Grim Fandango Remastered gratis per 48 ore su GOG

Gog.com ha reso disponibile gratuitamente e per un tempo limitato (sino al 14 dicembre 2017) la remastered di Grim Fandango per PC, Mac e Linux. Il gioco è localizzato in 5 lingue ed è scaricabile sul sito della nota piattaforma.
Il titolo vede per protagonista Manny Calavera, agente incaricato di vendere biglietti di viaggio alle anime che devono affrontare il percorso che, secondo la concezione azteca, porta dalla terra dei morti sino al Nono Aldilà.

Grim Fandango, ideato da Tim Schafer, pur non avendo avuto all’epoca un gran riscontro di pubblico, ha rappresentato una delle avventure grafiche della LucasArts più lodate dalla critica, e conserva tutt’oggi un nutrito stuolo di estimatori. I diritti sono detenuti dalla Double Fine Productions dello stesso Schafer.




Ron Gilbert pianifica un DLC per Thimbleweed Park

Durante un’interessante live Twitch di Zak McKracken and the Alien Mindbenders condotta da Fabio “Kenobit” Bortolotti e Luca Font sul canale di EveryEye (che potete rivedere qui), è intervenuto via Skype in qualità di ospite David Fox.
Dopo una ventina di minuti in video, l’autore del gioco, che è anche co-autore di Thimbleweed Park, ha risposto con grande disponibilità alle domande di alcuni degli oltre 500 utenti connessi in chat. A un certo punto, parlando di Ransome Il Clown, Fox ha svelato una possibile buona notizia all’orizzonte per i fan del suo ultimo lavoro:

Avete letto bene: Ron Gilbert starebbe pensando a un DLC della voce di Ransome incensurata.
David Fox aggiunge di aver dovuto editare più di 600 linee di testo alle quali aggiungere i numerosi “beep” presenti nei dialoghi dell’irriverente clown, con svariate picchi di 3-4 beep in alcune singole linee di testo. «I had to spread the beeping of lines out over a couple of weeks», continua Fox riferendosi alla mole del lavoro richiesta dalla censura del testo, ma precisa:

davidbfox: So obviously, the voice actor who did Ransome recorded all the lines with the actual swearing, totally adlibbing it all since we never wrote the actual words in there. It’s really hilarious listening to it.

Insomma, Ian James Corlett, l’attore che ha dato voce a Ransome Il Clown, ha imprecato realmente e ad libitum, in assenza di turpiloquio anche nel copione, improvvisando gli insulti più svariati e risultando molto divertente, a dire di Fox.
La notizia è una piacevole conferma di quanto già scritto da Gilbert  in un post pubblicato sul blog ufficiale del gioco dove mostrò l’immagine dei file audio incensurati e accennò all’intenzione di pubblicare un “uncensored pack”:

Prima che il game designer si congedasse, un utente gli ha chiesto cosa pensasse dei moderni giochi d’avventura, e la risposta è stata abbastanza netta:

mars_rulez: David, what do you think of modern adventure-like games? like Telltale titles or Life is Strange

davidbfox: @mars_rulez I don’t play a lot of current games. I did play through part of Telltale’s Walking Dead, and mostly didn’t care for it (I’m a fan of the TV show). I don’t like branching stories where it feels like you can’t win no matter what choice you make, and I don’t care for games where I feel like I have to react really fast in order to not get killed. Much prefer thinking adventures.

Una frase, quella di David Fox, che ha il valore di una dichiarazione poetica.




Le 5 migliori avventure grafiche di Ron Gilbert (ai tempi della LucasArts)

Parlare di avventure grafiche nel mondo dei videogame significa sempre in qualche modo parlare di Ron Gilbert.
Il game designer e programmatore statunitense è certamente uno dei padri assoluti del genere, la cui nascita può collocarsi circa negli anni ’80, quando lo stesso Gilbert trasformò le avventure testuali nei punta e clicca che oggi tutti conosciamo. Erano i tempi della Lucasfilm games, poi diventata LucasArts, azienda con la quale sfornò capolavori entrati nella storia che poggiavano su un’applicazione da lui stesso inventata per semplificare lo sviluppo delle avventure, lo SCUMM. Il sodalizio fra Gilbert e LucasArts non può dirsi lungo ma fu di certo molto fervido, e di quel periodo ci sono almeno 5 avventure grafiche assolutamente da ricordare:

La prima è Maniac Mansion, considerata una delle prime avventure grafiche della storia, uscita nel 1987 e sviluppata con il game developer Gary Winnick, che l’anno prima aveva lavorato su Labyrinth sempre per la Lucasfilmgames.
Sviluppato inizialmente per Commodore 64, Maniac Mansion è la parodia di un classico film horror, dove si racconta la storia di un gruppo di giovani ragazzi che devono aiutare un loro amico a salvare la propria ragazza rapita dal pazzo dottor Fred Edison. Il gioco è interamente ambientato nella magione degli Edison e riscontrò un enorme successo dovuto all’innovativa modalità di gioco, all’ampio ventaglio di personaggi e alla possibilità di sceglierne 3 da gestire in parallelo nel corso gioco, agli enigmi ben congegnati, a un’umorismo grottesco e debordante e a una serie di trovate che caratterizzeranno la cifra stilistica di Ron Gilbert e della Lucas, la quale produrrà anche un seguito del gioco, Day of The Tentacle, sviluppato però da Dave Grossmann e Tim Schafer che da Gilbert prenderanno alcune idee.

Nel 1988, abbiamo Zak McKracken and the Alien Mindbenders, avventura che gode dello stesso stile grafico di Maniac Mansion ma che questa volta fa il verso a film del genere L’invasione degli Ultracorpi e alle storie sul controllo mentale alieno. Ideato da David Fox e con Ron Gilbert nel ruolo di designer, il gioco vede per protagonista Zak, un giornalista che scopre un complotto extraterrestre e dovrà fare di tutto per sventarlo, spaziando da scenari storici come Stonehenge, le Piramidi, Atlantide e arrivando sino a Marte. Anche qui si potranno controllare più personaggi, ma solo nel corso del gioco, quando in aiuto di Zak accorreranno la scienziata Annie e le studentesse di Yale Melissa e Leslie.

Un solo personaggio, ma di grande spessore, ha invece per protagonista l’avventura grafica dell’anno successivo, Indiana Jones e l’ultima crociata, uscita nello stesso anno del famoso film per sfruttarne il grande richiamo. La Lucasfilm Games affida l’operazione proprio a David Fox e Ron Gilbert e il livello qualitativo del gioco non risente del peso dell’opera cinematografica i quali inseriscono nel gioco una componente action finora inedita al genere, con combattimenti che rendono la storia più dinamica ma che il giocatore può scegliere di evitare tramite le giuste risposte nel corso i dialoghi, dando dunque al giocatore una possibilità di percorsi alternativi e accontentando così tutti gli utenti in relazione all’approccio preferito. Questa strada sarà poi ripresa nel successivo capitolo videoludico di Indiana Jones, l’acclamato Fate of Atlantis.

Ma è del 1990 quello che è considerato uno dei grandi capolavori di Ron Gilbert dell’epoca Lucas: parliamo di The Secret of Monkey Island, parodia piratesca che vede al centro il giovane Guybrush Threepwood, che sogna di diventare un temibile pirata e del quale si seguono le peripezie prima nelle tre prove affrontate sull’isola di Melèe e poi nella spedizione di salvataggio del governatore Elaine Marley, rapita dal temibile pirata fantasma LeChuck, che lo porterà a sbarcare proprio sulla mitica Monkey Island. É certamente il gioco della maturità per Ron Gilbert, dove trovano la massima espressione il suo umorismo grottesco, le sue idee più visionarie e una rinnovata visione del game design. In Monkey Island prendono finalmente forma compiuta le idee riguardo le avventure grafiche elaborate da Gilbert in questi anni di esperienza, idee che nel 1989 il game designer espresse in un breve scritto chiamato Why Adventure Games Suck, ovvero Perché i giochi d’avventura fanno schifo, un insieme di regole imprescindibili per le avventure grafiche che costituisce oggi un vero e proprio manifesto per chi sviluppa adventure game.

