Hi, my name is… Hideki Kamiya

Dopo una breve pausa, riprende la nostra consueta rubrica sulle più importanti personalità del mondo del Game Design. In occasione dell’uscita del quinto capitolo della saga action più apprezzata degli ultimi anni, Devil May Cry 5, ci occupiamo della mente che ha dato i natali alle avventure di Dante: Hideki Kamiya. Classe 1970, Kamiya ha avuto l’arduo onere di provocare un violento scossone all’interno del genere d’azione in terza persona, da anni ormai stagnante nelle sue vecchie meccaniche logore e non al passo con i tempi. Facciamo però qualche passo indietro.
Kamiya inizia la sua gavetta in casa SEGA e successivamente passa alla Namco ma, nonostante una buona partenza nel settore, il nostro Hideki non si sente pienamente realizzato, costretto dalle case produttrici a lavorare come semplice artista senza alcuno spazio nelle scelte di game design. Decide così di migrare verso altri lidi di sviluppo, riuscendo a ricoprire il ruolo di designer in Capcom nel 1994. Il suo primo incarico con la casa di Osaka comporta una notevole dose di responsabilità sulle spalle di Kamiya, il quale si ritrova a dover portare avanti una saga che si preannunciava iconica già fin dal primo titolo: il designer viene affiancato al maestro Shinji Mikami nella lavorazione di Resident Evil 2, sequel dell’apprezzatissimo capostipite, ricoprendo il delicato ruolo di director.
Il nuovo capitolo della saga horror di Capcom doveva rivoluzionare le meccaniche alla base del precedente capitolo ed espandere l’universo di gioco, pur rimanendo fedele a se stesso. Mikami in prima persona era stato messo al comando dello sviluppo ma i vertici di Osaka non rimasero soddisfatti del lavoro compiuto, motivo per cui il team venne affidato al giovane Kamiya alla sua prima esperienza come direttore. Il prototipo di Mikami, lo storico Resident Evil 1.5, viene messo da parte dal nuovo team di sviluppo e il progetto prende una piega completamente diversa. Viene rivisto il gameplay, rendendolo più dinamico rispetto al primo episodio, viene stravolto l’impianto scenografico conferendogli un respiro hollywoodiano e ampliato enormemente il numero di nemici su schermo superando il limite di 7 zombie per schermata, aspetto che mette a dura prova le capacità tecniche della prima PlayStation. Vengono introdotti nuovi personaggi per dare continuità ai fatti raccontati nel primo capitolo, grazie all’apporto in sceneggiatura di Noboru Sugimura e per la prima volta fanno la comparsa i temibili Licker , divenuti presto le icone di Resident Evil 2.
Il gioco è apprezzato dai capoccia di Capcom e anche in termini di vendite e critica viene accolto positivamente, stabilendo numeri che permisero al lavoro di Kamiya di entrare a far parte della lista dei best seller Playstation. Uscito nel 1998, Resident Evil 2 è stato il primo grande passo per il designer che ha saputo dimostrare all’intero mercato il suo valore e la grande capacità di unire novità e tradizione, incontrando anche i favori di un pubblico che si faceva sempre più esigente e diversificato.

La carriera del giovane Kamiya è soltanto agli albori e l’esperienza al fianco di Mikami non è del tutto archiviata. Agli inizi degli anni 2000 gli viene affidato il compito di lavorare al quarto capitolo della saga di RE con l’obiettivo primario di dare una svolta totale alle meccaniche di gioco; ripartire da zero nel tentativo di allargare sempre di più l’utenza senza rinunciare all’altissimo livello qualitativo richiesto dal publisher. Un compito per niente facile a cui il nostro Hideki non si sottrae.
Aiutato un’altra volta da Sugimura alla scrittura, il progetto prende una piega totalmente diversa rispetto alle idee iniziali. Lo scenario di gioco viene stravolto a favore di una ambientazione più gotica e medioevale; le meccaniche da survival horror abbandonate per fare spazio a un approccio più votato all’azione e al dinamismo, gli sfondi prerenderizzati che caratterizzavano i capitoli precedenti vengono del tutto sostituiti da ambientazioni completamente in 3D, e di conseguenza anche la telecamera fissa lascia il posto a una camera più attiva e veloce. Del classico Resident Evil insomma rimane veramente poco ed è Mikami a suggerire di dare la luce a una nuova IP, sfruttando le grandi potenzialità del nuovo progetto e mettendo la sua creatura al sicuro da possibili contaminazioni che avrebbero portato la serie verso altri lidi.

