Fallout di nome e di fatto

La caduta della società per colpa di una qualche guerra nucleare (o “nuculare” se gradite) venuta dal nulla, è stato l’incubo del mondo sin da quando il Giappone ha visto che danni poteva provocare la fissione dell’atomo. Col passare degli anni e della tecnologia il terrore ha toccato vette di un certo rilievo: la Guerra Fredda e l’Orologio dellapocalisse (Doomsday Clock) sembravano sancire quel fall-out che tutti ormai davano per scontato ma capace di ispirare autori di opere di varia natura come Kubrick e il suo Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba sino, alla serie protagonista di questo articolo. Fallout, franchise nato a fine anni ’90, è passato attraverso innumerevoli cambiamenti – riusciti o meno – muovendo il pubblico come solo pochi titoli riescono a fare. Questo non è un articolo incentrato su un excursus storico ma cercheremo di capire come qualcosa che sembrava un’ovvia evoluzione si sia trasformata in una tragedia videoludica a tratti esilarante.

L’erba del vicino

Il primo cambiamento evidente accadde nel 2008, anno in cui Fallout 3 scosse il mondo proponendo un open world vasto, ricco di NPC e con una direzione artistica che riprendeva sì lo stile dei predecessori ma esaltato ulteriormente dalle nuove tecnologie. E funzionò. Nonostante le critiche di qualche estimatore della serie originale, il terzo capitolo diede modo a Bethesda di saggiare i frutti della felicità offerta dal pubblico. Fallout 3 è stato un titolo importantissimo sotto tanti punti di vista: un mondo così vasto e aperto era il realizzarsi di un sogno per molti videogiocatori che, in qualche modo, non fecero caso agli eccessivi bug presenti nel gioco. Come tradizione infatti, la creazione dell’open world non è stato semplicissimo e già dal terzo capitolo le cose non sembravano andar bene. Del resto era una delle prime volte che qualcosa del genere saltava fuori e se abbiamo gli attuali open world lo dobbiamo anche a questo titolo.
Eppure, il migliore della serie è uno spin-off. Fallout: New Vegas, tra le mani di Obsidian, divenne qualcosa di estremamente complesso in cui la narrazione venne direttamente influenzata da nuove idee, racchiuse in una sola parola: libertà. Il nuovo Fallout era in grado di esaltare la capacità di immedesimazione del videogiocatore, empatizzando per una o per l’altra fazione presenti, tutte con l’intento di conquistare le ultime tecnologie funzionanti dopo l’olocausto nucleare. L’NRC (la Repubblica della Nuova California), la Legione di Caesar, i Great Khan e le altre erano uno sguardo diverso della società, chiamando il giocatore al ragionamento politico e soprattutto alle conseguenza della vittoria di una o dell’altra fazione. Fallout: New Vegas riesce a mettere nella stessa stanza l’imperialismo dell’Antica Roma, il capitalismo moderno dell’RNC, la dittatura del Sign. House, Oligarchia e sopratutto l’Anarchia, modelli di governo diversi ma ben raccontati, approfonditi sia per tematiche che ideologie. Inutile dire come la scelta finale dell’RNC sia la più saggia e forse la più ovvia una volta scoperto che questa è l’unica a possedere un reale governo, mezzi e strutture in grado di garantire un futuro per gli abitanti del Mojave. Ma tutti gli NPC hanno qualcosa da raccontare e tutta la regione ha qualcosa da insegnare.
Questo picco però, non è proseguito con il quarto capitolo ufficiale che, benché sia stato un buon titolo, in qualche modo non scaldò i cuori dei fan. In Fallout 4, qualcosa cominciava a scricchiolare, a fronte di un comparto tecnico e ludico che poco si scostava dai predecessori. E poi i bug, glitch di varia natura, crash improvvisi…insomma, il marchio di fabbrica.
Ma perché si finisce a parlare di questo? Perché ha segnato la morte di Fallout 76, senza girarci intorno.

Vita e morte di un gioco qualunque

Perché è successo? Perché Fallout 76 non è riuscito ad avere quel successo che, in fin dei conti, sembrava scontato? Fallout è proprio una delle poche serie che si presta all’MMO: tanti personaggi, personalizzazione, esplorazione, cooperazione e così via. Tutto sembrava perfetto, tutto geniale, con in più la possibilità di lanciare testate nucleari sul territorio, cambiandone per sempre la fisionomia. Allora cosa è andato storto? Avete presente quando alcuni videogiocatori o presunti tali, indicano la non importanza del comparto tecnico, volgarmente definito “grafica”? Ecco, questo è il punto (Google presta attenzione che interessa pure te). Per quanto, l’idea sulla carta sia stata a prova di bomba H, deve esserci un’infrastruttura dietro in grado di sostenerla e il Creation Engine, motore degli ultimi due titoli, semplicemente, non ce la fa. Nato nel 2011 – già vecchio – il Creation Engine è sicuramente un motore grafico versatile ma capace di gestire solo in parte tutto il ben di dio all’interno del mondo di gioco. Come citato in un articolo precedente, un open world non è altro che una “bomba alla legge di Murphy” pronta a esplodere, e serve qualcosa di affidabile in partenza. La domanda è una sola: perché non sviluppare un motore apposito per Fallout 76? Proprio Todd Howard, game director Bethesda, intervistato al Pax East lo scorso Marzo, ha vuotato il sacco, affermando come lo sviluppo del titolo sia stato molto complicato, tragico in certi aspetti. Ben quattro team sono al lavoro sul gioco e, a dir la verità, si è cercato in tutti i modi di porre rimedio alle magagne viste finora, lanciando upgrade gratuiti che hanno sicuramente migliorato ogni aspetto del titolo. Ma oltre la mera tecnica, inspiegabili scelte di design ne hanno ulteriormente sancito la fine. Il fulcro di Fallout è praticamente assente: cittadine, NPC, narrazione diretta (presente solo su terminali e postille) oltre a un evidente riciclo di vari elementi presi di peso dai titoli precedenti… e non solo.
Eppure, se solo si fosse stati un po’ più cauti e lungimiranti, molti dei problemi al lancio non sarebbero accaduti, semplicemente posticipandolo. Meglio un ritardo che il linciaggio no?
Fallout 76 è però qualcosa di importante: ha sancito una volta per tutte l’importanza dell’infrastruttura alle spalle di un titolo ma soprattutto, l’esigenza di un pubblico sempre più informato e critico; un insegnamento che molti danno per scontato ma che alle volte viene dimenticato. A questo punto Fallout 5 cosa sarà? Probabilmente prenderà piede dal nuovo The Elder Scrolls VI sulla base di un Creation Engine ulteriormente aggiornato (purtroppo) ma siamo sicuri, che Todd Howard e Co. in qualche modo, abbiano imparato la lezione.




