Detroit: Become Human

Mi ci sono volute due run prima di decidermi a parlare dell’ultima opera di David Cage. Nel momento in cui scrivo questa recensione, a quattro mesi di distanza dall’uscita del titolo, mi sembrano ancora poche. Detroit: Become Human non condensa soltanto un messaggio profondo, a più livelli, in un videogame ben congegnato, ma esprime soprattutto un potenziale narrativo ben sviluppato in un articolato dell’albero delle scelte, dando vita a una narrazione che è forse la più equilibrata e densa fra quelle sfornate da Quantic Dream in tutti questi anni di development.

Gli androidi sognano (non soltanto pecore elettriche)

Come nel precedente Heavy Rain, Detroit: Become Human segue la storia di più personaggi, tre nel caso in questione: Kara (Valorie Curry), in fuga per salvare la piccola Alice (Audrey Boustani) da un padre violento, Markus (Jesse Williams) che si ritrova suo malgrado dalle ceneri della distruzione alla testa di una rivolta, e Connor (Bryan Dechart), androide progettato per supportare il tenente Hank Anderson (Clancy Brown) nelle indagini che vedono coinvolti i “devianti”. Tre storie separate che si incroceranno nella Detroit del 2038, in un futuro che non possiamo definire né distopico, né esattamente ucronico, e che David Cage e il lead writer Adam Williams tentano di raccontare nella forma della fantascienza autoriale, sulla falsariga dei grandi narratori del genere. Non staremo qui a perderci in parallelismi con Gibson, Asimov, Lem, Dick, Le Guin e in tutta la letteratura di riferimento che permea quest’opera, né analizzeremo i punti in cui Detroit: Become Human falla o regge dinanzi ai suoi omologhi letterari (a cui vanno aggiunti quelli cinematografici), sarebbe un’operazione lunga e inappropriata, a un approfondimento simile va riservata altra sede.
A favore della relativa brevità di cui una recensione si avvantaggia rispetto a un testo critico, ritorniamo al contesto di riferimento: i tre personaggi giocabili di questa storia si troveranno ad affrontare il divenire delle loro storie in un momento cruciale per la storia umana. Creati dal genio di Elijah Kamski (Neil Newborn), gli androidi sono ormai una realtà consolidata da anni: prodotti e immessi sul mercato dal colosso Cyberlife, sono diventati un elemento fondamentale nella vita di ogni cittadino americano, il quale è libero di utilizzarli a piacimento, dalle pulizie di casa al piacere sessuale. Gli androidi sono macchine senzienti ed evolute, hanno sviluppato una forma di coscienza, la loro intelligenza artificiale gli permette di prendere decisioni autonome, pur restando nei limiti comportamentali imposti dal software. Ma adesso in città si registrano sempre maggiori casi di “devianti”, androidi che sfuggono alle regole imposte dal loro codice e che adesso si rivoltano contro gli umani. Per ragioni profondamente diverse, Markus e Kara si ritrovano a “reagire”, a divergere dall’algoritmo, e per questo diventano devianti. Connor corre nella direzione opposta: stabile, ligio ai doveri del software, l’agente modello RK800 avrà il compito di indagare per riportare l’ordine sconquassato dal dilagare della devianza androide.