Il team capitanato da Kamiya viene soprannominato Team Little Devils ed è proprio da qui che il director prende spunto per battezzare il suo ultimo lavoro: Devil May Cry. Uscito esclusivamente su PS2, il gioco diventa subito una devastante killer application per la casalinga di Sony e con il tempo raggiunge lo status di vero e proprio cult riuscendo a stupire per l’incredibile audacia di Kamiya nel saper unire alla perfezione meccaniche hack’n’slash con l’azione in terza persona. Adrenalinico, divertente e con un forte carisma, la prima avventura di Dante ha dato il via a una saga che oggi conta 5 episodi e un reboot distribuiti su tre generazioni di console. Tra alti e bassi, Devil May Cry è diventato velocemente un titolo di punta per la casa di Osaka, anche se il suo padre ideatore ne ha curato solamente il primo episodio per poi focalizzarsi su altri progetti.

Dopo il grande successo ottenuto con DMC, Capcom ripone piena fiducia nelle capacità del giovane designer tanto da concedergli carta bianca per i futuri progetti, ma non abbastanza da affidargli esosi budget. Così Kamiya mette in cantiere un prodotto atipico, unendo la sua passione per i vecchi giochi a scorrimento orizzontale con quella per i supereroi. Nasce un gioco talmente bizzarro da riuscire a trovare soltanto una piccola fetta di pubblico entusiasta, ma viene totalmente ignorato dalle grandi masse. Previsto inizialmente come esclusiva per Nintendo Game Cube e un anno dopo approdato anche sui lidi PlayStation, nel 2003 la Capcom distribuisce Viewtiful Joe. Seguendo le vicende di Joe e della sua compagna Go-Go Silvia, Kamiya imbastisce un beat’em up a scorrimento orizzontale che fa della sua cifra stilistica il maggior punto di forza. Tra citazionismi da otaku e scelte di gameplay atipiche, basate su una sorta di slowmotion controllato dal giocatore, il gioco racchiude in sé un potenziale che verrà fuori pienamente soltanto con il secondo capitolo. Purtroppo la saga non avrà lunga vita e dopo due capitoli principali, uno spin off sulla falsa riga del picchiaduro Super Smash Bros. e qualche exploit su portatile, Viewtiful Joe e soci sono stati presto dimenticati dal pubblico e da Capcom stessa, che riserverà al supereroe in calzamaglia rossa soltanto sporadiche apparizioni in altri titoli, come a dire “sì, ci piaci ma non così tanto da concederti un’ulteriore possibilità”.

Intanto, nei corridoi di Capcom, alcuni sviluppatori cominciano a sentire una certa insofferenza verso la casa produttrice, riguardo le sue scelte aziendali. Molti dei progetti in cantiere in quel periodo sono indirizzati con l’obiettivo di rischiare il meno possibile in termini di risorse ed investimenti. La dirigenza preferisce spendere budget in sequel di saghe che hanno dimostrato un ricavo sicuro e le creazione di nuovi brand non viene neanche preso in considerazione. Autori come lo stesso Mikami, Keiji Inafune, Atsushi Inaba e Masafumi Takada cercano di svincolarsi dal controllo dei vertici attraverso la creazione di team di sviluppo interni che rivendicano la loro indipendenza concettuale. Nasce così il leggendario Clover Studio, una piccola bottega delle meraviglie dove presero vita, oltre a Viewtiful Joe lo sfortunato God Hand e un secondo gioco di Kamiya: Okami.
È il 2006 quando il gioco viene pubblicato e fino ad oggi risulta essere il titolo tecnicamente più ispirato di tutta la produzione del designer giapponese. Okami è un vero e proprio tributo d’amore alle saghe preferite di Hideki, prima fra tutti un immancabile The Legend of Zelda, se non altro per le meccaniche di gameplay che strizzano continuamente l’occhio al capolavoro Nintendo; Kamiya non si limita a una vuota riproposizione degli stilemi classici della serie, ma aggiunge tasselli nuovi e originali, come la capacità del giocatore di pennellare letteralmente gli oggetti su schermo e di attaccare i nemici tramite questo magico strumento. E se un solidissimo adventure non dovesse bastare, i ragazzi Clover regalano ai giocatori uno spettacolo per gli occhi prendendo a piene mani dall’arte tradizionale del Sumi-e, ovvero la pittura a inchiostro e acqua. Uscito come esclusiva PS2, Okami non ha mai realmente brillato sul piano delle vendite, ma è stato così apprezzato nel lungo periodo che sono stati numerosi i porting operati da Capcom nel corso degli anni, portandolo su Wii e su tutte le console di attuale generazione attraverso i corrispettivi store digitali, dando la possibilità agli utenti di poter giocare a questa piccola gemma senza tempo.

