Perché Mass Effect: Andromeda ha fallito

La saga di Mass Effect è probabilmente una delle più riuscite storie a tema sci-fi, non solo per il meta videoludico. L’opera di Bioware, firmata Casey Hudson ha appassionato milioni di videogiocatori, attratti da un contesto fantascientifico ottimamente costruito in cui i background dei personaggi si intersecano a intrighi politici, antiche leggende e perché no, relazioni amorose. Ma oggi non parleremo di questo: a un certo punto infatti, qualcosa si è rotto, ben prima che Mass Effect: Andromeda entrasse in sviluppo. Cerchiamo di capire cosa non ha funzionato e magari, cosa aspettarci da prossimo capitolo, in sviluppo in parallelo assieme al prossimo Dragon Age.

Un finale imperfetto

Per chi non conoscesse la storia, Mass Effect narra di Jonh (o Jane) Shapard, comandante dell’Alleanza terrestre nel 2183. Dopo alcune vicissitudini si scopre che la nostra galassia potrebbe essere ben presto sotto attacco da un’antica forza, in grado di estinguere ogni forma organica. Anche se a livello narrativo non presenta particolari picchi, è la sua profondità a colpire: già il primo capitolo vanta oltre 20.000 linee di dialogo, in cui pesa molto più l’atteggiamento con cui si interagisce piuttosto che il cosa si comunica. Mass Effect è dunque qualcosa in grado di regalare centinaia d’ore di gameplay di alto livello, ricca di mondi da scoprire e storie di interi popoli da approfondire. Ma Bioware non è mai stata immune da critiche: col passaggio a Mass Effect 2, molte delle componenti RPG vennero messe da parte, in favore di una maggiore attenzione sulle fasi di shooting e l’azione in generale. Questo non piacque all’inizio alla maggior parte del pubblico, accusando la software house di essersi in qualche modo “adeguata alla massa”; ma come accade solitamente, ci si concentrò su quel singolo aspetto piuttosto che sull’intero progetto e questo, come vedremo, si è ripetuto più volte. Se è vero che Mass Effect 2 vanta un maggiore focus sull’azione è altrettanto vero che l’intero impianto narrativo e soprattutto il gameplay, è di gran lungo superiore al suo predecessore, trovando il culmine nella Missione Suicida, uno dei picchi più alti della storia videoludica recente: in questo frangente infatti, ogni vostra scelta intrapresa nel corso dell’avventura può decidere la vita o la morte definitiva dei vostri compagni che, di conseguenza, non troveranno posto nel sequel.
Dopo diversi anni, Mass Effect 2 è forse riconosciuto come il migliore della trilogia, nonostante Mass Effect 3 ne abbia migliorato ogni caratteristica. Perché? La risposta risiede in un solo e unico motivo: il finale. Mass Effect è una storia di sacrifici, dove si è disposti a sacrificare un’intera specie pur di avere una possibilità di salvare la galassia. Ogni scelta intrapresa, sin dal primo capitolo, trova culmine in queste immense battaglie per la sopravvivenza e il cui epilogo si suddivide in diversi finali. Benché abbiamo tutti un senso ben preciso, è il modo che non è andato giù ai fan, trovando le conclusioni forse un po’ sbrigative e poco chiare, tanto che le speculazioni su quanto avveniva rivaleggiarono con quelle di Dark Souls (ne parleremo in futuro).
Bioware corse ai ripari, fornendo gratuitamente a tutti i possessori di Mass Effect 3 il DLC Extended Cut, con cutscene più strutturate, ma anche qualche variazione in grado di modificare le reali conclusioni della saga. Se per alcuni, la software house canadese è stata da elogiare per aver ascoltato e ben interpretato il volere dei fan, dall’altro si è palesata una mancanza di personalità, in grado di difendere il proprio lavoro. Perché alla fine – diciamocelo – le variazioni apportate sono dovute a un manipolo di persone che come noi, hanno semplicemente goduto da spettatori l’immensità dell’opera.
Qualcosa dunque cominciava a scricchiolare e, su queste crepe, venne sviluppato Mass Effect: Andromeda.

