Dusty Rooms: la saga di Thunder Force

Come abbiamo ribadito in molti altri nostri articoli, la retromania è in piena attività; molti titoli vengono riscoperti e sempre nuovi modi per giocarli, che riguardino nuovi hardware come le retroconsole, le console originali o altri discussi nella precedente rubrica, vengono proposti ai giocatori più nostalgici. Oggi, specialmente su Nintendo Switch e Steam, un vecchio genere videoludico sta tornando di moda e i più appassionati sperano ogni giorno nel ritorno delle loro saghe preferite, che siano sequel, remake o remastered: parliamo degli shoot ‘em up, uno dei generi più antichi del gaming e uno dei più iconici. Negli anni ‘80 e ’90, sia nelle arcade che a casa, titoli come Gradius, R-Type, 1943, Darius, Pulstar e molti altri erano sulla cresta dell’onda e appassionati e casual hanno sempre apprezzato questo genere per la sua natura avvincente e tosta difficoltà; nonostante il genere fosse in continua evoluzione (vedi l’avvento, più tardi, dei Bullet Hell) e continuavano a uscire titoli sempre più raffinati, come Radiant SilvergunEinhänder, Darius Gaiden, Ikaruga, Gradius V e R-Type Final, in occidente fu messo da parte poco per volta e molte nuove uscite furono riservate al giappone dove gli SHMUP (abbreviazione comunissima di “shoot ‘em up”) sono sopravvissuti nonostante il calo nelle arcade (che per loro non fu destabilizante). A oggi il genere è abbastanza in fermento grazie alle uscite indie, come Crimzon Clover: World Ignition e Super Hydorah, e ai colossi del genere, come CAVE , G.Rev e Treasure, che allietano gli appassionati con vecchie e nuove uscite, di questi tempi in tutto il mondo grazie a piattaforme come Steam, ma le sage storiche degli anni ’90, soprattutto Gradius e R-Type, sembrano in stallo.
Una delle saghe di cui si sente di più la mancanza, e una fra le più amate degli appassionati degli SHMUP, è certamente Thunder Force di Technosoft, un developer che regalò ai giocatori molti shooter come Herzog Zwei, Hyperduel e Blast Wind ma anche altri titoli come Devil’s Crush, che era un gioco pinball, e Nekketsu Oyako, un beat ‘em up; a ogni modo, Thunder Force era certamente il loro franchise di punta, una saga di titoli in grado di dettare legge sul fronte degli SHMUP e uno di quei tanti titoli della libreria del Sega Mega Drive/Genesis in grado di far voltare la testa ai possessori del Nintendo Entertainment System e persino Super Nintendo.

Le umili origini e il Mega Drive

Al contrario di ciò che si possa pensare, il primo Thunder Force uscì nel 1983 su molti computer giapponesi come lo Sharp X-1 e il NEC PC 8801, anni prima di Gradius e R-Type (cui, solitamente, vengono considerati gli innovatori del genere); nonostante il precoce arrivo sul mercato, il gioco era un semplice “top down shooter”, sulla scia di Bosconian e Sinistar ma con i bersagli in superfice come in Xevious (dunque ben lontano da ciò che il genere sarebbe diventato più in là), e l’obiettivo era volare nell’area di gioco, con la nostra navicella della federazione spaziale, per distruggere le basi dell’Impero Orn. Un po’ come Steet Fighter (l’omonimo titolo che diede il via alla nota saga picchiaduro), il primo Thunder Force non ebbe grande risonanza nel mondo degli shooter e ciò che avrebbe reso grande la saga Technosoft doveva ancora arrivare.
Quattro anni dopo arrivò il sequel Thunder Force II, prima sul (fantastico) computer giapponese Sharp X68000 e poi su Sega Mega Drive, dove in Nord America fu inserito nella linea dei titoli di lancio. L’arrivo sulla console 16-bit fu molto importante non solo perché la saga arrivò ai giocatori di oltreocenao ma anche perché Technosoft fu uno dei primi developer a firmare per Sega ed erano pronti a evidenziare tutte le grandi caratteristiche del Mega Drive. Il titolo introdusse tantissime novità che caratterizzarono la saga di fronte alla spietata concorrenza delle altre case videoludiche: gli stage top-down vennero affiancati da degli stage sidescroller tradizionali (alla Gradius), venne inserito il sistema di power up tipico della saga ma soprattutto il nuovo timbro caratteristico dell’audio e delle composizioni (su uno stile molto rock/metal) contribuì a dare al gioco una colonna sonora, per l’epoca, spaventosa. La strategia chiave del gioco, ma più precisamente di tutta la saga, si cela soprattutto nel tirar fuori le giuste armi nel momento più propizio: come ogni SHMUP che si rispetti, in Thunder Force II bisogna collezionare i power up in volo ma, a differenza di molti altri titoli simili, tutti rimangono disponibili al giocatore ed è dunque possibile riselezionarli, durante il gameplay, a seconda della situazione che ci viene posta davanti; ogni arma, che variano a seconda del tipo di gameplay, ha i suoi pregi e difetti e pertanto conoscere ogni singolo power up (e dunque icona del gioco) è essenziale per gestire ogni tipo di situazione anche perché, se verremo colpiti, perderemo ogni power up collezionato ripartendo col pattern d’attacco base. Le due versioni sono semi-identiche ma preferire l’una o l’altra è questione di gusti personali: la versione per Sharp X68000 ha una grafica migliore, delle cutscene di presentazione, qualche power up in più e alcune clip vocali tagliate dalla versione per Mega Drive (come la famosa: «Shit!»); la seconda presenta degli stage sidescroller più ampi in larghezza, qualche arma esclusiva, una difficoltà più abbordabile e, a oggi, è possibile reperirlo con più facilità. Dopo un inizio un po’ sottotono il nuovo titolo della Technosoft era decisamente più definito e l’occidente accolse più che positivamente Thunder Force II (seppur nessuno giocò mai al primo titolo) rimanendo affamato per un nuovo titolo.

Thunder Force III e l’arrivo nelle arcade

Nel 1990 arriva Thunder Force III e anche questo, come il predecessore, porta diverse novità: ci fu un grosso miglioramento sul fronte del comparto grafico, quando si perde una vita viene perso solamente il power up che si stava usando al momento dell’esplosione, è possibile cambiare la velocità della navetta durante il gameplay e, il più importante, i livelli top-down vengono soppiantati definitivamente in favore di dei livelli sidescroller eccellenti.
Il successo di Thunder Force III, sempre fortemente caratterizzato dalle “sonorità Technosoft”, fu tale da ricevere un porting per il mercato arcade che prese il nome di “Thunder Force AC”, il primo titolo della compagnia per le sale giochi. Questo titolo era più o meno un porting della versione per Mega Drive ma furono cambiate alcune cose come l’interfaccia grafica per la selezione dei power up e i punteggi (che adesso si trovavano in basso) e due stage che furono ridisegnati e accompagnati da nuovi brani; Thunder Force AC uscì più in là per Super Nintendo con il nome di Thunder Spirits ma il porting che ne uscì fu problematico e certamente non all’altezza né del cabinato né dell’originale per Mega Drive. Il gioco soffriva di rallentamenti quando le schermate erano troppo “affollate” (chiamarli cali di framerate è errato per questo tipo di console) e, nonostante il superiore chip sonoro, non riuscì a restituire le sonorità tipiche della saga; titoli come questo confermarono con più decisione che lo SNES era, sì, una macchina superiore al Mega Drive ma il suo processore (più lento rispetto alla concorrenza) non riusciva a restituire l’azione frenetica tipica degli SHMUP e pertanto la console Sega ne ospitò diversi, uno più bello dell’altro. La migliore versione casalinga è indubbiamente quella per Mega Drive e Thunder Force III rimane a oggi uno dei migliori shoot ‘em up per il sistema.