Dopo la parentesi Okami, Clover Studio viene chiuso definitivamente da Capcom e gran parte del team si riunisce sotto un nuovo nome: lo stesso anno infatti viene fondata PlatinumGames, oggi famosa nell’intero globo per aver dato i natali ai migliori action degli utlimi anni. Grazie alla nuova indipendenza conquistata, i membri di Platinum iniziano a sviluppare giochi multi piattaforma sotto diversi publisher, mantenendo un buon margine di libertà creativa. Nel 2009 è sega la casa a finanziare i primi giochi del nuovo team a partire dal divertente Mad World uscito in esclusiva su Wii, passando per lo strabiliante Vanquish su PS3 e X-box 360.
Ed è sotto la nuova software house che Kamiya concepisce, a giudizio di chi scrive, il suo capolavoro: pubblicato per le console casalinghe di Sony e Microsoft, Bayonetta sarà la summa totale di ciò che il designer ha sempre cercato di raggiungere, l’action game definitivo. Il gioco è l’esatta evoluzione di quanto fatto con Dante su PS2: con un colpo di spugna Kamiya setta un nuovo standard per tutta la concorrenza e crea un manuale perfetto per le software house che da quel momento in poi vogliano cimentarsi nello sviluppo di un gioco d’azione. Con un palese riferimento allo storico Team dei “piccoli diavoli”, il designer chiama a raccolta i suoi migliori sviluppatori e crea il Team Little Angels lanciando più di una frecciatina alla sua ex compagnia, la Capcom. Kamiya alleggerisce i toni rispetto al più serioso e oscuro Devil May Cry: i personaggi si prendono meno sul serio e la storia, nonostante raggiunga momenti drammatici, non risulta mai pesante. Il gamepla è d’altro canto quanto di meglio si possa desiderare da un gioco di questo genere, la componente di attacco è incredibilmente bilanciata con la pericolosità e velocità dei nemici. Inoltre per poter uccidere un determinato tipo di avversari sarà necessario sbloccare il climax, ovvero una sorta di dimensione parallela dove Bayonetta può indistintamente colpire senza dare la possibilità al nemico di difendersi. Stilisticamente il gioco si discosta dalle avventure di Dante, preferendo un’ambientazione gotica che convive con strutture Liberty in grado di dare eleganza e un giusto tocco di femminilità e grazia. Tutto il gioco è un continuo ammiccare verso il giocatore e più di una volta vi ritroverete a parlare direttamente con la protagonista come se fosse cosciente della vostra presenza al di là dello schermo del televisore, una rottura della quarta parete inserita con intelligenza e grazia. Al momento della sua uscita il gioco riscosse un discreto successo di pubblico, purtroppo limitato dalla sventurata versione PS3 convertita in fretta e furia e senza le adeguate attenzioni. Il risultato fu talmente disastroso da inficiare il gameplay, con FPS ballerini e una resa grafica mediocre. Nel corso del tempo, e grazie alla mano vigile di Nintendo sul brand, il capolavoro di Kamiya ha ritrovato una seconda giovinezza passando da multi piattaforma a esclusiva totale per le console della casa di Tokyo, fatto che ha portato Bayonetta 2 (diretto da Hirono Sato) a essere una killer application per WiiU nel 2014 e che vedrà un terzo capitolo in esclusiva per la ibrida Nintendo nei prossimi anni.

L’ultimo gioco diretto da Kamiya risale però al 2013 ancora una volta su WiiU e rappresenta l’esperimento più bizzarro dell’ex Capcom: The Wonderful 101, un particolare incrocio tra un RTS e un gioco d’azione, basato sui riflessi e la coordinazione del giocatore. Il gioco chiama in causa un gruppo di supereroi determinati a salvare la terra dall’attacco di terroristi alieni nominati Geathjerk. Assurdo e improbabile, il gioco è un concentrato di idee geniali che sfruttano pienamente il paddone del WiiU. Graficamente piacevole e dal ritmo sfrenato, purtroppo non è stato considerato dal pubblico relegandolo nel girone dei giochi dimenticati troppo velocemente. È notizia recente però la volontà del designer giapponese di riportare la sua creatura all’attenzione del mercato attraverso un porting su Switch, occasione perfetta per incontrare il favore del pubblico su una piattaforma molto più popolare della precedente.