Il successo di The Secret of Monkey Island fu tale che nel giro di un anno ne fu realizzato il seguito, LeChuck’s Revenge, nel quale Guybrush si ritrova nuovamente ad affrontare il suo storico nemico, stavolta resuscitato da un suo tirapiedi, e a ricercare il tesoro nascosto di Big Whoop. Questo episodio, che vede il protagonista a navigare per varie isole, con un ampio numero di scenari, dialoghi spiazzanti e scene memorabili, gode di una storia complessa e curatissima, con virate surreali e inaspettate soprattutto nel finale, e con tutte le caratteristiche della narrativa di Gilbert, ricca di enigmi elaborati, quadri di gioco unici e humor dissacrante, ha contribuito a fare di Monkey Island una serie cult senza precedenti nel mondo videoludico, che ha visto produrre vari sequel non giudicati mai all’altezza.

Pur avendo subito il genere punta e clicca una forte inflessione negli ultimi 2 decenni, Ron Gilbert è tornato quest’anno in grande stile con Thimbleweed Park, dimostrando che le avventure grafiche hanno ancora molto da far dire a chi sa scriverle con arte.




Thimbleweed Park

Accendere lo schermo e ritrovarsi improvvisamente negli anni ’80 non appare più strano in un’epoca in cui vari campi dell’arte e della creatività si alimentano di revival. Il meccanismo della nostalgia ha portato alla produzione di svariate retroconsole (non ultima il Super Nintendo Classic Mini e l’ultimissimo Commodore 64), al successo di serie tv come Stranger Things, al ritorno di brand come AlienGhostbusters, Blade Runner e l’anno prossimo potremmo aspettarci un ragionevole successo di Ready, Player One, film a firma Steven Spielberg tratto dal best seller di Ernest Cline interamente improntato su riferimenti anni ’80: quale miglior momento per tornare con un’avventura grafica old style, in pixel art e ambientata, fra l’altro, nei rombanti eighties? Detta così, la nuova opera di Ron Gilbert potrebbe suonare come una grossa furbata, ammiccante a nostalgici e a vecchi fan lucasiani, e uscita nel miglior momento possibile. Ma è davvero questo Thimbleweed Park?

Back to the Mansion

Per i giocatori meno giovani (e per i più giovani che amano studiare un po’ di storia tra retrogaming e vecchie avventure grafiche), le texture e i personaggi sono un diretto richiamo a un unico titolo, quel Maniac Mansion capostipite dei moderni adventure game e pietra miliare del passaggio dall’avventura testuale a quella grafica. Uscito nel 1987 su Commodore 64Maniac Mansion fu una novità assoluta nel mercato videoludico, per l’originalità della storia narrata (una straordinaria parodia di un b-movie horror, con tanto di teenager per protagonisti), per la possibilità di manovrare 3 personaggi in parallelo, per quell’umorismo grottesco e debordante che sarà il marchio di fabbrica dei titoli della LucasFilm Games (poi LucasArts) a venire ma soprattutto perché finalmente “vestiva” ciò che fino a quel momento era stato solo un nudo susseguirsi di linee di testo. Non la prima avventura grafica della storia, ma certamente la prima di successo, al punto da meritarsi un porting su NES, territorio – quello delle console – nel quale il genere languiva. A distanza di 30 anni, gli stessi creatori di Maniac MansionRon Gilbert e Gary Winnick, hanno deciso di celebrare l’anniversario riportandoci indietro nel tempo, proprio in quel 1987 in cui uscì la loro prima, celebratissima avventura grafica.