L’eccellenza di Thunder Force IV

Thunder Force IV, rilasciato nel 1992, perfezionò un concept già eccellente di suo, portando il Sega Mega Drive, per cui ne era esclusivo, al limite delle sue capacità. Gli sviluppatori trassero il massimo sia in termini di potenza, mantenendo un azione sempre al massimo della velocità, che in termini di qualità grafica grazie a un ingegnosissimo uso dei diversi layer di scorrimento della console Sega, dando una sensazione di profondità come pochi altri titoli per i tempi; inoltre, Thunder Force IV fu uno dei pochissimi titoli del Mega Drive a essere ottimizzato per il 50Hz, il che significa che la versione PAL non solo girava a 60HZ, come un gioco NTSC, ma non aveva neppure le bande nere al di sopra e al di sotto dello schermo. I tre compositori della colonna sonora (Toshiharu Yamanishi, Takeshi Yoshida e Naosuke Arai) composero ben oltre un’ora e mezza di musica, sempre dalle sonorità rock, metal, jazz e fusion, e si avvalsero non solo del chip FM, tipico del Mega Drive, ma anche del chip PSG che era presente all’interno della macchina per permettere la compatibilità con i titoli per Master System; il risultato che ne uscì fu semplicemente strabiliante!
Thunder Force IV non fu un gioco soltanto un gioco impressionante in termini di potenza ma anche in termini di gameplay, in quanto presenta, probabilmente, i livelli più belli della serie e una nuova arma che si ottiene dopo il livello 5, e anche in termini di storytelling in quanto la scena finale lasciò i fan della saga nel dubbio più totale in quanto non si capì esattamente cosa successe al Rynex, la nave pilotata dai giocatori, al termine della cutscene di chiusura. Secondo molti, anche tenendo conto delle specifiche dell’hardware e delle tecniche utilizzate per svilupparlo, questo titolo rappresenta il punto più alto della serie; l’unica pecca di questo gioco, circoscritta solamente per il mercato Nord Americano, è il cambio del titolo in Lightening Force: Quest for the Darkstar, scritto per altro con un errore ortografico (la grafia corretta è “lightning“), e perciò, nonostante le ottime recensioni e riscontri nei negozi, pochi fan sapevano che questo titolo era in realtà il sequel di Thunder Force III.

Il salto al 3D

Con l’arrivo del Sega Saturn, prima di rilasciare il successivo episodio della saga, Technosoft decise di rilasciare nel 1996, in Giappone, una bellissima collezione, divisa in due volumi, contenente tutti i titoli della serie (escluso il primo): Thunder Force Gold Pack 1 conteneva Thunder Force II e III, mentre il Gold Pack 2 conteneva Thunder Force AC e VI. Il nuovo Thunder Force V, uscito nel 1997 per la console 32-bit di Sega, fu il più profondo in termini di storyline: il Rynex vagò per secoli nello spazio in condizioni critiche e fu trovato da dei terrestri che ripresero il controllo della nave grazie a un’intelligenza artificiale sulla luna che, più avanti, si sarebbe ribellata e avrebbe dichiarato guerra alla terra. In termini di gameplay fu introdotta una bellissima nuova arma chiamata “Free Range” e la possibilità di mandare il propri power up in “over weapon”, rendendoli temporaneamente più potenti ed efficaci rispetto alla loro forma base. La maggior parte degli elementi sullo schermo, soprattutto la nave pilotata e i nemici, furono resi in 3D ma il gioco mantenne il suo stile 2D e ciò lo rese impopolare di fronte al nuovo scenario videoludico più interessato in giochi esplorabili in tre dimensioni; neppure la versione per la più popolare Sony PlayStation, rilasciata l’anno successivo in tutto il mondo, sembrò attecchire con i fan, specialmente con i più casual di cui solitamente la saga riusciva ad attrarre facilmente a sé.
Thunder Force V è un titolo a ogni modo solidissimo e la sua colonna sonora è fra le più spettacolari della sua saga, specialmente grazie supporto ottico che permise una qualità audio nettamente superiore ai chip sonori delle console della vecchia generazione. Anche qui, come un po’ per Thunder Force II, scegliere l’una o l’altra versione è questione di gusti: la versione per Sega Saturn (uscita solo in giappone) ha la migliore grafica, migliori effetti grafici e qualità sonora mentre quella per PlayStation, seppur soffre nei comparti in cui la concorrenza è migliore, ha un miglior rendering dei filmati, effetti sonori più complessi, modalità di gioco, artwork e easter egg aggiuntivi e può vantarsi di meno cali di framerate.

Un ritorno sottotono e tardivo

Un sesto Thunder Force era in programma per il Sega Dreamcast ma con il fallimento della console il progetto fu scartato; tuttavia, nonostante non esista uno screen di questo progetto, la colonna sonora fu rilasciata con il nome di Broken Thunder.
A ogni modo, Technosoft si tirò fuori dall’industria videoludica e chiuse i battenti nel 2001 reincarnandosi nella società “Twenty-one company” che si occupa di ricerca e sviluppo e detiene i diritti delle loro IP; Sega riuscì ad acquisire i diritti per Thunder Force VI e in seguito fu sviluppato per PlayStation 2 e rilasciato esclusivamente in Giappone nel 2010. Nonostante contenesse numerosi riferimenti ai vecchi titoli, Il gioco, che uscì abbastanza tardi per essere un gioco della generazione dei 128-bit, fu ampiamente criticato per la facilità generale del gioco, dal momento che il giocatore aveva accesso a tutte le armi sin dall’inizio, per la mitezza degli stage e dei movimenti della telecamera poco curati. Il rilascio per una console considerata obsoleta e circoscritta al Giappone non aiutò la serie a riemergere dal dimenticatoio.

Nuovi propositi

Dopo questa breve riapparizione della saga, Sega ha annunciato nel 2016 di aver comprato le IP della Technosoft dalla Twenty-one company e perciò possono sviluppare le loro IP per dei futuri progetti; quello stesso anno Thunder Force III prese parte all’ultima parte di Sega 3D Classic Collection per Nintendo 3DS ma di recente, esattamente lo scorso aprile, hanno annunciato che Thunder Force IV sarà parte della collana Sega AGES per Nintendo Switch. Visti dunque gli ultimi risvolti, avremo presto un Thunder Force VII?
Beh, noi non lo sappiamo (e forse non è ancora il momento) ma vi possiamo dire con certezza che se c’è un momento per recuperare questa fantastica serie shoot ‘em up è proprio adesso. Ogni titolo di questa saga contiene sempre il giusto equilibrio fra azione e difficoltà e pertanto è una serie adatta sia ai veterani che ai neofiti del genere. Se volete affacciarvi al panorama SHMUP i giochi Thunder Force (specialmente il terzo e il quarto) rappresentano un ottimo punto di partenza e vi offriranno una sfida che, al giorno d’oggi, è semplicemente assente.




