione da parte del giocatore nel vedere sbizzarrirsi in movimenti acrobatici e precisi. Tutto è studiato al minimo dettaglio, dalle divertentissime animazioni, al design esagerato dei personaggi, alle sonorità disimpegnate ma assolutamente orecchiabili e ben orchestrate (qui ritorna Christophe Heràl alla cabina di regia). Ancel da la possibilità di giocare in multyplayer locale scegliendo di porre come protagonista indiscusso non solo Rayman ma anche gli amici di lunga data, ritornano così Globox e i Teens più altre varianti dell’uomo melanzana. Ancora una volta il brand riesce a rinnovarsi ma anche a rimanere fedele a se stesso, portando nuovamente in auge un genere che molti davano per morto e superato, diventandone al tempo stesso uno dei maggiori esponenti moderni. Le vendite furono solamente discrete ma col passare del tempo e del passaparola anche Origins venne accolto positivamente dal pubblico. Sorte che capitò al suo sequel: Rayman Legends, uscito nel 2013. Ubisoft ebbe da affrontare una gestazione complicata del titolo, annunciato in pompa magna come esclusiva per lo sfortunato WiiU ma subito ritrattato e fatto uscire per tutte le altre console domestiche. Legends riprende il discorso lasciato da Origins e lo trasporta in un mondo atemporale, dove Medioevo e antica Grecia si ritrovano a confronto fra loro. Niente di innovativo e rivoluzionario rispetto al predecessore ma comunque l’ennesima ottima prova di una mente geniale come quella di Ancel che sembra non voler stancare mai. Un nuovo inizio di una saga che oggi non ha chiara la direzione da intraprendere. Vedremo presto un Rayman 4 o dobbiamo aspettarci un nuovo capitolo in due dimensione sulla fasla riga degli ultimi? Nell’attesa Ancel si concede un’ulteriore pausa dalla serie lavorando al secondo capitolo dell’incompreso Beyond Good & Evil e a Wild, un procedurale preistorico annunciato al Gamescom nel 2014 per PlayStation 4 ma misteriosamente sparito nel nulla.

In conclusione Michel Ancel pur non avendo lavorato a moltissimi titoli ha lasciato chiaramente una traccia nell’evoluzione del videogioco, confermandosi più volte come uno dei più importanti Designer contemporanei; riuscendo a innovare il genere del platform come solo il maestro Shigeru Miyamoto ha saputo fare (non è un segreto la loro stima reciproca) e a creare un’icona per moltissimi videogiocatori. Ancel ha sempre giocato sulla forza caratteriale dei propri personaggi infondendo tutto l’amore e la passione per il proprio lavoro. Una mente geniale che gioco dopo gioco riesce a rinnovarsi senza perdersi nel riciclo di se stessi; rispettoso delle esigenze del proprio pubblico e catalizzatore di ricordi ed emozioni che solo un mezzo come il Videogame riesce a trasmettere; attraverso un plasticoso Joypad e l’intimità del salotto di casa.