Come la fortuna viene implementata nei videogiochi

16 settembre 2007: uno youtuber giapponese, che rispondeva al nome di Computing Aestetic (oggi lo stesso canale si chiama Is mayonnaise an instrument?), caricò un video di 48 secondi dal titolo ULTRA MEGA SUPER LUCKY SHOT. Il video mostra il raggiungimento di un high score a Peggle, un gioco molto popolare vagamente ispirato al Pachinko in cui una palla viene sparata dall’alto e piano piano scende giù rimbalzando fra alcuni blocchi; più blocchi vengono colpiti più alto sarà il punteggio. Nonostante Peggle richieda al giocatore giusto qualche calcolo prima del lancio della palla, il gameplay vero e proprio è affidato al caso e il fatto che dei blocchi vengano colpiti o meno è solo questione di fortuna. La run di Computing Aestetic fu una delle più miracolose: la pallina, scendendo, non solo colpì gran parte dei blocchi ma richiamò anche una sezione bonus che gli permise di racimolare un punteggio da record. Incredulo, lo youtuber scrisse nella descrizione del video, che a oggi conta oltre le 200.000 visualizzazioni, «I couldn’t balieve this when it happened!!!!!!!!!» (Ndr).
Questo è solamente uno dei circa 20.000 video su YouTube che include i tag “Peggle” e “Lucky“, tutti video di giocatori così stupiti da voler condividere la loro fortuna col mondo. Tuttavia, i giocatori non sono così fortunati come il gioco spinge a credere. Jason Kapalka, uno degli sviluppatori del titolo, ci spiega come la fortuna, specialmente durante i primi livelli, venga manipolata giusto un po’ per evitare la frustrazione del giocatore nel breve periodo, e soprattutto perché possa imparare le regole del gioco divertendosi.

«L’apperente rimbalzo casuale della pallina in Peggle è spesso manipolato per dare ai giocatori un risultato migliore. […] Quando viene richiamato il “Lucky Bounce”, la palla tende a colpire di più blocchi possibili anziché cadere direttamente nelle zone morte. Questa fortuna extra è aggiunta nella prima dozzina di livelli affinché i giocatori si divertano imparando le regole del gioco. […] L’angolatura del rimbalzo viene modificato giusto di qualche grado, perché altrimenti la palla reagirebbe in maniera poco realistica; serve a incoraggiare i novizi e non a rendere il gioco “irreale” agli occhi dei giocatori più increduli».

La fortuna è in realtà manipolata da un game designer onnipotente: esso fa sì che un gioco regali al giocatore la giusta dose di vittoria al momento giusto. Anche Sid Meier, creatore dell’acclamata saga Civilization, ha capito che ridurre in una certa misura le avversità durante le battaglie riduce anche lo stress nei giocatori. Un test ha dimostrato che un giocatore che sapeva di avere il 33% di successo in battaglia, è riuscito a perdere per tre volte di fila, rendendolo alterato e incredulo (in Civilization puoi ripetere la stessa battaglia più volte, fino a quando non vinci, anche se ciò comporta dei costi a ogni sconfitta). A quel punto Sid Meier studiò più da vicino le distorsioni cognitive dei giocatori: se le probabilità di vittoria sono 1 su 3 è come se il gioco assicurasse che al terzo tentativo il giocatore vincerà la battaglia, dandogli dunque una falsa speranza. La fortuna di certo incentiva il gameplay ma se è troppa, diventa tutto surreale.