FIFA 19: cosa aspettarci dal nuovo titolo EA?

Ogni anno, durante le fasi finali di campionati e coppe, comincia a delinearsi un altro scontro importante, combattutto sin dall’alba dei tempi dai due calcistici per eccellenza: FIFA e Pro Evolution Soccer. Oggi ci occuperemo di analizzare il titolo EA che, nonostante manchi ancora di presentazione ufficiale – come invece accaduto per il rivale made in Konami – i rumor cominciano a essere insistenti, soprattutto per una licenza in particolare, che potrebbe segnare molto prima del previsto il vincitore di questa stagione calcistica digitale.

L’urlo dei campioni

Partiamo proprio da qui, da quella Champion’s ed Europa League che tanto si accosta al nuovo FIFA 19. Di ufficiale non vi è ancora nulla, sia ben chiaro, ma se tre indizi fanno una prova, allora la probabilità di vedere la coppa per club più prestigiosa al mondo tra i menu del titolo Electronic Arts si avvicina alla certezza.
Sappiamo già che il contratto che lega le competizioni UEFA a Konami scadrà non appena una tra Real Madrid e Liverpool alzerà la “coppa dalle grandi orecchie”, ma è chiaro che i giochi siano stati già decisi. Del resto una licenza così importante non può essere acquisita nel giro di qualche settimana.
Ecco quindi che, se tutto andrà come previsto, con una presentazione in grande stile all’E3 di Los Angeles, FIFA 19 potrà vantare la più grande esperienza calcistica mai vista su console e PC, contando, oltre già le numerose licenze di squadre e campionati in possesso, anche il torneo più prestigioso. L’implemetanzione di tale feature permetterebbe infatti in aumentare ancor di più il coinvolgimento nelle numerose modalità presenti: pensate alla terza stagione del Viaggio di Alex Hunter, pronto a solcare anche il palcoscenico della UEFA Champion’s League, o le varie trasposizioni della modalità carriera che, oltre ad avere miglioramenti generali, vanterebbe una resa indubbiamente migliore, facendo vivere la stagione dei sogni al proprio club.
Insomma, l’entrata in scena di questi due tornei, oltre alla UEFA Super Cup che vedrà scontrarsi la vincitrice della Champion’s League e la vincitrice dell’Europa League, porterebbe, oltre a un evidente aumento del “contorno”, anche un’ulteriore varietà nei già innumerevoli contenuti del titolo EA, e vivere il sogno di realizzare un vero Triplete.
Del F.U.T. ci occuperemo più avanti, ma l’implementazione delle nuove licenze potrebbe portare una ventata di aria nuova, con tornei appositi e nuove feature da abbinare ai nostri campioni.

L’abito non fa il monaco

Fin qui tutto interesante ma un gioco di calcio deve innanzitutto divertire e appagare. Lo scontro tra i due colossi non è più accessa come qualche anno fa e l’evoluzione del gameplay ne ha risentito. Certo, l’entrata in scena di nuovi motori grafici quali Fox Engine e Frostbite, hanno permesso numerose migliorie, soprattuto dal punto di vista “fisico”.
Siamo al terzo anno nell’uso del motore DICE nel calcistico EA ed è evindente che molti si aspettino il vero salto di qualità: FIFA 17 e 18 potrebbero essere solo stati un assaggio di quel che il 19 si appresta a presentaci, contando soprattutto su una maggiore esperienza e su console più performanti quali PS4 Pro e Xbox One X. L’anno scorso, si è spinto molto sulla differenziazione di calciatori e squadre più importanti, con movenze e tattiche distinte in grado di far riconoscere al volo le caratteristiche del proprio avversario e approcciarci di conseguenza. Queste, sono risultate però meno incisive del previsto, soprattutto con i successivi aggiornamenti che, in base ai suggerimenti – un modo educato per dire feroci lamentele – da parte degli utenti, hanno un po’ appiattito il tutto, influenzando sopratttuto la velocità della manovra. Ma l’idea, sviluppata già da Konami con PES 2015, è assolutamente da portare avanti e su più squadre e calciatori, soprattutto nella nostra Serie A.
Nonostante sia uno dei campionati più importanti al mondo, il nostro torneo è stato sempre un po’ snobbato, un po’ per colpa nostra – ovvero la FIGC –, un po’ per la mancanza di stadi di proprietà per la maggior parte e per quella mancanza di appeal che la Serie A ha perso da qualche anno a questa parte. Qualche stadio in più dunque, oltre ai classici San Siro, Olimpico e Allianz Stadium sarebbe ben gradito, realizzando almeno il Marassi di Sampdoria e Genoa e la Dacia Arena dell’Udinese, un vero gioiellino da questo punto di vista. Inoltre, rimane la questione annosa della riproduzione dei volti dei calciatori nostrani, lasciata troppo in disparte, anche per calcatori con notorietà mondiale.
Da questo punto di vista, dalla scorsa edizione, EA ha sviluppato un nuovo sistema di scan 3D dei volti, che oltre a renderne più precisa e realistica la realizzazione, ha anche velocizzato il processo. l’uso di questo nuovo tipo di scansione è stato sicuramente ampliato per FIFA 19, sperando che non sia stato trascurato il nostro campionato.
Per questa nuova e auspicata resa della Serie A, è necessario anche un netto miglioramento del commento del duo Pardo-Nava. Il problema principale, riscontrabile un po’ da tutti, è il numero di frasi ma soprattutto la lettura del copione, accentuato fin troppo dall’ex difensore del Milan. Il commento inglese, affidato a Martin Tyler e Alan Smith, probabilmente rimarrà inarrivabile, soprattutto perché vario e naturale. “Andare a braccetto”, cosa che a Pardo riesce più che bene, porterebbe quella ventata di freschezza alle partite, rendendole più reali anche da un punto di vista sonoro.

Il pallone è nostro amico

Infine, addentriamoci nel rettangolo di gioco e nell’Ultimate Team. FIFA è costantemente aggiornato ma alcune criticità permangono. Non ci addentreremo in leggende metropolitane e complotti come il momentum, che segnerebbe le partite in maniera del tutto arbitraria, falsando il gioco. Basterebbe ragionare un attimo per capire che tale meccanica sia frutto della fantasia di Adam Kadmon; del resto, se tutto fosse vero, non si spiegherebbe come molti utenti riescano a vincere centinaia di partite semplicemente impegnandosi. Ma andiamo avanti.
La caratteristica più riuscita è sicuramente la totale libertà di movimento permessa al giocatore, affinata costantemente durante il corso degli anni e che ha visto ulteriori implementazioni, come difesa tattica e la maggiore precisione sul tocco palla. Ma proprio il pallone o meglio, la sua fisica, è  quella che ha impressionato meno negli ultimi anni, risultando molto al di sotto come resa rispetto al suo rivale. Probalmente è necessario restiuire maggiori feedback dalla sfera, dal suo peso e magari uno studio approfondito sui suoi movimenti, soprattutto sulla sua dinamica, influenzata magari dall’Effetto Magnus. Resta inoltre la questione velocità di gioco, sempre molto elevata – per noi italiani sicuramente troppo – anche nei minuti finali di partita. PES 2019 porterà novità da questo punto di vista, rendendo la fatica estremamente visibile, influenzando dunque le capacità di calciatori e squadre nell’imbastire nuove azioni. Se anche FIFA riuscisse nell’intento, porterebbe quel realismo in più che ogni tanto viene meno, restituendo partite ancor più varie e, in un certo senso, tattiche.
Ma veniamo al F.U.T., vera pietra miliare del calcistico EA. Tralasciando le polemiche sulle loot box – probabile che aggiusteranno il tiro da questo punto di vista –, sarebbe ora che si implementasse maggiore personalizzazione del proprio team, a cominciare da un editor di maglie e loghi. Il senso dell’Ultimate Team è proprio questo, realizzare la squadra dei propri sogni e tutto ciò che ne consegue ma, in fin dei conti, l’appartenenza verso la propria squadra decade quando dobbiamo scegliere kit e loghi di squadre già esistenti. Importare o editare noi stessi, con appositi strumenti, ciò che ci rappresente sarebbe la “trovata” definitiva per una delle modalità più giocate al mondo: lo scontro non solo di calciatori digitali ma anche di ideogie e creatività, rendendo gli avversari ancora più umani.