Ecce Robot

In Detroit: Become Human gli androidi ci appaiono umani in tutto e per tutto: come ne Il Cacciatore di Androidi di Dick in qualche opera (non tutte) di Isaac Asimov, sarebbero indistinguibili dai cittadini di Detroit se non fosse per un chip luminoso applicato circolarmente alla loro tempia destra. Fin dall’inizio, gli androidi ci vengono presentati come incapaci di emozioni, ma ci si rende conto ben presto (controllando i protagonisti) che non è affatto così, e cominciamo a presagirlo nelle prime scelte multiple possibili, dove si vedono barlumi di sentimento già sin dalle fasi iniziali. Quasi non stupisce che Kara e Markus rompano la barriera delle regole imposte dall’algoritmo per proteggere persone a loro care, seguendo un sentimento di giustizia che si annida probabilmente negli abissi della loro coscienza. Una coscienza che mostrano di avere in una serie di frangenti, ed è qui che si trova uno dei punti fermi dell’opera: i finali possibili sono tantissimi, e dipendono tutti da una combinazione di scelte precedenti. Il destino di un personaggio può cambiare radicalmente, si può vivere o morire, mettersi in salvo o essere catturati, ribellarsi o fuggire, ma c’è un aspetto che sembra non essere in discussione: anche gli androidi sono capaci di sentimenti. Da qui una delle domande fondamentali del gioco: è giusto ridurre in schiavitù degli esseri senzienti, capaci di soffrire e gioire? È giusto soggiogare il loro libero arbitrio ai bisogni umani? Il creatore ha diritto di proprietà, nonché di vita e di morte, sulle proprie creature? Non sembra porsi qui nemmeno il discorso della pericolosità a priori degli androidi: i robot non hanno qui manie di grandezza o di conquista del potere, né sono macchine assetate di sangue, vogliono solo la libertà, anche la loro violenza è di reazione più che d’ambizione. Markus può diventare in qualche modo uno Spartacus dei tempi futuri, è un mondo in cui fra gli androidi circola il nome di una figura messianica, Ra9, sussurrata in segreto o scritta in muri nascosti, la cui parola è passata di soppiatto come fosse un samizdat.
Il discorso va ancora più in profondità, facendosi metafora del nostro tempo quando si parla di discriminazione: gli androidi sono una minoranza, vittime del volere della razza dominante, quella umana. Fino a che punto è diverso, oggi, il discorso etnico?
Markus è un androide di colore, una minoranza nella minoranza in una società composta di umani prettamente di etnia caucasica, e non è un caso che il suo finisca per essere un ruolo chiave in prospettiva di una rivolta androide. Qualunque sia la strada verso la quale lo guideremo (che non necessariamente lo porterà sulla via della rivoluzione), certamente arriveremo a Jericho, la misteriosa destinazione verso la quale si dirige ogni androide in cerca di un luogo sicuro. Per farlo, passeremo attraverso gli indizi nascosti in vari murales, lasciati lì per indirizzare sulla giusta strada come i sassolini di Hansel e Gretel.
Non è un caso che uno dei graffiti abbia al centro Cassius Marcellus Clay, che nel 1965 cambiò il proprio nome in Muhammad Alì a seguito della propria conversione all’Islam e che anni dopo, nel 1968, si oppose alla guerra del Vietnam affermando di non aver nulla contro i Vietcong, i quali, a differenza di vari suoi concittadini americani, non lo avevano “mai chiamato nigger”. Nello stesso murale, sulla parte destra, si trova inoltre un leone, probabile riferimento a Zion, utopica terra promessa mutuata dall’ebraica Sion e opposta all’oppressiva “Babylon” del mondo moderno. Il concetto è alla base del Kebra Nagast, testo sacro del rastafarianesimo, che racconta, fra le altre cose, del passaggio dell’Arca dell’Allenza da Gerusalemme all’Etiopia, la culla dell’umanità, che non a caso aveva come simbolo il Leone di Giuda nella propria bandiera.
Markus è dunque un probabile simbolo della lotta contro la discriminazione etnica, così come la storia di Kara potrebbe esserlo contro la violenza sulle donne e sui minori: l’androide donna AX400 viene riportata a casa dal padre di Alice, Todd, che l’aveva già precedentemente distrutta e portata a riparare. Il viaggio della ragazza e della ragazzina ha un valore filiale, che vedrà la più adulta rischiare il tutto per tutto per portare in salvo la piccola, dritte fino in Canada, dove gli androidi non sono oggetti immessi sul mercato e godono degli stessi diritti degli umani, e che come in The Handmaid’s Tale diventa una meta a cui aspirare, una terra promessa di uguaglianza e libertà.