Un’enorme occasione mancata

Dopo il termine di una trilogia così importante, costruirne un seguito non è affatto semplice. Infatti prima del suo reale annuncio, molte furono le teorie dei fan, di cui alcune vertevano verso “antichi” prequel o futuribili sequel. Andromeda è, a conti fatti, un sequel datato 600 anni dopo gli eventi della prima trilogia ma che trova il suo incipit ben prima del termine di Mass Effect 3, con la galassia che escogita un “piano B” qualora le cose si mettessero male: vennero infatti costruite enormi Arche, che avrebbero portato le specie nella vicina galassia di Andromeda, salvandole dall’estinzione. Incredibilmente, presero il via entrambi i piani. Eppure, tutti questi enormi cambiamenti all’interno del gioco, non sembrano tangibili.
Non parleremo di Scott o Sara Ryder, i protagonisti, ma di come alcune scelte cozzano violentemente con quanto costruito in precedenza; non parliamo di lore o di incongruenze narrative ma piuttosto di scelte di design vere e proprie.
Partiamo con qualcosa di leggermente soggettivo: il nostro lavoro è quello di essere Pionieri e scovare una nuova casa per le specie sopravvissute. Ci capiterà di scandagliare pianeti disabitati, ma c’è un però: il nostro compito di Pionieri è essenzialmente inutile. Questo perché sappiamo già quale pianeta sarà predisposto alla colonizzazione escludendo completamente la scelta del giocatore, compromettendo così non solo il ruolo che ci viene affibbiato ma il senso stesso del gioco. Qual è il senso appunto,  di esplorare nuovi pianeti, decidere se sono adatti o meno alla vita, quando la scelta è del tutto assente? Questo problema è forse uno dei più invisibili, abituati forse a seguire, percorsi prestabiliti; eppure è un Mass Effect e di nuova generazione per giunta.
L’esser Pionieri fa pendant con un’altra scelta ampliamente discutibile: siamo nella galassia di Andromeda, una galassia evolutasi in maniera completamente indipendente dalla Via Lattea. Eppure, una volta reclutato un’Angara, una specie autoctona, avrà gli stessi poteri a disposizione dei nostri. Questa leggerezza mina pesantemente la credibilità del titolo, creato da un team solitamente estremamente puntiglioso con i dettagli.
Ma l’occasione mancata più grande è il non sapere cosa accade alla nostra galassia dopo aver passato tre capitoli a gestire il destino dei suoi abitanti in relazione a un arco temporale di ben 600 anni. Curare o no la Genofagia dei Krogan a cosa ha portato ad esempio? Si sono estinti o hanno ricominciato a dar battaglia a chiunque li ostacoli? In mancanza di una minaccia comune, i popoli della galassia sono ancora in pace? Non lo sapremo mai  e questo non saperlo, è probabilmente il fallimento più grande. La storia di Mass Effect si svolge su più cicli di distruzione della durata complessiva di milioni di anni, con un’attenzione riservata in special modo al tempo in cui giochiamo ovviamente, ma anche a quanto accaduto prima, narrando eventi di migliaia di anni fa.
600 anni in Mass Effect sono un’inezia ma sufficienti per mostrare le conseguenze delle nostre scelte e sacrifici, fulcro centrale della saga. Mancando questo, Mass Effect: Andromeda si è mostrato inadeguato a portare avanti un progetto lungo 10 anni, nonostante il titolo sia valido sotto moltissimi punti di vista.
Complice questi elementi, oltre ad alcuni problemi tecnici e un data di rilascio in mezzo a The Legend of Zelda: Breath to the Wild, NieR: Automata, Horizon Zero Dawn e Nioh, Mass Effect: Andromeda fu un fiasco, non riuscendo a conquistare ne il cuore dei fan ne nuovo pubblico. Non si sa ancora se il prossimo sarà Mass Effect: Andromeda 2, nonostante un finale del primo capitolo che faceva presagire l’inizio di una nuova trilogia. Attendiamo riscontri, magari dal prossimo E3, sperando che le critiche abbiano risollevato uno dei team migliori in circolazione.




Metacritic: qual è il suo peso nella produzione videoludica?

L’industria videoludica si muove molto velocemente e dunque, coloro che producono direttamente per essa, hanno una tendenza a guardare al futuro senza tener conto del passato; in tempi recenti, persino i produttori più grossi ci confermano quanto sia importante attingere dal passato per ottenere dei grandi risultati.

Quanto è bello un titolo?

Come in ogni business, la qualità dei prodotti viene stimata e il suo valore viene preso in acconto dalle case produttrici; il metro di valutazione nel gaming, per i critici, si basa principalmente sulle uscite passate; il loro giudizio verrà preso in considerazione dalle aziende per pianificare le loro strategie per le uscite future. Il problema è che le case produttrici devono prendere in considerazione ogni giudizio da parte del critico medio la cui valutazione è superficiale, mutevole e soggettiva.