Welcome to Thimbleweed Park

Ed eccoci dunque catapultati negli anni ’80 nell’amena cittadina di Thimbleweed Park, a vestire inizialmente i panni degli agenti Ray e Reyes, incaricati dal FBI di indagare su un cadavere riverso nel guado di un fiume. Ovviamente l’obiettivo sarà quello di raccogliere prove e interrogare gli abitanti del piccolo paese – ormai spopolato – per trovare il colpevole di quel che è un evidente un omicidio: ci sono le premesse del più classico dei racconti investigativi “made in U.S.A.”, e in effetti l’intento parodistico ha come target proprio storie di questo genere. Non è un caso che la coppia di agenti richiami la fisicità di Mulder e Scully di X-Files e che Thimbleweed Park sembri a tratti una grottesca Twin Peaks (le battute sul “bistrot” e sulle sue presunte prelibatezze, l’incendio alla fabbrica di cuscini, principale azienda della città, che ricorda da vicino quello della segheria; e poi, scusate, mi consentite di non considerare totalmente casuali le iniziali “TP”?). Apparirà subito chiaro – leggendo i loro block notes – che Ray e Reyes nascondono ben altri obiettivi. Nel loro peregrinare all’interno della cittadina, gli agenti entreranno in contatto con vari personaggi, tre dei quali – oltre loro – saranno sotto il diretto controllo del giocatore.

Personaggi in cerca di soluzione

Ed è qui che entrano in scena Ransome il Clown, il fantasma Franklyn e la supernerd Delores: il primo vittima di una maledizione che gli impedisce di togliersi il trucco di scena, il secondo condannato a vagare fra i piani dell’hotel del paese, e la terza tornata a Thimbleweed Park a seguito della morte del nonno Chuck (il nome vi richiama alla mente qualche villain dell’universo Lucas?), fratello di Franklyn (che, sì, è il padre di Delores), proprietario della fabbrica di cuscini e storico plenipotenziario del paese, onnipresente nei dialoghi con gli abitanti, dai quali si potranno trarre informazioni utili per il proseguimento della storia e per la soluzione di vari enigmi. Se i personaggi principali hanno caratteristiche marcate e tratti ben definiti che esprimono bene l’attenzione di Gilbert e Winnick nel delineare a fondo ogni character, questa si vede ancor di più nella cura dei NPC che – dalle sorelle Pigeon Brothers ai complottisti della radio, fino al polimorfo personaggio dello sceriffo-concierge-medico legale, una delle figure più riuscite di tutto il gioco – ci regala maschere straordinarie capaci di caricare ulteriormente il già grottesco e suggestivo quadro d’insieme, contribuendo in maniera decisiva a innalzare il ritmo di gioco e a rendere memorabile il deforme affresco della piccola cittadina americana.

Piccoli enigmi e grandi citazioni

Chi abbia già giocato alle avventure grafiche della Lucas non potrà non aver notato le numerose citazioni presenti in Thimbleweed Park, che spaziano da Maniac Mansion – della quale ritroviamo parte della villa, con l’orologio a pendolo all’ingresso e il salone munito di scala a chiocciola col cartello “out of order” – a Zak McKracken and the Alien Mindbenders (a citare entrambi i titoli basta una motosega) passando per The Secret of Monkey Island, i cui rimandi sono numerosissimi, non ultima la testa del navigatore, che tornerà anche qui utile in uno degli enigmi del gioco.
A proposito di quest’ultimi, pur non essendo proibitivi, non sempre i puzzle presenti risultano semplicissimi. Certo, saranno più avvantaggiati i giocatori avvezzi alle dinamiche dei punta e clicca di casa Lucas, i quali raramente ponevano quesiti risolvibili secondo i dettami logici dei classici puzzle ma, al contrario, costringevano al pensiero laterale, a grossi sforzi immaginativi, basandosi a volte su giochi di parole spesso di difficile adattamento sul piano linguistico (vedi gli enigmi della “red herring” e della “monkey wrench” proprio in The Secret of Monkey Island) e mettendo il giocatore a volte in condizione di dover tentare ogni combinazione possibile pur di andare avanti. I giusti indizi per risolvere ogni enigma non mancano ma, per chi volesse sforzarsi un po’ meno, è possibile selezionare una modalità facilitata, scremata dagli enigmi più ostici (ma mi sento di sconsigliarla).
Tornando in tema di citazioni, Gilbert e Winnick hanno messo in Thimbleweed Park un  bel po’ di autobiografia: il personaggio che più rappresenta gli autori è certamente Delores, che non a caso rappresenta una figura centrale nella storia. Delores riesce a realizzare il sogno di diventare una sviluppatrice di videogame, ed è chiaro come dalla sua scelta scaturisca, oltre alla rabbia del nonno che arriva a diseredarla, il disprezzo degli altri familiari (la sorella in primis) e lo scherno della gente comune. C’è un po’ della visione diffusa della società del tempo che sorrideva a chi dicesse di occuparsi di videogame (oggi va un po’ meglio, ma i passi da fare sono ancora tanti), ma ci sono anche chiari riferimenti gli albori della carriera di Gilbert, dal Graphics Basic, estensione per Basic creata nel 1983 con Tom McFarlane, al fantomatico developer MMucasFlem al quale Delores invia la propria candidatura.
Le citazioni non sono state colte né gradite dall’utenza più giovane e, nell’ultimo aggiornamento, assieme a una sala giochi con vari coin-op giocabili, Terrible Toybox ha aggiunto l’opzione “Citazioni Fastidiose“, attivabile da chi voglia fruire dei numerosi tributi all’universo Lucas presenti nel titolo.