Visioni di robot

La storia di Detroit: Become Human è dunque ricca sul piano simbolico, oltre a risultare ben scritta. I dialoghi sono solidi, la narrazione dinamica e dal buon ritmo, e soprattutto mancano i plot hole che gravavano su alcuni precedenti titoli, rei di aver drasticamente allontanato storie come quella di Heavy Rain dall’eccellenza.
Il lavoro scrittoriale di Cage e Williams non gode di elementi particolarmente stupefacenti, ma la storia ha un indiscusso equilibrio e risulta di certo il punto più alto della produzione Quantic Dream, come lo è tutto il comparto tecnico. Se su PS4 l’immagine di Detroit: Become Human gode di una risoluzione di 1080p, su PS4 Pro raggiunge i 2160p tramite il checkerboard rendering, con un anti-aliasing temporale atto a eliminare effetti edge shimmer e aliasing sulle superfici. Il gioco si mantiene a 30 fps costanti, con alcuni cali negli spazi aperti dove è possibile apprezzare la maggior potenza di PS4 Pro nell’evitarli, e dove, in generale, il clustered forward rendering torna molto utile in termini di illuminazione, con uno straordinario risultato ottenuto tramite un mix di luci dinamiche che accentua il realismo. Come rilevato anche da Digital Foundry, il lavoro di Quantic Dream sui materiali e sul loro rendering basato sulla fisica è mirabile, gli oggetti sono impreziositi dalle loro stesse imperfezioni, la BRDF (Bidirectional Reflectance Distribution Function) restituisce un risultato che accentua il senso del reale nel rapporto tra luci e materia. Sempre a proposito di renderizzazione, uno dei punti più alti di questo lavoro è stato fatto sui personaggi, con modelli che risultano vividi e realistici anche nei primissimi piani, dove risaltano sguardi di grande intensità e una resa della pelle straordinaria, valorizzata da uno scattering subepidermico che valorizza il rapporto tra luce e pelle, restituendo un realismo fra i più belli mai visti.
Realismo globalmente accentuato da tutto il lavoro fatto nel comparto audio, con una gamma di suoni amplissima negli scenari più disparati, apprezzabile nel livello di dettaglio raggiunto negli spazi aperti, dove la gamma di suoni ambientali riprodotta riesce a comporre un quadro già ben ricostruito sul piano visivo, e dove anche il suono della monorotaia in centro città ha una sua personalissima voce. La soundtrack diventa così un elemento atto a impreziosire un lavoro di altissima fattura, con ben tre composer impegnati a dar la musica alle circa 10 ore di gioco del titolo: ogni musicista è stato infatti impegnato a musicare la diversa storia di un personaggio, da Philip Sheppard, che ha dato vita a un emozionante lavoro di violoncello per la storyline di Kara, all’iraniano Nima Fakhrara, che ha regalato musiche d’ispirazione altamente cinematografica per Connor, fino a John Paesano, che ha puntato sull’epicità crescente per raccontare la storia di Markus, in un climax armonico di altissimo livello in cui la musica è colonna portante della grammatica emozionale del titolo. Tutte e tre i compositori tengono conto di con influenze brass, funk e blues, quasi come dovuto omaggio a Detroit, città che ha dato i natali alla storica casa discografica Motown.

Diagrammi di flusso

Il lavoro globale di Detroit: Become Human consta di un felice mix di ricostruzione e invenzione: l’intera città di Detroit è stata ricostruita partendo dalla reale città, con un’accurata ricostruzione di luoghi come Capital Plaza, e anche la folla ha un alto livello di realismo, non essendo generata proceduralmente ma riprodotta tramite attori. Sono stati necessari circa 2 anni e mezzo per registrare le scene racchiuse in circa 3000 pagine di sceneggiatura: basta pensare che Beyond: Two Souls ha richiesto solo 9 mesi per comprendere la differenza di portata del lavoro di Cage, che con il suo team di designer ha messo su un impianto in cui il rapporto tra game e narrative design è strettissimo ed efficace, e dove la scelta dei percorsi risulta ogni volta abbastanza chiara all’interattore, che capirà ben presto come al tasto triangolo corrisponda una risposta fredda, mentre al cerchio corrisponde di solito un maggior coinvolgimento emotivo. Dalle risposte e dalle scelte dipenderà l’evolversi della storia, e quindi della storyline di ogni personaggio. L’engine proprietario sul quale è costruito il gioco, il Buildozer, ha permesso a Quantic Dream di gestire una ramificazione estremamente complessa di una narrazione basata su visual scripting e real time editing (rendendo il gioco completamente WYSIWYG). La flowchart delle scelte sia visibile al giocatore/interattore alla fine di ogni scena (permettendo anche di visionare nelle successive run le scelte prese in precedenza), ma lo scorso mese lo stesso David Cage ha offerto uno sguardo su Twitter di quella che è la struttura delle scene del gioco Quantic Dream:

Detroit: Become Human

We are the Robots

Rilasciato nel maggio 2018, il gioco ha raggiunto a 3 mesi dall’uscita 1.5 milioni di giocatori, il miglior risultato di sempre per la casa transalpina. Detroit: Become Human ha dato sostanza al timore umano che le macchine possano sostituirsi a ognuno di noi, e nel gioco c’è tutto questo: non soltanto dunque un quesito sull’intelligenza artificiale, il suo sviluppo e le sue implicazioni, ma anche il tema del global warming, del rapporto fra uomo e ambiente, e altre tematiche che emergono dai dialoghi ma soprattutto dai vari magazine (Detroit Today, Century, Gossip Weekly, Tech Addict, All Sports, Green Earth) che troveremo sparsi per i vari scenari, contenenti veri e propri articoli atti a darci un quadro completo dello zeitgeist imperante. Fra i temi caldi emerge anche quello del rapporto tra minoranza e discriminazione che abbiamo già citato, e che risulta centrale già dal titolo dell’opera, che richiama chiaramente con lo “Stay Human” coniato da Vittorio Arrigoni e messo ogni volta al termine dei suoi. C’è spessore politico e sociale, ma anche scientifico, con un’indagine non rivoluzionaria ma neanche blanda su problemi etici e gnoseologici come anche sull’evoluzione tecnologica futura, svolta con una certa assennatezza, come ha sottolineato Envisioning in una ricerca corredata di un’interessante infografica interattiva, dove vengono analizzati gli aspetti del gioco legati all’evoluzione scientifica .
Siamo insomma davanti al miglior prodotto di sempre di Quantic Dream, che unisce una narrativa pregevole a un game design ben studiato che non abbandona l’approccio cinematografico dei precedenti lavori di David Cage, impreziosito da un comparto audiovisivo di altissimo livello. I difetti si ravvisano soprattutto nella parte finale, e solo in termini di coesione narrativa, ma non ci sono più le voragini o gli inciampi dei precedenti titoli. Abbiamo davanti un ottimo lavoro di interactive storytelling. E speriamo che la parabola, da adesso, sia solo ascendente.




Annunciati i titoli PS PLUS di luglio 2018

Come di consueto, Sony ha annunciato quali saranno i titoli disponibili di luglio per gli abbonati al servizio PlayStation Plus. Questo mese gli utenti PS4 potranno giocare a Heavy Rain, un titolo firmato Quantic Dream, che, dopo il successo di Detroit: Become Human e la presenza di Beyond Two Souls come titolo gratuito per il mese di maggio, ritorna con una delle sue remastered di successo.
Nel mese di luglio tutti gli utenti abbonati potranno scaricare i seguenti titoli:

  • Absolver (PS4)
  • Heavy Rain (PS4)
  • Rayman HD (PS3)
  • Extreme Exorcism (PS3)
  • Space Overlords (PS Vita + PS4)
  • Zero Escape: Zero Time Dilemma (PS Vita)

I giochi per il PlayStation Plus saranno disponibili al prossimo aggiornamento settimanale, martedì 3 luglio.
Inoltre Call Of Duty Black Ops III sarà disponibile gratuitamente, come gioco bonus, fino a giorno 11 luglio.