Il lavoro e la grande passione di Hideki Kamiya hanno portato una importantissima rivoluzione all’interno del genere action , creando due brand che hanno spinto i limiti fino ad allora raggiunti e che ancora oggi sono considerati dei veri e proprio cult nel settore. Nonostante la sua versatilità, il designer non sempre è riuscito a catturare l’attenzione del mercato mondiale pur continuando a regalare ai suoi sostenitori prodotti di una qualità estremamente elevata. In attesa di farci stupire ancora una volta dal padre di Dante non possiamo fare altro che augurare un futuro radioso all’intero team, abbracciando pienamente la loro filosofia di sviluppo che ha saputo donarci più di una soddisfazione da videogiocatore.




Bayonetta 1-2

Bayonetta è un hack’n slash uscito nel 2009, sviluppato da Platinum Games, prodotto da Sega e diretto da Hideki Kamiya, celebre per aver diretto il primo episodio di Devil May Cry, del quale Bayonetta rappresenta un’evoluzione, come ha detto lo stesso dello stesso Kamiya.
Il gioco fu inizialmente sviluppato per Xbox 360, per essere poi portato da un altro team su PS3 (con risultati disastrosi al lancio), e ottenne un ottimo riscontro di critica ricevendo molti perfect score, entrando di diritto nell’hall of fame degli hack’n slash.
Tuttavia le vendite, seppur buone, non furono entusiasmanti, e Sega si mostrò titubante all’idea di produrne un seguito, il quale arrivò – come Kamiya ha recentemente raccontato dal proprio profilo Twitter – soltanto nel 2014 grazie ai finanzimenti di Nintendo in esclusiva per Wii U; anche il seguito ottenne voti altissimi, ma le vendite furono addirittura inferiori rispetto al prequel, probabilmente anche a causa dello scarso successo commerciale di Wii U.
Nintendo comunque non sembra volere rinunciare a Bayonetta, e al Game Awards 2017 ha annunciato l’uscita di un terzo capitolo per la console ibrida Switch, e nella stessa serata ha anche annunciato l’uscita dei 2 capitoli precedenti in versione rimasterizzata sempre per Switch, ed è di questi che ci occuperemo in questa recensione.

Le streghe di Umbra e i Saggi di Lumen

La nostra protagonista, Bayonetta, è l’ultima discendente delle streghe di Umbra, un clan con membri di sesso prevalentemente femminile che praticano arti oscure, invocano demoni dall’Inferno, e che sono estremamente abili con le armi.
Dopo una lunga guerra contro i saggi di Lumen (i quali invece padroneggiano i poteri della Luce e sono capaci di invocare creature celesti), quasi tutti decimati dalle streghe, esse sono state prese di mira e quasi del tutto eliminate da una caccia contro la stregoneria.
Bayonetta si sveglia dopo un lungo sonno dentro una bara, e sembra aver perso la memoria: ricorda soltanto di essere una strega di Umbra e, nell’intento di ritrovare i propri ricordi, dovrà affrontare orde di creature angeliche.
Lo screenplay non è certamente il punto forte di questa serie, ed è infatti l’unico aspetto in cui è stata penalizzata dai critici al lancio; inoltre, spesso la trama viene raccontata durante i combattimenti (sono presenti i sottotitoli in italiano con parlato in inglese) e leggere i sottotitoli risulta quasi impossibile, visto il caos che si viene a creare su schermo.