Manca poco dunque alla presentazione ufficiale. La presenza di UEFA Champion’s League e UEFA Europa League potrebbe realizzare il sogno di molti utenti e segnare già l’andamento di mercato per quanto riguarda i calcistici.
Konami di certo non starà a guardare e l’anticipo della data di lancio al 30 Agosto del suo PES 2019 mostra la volglia del team giapponese di dare battaglia fino alla fine, magari evitando di rimanere bloccato “al confine”. Ma questo, lo vedremo al prossimo articolo.




Il solito “errore” ci presenta Pro Evolution Soccer 2019

L’E3 2018 è ormai alle porte e cominciano a fioccare rumor, leak e annunci ufficiali. Ma non manca mai il classico rilascio d’informazioni per “errore”, come accaduto quest’oggi con PlayStation Store Honk Hong che ha svelato i primi dettagli di Pro Evolution Soccer 2019. Sappiamo già che Uefa Champion’s League ed Europa League non faranno più parte del nuovo pacchetto di offerte, ma questo non ha fermato Konami, che ha cercato di mettere una pezza aggiungendo nuove licenze per quanto riguarda i campionati e club, più un nuovo MyClub e una nuova ML Real Season.
Novità per quanto riguarda i calciatori, che avranno nuove undici skill proprie e nuove e dettagliate animazioni, che si sposerano con risoluzione nativa a 4K con supporto dell’HDR.
Per quanto riguarda la probabile uscita si parla di 30 Agosto, molto prima del previsto. Attenderemo novità a riguardo al prossimo E3 di Los Angeles.

FONTE




Castlevania: Grimoire of Souls per iOS. I perché di tali scelte

Konami ha fatto un po’ di fatica da quando Hideo Kojima ha lasciato la compagnia che ha dato i natali al suo Metal Gear e altre popolarissime serie come Contra, Ganbare Goemon e Silent Hill; sono diversi anni ormai che il popolarissimo developer cerca di trovare una propria identità all’interno della scena videoludica. In fondo, si fa viva quando c’è da lanciare qualche  nuova IP come il recentissimo Metal Gear Survival o l’annuale Pro Evolution Soccer anche se, specialmente per i fatti relativi al licenziamento di Kojima, non sembrano entusiasmare mai i fan. A ogni modo non è che lo storico developer non abbia titoli da sfornare o non sia pronto per un ritorno in grande stile: i fan ebbero un barlume di speranza quando, nel 2015, Konami lanciò un sondaggio che chiedeva agli utenti quali fossero i titoli che più conoscevano e, un primo risultato si vide con l’uscita di Super Bomberman R per Nintendo Switch, un titolo addirittura ripescato dalle IP di Hudson Soft (compagnia che Konami comprò nel 2012).
In questi giorni è apparso un nuovo probabile frutto di quel sondaggio, il ritorno di una delle saghe più amate di sempre: Castlevania: Grimoire of Souls. La popolare saga degli ammazza-vampiri è in stallo da Castlevania: Lords of Shadows 2, un bel gioco ma che, come i precedenti Lords of Shadows e Lords of Shadows: Mirror of Fate, portò la saga in acque sconosciute. Koji Igarashi, lo storico direttore che diresse la saga dopo il leggendario Symphony of the Night, lasciò Konami perché contrario alla loro decisione di metterlo dietro allo sviluppo di titoli mobile distogliendolo, se non altro, dalla sua visione di Castlevania in favore di MercurySteam (gli sviluppatori dietro agli ultimi tre capitoli della saga) che non vedeva di buon occhio.
D’allora Igarashi, similarmente a Keiji Inafune quando lasciò Capcom, lanciò uno dei kickstarter più efficaci della storia, indirizzato verso la creazione di Bloodstained: Ritual of the Night, con l’obiettivo finale di 500.000 dollari; raggiunse 5 milioni in pochissimo tempo e si aspetta il suo rilascio in questo 2018. Konami, visto anche l’interesse dei fan verso il titolo indipendente di Igarashi, ha sicuramente pensato bene di produrre e annunciare Castlevania: Grimoire of Souls (un po’ come ha fatto Capcom con l’annuncio di Mega Man 11, giusto per offrire un’alternativa al malandato Mighty No. 9), annuncio che è stato in grado di far tremare la terra per una frazione di secondo. Anche se le immagini mostrano molti personaggi cari alla saga, un art-style tradizionale, una grafica 2.5D e,  uno “story mode” con la possibilità di un multiplayer in cooperativa (simile forse a quella già vista in Castlevania: Harmony of Despair), Konami ha comunque – e decisamente – smorzato l’entusiasmo generale, annunciando il rilascio per dispositivi iOS. I prodotti Apple, anche se non pensati appositamente per il gaming, sono ottimi dispositivi in grado di restituire un’azione di tutto rispetto, ma è chiaro che quando si pensa a titoli classici come questi non è la prima piattaforma che viene in mente ai giocatori; dunque, perché questa scelta?