Accuse a Quantic Dream, la risposta della società

Come riportato dalle testate francesi Le Monde, Mediapart, e Canard PC David Cage e Guillaume de Fondaumière, rispettivamente CEO e CFO di Quantic Dream stanno affrontando una moltitudine di accuse riguardanti un ambiente di lavoro tossico e maltrattamenti ai dipendenti con comportamenti razzisti e omofobi, e con fotomontaggi denigratori.

Le Monde ha intervistato 15 ex dipendenti di Quantic Dream riguardo la loro esperienza con la compagnia, i quali parlando di David Cage hanno lodato la sua “work ethic” mentre hanno disprezzato la sua gestione.
Lo scorso Febbraio un IT manager della compagnia ha ricevuto un archivio di 600 fotomontaggi che raffiguravano le facce dei dipendenti incollate su immagini sessiste o omofobe.
Due impiegati hanno anche raccontato a Le Monde che Cage ha accusato un dipendente tunisino riguardo un furto, chiedendogli se i ladri fossero stati suoi parenti.
Cage ha risposto alla testata francese che  lo accusano erroneamente  di omofobia in quanto lui ha lavorato con Ellen Page, la quale combatte per i diritti LGBT. Per quanto riguarda le accuse di razzismo risponde di aver lavorato anche con Jesse Williams, il quale lotta per i diritti civili in U.S.A.: in parole povere, consiglia di giudicarlo in base al suo lavoro.
Anche de Fondaumière viene accusato dai dipendenti di averli molestati fisicamente durante i party aziendali, con pesanti avances sessuali.

I due accusati hanno negato ogni fondamento di quanto raccontato dai dipendenti mediante un post su twitter che potete leggere in basso.




Detroit: Become Human

David Cage sta per tornare. Non si conosce ancora la data di rilascio del nuovo lavoro di Quantic Dream ma a Parigi abbiamo avuto di avere un periodo orientativo: primavera 2018. La versione demo di Detroit: Become Human gira ad ogni modo per varie fiere del settore, e farsi scappare l’occasione di giocarla sarebbe stato davvero da incoscienti.

La demo mette a disposizione una singola missione, Hostage, della durata di poco più di 10 minuti. Il personaggio di cui abbiamo il controllo è Connor (interpretato da Jesse Williams), un androide specializzato in mediazioni inviato in un appartamento dove ha avuto luogo il massacro di una famiglia e quel che rimane da fare è salvare una ragazzina, unico membro scampato al pluriomicidio e adesso tenuto in ostaggio dall’assassino. Capiamo ben presto che il probabile motivo per cui Connor è stato inviato è molto semplice: chi tiene in ostaggio la ragazzina è un altro androide.
Fin dall’ingresso nella casa sarà possibile esplorare gli ambienti e familiarizzare con i controlli di base, soprattutto su ciò che riguarda l’acquisizione di informazioni semplici che potranno tornare utili nella trattativa.
All’interno dell’appartamento capiamo un’altra cosa: l’atteggiamento della polizia nei confronti degli androidi non è benevolo, né tantomeno di collaborazione e fiducia. Toccherà a Connor ricostruire l’intera scena del delitto con le sue sole capacità, iniziando però col parlare col capo delle operazioni. I dialoghi si basano su un sistema che prevede quattro scelte multiple (fra domande e risposte) fra le quali scegliere in un tempo limitato.

Il resto delle informazioni dovremo raccoglierle nel resto dell’appartamento, analizzando gli oggetti ma soprattutto soffermandoci sulle vittime: qui la visuale passa dalla terza all prima persona e torna qualche meccanismo classico di casa Quantic Dream: soffermandoci sulle ferite presenti sui corpi e, muovendo gli stick analogici, sarà possibile “unire i punti” e ricostruire l’intera dinamica di ogni omicidio, acquisendo nel frattempo altre preziose informazioni. Maggiori saranno i dati acquisiti, più alta sarà la probabilità di successo nella trattativa, come ci segnalerà di volta in volta un indicatore sullo schermo dopo ogni interazione.
Del countdown non avremo contezza, verremo solo avvisati che non c’è più tempo e saremo costretti a iniziare le trattative: essere tempestivi nelle indagini sarà importantissimo.
Il rapitore si trova al bordo del terrazzo, tiene in braccio la ragazzina puntandole contro una pistola. Starà a noi scegliere la migliore strategie tramite le risposte che selezioneremo, le cui combinazioni porteranno a esiti diversi: potremo puntare sull’empatia fra androidi, mostrarci cinici e razionali o addirittura minacciosi. In base alle informazioni acquisite, avremo a disposizione alcune frasi che potrebbero rivelarsi carte importanti da giocare e che porteranno a diversi finali. Tornano in questa fase anche i classici quick-time event a cui la casa transalpina ci ha abituati nei precedenti titoli, dunque anche qui bisognerà tenersi pronti a rispondere ai comandi.