Top 7: le migliori intro nei videogames

Chi ben comincia è a metà dell’opera e questo detto vale anche per il mondo videoludico. Le intro servono per introdurci al mondo di gioco e a volte diventano dei piccoli capolavori, magari ricordate più dei giochi stessi. Vediamo quindi quali sono le migliori, e attenzione a possibili spoiler.

#7 Half-Life

Comincia tutto da qui, almeno per la narrazione diretta, senza utilizzo di cutscene: Half-Life rivoluziona tutto, facendoci vedere tutto dagli occhi del protagonista, aumentando in maniera esponenziale l’immedesimazione. Il complesso di Black Mesa scorre via attraverso i finestrini del treno, dandoci anche un brivido lungo la schiena, una sorta di presagio su qualcosa che sta per andare storto. Insomma, l’inizio di un’epica avventura.

#6 Batman: Arkham Asylum

Dopo tanti giochi deludenti dedicati a Batman, ne arriva uno che apre con il protagonista che sfreccia sulla sua Batmobile con a bordo Joker finalmente catturato. Tralasciando la cutscene iniziale realizzata col motore di gioco, il tutto si svolge sotto i nostri occhi con l’impressione di vivere quei momenti assieme a Bruce Wayne.

#5 Crysis 3

«Cosa sei pronto a sacrificare?» sono le parole di Prophet in orbita intorno alla terra con l’astronave dei Ceph pronta a sferrare l’attacco finale. Il protagonista ci racconta in prima persona gli avvenimenti dei 2 capitoli precedenti e quanto abbia sacrificato per dare una chance alla terra di salvarsi. La spettacolare scena in CGI, nonché la musica composta da Borislav Slavov, regala forti emozioni legandoci al protagonista di questo terzo capitolo che vediamo sconfitto e senza la possibilità di salvarsi. Il gioco sarà un lungo flashback che ci riporterà di nuovo a questo punto, ma le cose fortunatamente prenderanno una piega diversa.

#4 Fallout 3

Il piano sequenza, ripreso dai capitoli precedenti, entra prepotentemente nei nostri occhi con il terzo capitolo: la radio, semi distrutta ma ancora funzionante, trasmette una vecchia canzone degli Ink Spot, I Don’t Want to Set the World On Fire e, man mano che la camera si allontana, comincia a presentarsi il mondo di gioco, probabilmente dilaniato da esplosioni nucleari, sino a quando un uomo armato e corazzato appare facendo venire un sussulto. L’ormai celebre frase «War, War never changes», aprirà una sequenza introduttiva, fino al tutorial interamente integrato nel gioco, novità assoluta a quell’epoca negli RPG.

#3 Zone of the Enders: the second runner

Hideo Kojima ha realizzato una saga – ahimè dimenticata – denominata Zone of the Enders. Le intro sono ricercate, con molta importanza data alla regia e alla musica, ed è con The second runner che si raggiunge l’eccellenza. L’intro, della durata di quasi 8 minuti, colpisce come detto per le scelte registiche, che ricordano molto le cutscene in Metal Gear mescolando sapientemente sequenze realizzate col motore di gioco e sequenze animate dando un tocco di originalità al tutto. Altro punto di forza è Beyond the Bounds, il tema musicale del gioco, realizzato da Maki Kirioka e interpretato da Maki Kimura influenzata dalla lingua e dallo stile finlandese.

#2 Mass Effect 2

In questa prima parte di Mass Effect 2 vengono introdotti immediatamente i nuovi antagonisti, i Collettori, i quali a bordo della loro nave distruggono la Normandy, regalandoci scorci mozzafiato. Il gesto eroico di Shepard nel salvare Joker sembra normale routine ma capisci che qualcosa non quadra quando lo vediamo precipitare, soffocare e probabilmente bruciato vivo con l’attrito dell’atmosfera. Fortunatamente la storia continuerà sviluppando ottimi presupposti.

#1 Bioshock

Capolavoro indiscusso sotto tanti punti di vista, Bioshock rapisce già dopo i primi secondi: si comincia dalle uniche parole pronunciate dal protagonista e dall’inabissarsi dell’aereo sul quale viaggiava, per poi trovare rifugio all’interno di un faro in mezzo al nulla. Sin dalle prime parole del discorso di Andrew Ryan, cominciano i brividi: si viene rapiti dal carisma di un personaggio ormai storico, e dalle sue motivazioni nel costruire Rapture, la città in fondo all’oceano libera da politica, religione ed etica. Tutto ci spinge a capire cosa è successo e, una volta avuta risposta, si avrà una nuova consapevolezza nel riguardare questa intro.