Doppia Apoteosi

Entrambi i giochi fanno una gran bella figura in modalità portatile, che gira a una risoluzione di 720p e 60 fps quasi sempre costanti, mentre nella modalità docked, nonostante la risoluzione risulti invariata, si nota un effetto costante di aliasing, specialmente nelle cut scene, le quali sono realizzate utilizzando dei fermi immagine in cui si notano non solo una bassa risoluzione, ma anche una bassa qualità di certe texture, sapientemente camuffate durante il gioco a causa dei cambi repentini di inquadratura e della velocità dell’azione durante i combattimenti.
Ciò nonostante, entrambi i giochi risultano uno spettacolo visivo, che non sfigura rispetto ai titoli usciti di recente sull’ibrida targata Nintendo, e mostrano miglioramenti rispetto alle versioni uscite sulle console di precedente generazione, compresa Wii U.
Per quanto riguarda il comparto audio, i due giochi spiccano per originalità, si passa da brani classici come Fly Me to the Moon (di evangelioniana memoria, e riarrangiata per l’occasione) a brani di vecchi coin-op Sega (utilizzati spesso durante i minigame), fino a brani originali che ben si sposano con l’azione di gioco; Bayonetta si esibisce inoltre in balletti in stile idol giapponese quando esegue delle mosse speciali, danzando perfettamente a ritmo.
Gli effetti sonori non sono da meno: spari, esplosioni, fragori di spade e martelli, urla dei nemici, e battute ciniche della protagonista, vengono a creare quel caos che dona al titolo un carattere unico e distintivo.

Gameplay

Hideki Kamiya sa il fatto suo riguardo gli hack’n slash e Bayonetta e il suo seguito portano il genere a vette a tutt’oggi non eguagliate.
La nostra eroina può contare su due tipi di attacchi principali, che rappresentano i pugni e i calci, o le armi assegnate ai suoi arti (si possono assegnare anche armi alle gambe), un tasto adibito agli attacchi a distanza (in genere attacchi con le pistole), uno per il salto e uno per la schivata.
Premendo il tasto per la schivata appena prima di ricevere un attacco, si entrerà nella modalità “Sabbat Temporale“, nella quale il tempo verrà rallentato, permettendoci di infierire sui nemici con combo devastanti.
Quando si sarà accumulato abbastanza potere magico (che aumenta in base alle combo durante i combattimenti) potranno essere eseguite delle mosse speciali che “puniranno” in maniena spettacolare i nemici.
In Bayonetta 2 il gameplay risulta quasi invariato rispetto al primo episodio, con l’eccezione di alcune modifiche alle schivate e alle mosse attivabili utilizzando il potere magico.
Sono presenti tante armi che vengono sbloccate tramite oggetti collezionabili a forma di dischi a 33 giri, nascosti nei più disparati luoghi, ogni arma ha il proprio moveset e si possono creare combinazioni uniche assegnandole sia alle braccia che alle gambe.
Possiamo aumentare le caratteristiche del nostro personaggio sia tramite oggetti consumabili che possono essere trovati nel gioco oppure acquistati, i quali danno dei bonus temporanei al danno o alla salute, o ripristinano l’energia vitale o magica.
Inoltre, è possibile aumentare permanentemente sia la salute che la magia tramite degli oggetti che possono essere acquistati oppure ricevuti in premio per aver superato delle prove situate in zone segrete nella mappa di gioco.

Conclusioni

Bayonetta sbarca su Switch con questo doppio remaster, e piazza un altro importante tassello alla collezione di capolavori presenti sulla console Nintendo, entrambi i giochi sono il non plus ultra per quanto riguarda il genere hack’n slash, e vederli in azione specialmente in modalità portatile è uno spettacolo.
Non possiamo fare altro che consigliarli senza riserve a tutti i possessori di Switch, che potranno godere di tantissime ore di divertimento grazie alla sensuale strega di Platinum Games.




Kamiya spiega perché Bayonetta 3 sarà esclusiva Switch

Il direttore di Bayonetta 3, Hideki Kamiya, ha spiegato su Twitter un’interessante storiella. Più specificamente, ha parlato del brand di Bayonetta e degli eventi che hanno portato il terzo capitolo a essere un’esclusiva Nintendo Switch.
È certamente interessante sapere che Bayonetta 2 è nato come progetto multipiattaforma, ma tweet rilasciati e ordinati in sequenze numeriche da 1 a 15 spiegano in linea generale la genesi di Bayonetta 3: 

«C’è qualcosa che voglio dire a tutti voi. Riguarda Bayonetta 3. (1/15)»

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«La nostra è una casa che sviluppa e crea giochi firmando contratti con publisher e ricevendone i fondi per coprire i costi di sviluppo. (2/15)»

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«Per Bayonetta 1, abbiamo firmato un contratto con Sega e abbiamo ricevuto dei fondi da loro, quindi abbiamo proposto un design per il gioco e siamo entrati in fase di produzione. Tutti i diritti appartengono a Sega. (3/15)»