Quel che resta di questa demo è un insieme di impressioni che potrebbero dar adito a speculazioni di vario genere. Quel che pare indiscutibile è il comparto tecnico dell’opera: se nei vari video rilasciati negli ultimi due anni abbiamo potuto saggiare un aspetto grafico di riguardo, dove le animazioni facciali si fanno sempre più accurate, gli scenari più ricchi di dettagli, e dove la tendenza al fotorealismo si fa davvero concreta, rendendo i personaggi mimetici rispetto agli attori che li impersonano, adesso abbiamo anche potuto testare il sistema di controlli che, fin da questa demo, pare rispondere benissimo, garantendo fluidità al titolo nel direzionamento del personaggio fra i vari ambienti, nella fase di esame di oggetti e situazioni e nella ricostruzione delle dinamiche partendo dai singoli dati.
L’engine proprietario di Quantic Dream sembra insomma lavorare bene, delineando una netta crescita qualitativa di titolo in titolo, qui impreziosita da un art-style che riprende rispettosamente i canoni della cinematografia sci-fi, trasportandoci in una megalopoli futuristica e caotica che richiama i grandi classici del genere.
Quel che ovviamente resta ancora da capire è cosa ne verrà fuori: la società di David Cage mostra ancora il suo forte interesse per la narrazione e per lo sviluppo di storie in cui le scelte del giocatore si rivelino il core dell’esperienza videoludica. Plot, dialoghi e azione sembrano finora ben bilanciati, anche tenendo presente il video mostrato all’E3, che mostra un altro pezzo di storia.
Quantic Dream si confronta questa volta con una serie di cliché di genere fantascientifico, che apre le porte a varie domande: quale futuro per l’intelligenza artificiale? Se lo sviluppo tecnologico porterà alla creazione di esseri senzienti, dotati di quella che potremmo chiamare coscienza, come gli umani si rapporteranno agli androidi? E, se questi saranno una realtà, gli riconosceremo un’anima?
Temi antichi, a cui hanno dato risposte decani della fantascienza letteraria come Philip K. Dick, Isaac Asimov e John W. Campbell, per citarne alcuni, ma non solo loro, diranno gli amanti di Ghost in The Shell e Terminator (e qui fermiamo immediatamente il flusso citazionistico, perché la lista sarebbe lunghissima). Ma sono argomenti al contempo attualissimi e ancora affrontabili senza cadere nel banale, come ci dimostra l’ultimo Blade Runner 2049 (non perché speculi in maniera approfondita su questa tematica, ma perché il risultato finale sul piano narrativo e visivo è di riguardo).

David Cage si ritrova dunque tra le mani una patata bollente, e dovrà maneggiarla con cura: il fatto che siano temi enormemente visti e sentiti non significa che Detroit: Become Human sia condannato a perpetuare cliché all’interno della storia cadendo nella banalità di genere; al contempo, sarà importante calibrare le scelte narrative, ricordando che un gioco per molti versi straordinario come Farhenheit, che rimane a oggi un eccellente prodotto sul piano della regia e della giocabilità, inciampa inesorabilmente in fase di scrittura, prendendo una piega quasi grottesca nell’ultima parte a causa di scelte posticce, probabilmente operate proprio per rifuggire la banalità, che si sono rivelate un boomerang.
Ad ogni modo, ogni lavoro di Quantic Dream merita certamente attenzione, per un approccio alle storie mai superficiale e in grado di fornire ampia capacità di scelta al giocatore, elementi che, uniti a un cast che ogni volta coinvolge attori di buon rango, ci inducono ad attendere con gran curiosità un titolo che, a un primo assaggio, ha tutto il potenziale per diventare un’opera da ricordare.