È probabile che Konami non voglia semplicemente lanciare titoli per l’utenza che conosce e desidera ancora dei nuovi Castlevania ma, da quel che sembra, una mossa del genere evidenzia la volontà di raggiungere più giocatori possibili. Ogni persona fisica con un cellulare, in fondo, è un potenziale giocatore e, in un’epoca in cui il mercato cinese si apre verso il gaming, in grado di diventare in pochissimo tempo leader nel settore, è chiaro che Konami voglia ricavarsi uno spazio in questo nuovo scenario rinnovando, nel processo, la sua immagine; se non altro, anche se non nel modo in cui potremmo pensare, Konami è stata molto presente nella scena mobile in questi ultimi anni ed è possibile che il loro core business si stia spostando piano piano in quel determinato settore. Può dunque essere che Castlevania: Grimoire of Souls non sia “il loro Mega Man 11” poiché non vogliono semplicemente consegnare qualcosa ai fan della saga storica ma anche far conoscere la saga a chi non l’ha mai presa in considerazione, soprattutto in un paese come la Cina in cui le saghe classiche sono semi-sconosciute.
Tuttavia, Konami sa ancora che i giocatori che vogliono un loro ritorno in pompa magna si trovano principalmente fuori dalla scena mobile ed è per questo che titoli come Metal Gear Survive e Super Bomberman R non sono mancati, assenti nell’App Store e Google Play e che probabilmente, mai ci saranno. Gli iPhone e gli iPad non sono le “migliori console di gioco” (anche se i comandi su touch screen possono essere quasi sempre sostituiti da un bel controller fisico bluetooth) ma ciò non significa che non potremmo vedere questo titolo in altre piattaforme. Nintendo Switch, per esempio, ha accolto positivamente molti titoli già presenti su mobile (come Sparkle 2) e il processo contrario non è neppure un’assurdità al giorno d’oggi (basti pensare alle versioni mobile di Minecraft o Playerunknown’s Battleground). Ci sono ancora pochissime informazioni su questo nuovo titolo Konami: anche se stiamo parlando di un titolo mobile, le immagini sembrano promettere bene (ricordando molto Castlevania: The Dracula X Chronicles per PSP) e il solo fatto di rivedere Simon Belmont, Alucard, Soma Cruz, Charlotte e Shanoa e altri, scartando così lo stile e i personaggi dell’universo alternativo di Lords of Shadows, è certamente un buon punto a loro favore.
Qualsiasi saranno le scelte di Konami, tuttavia, sappiamo che queste non saranno mai fatte senza logica e se hanno deciso di puntare su mobile avranno certamente dati di mercato a supporto delle loro azioni anche se, comunque, non esclude a prescindere un rilascio per console o PC più in là. Ci auguriamo, inoltre, che questo non sia l’ultimo revival delle saghe storiche Konami e che potremo presto vedere presto dei nuovi Contra, Gradius, Ganbare Goemon, Zone of the Enders o Suikoden su console, PC o mobile (tutto pur di poterli rigiocare).




Vendite e profitti in crescita per Konami

Nei nove mesi precedenti al 31 dicembre 2017, Konami ha registrato un incremento delle vendite e dei profitti del 30,2%, pari a 354 milioni di dollari. Allo stesso tempo, i ricavi sono saliti del 9%, che equivale a 1,6 miliardi di dollari. La divisione Digital Entertainment ha registrato sia la crescita più elevata, sia i ricavi più alti con un aumento del 21,7% (825 milioni di dollari), percentuale che è stata confrontata con quelle delle altre divisioni che hanno riportato un aumento pari a 457 milioni di dollari per la divisione Health and Fitness, 190 milioni di dollari per la divisione Games and System, e altri 190 milioni di dollari per la divisione Amusement.
I profitti della Digital Entertainment sono globalmente aumentati del 21,9% (273 milioni di dollari) in un anno, una percentuale che ha fatto impallidire tutte le altre divisioni dell’azienda. Konami ha voluto sottolineare il grandioso successo ottenuto dal settore mobile, attribuendolo a grandi titoli come Winning Eleven Card Collection e a importanti aggiornamenti per PES 2018, che ha registrato ben 80 milioni di download; segue Yu-Gi-Oh Duel Links con i suoi 60 milioni di download e altri famosi titoli come Professional Baseball Spirits A e Jikkyou Pawafuru Puroyaku.

Nonostante gli alti numeri registrati, si presentano dei cali nelle previsioni sulle entrate annuali previste, passando da 2,3 a 2 miliardi di dollari; fortunatamente non si può dire lo stesso dei profitti annuali previsti che crescono invece da 368 a 414 miliardi di dollari. Ci si aspetta una leggera crescita per la divisione Games and System, che passerebbe da 1,08 a 1,1 miliardi di dollari, con un guadagno annuale del 14,4%. Per tutte le altre divisioni ci si aspetta invece un leggero calo. Konami ha confermato l’apertura di una nuova filiale a Bangkok, con l’obiettivo di sviluppare una struttura di vendita dedicata al mercato del sud-est asiatico dove si è visto un grande incremento dell’economia.
Konami pubblicherà a febbraio Metal Gear Survive, che diverrà il primo titolo pubblicato dopo l’abbandono di Hideo Kojima verso la società nipponica.




P.T. è ora giocabile su PC grazie a due remake creati dai fan

P.T. è stato un teaser rilasciato per PS4 prima che il progetto di Silent Hills venisse cancellato e, nonostante fosse molto breve, è ancora oggi ricordato come uno dei migliori giochi horror di tutti i tempi (e certamente uno dei più spaventosi).
Adesso è possibile giocarlo anche su PC grazie a due remake creati da due fan dell’opera.
Il primo remake è chiamato Corridors:  è ancora in fase di sviluppo su Unreal engine 4, ma il creatore SmoggyChips, desidera aggiungere altri livelli in futuro. Può essere scaricato a questo indirizzo, e potete vederlo nel video in basso.

Il secondo remake è opera dell’utente di reddit LinusPixel, il quale ha estratto animazioni, mappa e texture dal gioco originale e ha provato a metterle insieme in un nuovo engine di gioco. Potete provare il prototipo a questo indirizzo.




Sonorità Videoludiche – I Chip sonori e il loro utilizzo

Fin dai tempi antichi, l’uomo ha compreso di poter sfruttare i suoni come forma espressiva, e allo stesso modo i suoni dei primi computer provenivano esattamente dal cuore delle macchine. Modelli come l’Apple ][ e i primi IBM erano dotati di altoparlanti direttamente collegati alla CPU, della quale venivano “temporizzati” gli impulsi per trasformarli in toni. Questo metodo in realtà poteva permettere di riprodurre qualsiasi suono affinché un file sonoro compatibile entrasse nel media fisico; tuttavia, quando questi dovevano essere riprodotti durante un gioco, interrompevano il gameplay poiché la CPU doveva impegnarsi esclusivamente per riprodurre quello specifico suono.