Modernità eighties

Dal punto di vista visivoThimbleweed Park centra perfettamente il punto, unendo un art-style che richiama le avventure grafiche di fine anni ’80 (una su tutte, dicevamo, Maniac Mansion) ma che serba la sua attualità, offrendo ambienti e paesaggi che riescono a essere evocativi di un’epoca passata ma mai vetusti o polverosi, trasportando il giocatore in un altro tempo senza mai dargli la sensazione di essere alle prese con un prodotto figlio del retrogaming, e restituendo anzi un senso di forte modernità nonostante l’impianto grafico old style interamente in pixel-art.
Non può dirsi diversamente riguardo la colonna sonora, nella quale Steve Kirk riesce a compendiare ed enfatizzare il mood delle varie sequenze, chiudendo il cerchio di ogni ambientazione, mischiando sintetizzatori e strumenti classici (addirittura un Theremin) e alternando musiche d’ambiente a ritmiche proprie del rock progressivo. L’effetto ottenuto è quello che dicevamo prima, un retrò che conserva la sua modernità, in questo caso amplificando l’aura di mistero nel dipanarsi della storia, con il plusvalore di rafforzare “l’idea” di ogni ambiente attraversato dal giocatore: i suoni tenui del jingle che fa da sottofondo al Quickie Pal o il tema che suona all’ascensore dell’Edmond Hotel ne sono pregevoli esempli. Ma Kirk si mostra versatile anche nel dar voce al pezzo di Razor and the Scummettes (rock band capitanata dall’omonimo personaggio di Maniac Mansion, Razor appunto), dando prova di gran capacità mimetica nell’elaborazione di un tappeto sonoro steso sotto gli strani accadimenti della rocambolesca Thimbleweed Park, e non facendo per niente rimpiangere il MIDI delle colonne sonore dell’epoca.
Un paio di parole sui vari porting: per scrivere questa recensione, abbiamo interamente giocato la versione per PC in occasione della release del gioco a marzo  2017 (prima, quindi, dei vari aggiornamenti che abbiamo già citato) e rigiocato interamente quella per PS4 a settembre 2017; abbiamo inoltre testato quella per iPad, uscita sempre a settembre 2017; si attendeva per il 3 ottobre la release su Android, che sancirà la presenza di Thimbleweed Park su tutte le principali piattaforme disponibili adatte al gaming, ma Ron Gilbert ne ha annunciato il rinvio.
Le versioni differiscono fra loro quasi esclusivamente sul piano dei controlli, dove la prima (per PC) è ovviamente la più classica e anche la più congeniale al genere punta e clicca: giochi di questo tipo sono stati pensati prevedendo mouse e tastiera tra le mani del player e l’ultimo lavoro di Gilbert non fa eccezione, sancendo però un passo avanti in termini di tempistiche di gioco, fluidità e movimenti, e dunque di gameplay. I percorsi dei personaggi sono ottimizzati in modo da sottoporre il giocatore al minor numero di movimenti “inutili”, e consentendogli di giungere al punto di arrivo nel minor tempo. Su questo non fa eccezione la versione per PS4, la quale ha una minor rapidità di navigazione, ma marginale, tanto da non inficiarne l’esperienza. I tasti direzionali permettono di spostare il cursore e di selezionare i verbi d’azione da correlare agli oggetti presenti nell’inventario o nello scenario per muovere i personaggi e interagire con l’ambiente. Tramite il tasto X si potranno compiere le azioni e accelerare la velocità di movimento del personaggio, mentre il tasto quadrato permette di compiere le azioni che vengono suggerite su schermo. I tasti dorsali (L1 e R1) agevolano il passaggio fra i vari punti di interazione all’interno di ogni scenario, mentre L2 e R2 ci permetteranno di switchare comodamente fra tutti e cinque i personaggi. Scorrendo il dito sul tasto touch-pad potremo inoltre muovere il cursore come se avessimo un mouse, ma alla lunga questa opzione risulta poco comoda.
La versione mobile del gioco risulta altresì maneggevole e funzionale, lasciando invariata l’interfaccia e con il surplus di poter fare a meno del cursore: per spostarsi basterà ovviamente toccare il punto di destinazione, così come per utilizzare oggetti (cliccando sul verbo e poi sull’oggetto). Anche la scelta dei personaggi giocabili e la selezione dei dialoghi è facilitata dall’approccio interamente touch dei punta e clicca, che su mobile sembrano trovare una declinazione ideale, potendo far a meno del puntamento e consentendo al giocatore di cliccare direttamente la propria scelta, rendendo superfluo l’utilizzo di controller, mouse e tastiera che sarà reso possibile nella versione Android.