Dalla divinazione agli scacchi

In tempi antichi, la fortuna era il segno dell’intervento divino: i giochi erano un modo per mettere alla prova sia le abilità umane che l’esistenza divina. Platone ci ha raccontato che la fortuna era una componente fondamentale nei giochi dell’antico Egitto, luogo in cui fu creato, secondo la leggenda, il dado da gioco per mano della divinità Thot. Solitamente ricavato da ossa o zoccoli di animale, il dado veniva usato per i giochi da tavola o per una particolare divinazione mistica chiamata astragalomanzia; l’aiuto divino era così decisivo che molti dei dadi venivano portati nella tomba affinché il defunto potesse ricevere un ulteriore aiuto nell’aldilà.
Nel XI secolo, il re norvegese Olaf II Haraldsson si ritrovò in una disputa territoriale con il re svedese riguardo l’isola di Hising; non riuscendo a trovare un compromesso, il re della Norvegia si affidò ai dadi per risolvere la questione. Ottenendo per due volte il numero sei, il re Haraldsson disse che non c’era più motivo di continuare la disputa; convertitosi al cristianesimo, era certo che Dio l’avrebbe aiutato a ottenere sempre il 12. Olaf II, racconta ancora la leggenda, continuò a ottenere tale numero fino a quando, durante l’ultimo e decisivo lancio, uno dei dadi si spezzò mostrando sul tavolo due 6 e un 1; questo è uno dei motivi per cui il 13, in alcuni paesi, è spesso considerato un numero fortunato.
A ogni modo la fortuna, anche se non è più un segno divino, è ancora parte dei giochi moderni; così come un lancio dei dadi o la pesca di una carta probabilità a Monopoly può ribaltare le sorti della partita, lo sviluppatore indipendente Zach Gage ha introdotto l’elemento aleatorio nel gioco degli scacchi nel suo Really Bad Chess. Gage spiega che il gioco nella sua concezione originaria è molto bilanciato, e tutto risiede nelle abilità del giocatore; pertanto l’elemento della fortuna aiuta i giocatori meno capaci a capire le meccaniche e far sì che siano invogliati a giocare più a lungo. La sua app mobile del 2016 dà infatti al giocatore la possibilità si avere un set di cinque regine, sistemare le pedine in maniera asimmetrica e far sì che il giocatore più esperto giochi solo con un esercito di pedoni e un re. Zach Gage commenta:

«(queste aggiunte) danno ai giocatori più deboli almeno una chance contro i giocatori più esperti, rendendo la scacchiera più difficile da analizzare».

Dai giochi elettromeccanici ai videogiochi

Nei giochi elettromeccanici come le slot machine o i flipper, la fortuna è l’unico modo per “fregare” la macchina. Negli primi anni ’50 la Gottlieb, compagnia produttrice di giochi elettromeccanici e sviluppatori del classico arcade Q*bert, notò che le partite a flipper dei giocatori meno esperti duravano pochissimo; di lì a poco introdussero prima le alette per rispedire la palla in alto e poi il meccanismo “ball saver” che innalzava un muro fra queste. Il fatto che quest’ultimo entrasse o meno era questione di fortuna, un “mistero” celato nell’algoritmo del software.
Nei videogiochi la fortuna è in realtà ancora più evidente: vi siete mai chiesti come mai il portiere della vostra squadra preferita a FIFA riesce a parare la palla il più delle volte? Come mai quando siete fra le ultime posizioni in un racing game le auto avversarie sembrano rallentare? E ancora, anche se è cosa risaputa, come mai una volta una volta in testa a Mario Kart raccogliete solo banane, monete e qualche rarissimo guscio verde? Questo è perché “l’effetto fortuna” vi tiene concentrati e incentiva il vostro gameplay. Se veniste a conoscenza di questo fattore non giochereste con la stessa intensità; è giusto che tutto ciò rimanga un mistero poiché la fortuna è tale solamente quando è imprevedibile.

Nei tempi antichi gli artefici della fortuna venivano invocati tramite le preghiere; oggi è possibile trovarli su LinkedIn. Paul Sottosanti, uno dei principali game designer della Riot Games che ha lavorato a League of Legends, afferma che lo scoprire i meccanismi della fortuna nei videogiochi potrebbe distruggere ogni senso di gioia e realizzazione, dunque è importante che questi rimangano celati (più a lungo possibile) nel codice del gioco. Nei videogiochi si innesta spesso quello che Sottisanti chiama “Pity Timer“: il giocatore potrà ottenere una determinata ricompensa, per esempio, dopo 10 ore di gioco e ciò rende quest’ultima un risultato ancora più apprezzabile. In Castlevania Harmony of Despair, un “metroidvania” multiplayer con elementi RPG, ogni personaggio, al termine della battaglia col boss, riceveva un oggetto; su internet giravano mappe e FAQ che spiegavano dove e al termine di quale battaglia si potevano ottenere. Ma per quanto si “boostasse” il livello di fortuna, nelle statistiche del personaggio gli oggetti rari apparivano solamente al termine di un countdown nascosto; una volta scaduto il conteggio sarebbe entrata in aiuto quella determinata caratteristica del personaggio e la fortuna avrebbe davvero influenzato l’occorrere di un oggetto raro.