Top 5: le migliori avventure basate sul Butterfly Effect

Sin dagli albori, i videogame ci hanno abituato a una struttura di gioco su un binario nel quale la storia scorreva lineare dall’inizio alla fine. Con il passare del tempo, il settore videoludico ha alzato l’asticella della complessità offrendo titoli con molteplici diramazioni e variazioni basati sulle scelte del giocatore e introducendo concetti come il Butterfly Effect, in virtù del quale ogni azione genererà nel gioco una diversa catena di eventi che porterà spesso anche a finali diversi.
I titoli di questo genere ormai sono tanti e noi abbiamo selezionato le migliori avventure grafiche e dinamiche in cui le singoli azioni hanno delle conseguenze sugli eventi futuri del gioco.

The Cat Lady

Al quinto posto abbiamo The Cat Lady, titolo indipendente nato dalla mente del creatore di Downfall, Remigiusz Michalski, che firma un’opera onirica, oscura, e simbolista che, pur essendo raccontata in maniera non lineare, risulta di grande equilibrio narrativo e di sicuro effetto dal punto di vista visivo.

The Walking Dead

Il quarto posto è riservato a The Walking Dead, titolo con il quale veterani delle avventure grafiche quali i tipi di Telltale Games sono riusciti a non sfigurare anche sul piano narrativo nel confronto con la serie tv e il fumetto, scritti entrambi dal creatore del brand Robert Kirkman, e regalandoci 2 stagioni di 5 puntate l’una che lasciano meno spazio agli enigmi ma offrono azione, suspence e intrattenimento capaci di accontentare tutti gli amanti delle grandi storie.

Life is Strange

Al terzo posto troviamo invece Life is Strange, opera acclamata da critica e pubblico nel quale ci troviamo a vestire i panni della giovane Maxine Caulfield, che si ritrova improvvisamente dotata dello straordinario potere di riavvolgere il tempo.
Il titolo ha una narrazione da vera e propria serie tv, e ha ottenuto un meritatissimo successo trattando, tramite personaggi candidi e fragili, temi importanti e profondi quali l’identità, la memoria, il bullismo e il suicidio, andando oltre la semplice parvenza iniziale del teen drama.

Heavy Rain

Quantic Dream è da sempre uno sviluppatore ricco di ottimi spunti, con risultati che  però non sempre hanno trovato la quadratura del cerchio, ma il suo Heavy Rain è un titolo che merita certamente il nostro secondo posto. L’opera di David Cage è, infatti, un thriller misto al dramma esistenziale in cui si controlleranno 4 personaggi che in qualche modo ruotano tutti attorno al killer dell’origami, e le cui scelte determineranno uno dei 18 possibili finali del gioco.

Until Dawn

E al primo posto della nostra top troviamo Until Dawn, titolo che prende le mosse dal più classico degli american teen horror movie ma che offre al giocatore una storia ricca di tensione e dallo straordinario ritmo narrativo, avvalendosi di un cast di alto livello, di una parte tecnica degna dei grandi film e non trascurando un aspetto di gameplay impreziosito da quick time events che rendono ancor più vivo il coinvolgimento del giocatore.




Speciale E3 – Detroit si mostra in un nuovo trailer

Un nuovo titolo è stato annunciato da Sony: Detroit Become Human. L’esclusiva Playstation è ambientata in una futuristica Detroit dove gli “Androidi” vivono tra la gente comune e narra di un ragazzo che usa questi robot a suo favore controllandoli. Da precisare che all’interno del gioco ad ogni azione può susseguirsi una serie di reazioni che influenzano la trama e a loro volta determinano un finale diverso.