L’arrivo dei chip sonori

Col passare del tempo e con l’avanzare della tecnologia il carico delle CPU di computer e console venne definitivamente alleggerito grazie all’uso di chip sonori dedicati per riprodurre la musica. Le istruzioni musicali che provenivano dal media fisico anziché finire sulla CPU finivano nel chip sonoro dedicato che era in sé come una specie di band che “suonava lo spartito” che gli veniva mandato; le istruzioni provenienti dal media fisico includevano i toni, le durate e il canale da far suonare e, una volta passate dal chip, avrebbero prodotto la musica da incanalare negli altoparlanti. All’interno del chip erano presenti i canali per le forme d’onda, ovvero le voci del chip. Ogni chip aveva pregi e difetti, ovvero forme d’onda diverse, numero di canali, polifonia, assegnabilità, ecc… le caratteristiche dei singoli chip davano al sistema (o arcade board) una sfumatura diversa che serviva a rendere ancora più caratteristico un sistema, dando dunque una voce diversa rispetto le altre scelte sul mercato. L’APU, chip sonoro del NES, aveva cinque canali: due per le onde quadre, le cui ampiezze potevano essere modificate, uno per l’onda triangolare, usata solitamente per i bassi, un generatore di rumore bianco, usato per le percussioni, e un ultimo canale per i campionamenti. Ad occhio potrebbe sembrare che il SID del Commodore 64, che aveva solo tre canali, era un chip inferiore ma invece aveva caratteristiche che l’APU poteva solo sognarsi. A questi tre canali potevano essere assegnati quattro tipi di onde diverse (quadra, triangolare, a dente di sega e rumore bianco) che potevano addirittura essere riassegnate durante un brano, dando l’impressione vi fossero più di 3 voci; l’APU, seppur grazie ai due canali di onda quadra poteva dar l’impressione della polifonia, non poteva fare nulla del genere, i canali erano fissi e le voci erano sempre quelle. Tuttavia era possibile montare nelle cartucce del Nes dei chip aggiuntivi per dare ai giochi un suono diverso: ne sono testimoni giochi come Gimmick! di Sunsoft, che montava il suo FME-7, Castlevania III con il suo VRC6 che metteva ben 3 canali in più e Lagrange Point, uscito solo in Giappone, che montava il chip VRC7, sviluppato da Konami stesso, che emulava la sintesi FM già presente in sala giochi. Spesso nei dibattiti Sega Master System vs NES viene tirato fuori l’argomento “chip sonoro”. La console 8-bit di casa Sega, anche se mostrava una grafica ben più avanzata rispetto alla controparte Nintendo, era azzoppata da un chip sonoro obsoleto, il Texas Instruments SN76489 dai 3 canali di onde quadre più uno di generatore di rumore bianco , che per questioni di programmazione e compatibilità Sega si portava dietro dal Sega SG-1000, la loro vera prima console rilasciata nel 1983; questa console fu costruita con un hardware simile ai computer MSX e al ColecoVision per facilitare la programmazione dei porting ma, evidentemente, Sega puntò sul cavallo sbagliato. L’uscita del Sega Mark III in Giappone, divenuto poi Master System nel resto del mondo, doveva permettere la retrocompatibilità con le vecchie cartucce delle precedenti incarnazioni e perciò non si poté permettere un chip sonoro più moderno; tuttavia Sega, più in là, rilasciò solamente in Giappone l’add-on FM Sound Unit che aggiungeva ben 9 canali e una qualità di suono senza paragoni, basata appunto sulla sintesi FM, processo che permette una modifica sostanziale alla forma d’onda di base. La ricerca di un suono più elaborato dimostrava come i giocatori, insieme al comparto grafico, desideravano un sonoro sempre più realistico e, a partire dal rilascio del FM Sound Unit per il Sega Master System, si andò sempre avanti alla ricerca del suono perfetto.

Perfezionamento e declino

Fu sulla base della sintesi FM che Sega diede voce al Mega Drive grazie al chip YM2612 di Yamaha. Fra gli anni 80 e 90 Yamaha produsse svariati chip sonori che vennero montate sia in computer e console che nelle loro tastiere dando alla musica, sia in ambito videoludico che in ambito pop, un timbro riconoscibilissimo e ben distinto. Fra le tastiere, usate appunto nella musica pop, possiamo ricordare il famosissimo Yamaha DX7, che si pose nel mercato come il primo sintetizzatore digitale, e le orecchie più allenate potranno trovare una certa similitudine con i suoni presenti nel Mega Drive. Tuttavia, nelle band, questi facevano il lavoro di uno strumento solo ma in ambito videoludico questi chip dovevano compiere il ruolo di un intera band! I diversi chip Yamaha furono montati nei Nec PC-8801 e PC-9801, Neo Geo AES, Sharp X68000 e usate come base per la produzione delle schede Sound Blaster per i PC. La storia volle che il creatore della Playstation Ken Kutaragi, vedendo sua figlia giocare con il Famicom, pensò di poter creare un chip sonoro superiore; così, prima in segreto e poi con l’aiuto di Sony, creo un chip sonoro in grado di restituire al pubblico una fedeltà sonora senza precedenti. Sony sviluppò per Nintendo il chip S-SMP che diede un netto punto a favore alla grande N contro la rivale Sega. Il chip si basava sulla sintesi in PCM, ovvero (mantenendoci in un linguaggio alla portata di tutti) tramite la creazione di onde digitali tramite un particolare processo di campionamento; in questo modo il Super Nintendo poté riprodurre dei suoni molto realistici, suoni che neppure i PC con le Sound Blaster potevano permettersi. La tecnologia del chip sonoro tuttavia era destinata a scomparire ed essere sostituita dalla più conveniente e potente tecnologia del Compact Disc: non solo le linee di programmazioni per i giochi potevano essere scritte in un media ben più grandi di una cartuccia ROM ma rimanevano ettari di spazio per incidere delle tracce musicali ed inserire veri e propri filmati. Grazie al CD la musica, anziché essere programmata dal PC, poteva essere tranquillamente registrata in uno studio di registrazione con strumenti veri ed in seguito essere incisa nel disco insieme al gioco vero e proprio ed eventuali filmati. Tuttavia i chip sonori continuarono ad esistere nelle console portatili dei tempi, dai più famosi Game Boy e Game Boy Advance, ai più di nicchia Sega Game Gear, Neo Geo Pocket e Bandai WonderSwan.

La vita dei chip sonori sembrava finita e, come le musicassette, potevano essere dimenticati e lasciati ad ammuffire fino alla loro decomposizione ma, inaspettatamente, questi chip furono utilizzati per diversi scopi, addirittura in mondi ben più vasti della scena videoludica. Di questo ce ne parlera Gabriele Sciarratta nella parte 2.




Svelata la data per il rilascio di Metal Gear Survive

Dopo aver annunciato che sarebbe uscito entro il 2017, all’E3 di quest’anno, Konami ha posticipato l’uscita di Metal Gear Survive al 2018, tempo necessario per ultimare i dettagli del gioco, ma facendo sorgere un mistero sulla data. Oggi questo mistero è stato svelato con un tweet: Metal Gear Survive uscirà su PS4 Xbox One il 20 febbraio negli Stati Uniti e il 22 febbraio in Europa.

Chiunque lo pre-ordinerà riceverà il Survival Pack, al cui interno troveremo quattro armi placcate in oro tra cui un machete e una lancia, due esultanze, quattro sciarpe di sopravvivenza nei colori verde, rosa, azzurro e argento, la skin facciale “Kabuki“, la scatola “The Orange” e una targhetta della base madre. Metal Gear Survive è il primo gioco di Konami da quando Hideo Kojima ha deciso di separarvisi. Un gioco molto diverso dai precedenti la cui storia è ambientata in una realtà alternativa agli eventi di Metal Gear Solid V: Ground Zeroes, in cui dovremmo affrontare una quantità di zombie che Kojima trovava strana. Sarà presente anche un multiplayer co-op su PS4, Xbox One e PC.




FIFA 18 Vs. PES 2018

Ci sono delle rivalità che col tempo sono divenute leggendarie: Senna e Prost, Coppi e Bartoli, SNES e Sega Megadrive oppure Tom e Jerry. Ma se ce n’è una che ha scosso il mondo negli ultimi anni, quella è sicuramente tra FIFA e Pro Evolution Soccer che, nella loro ultima iterazione, sono pronti a darsi battaglia fino alla fine e senza esclusione di colpi. Quest’anno, dunque, chi la spunterà?