 

La fortuna per gli sviluppatori

Se in alcuni titoli la fortuna dà un senso di equilibrio nella difficoltà, ci sono altri giochi in cui questo fattore aleatorio genera profitto. L’arrivo degli smartphone e dei diversissimi titoli gratis sugli store hanno segnato anche l’inizio dell’era delle microtransazioni e delle lootbox; il “pity timer” all’interno di questi giochi è spesso sviluppato in maniera molto intelligente. In Hearthstone, spiega sempre Paul Sottosanti, è possibile ottenere una carta rara ogni 40 pacchetti circa; tuttavia, le stesse carte, sono acquistabili sullo store del gioco.
Il principio delle microtransazioni e lo spingersi oltre la “normale routine” è in sé un concetto non nuovissimo. Il dottor Burrhus Skinner, negli anni ’50, ha dimostrato come un essere senziente possa essere condizionato da una macchina; per farlo, si munì di degli animali, come topi o piccioni, e di una sua particolare invenzione, ovvero la Skinner Box. In pratica ha mostrato come questi animali, ricevendo una ricompensa ogni volta che un tasto fosse premuto, si stancassero o fossero subito sazi; tuttavia il dottore, programmando la ricompensa in maniera casuale, mostrò come l’animale fosse più incline a premere il tasto, tenendolo concentrato sull’azione sino a risultarne quasi dipendente. Questa dipendenza non era dovuta tanto alla ricompensa, ma al tasto. Il rilascio della dopamina nel cervello, che (mantenendoci in un linguaggio alla portata di tutti) manda i neurotrasmettitori in tilt, è dovuto all’attesa della ricompensa, e non all’ottenimento della stessa. Lo stesso principio, in realtà, accade con questo tipo di giochi: vi siete mai accorti, per esempio, delle lunghe animazioni prima di aprire unalootbox su Overwatch? Il cervello rilascia dopamina durante le animazioni e anche se otteniamo la solita ricompensa per l’ennesima volta il principio rimane. Nei videogiochi però si aggiunge il fatto che, per evitare la solita ricompensa dopo ripetute run, si è invece spinti a ottenere una ricompensa diversa, prima dello scadere del pity timer, pagando una somma di denaro. In questo caso, si potrebbe innescare il meccanismo “Sunk Cost Fallacy“: in poche parole, più soldi si investono in un gioco, in attesa della ricompensa desiderata, più sarà difficile abbandonarlo nonostante gli output poco soddisfacenti e le aspettative che calano. È la stessa cosa che avviene al casinò o persino in una relazione amorosa molto complicata: più è alto l’investimento e più è difficile smettere nonostante gli output siano semi nulli. Tuttavia non si può parlare di gioco d’azzardo in ciò che riguarda i videogiochi poiché, anche se si investissero 50 € per un set di lootbox, riceveremmo sempre qualcosa in cambio, a differenza del casinò dove si può invece uscire praticamente con le tasche vuote; il problema sta sempre e solo nell’aggirare quel maledetto algoritmo della fortuna.
È importantissimo dunque mantenere il controllo in quei giochi in cui la fortuna è il fulcro della dinamica. Lo psicologo Clark Edwards, direttore del centro della ricerca sul gioco d’azzardo dell’Università della British Colombia, spiega più in dettaglio certi meccanismi del nostro cervello e in quale zona finisca parte della dopamina:

«La parte interessata del cervello che regola la ricompensa e il movimento è lo Striato, dove ci sono diversi nuclei cerebrali. […] La stessa regione alimenta i vizi, che sono ovviamente collegati alle dipendenze».

Il futuro della fortuna

Nonostante l’ambiente videoludico sia cambiato drasticamente, ci sono molti game designer hanno tentato più volte di “eliminare la fortuna”. Larry DeMar, un noto designer di macchine flipper della Williams, ha tolto più volte il meccanismo “Ball Saver“, pensando da sempre che questo rovini la purezza del gioco.
Tuttavia, l’approccio purista non sempre convince il giocatore medio. Jason Kapala, lo sviluppatore di Peggle, dice che oggi i giocatori cercano tracce di manipolazione quando queste non ci sono. e ha persino pubblicato alcuni file per dimostrare che i risultati erano veramente casuali, ricordando:

«Quando lavoravo ai giochi online era quasi impossibile convincere i giocatori che i risultati non erano manipolati. Questi elaboravano teorie assurde su come i principianti ottenessero migliori risultati per far sì che continuassero a giocare e i veterani spinti a migliorare le loro abilità ottenute.».

Il gioco è un mezzo  di confronto per gli esseri umani ed è anche corretto pensare che questo rimanga puro e inalterato; tuttavia, delle perdite ripetute o semplici capricci ci portano a pensare che la fortuna funzioni seguendo uno schema logico. Ma, alla fine della fiera: a cosa serve la fortuna? La risposta è: a tutto. E a niente.
Il tutto si baserà sempre sulle nostre abilità ma, che sia un algoritmo o un segno divino, la fortuna ci accompagnerà sempre nella nostra esperienza da giocatori.