Più o meno nella scorsa decade, molti publisher prendevano molto in considerazione le valutazioni di Metacritic, un aggregatore di recensioni che genera un valore che si basa su una media dei giudizi di alcune testate maggiori (anche se alcune non propriamente affidabili) accompagnato dalla valutazione di Metascore, basata invece sul giudizio dei giocatori, in una scala da 1 a 10. Pur non perfetto, era ritenuto “il sistema metrico” del gaming, così decisivo che il CEO della Electronic Arts, John Riccitiello, aveva tirato in ballo il sito durante una conferenza con gli investitori avvenuta esattamente 10 anni fa, comunicando la poca soddisfazione dei recenti sforzi della EA:

«Nonostante siamo il third party leader nel settore non siamo soddisfatti di ciò che siamo. […] Non abbiamo titoli EA che squadernino lo scenario videoludico e nessun nostro gioco raggiunge il 90 o più su Metacritic… Quando sono tornato in EA mi sono preso l’impegno di indagare sulla qualità, sia perché penso sia è la giusta soluzione per il benessere finanziario di questa azienda e sia perché i nostri clienti se l’aspettano.».

La decisione di investire sulla qualità fu un modo per ritardare l’uscita di Battlefield Bad Company e Mercenaries 2: World in Flames, tuttavia con la volontà di consegnare ai giocatori un titolo di qualità, in modo da poter costruire un migliore rapporto di fiducia con i clienti per una migliore economia. Anche se nessuno di questi due giochi raggiunse propriamente la soglia del 90, durante l’incarico di Riccitiello, in cinque anni, dopo la suddetta conferenza, EA potè vantare ben 15 giochi oltre tale soglia, con titoli come Mass Effect 2 & 3, alcune versioni di FIFA 10, 12 & 13, Dragon Age: Origins e Dead Space 2.

Sfortunatamente per Riccitiello, quei punteggi alti su Metascore non si traducevano in successo per EA: durante il suo incarico il valore delle azioni della compagnia caddero da 52$ a circa 19$. Rivendicando l’accertamento delle responsabilità a seguito del venir meno delle aspettative finanziarie, Riccitiello diede le dimissioni il 18 Marzo del 2013. Il DLC Citadel per la versione Playstation 3 di Mass Effect 3, rilasciato meno di due settimane prima delle dimissioni di Riccitiello, rimane a oggi l’ultimo gioco EA a mantenere un punteggio di 90 su Metascore. La compagnia non ha più immesso nel mercato giochi acclamati quanto quelli usciti durante l’incarico di Riccitiello anche se, tuttavia, continua ad avere un buon mercato. Le azioni di EA si sono chiuse ieri a 126.96 $, un record per la compagnia.

In contrasto alle affermazioni di Riccitiello, Robin Kaminsky di Activision, durante il Summit DICE del 2008, prese un approccio quasi opposto alle parole dell’allora CEO della Electronic Arts:

«Un tempo, in Activision, pensavamo fosse necessario semplicemente produrre dei bei giochi. […] Tuttavia un buon gioco non garantisce vendite stellari.»

Kaminsky ha fatto notare che su 18 titoli che l’anno precendente hanno ricevuto una valutazione di oltre 90, 7 di loro hanno venduto meno del milione di copie e due terzi di questi hanno avuto delle vendite totali di poco meno di due milioni di unità.

A tal proposito, ecco alcuni dei titoli Activision che hanno preso oltre il 90 su Metacritic durate la scorsa decade:

  • Geometry Wars 3: Dimensions (94 su Metascore, iOS, 2015)
  • Skylanders Trap Team (90 su Metascore, iOS, 2014)
  • Call of Duty: Modern Warfare 2 (94 su Metascore, ottenuto sia per PS3 e Xbox 360, 2009)

Ai tempi della presentazione di Kaminsky, le azioni della Activision valevano 13$; ieri le loro azioni si sono chiuse per 74.13$, un record per la compagnia.

L’occasione mancata

La qualità non fu solamente l’unica cosa a cui Riccitello puntò come CEO di Electronic Arts; fece in modo che i giochi diventassero più un servizio per i giocatori (anche se durante il suo periodo non riuscì a vedere i frutti di questo suo approccio) e, sempre sotto la sua direzione, acquisì diversi studi di produzione come Bioware-Pandemic, Playfish, Chillingo e PopCap, anche se non riuscì ad acquisire Take-Two.

Nel Febbraio 2008, EA pubblicò apertamente di voler comprare Take-Two per due miliardi di dollari; una mossa che Take-Two ritenette “inadeguata” e “inopportuna”, e soprattutto al momento sbagliato visto che mancava poco al lancio di Grand Theft Auto IV, titolo che avrebbe fatto decollare le azioni della compagnia.

Una volta che GTA IV uscì nei negozi, Take-Two si dichiarò disposta a negoziare con EA ma i piani della compagnia cambiarono; EA tentò di imporsi, comprando le azioni della Take-Two ma, in otto mesi, decidettero di lasciar perdere con l’acquisizione di quest’ultima.

Quando EA provò ad acquisire Take-Two, le loro azioni valevano poco più di 17$; ieri le loro azioni si sono chiuse per 126.67$, un record anche per questa compagna.