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«All’epoca, la nostra azienda era appena stata fondata e non eravamo adeguatamente attrezzati per lo sviluppo multipiattaforma quindi, dopo averne discusso con Sega, abbiamo deciso di sviluppare il gioco esclusivamente per Xbox 360. (4/15)»

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«Tuttavia, successivamente, uno dei partner commerciali di Sega ha finito per creare una versione per PS3, per volere di Sega. Più recentemente, hanno anche deciso di sviluppare una versione Steam, che è stata rilasciata lo scorso anno. Sega possiede i diritti su tutte queste versioni. (5/15)»

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«Quando abbiamo iniziato a creare Bayonetta 2, inizialmente abbiamo ricevuto fondi da Sega per sviluppare il gioco per più piattaforme, ma il progetto è stato interrotto a causa di circostanze sfavorevoli da parte del nostro finanziatore. Nintendo quindi è intervenuta per continuare a finanziare il gioco, permettendoci di completarlo. (6/15)»

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«Così i diritti appartengono a Sega e Nintendo. I proprietari dei diritti hanno deciso che il gioco sarebbe stato sviluppato per Wii U. (7/15)»

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«Nintendo è stata così gentile da finanziare anche Bayonetta 1 per Wii U, e ci ha persino permesso di usare la traccia vocale giapponese, che abbiamo creato per la versione Wii U, anche nella versione PC di Bayonetta 1. (8/15)»

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«Sono estremamente grato a Nintendo per aver finanziato il gioco e a Sega per aver permesso loro di utilizzare l’IP di Bayonetta. (9/15)»

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«Per quanto riguarda Bayonetta 3, è stato deciso sin dall’inizio che il gioco sarebbe stato sviluppato utilizzando i finanziamenti di Nintendo. Senza il loro aiuto, non avremmo potuto avviare questo progetto. (10/15)»

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«Tutti i diritti appartengono ancora a Sega e Nintendo. I proprietari dei diritti hanno deciso che il gioco sarebbe stato sviluppato per Switch. (11/15)»

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«Il game development è un business. Ogni azienda ha i propri contesti e strategie. Questo significa che a volte i giochi vengono fatti, a volte  vengono cancellati. (12/15)»

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«Ma credo che ogni singola persona coinvolta sia impegnata a offrire la migliore esperienza possibile. Lo so, almeno per me è uno degli obiettivi principali ogni volta che mi metto al lavoro. (13/15)»

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«Non posso esprimere quanto sono contento di avere tra le mani il progetto di Bayonetta 3 e intendiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per renderlo il migliore possibile. Questo è tutto ciò che possiamo fare e lo consideriamo la nostra più grande missione. (14/15)»

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«Ci è voluto un po’ prima che la produzione di Bayonetta 3 partisse, ma ora che è iniziata spero che si trasformi in una esperienza meravigliosa per tutti voi. (15/15)»

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D’altra parte, Bayonetta 3 ha richiesto un po’ di tempo per vedere la luce: il progetto è iniziato direttamente con il supporto di Nintendo, e per questo è esclusiva di Switch.

Il primo capitolo di Bayonetta è stato lanciato per PS3 e Xbox 360 nell’ottobre del 2009. Bayonetta 2 è stato rilasciato a settembre 2014 e Bayonetta 3 è stato annunciato lo scorso dicembre durante i The Game Awards.

Prima di vedere il risultati del terzo capitolo, gli utenti di Switch potranno godersi una remastered di Bayonetta e Bayonetta 2, che saranno rilasciati in bundle il 16 febbraio 2018.




Yoko Taro ha salvato Platinum Games, Kamiya ringrazia

In un recente tweet, il co-fondatore di Platinum Games, Hideki Kamiya, ha ringraziato pubblicamente Yoko Taro, creatore di Nier: Automata, il quale avrebbe avuto il merito di salvare lo studio.

Sulla base di un traduzione in inglese lasciata su NeoGAF dall’user BRSxIgnition, il tweet sarebbe traducibile come segue:
«Il successo di NieR: Automata ha dato a Platinum Games un più vasta fanbase, un aumento del personale, una brillante storia di successo, un aumento dei candidati qualificati e grandi benefici.Normalmente non posso fare a meno di fare tutto da solo, è una storia pietosa. Ma dire che Yoko-san ha salvato Platinum non è un’esagerazione, non potrò ringraziarlo mai abbastanza»
Il nuovo gioco di Yoko Taro sembra aver alleviato il colpo subito con la cancellazione di Scalebound, e pare sia stato un sollievo per l’intero studio.