Come scrivere un Adventure Game

Nel suo storico microsaggio Why Adventure Games Suck, scritto nel 1989 e rivisto nel 2004, Ron Gilbert scriveva:

«One of the most important keys to drama is timing. Anyone who has designed a story game knows that the player rarely does anything at the right time or in the right order. If we let the game run on a clock that is independent from the player’s actions, we are going to be guaranteed that few things will happen with dramatic timing.»

Quello dell’equilibrio dei tempi drammatici è uno degli aspetti su cui il Grumpy Gamer (storico nickname di Gilbert, Ndr) si è sempre incaponito, e che ha caratterizzato negli anni la sua cifra di narratore, prima che di game designer.
Da questo punto di vista, Thimbleweed Park è un modello di arte del racconto videoludico, con tempi narrativi calibrati e un ritmo di gioco che non incespica, dove si gode di una storia scritta splendidamente. I dialoghi sono sulla falsariga dei grandi giochi Lucas, ma con ulteriori passi avanti sul piano stilistico, con una forza che Fabio “Kenobit” Bortolotti ha reso egregiamente in italiano, anche in situazioni impervie come quella di dover rendere intellegibile nella nostra lingua lo scozzese stretto del personaggio di Doug, trasposto in abruzzese, o quella di restituire al meglio l’irriverenza sboccata di Ransome Il Clown.
Non si parla soltanto dell’umorismo lucasiano di cui sono intrise le numerosissime linee di testo: la storia di Thimbleweed Park è figlia di una grande operazione metatestuale, che ci offre maschere vive nei suoi cinque personaggi in cerca di espiazione:  Franklyn, dal temperamento mite, dalla personalità debole ed estremamente remissivo, Ransome, sprezzante, cinico e sboccato, Ray, nella sua durezza e caparbietà, Reyes, un po’ tonto e risoluto, e Delores, tenace, idealista e controcorrente come dovrebbe essere un vero game designer.
È il percorso di una catarsi, quello dei protagonisti del Teatro dell’Assurdo di Thimbleweed Park, ognuno animato dalla propria singolare ricerca; una catarsi probabilmente impossibile all’interno della finzione videoludica, almeno finché il computer che le dà vita resta acceso, sembra dirci Gilbert dai meandri del wireframe, elaborando una storia che certamente ricorderemo.
Thimbleweed Park è un capolavoro di metaletterarietà che sul finale tocca picchi esistenziali come pochi, non meno di quanto lo fu (esistenzialista e metaletterario) quello di Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge, unendo in un’armonia singolare il grottesco e il drammatico, il demenziale e il serioso in un’opera che è certamente una delle migliori produzioni di Ron Gilbert in tutta la sua carriera di game designer.