Un tiro all’incrocio

Fifa 18 porta in dote la sua vastità di contenuti come ormai ci ha abituati negli ultimi anni, spulciabili grazie all’eccellente menu, sia per fruibilità che per design. Con alcuni miglioramenti apportati all’Ultimate Team e alla modalità “Carriera”, uno dei tanti punti focali diventa la modalità “Il ‫Viaggio“, arrivata alla sua seconda stagione. Riprendendo quanto sviluppato precedentemente, ritroveremo Alex Hunter, un giocatore finalmente sbocciato e conosciuto dal grande pubblico. È un grande passo avanti sotto tutti i punti di vista, da quello tecnico al taglio registico, portando una storia più curata e che scava a fondo nella vita privata del giovane Alex. Risulta ampliata, anche dal punto di vista ludico, con possibilità di personalizzazione e la carriera che non è più solo rilegata alla Premier League inglese. Quest’anno è stato fatto un ottimo lavoro: una modalità concepita come un vero e proprio  film, con ottime cutscene avvalendosi ancora una volta della scrittura di Tom Watt, ghost writer della biografia di David Beckam e sempre molto vicino al mondo del calcio.
Diventa un modo per vedere questo sport sotto un’altra luce, con tutti i retroscena del caso e le difficoltà o le gioie che un calciatore professionista deve a volte affrontare.
Per il resto, ormai il numero di squadre e calciatori presente è davvero spropositato, tutte su licenza, con anche le grafiche dei campionati maggiori riprodotte alla perfezione. Tra le novità di quest’anno troviamo le Icone, carte riferite alle Star del calcio di tutti i tempi come Maradona, Pelè o il Fenomeno Ronaldo e la modalità “Squad Battle“, una sorta di FUT offline in cui sfideremo via via squadre create e guidate dalla CPU. Anche la modalità “Carriera” ha giovato dei miglioramenti apportati ne “Il viaggio”, con l’utilizzo di cutscene e dialoghi a scelta multipla che rendono il tutto sicuramente più curato e soprattutto più immersivo.
Tutte queste modalità rendono FIFA 18 il titolo calcistico migliore, a livello contenutistico, degli ultimi anni con tantissima varietà per tutti i palati e soprattutto una qualità invidiabile.
Per quanto riguarda Pro Evolution 2018, sul piano delle modalità non ci sono grosse novità: entrano in scena le partite casuali in cui, una volta scelti diversi parametri, si può provare a conquistare i calciatori migliori della squadra avversaria, e le partite 3vs3, divertenti e in cui bisogna essere pronti tatticamente se si vuole portare a casa il risultato. Rimangono la sempre buona Master league, ma senza novità di rilievo, e il MyClub ulteriormente affinato risolvendo alcune feature criticate a suo tempo dalla community. Uno degli elementi cardine, a partire dalla scorsa edizione, è l’esclusiva partneship con alcune squadre tra cui, da quest’anno, Inter e Milan, che ha permesso di ottenere elementi esclusivi, dalle tattiche ai volti e tutto il contorno, oltre a una maggiore cura nella riproduzione delle atmosfere che questi club offrono. Ritornano anche le licenze di Champion’s League e Europa League ma, se tutto questo rappresenta il top sul lato licenze, il flop è sempre dietro l’angolo:  Liga con solo BarcelonaAtletico Madrid e Valencia, Premier con soltanto Arsenal e Liverpool presenti, Serie A senza Juventus, con altre gravi mancanze come BundesLiga e tanti altri club. Questo mina pesantemente l’atmosfera generale, soprattutto nelle competizioni su licenza, e resta oltretutto inspiegabile che, nonostante siano presenti la maggior parte delle squadre sudamericane, manchi la Coppa Libertadores. Un vero peccato che nel 2018 si debba vedere un altro PES minato da queste mancanze. PES 2018, quindi, viaggia sul segno della continuità: con poche novità dal punto di vista contenutistico e una mancanza di licenze che comincia a far storcere il naso, restando lontano anni luce dal suo concorrente.

La forza di rialzarsi…

L’avvento del Frostbite Engine, avvenuto lo scorso anno,  oltre a dare un boost sulla componente grafica – di cui parlerò successivamente – ha permesso di fare quel salto in avanti, portando miglioramenti in casa EA a quella che era una già un’ottima base presente in FIFA 17. Il lavoro fatto sulla fisica dei giocatori si vede e salta subito all’occhio non solo nel gameplay vero e proprio ma anche nelle cutscene di presentazione delle partite. La presenza dei giocatori in campo si fa più reale e i giocatori più massicci come un Koulibaly avrànno più facilmente la meglio su un calciatore minuto come Chiesa. Questo non va a toccare però solo l’aspetto di peso specifico ma anche le movenze e la forza data dalla parte superiore del corpo, rendendo i contrasti più maschi e realistici. L’introduzione del Real Player poi, ha aumentato il numero delle animazioni presenti assieme alla qualità, divenendo molto più fluide e naturali. Intelligenza artificiale rinnovata permette alle squadre di stare meglio in campo: se durante un’azione offensiva i nostri compagni ci verranno in supporto, aumentando la possibilità di attaccare la porta avversaria, lo stesso avviene in difesa, con i calciatori più pronti a coprire le zone presidiate dagli avversari. La fisica del pallone, seppur migliorata, continua a risultare meno raffinata rispetto alla controparte nipponica, ma comunque nulla che vada a inficiare il gameplay. Novità presenti anche in fase di dribbling e nei cross, contornati da una maggiore precisione nel tocco palla e l’introduzione, comoda soprattutto in match multiplayer, delle sostituzioni veloci, eseguibili con la pressione del grilletto destro, senza mettere in pausa il gioco. Infine, a spiccare, è anche la riproduzione del comportamento dei team più prestigiosi rispetto alla loro controparte reale: giocare contro il Bayern o contro il Barcellona, sarà un’esperienza completamente diversa in quanto, il loro modo di gestire la partita sarà tatticamente unico. Questo ovviamente non vuol dire prevedibilità, significa che ci spingerà ad adattarci alle diverse situazioni, aumentando significativamente il tasso di sfida.
Anche Pro Evolution presenta novità sul fronte gameplay a cominciare dal Real Touch+, feature che permette la gestione dei movimenti del calciatore, ancor prima di ricevere il pallone e che gioca un ruolo chiave, con passaggi di prima, uno-due ancor più precisi e con un ottimo feeling, oltre a un controllo palla più naturale. Player ID e Team ID contornano un ottimo comparto che, dopo  anni di evoluzione, hanno reso movimenti di calciatori e intere squadre molto vicini alla controparte reale, anche se, quest’ultimo, risulta forse meno marcato rispetto al titolo EA. Altra importante novità è l’Intelligenza Artificiale ulteriormente migliorata, che permette alle squadre controllate dalla CPU di adattarsi letteralmente al nostro stile di gioco, variando tattiche e comportamento di conseguenza, mettendo anche i giocatori più esperti in difficoltà. IA implementata anche come supporto e che, assieme a un ritmo di gioco più basso, muove il tutto verso una più ragionata visione d’insieme, creando azioni da rete magari dopo una bella e fitta rete di passaggi. Menzione d’onore va al miglioramento della fisica della palla, ulteriormente affinata, che regala il giusto feeling e la giusta presenza in campo, rispondendo realisticamente a ogni minimo tocco e tiro. Novità da segnalare anche il nuovo sistema di calci piazzati, più vicino al concorrente, e quindi con posizionamento del tiratore e tipo di rincorsa che farà la differenza tra un tiro all’incrocio e uno al terzo anello.
Piccolo passo indietro invece per quanto concerne arbitri e portieri: i primi fin troppo permissivi, fanno veramente fatica a tirar fuori i cartellini mentre, gli estremi difensori, soffrono a volte di amnesie che possono compromettere il risultato di una gara.
Infine le animazioni, sicuramente migliorate rispetto all’edizione precedente ma che ancora mancano di amalgama tra i vari frame, risultando poco fluide. Inoltre siamo ancora lontani dalla sensazione di controllo totale presente in FIFA: vuoi o non vuoi si ha ancora l’impressione che in qualche modo intervengano alcuni automatismi, i classici binari, che faticano a lasciare il titolo Konami.
Tutti e due i titoli dunque sono ottimi esponenti, dal punto di vista del giocato vero e proprio, del calcio digitale. Diventa quindi una questione di gusti.

…ma il gap è evidente

L’intento risaputo di Electronic Arts è quello di creare il suo universo di giochi utilizzando il Frostbite Engine. FIFA, al suo secondo anno di utilizzo, ha fatto dimenticare a tutti il vecchio e vetusto Ignite Engine, mostrando i muscoli, a cominciare dalla già citata modalità Il Viaggio che senza questo motore grafico, non sarebbe stata possibile. L’animazione dei volti ha raggiunto ottimi livelli così come le cutscene, utili a rendere il tutto molto cinematografico. Passando al resto, si notano subito miglioramenti al comparto luci, pregevoli e che regalano molta più profondità con, la conseguenza, che anche le ombre siano molto più precise e realistiche; l’aggiunta di effetti post produzione, miglioramenti nel motion blur e profondità di campo oltre al miglioramento delle texture e della saturazione dei colori rendono FIFA 18 un vero gioiellino. Oltre a questo ottimo lavoro, da quest’anno nella resa delle diverse tifoserie e del pubblico in generale, con reazioni, festeggiamenti e comportamenti unici davvero ben resi e che aumentano a dismisura il coinvolgimento generale.
Sul piano modellazione siamo anche qui su ottimi livelli con una nuova e più precisa scannerizzazione degli atleti più importanti, con una cura eccelsa per tutti i dettagli anche se, proporzioni e volti dei calciatori sono ancora indietro al titolo Konami. A livello visivo la fa da padrone la Premier League, con tutti e gli stadi riprodotti alla perfezione e, come detto, l’utilizzo delle grafiche, anche per Liga e Bundes, aiutano a rendere il tutto molto più televisivo.
L’entrata in scena del Fox Engine in PES 2015 ha portato il titolo Konami a fare un bel salto di qualità. Rispetto a tre anni fa si vedono dei miglioramenti evidenti sull’impianto luci dinamiche e sulla  definizione delle texture. Anche l’effettistica riceve un piccolo boost, soprattutto per la resa della pioggia.
Sempre di eccellente livello è la realizzazione dei calciatori, anche quelli di non primissimo livello:  quasi perfetti quelli del Barcellona e delle altre squadre patner, leggermente al di sotto tutti gli altri, con tatuaggi, accessori e acconciature però, fedelmente riprodotti. Rispetto al Frostbile il Fox Engine è sicuramente meno rifinito, ma si lascia comunque guardare abbastanza bene. Da segnalare da quest’anno, la versione PC, finalmente all’altezza delle versioni console.
Spiccano anche gli stadi – anche se veramente pochi – riprodotti al millimetro, non solo all’interno ma anche tutto il contorno presente fuori, dai parcheggi e planimetria in generale.
Infine la battaglia si sposta sulla componente audio e anche quest’anno la FIFA Soundtrack regala tantissimi brani di diverso genere, più di 40, ma è l’effettistica a fare la differenza, rendendo l’atmosfera da stadio tridimensionale, facendoci sentire parte di un evento reale, anche per l’introduzione di tantissimi nuovi cori. La telecronaca ormai collaudata di Pierluigi Pardo e Stefano Nava, al fronte di qualche leggera sbavatura, regalano un buon commento con l’aggiunta di diverse frasi e discorsi di una certa complessità, molto più naturali anche se il buon Nava incespica un po’. Menzione a parte merita la modalità “Il Viaggio”, con un ottimo doppiaggio inglese e musiche d’accompagnamento azzeccate, capace di esaltare momenti felici e drammatici. Il commento Pardo-Nava sarà specifico per questa modalità. Anche il doppiaggio italiano è decisamente migliorato, più in parte e senza gli svarioni dell’anno precedente.
PES 2018 si avvale di meno tracce, ma che si vantano di nomi importanti come Coldplay, Linkin Park e Bruno Mars. Migliorata anche la telecronaca di Caressa, sicuramente più varia nonostante i paletti delle licenze, meno quello di Marchegiani, un po’ fuori parte e che non aggiunge quasi nulla a quanto raccontato dal primo. L’audio in generale è abbastanza buono, sicuramente il lavoro fatto sulla tridimensionalità del suono ha dato i suoi frutti, presentando cori più pieni ed effetti sonori più realistici. Da segnalare la differenza presente tra ciò che avviene negli stadi partner e gli altri: l’atmosfera è assolutamente fantastica.

In conclusione

Quindi, quest’anno, qual è il titolo migliore? La risposta non è così semplice. I due titoli sono ottimi esponenti del calcio digitale ma con due modi diversi di intenderlo: FIFA 18 è più profondo, con una velocità d’azione che favorisce la spettacolarità. Al contrario PES è forse più immediato, capace fin da subito di entrare in sintonia col giocatore. Sul campo quindi è una questione di gusti, nulla di più. Entrambi i gameplay sono validi, strutturati e con una propria identità; sta a voi decidere quale delle due filosofie vi si sposa meglio.
Tutt’altra storia invece per il contorno: PES non può vantare la qualità raggiunta in tutti i suoi aspetti come per il titolo Electronic Arts e modalità che valgono da sole il prezzo del biglietto. FIFA 18 con Alex Hunter e il FUT potrebbe già dare una mazzata alla concorrenza e se aggiungiamo carriere molto meglio strutturate e il resto delle modalità, non c’è partita. Anche la parte tecnica strizza l’occhio a FIFA: per quanto Pro Evolution sia migliorato, le differenze sono evidenti, soprattutto nei dettagli. Tutto ciò che concerne le partite, grazie anche alle tante licenze detenute, rendono l’esperienza su FIFA molto più televisiva e realistica.
Insomma, anche quest’anno FIFA 18, tutto sommato, è ancora leader in questo settore ma attenzione a Konami: pian piano migliora, ma forse troppo lentamente. Servono con urgenza nuove modalità e qualcosa sul piano licenze per svecchiare un po’ la formula.




Il Milan diventa partner di PES 2018

Pro Evolution Soccer 2018 ha avviato ottime partnership con squadre del calibro del Barcellona (incluso il Camp Nou), Liverpool e Borussia Dortmund. Fra queste c’era anche l’Inter, e adesso un tweet dall’account ufficiale di PES annuncia un’altra partnership italianna:

L’altra squadra licenziata nel gioco sarebbe dunque l’AC Milan. La squadra italiana più titolata al mondo è dunque il secondo team del Belpaese ha instaurare una partnership con il noto calcistico Konami, il quale ha rilasciato anche un trailer ufficiale.