Slitta l’uscita di Thimbleweed Park per Android

Ron Gilbert ha annunciato sul sito ufficiale di Thimbleweed Park che il rilascio della versione Android dell’acclamato punta e clicca slitterà di una settimana, dal 3 al 10 ottobre. «La buona notizia», continua Gilbert «è che la build per Android supporterà controller, mouse e tastiera, nonché un più vasto range di hardware».
Gilbert ha spiegato inoltre il perché del ritardo del rilascio sul Play Store: «Lo sviluppo su Android è sempre duro a causa della vasta gamma di dispositivi destinatari. Quando siamo arrivati ​​alla fine del test, alcuni dispositivi hanno mostrato problemi di GPU che era necessario risolvere. Ci siamo impegnati a far sì che la versione Android funzioni con i controller, oltre che a mouse e tastiera, e questo richiede più tempo di quanto preventivato affinché tutto funzioni.»
In chiusura del post, Gilbert sdrammatizza alla sua maniera: «È dura quando la release di una versione di un gioco slitta, senti di aver fallito qualcosa. Ma si tratta solo di una settimana e avremo maggior compatibilità, oltre ai controller, al mouse e alla tastiera. Ho menzionato i controller, mouse e tastiera? Sì, li avremo.»

Thimbleweed Park è stato rilasciato a marzo 2017 per PC, ed è attualmente presente anche su PS4, Xbox, Nintendo Switch, iPhone e iPad.




Annunciate le date d’uscita di Thimbleweed Park per Switch e Mobile

Dopo essere approdato su PS4 lo scorso 22 agosto, si aspettavano soltanto le date di rilascio delle versioni per Nintendo Switch, iOs e Android, e l’annuncio delle date è arrivato: Thimbleweed Park arriverà prima su iPhone e iPad il prossimo 19 settembre, poi su Switch il 22 settembre per poi essere disponibile su Play Store a partire dal prossimo 3 ottobre.
L’ultima opera di Ron Gilbert e Gary Winnick sarà così disponibile su tutte le piattaforme di gaming, forte dell’ottimo riscontro di critica e pubblico che lo ha accompagnato a pochi mesi dall’uscita.

 




Annunciata la data d’uscita di Thimbleweed Park su PS4

Thimbleweed Park arriva finalmente su PS4. Dopo un’attesa di alcuni mesi, anche i possessori della console potranno giocare il punta e clicca di Terrible Toybox a partire dal 22 agosto. La notizia è stata resa nota dallo stesso creatore, Ron Gilbert, in un post pubblicato su PlayStation Blog.
Per chi non conoscesse l’ultima opera del creatore di Monkey Island, si tratta di un’avventura  grafica in pixel art che si rifà ai grandi capolavori dell’epoca LucasFilm Games (Maniac Mansion su tutti, e non a caso è uscita in occasione del trentennale del gioco ed è ambientata nel 1987) ed è una riproposizione parodistica di una detective story dai contorni sovrannaturali che mette dentro elementi tratti dalla letteratura di Stephen King e da note serie tv quali X-Files e Twin Peaks. per offrire un’avventura davvero strana e meravigliosa.

Nel post pubblicato, Ron Gilbert precisa che gli utenti «meravigliati dalla precisione con la quale un punta e clicca funziona su console, senza un mouse», in ragione dell’enorme quantità di tempo spesa dall’intero team a perfezionare i controlli su pad senza far perdere le emozioni delle avventure degli anni ’80 e ’90. In realtà questo era già avvenuto sul NES, dove si può ricordare un porting di Maniac Mansion in 8 bit.
Ron Gilbert ha sviluppato il gioco affiancato da altri due grandi nomi della vecchia guardia Lucas, Gary Winnick e David Fox, e il riscontro della critica è stato estremamente positivo. Il gioco è già giocabile dal 30 marzo su PC, Mac e Xbox One. In attesa della data di rilascio dell’ormai confermata versione per Nintendo Switch, vi lasciamo al trailer di lancio per PS4: