Cinque videogiochi dalla violenza inaudita

Da nazisti uccisi a colpi di gancio metallico a persone spappolate con una rosata di fucile a pompa, i videogame ci hanno abituato a ogni forma di efferatezza, attirandosi non di rado le polemiche dei più. A volte la violenza espressa può portare a problemi legali che causano la censura parziale o totale di un videogame in un paese. Premettendo che abbiamo espresso più volte la nostra posizione riguardo il binomio fra violenza e videogioco (espressivamente non lontano da quello che si ha in varie opere cinematografiche), raccogliamo qui alcuni memorabili titoli che si sono distinti per la loro spietatezza.

Maschere e sangue: Hotline Miami

Videogioco d’azione a scorrimento top-down (con visuale dall’alto) sviluppato dalla Dennaton Games e distribuito da Devolver Digital, in Hotline Miami, ambientato appunto nella Miami degli anni ‘80, vestiamo i panni di Jacket, inquietante sicario che dovrà completare le sue missioni uccidendo i propri bersagli con un vastissimo catalogo di armi. Basato su una grafica 8-bit e una straordinaria soundtrack elettronica, il videogame venne molto apprezzato dalla critica ricevendo alti punteggi sulle recensioni. Raccoglie attorno a sé uno stuolo di appassionati che lo considerano un titolo di culto e ha goduto anche di un sequel, da molti non considerato all’altezza.

A caccia di mostri con Doom!

Chi non ha mai visto almeno un frame di Doom non è degno di giocare agli FPS moderni. Divenuto uno dei pionieri della visuale in prima persona, il titolo di John Romero fu una rivoluzione per il medium videoludico e richiamò a sé un’intera generazione di videogiocatori, che tutt’oggi non lo dimenticano. In Doom avremo il compito di salvare la Terra da orde di mostri, demoni e non morti per commissione della UAC (Union Aerospace Corporation) a suon di fucili d’assalto, pistole e moltissime armi da fuoco. 3 anni fa id Software ha sviluppato un riuscitissimo reboot distribuito da Bethesda, e la serie continua a menar colpi, in attesa del prossimo Doom Eternal.

Al poligono con Sniper Élite

Ambientato nel pieno del secondo conflitto mondiale, in Sniper Élite il nostro obiettivo sarà quello di completare le missioni senza allarmare il nemico e uccidere i bersagli utilizzano un’ampia ruota di armi, tra cui il principale fucile da cecchino e qualche stick grenade che non guasta mai. La violenza che ci riserva il videogame è figa quanto disgustosa, a ogni sparo assestato in punti precisi di un nemico attiverà una sorta di cinematica a raggi X incentrata sul proiettile che va a conficcarsi nel corpo del malcapitato, con tanto di esplosione/frattura delle ossa colpite.

Ti arruoli nell’ISIS? No, preferisco Mass Mayhem

Poche persone hanno avuto la fortuna di giocare a uno dei videogame più discutibili di sempre, come Mass Mayhem, che ha generato un’intera serie. Facilmente reperibile su web (è del resto un gioco in Flash, recuperatelo finché ne avete la possibilità), in questo videogame impersoneremo un terrorista con un armamentario ben fornito, tra missili guidati, mine antiuomo, i soliti fucili a pompa (che non devono mai mancare per condire la violenza), come non può di certo mancare la “soluzione finale” per eccellenza di ogni terrorista: il giubbotto esplosivo. Pieno di obiettivi da completare, la morte del nostro personaggio non implicherà in alcun modo su di essi, infatti avremo a disposizione infinite vite per completarli tranquillamente. 

Lo splatter più totale con Mortal Kombat!

Picchiaduro storico, Mortal Kombat se ne sbatte altamente dei normali limiti etici sulla violenza, l’intera saga infatti è da sempre stata amata proprio per questo. Attraverso un menù di preselezione potremo scegliere un nostro personaggio tra le molteplici alternative – ognuno caratterizzato da mosse speciali da utilizzare in fase di lotta ma soprattutto da mosse finali, quelle Fatality che sconvolsero il genere sin dagli anni ’90 – e dare il via al combattimento a ritmo di cazzotti. Nell’end match, dare il via alla mossa finale permetterà di assistere a un orgasmo di pura violenza e cruentezza, con tanto di corpi tranciati per metà, teste svuotate dei loro organi interni e spine dorsali estratte in un sol colpo. Così violento da essere nel 1993 stato una delle cause della creazione dell’ESRB, l’equivalente americano del PEGI, e venire sempre censurato per chiunque non abbia raggiunto la maggiore età.

Insomma come abbiamo visto non sono titoli da far giocare ai propri fratelli o alle proprie sorelle minori, ma che continuano a essere uno dei generi più seguiti al mondo. Pensate siano diseducativi? Evitate allora i film di Tarantino, un certo film di un certo Stanley Kubrick (sì, proprio Arancia Meccanica) ma soprattutto: non leggete assolutamente la Bibbia e l’Antico Testamento!




Mothergunship

Grip Digital e Terrible Posture Games ci avevano già provato nel 2014: con Tower of Guns erano riusciti, seppur in parte, a creare un connubio tra bullet hell, roguelike e FPS, catapultando il giocatore in un mondo davvero singolare, con livelli creati casualmente e un comparto grafico abbastanza grezzo e cartoonesco.
Quest’anno però, Grip Digital e Terrible Posture Games ha deciso di rilasciare Mothergunship, un FPS con meccaniche da roguelike e bullet hell, proprio come il suo predecessore, ma a questo si affianca una maggior cura e un gameplay piuttosto divertente. Mothergunship è riuscito a conciliare tutti questi tre generi senza snaturare quello che è l’obiettivo principale del gioco: divertire.

Mothergunship non è basato sulla storia, avendo una trama abbastanza banale e fragile: la Terra è stata attaccata dagli alieni e noi dobbiamo salire sulla loro nave madre per sconfiggerli. Una storia semplice che serve a dare un contesto a quello che incontreremo durante tutti i livelli.
Come già detto i nemici saranno degli alieni, ma non aspettatevi i soliti omini verdi dalla testa ovale; gli antagonisti saranno delle vere e proprie macchine da guerra che dovremo distruggere per salvare il mondo e l’intero Universo.
La peculiarità di Mothergunship è sicuramente il gameplay, più nello specifico il crafting delle armi. In game non esistono classi o set di armi predefinite, ma saremo noi a creare il nostro arsenale. Un crafting fuori dal comune che permette la creazione e la combinazione di armi davvero uniche. Nei vari livelli si potranno ottenere, sconfiggendo i vari nemici, delle monete d’oro che serviranno per acquistare degli elementi per modificare e potenziare la nostra arma. Si potranno equipaggiare solamente due armi, una nella mano destra e una nella sinistra ma, grazie all’editor, si potranno accoppiare moltissimi elementi per forgiare l’arma definitiva.
Si avranno a disposizione dei connettori, che serviranno a collegare le varie bocche di fuoco, le canne, che potranno essere accoppiate tra loro grazie ai connettori e degli upgrade che aumenteranno la potenza di fuoco, diminuiranno il rinculo e altro.
Le armi che si potranno creare saranno infinite; l’unico limite sarà la nostra fantasia e ovviamente il costo delle singole parti.
Mothergunship oltre ad avere un gameplay molto frenetico, essendo un bullet hell, contiene anche la possibilità di potenziare la nostra armatura, fornendogli un salto aggiuntivo – sbloccandone circa cinque si potrà letteralmente fluttuare a mezz’aria –, una difesa maggiore, una resistenza al rinculo delle armi e molto altro, ma anche se non si utilizzeranno queste feature, non se ne sentirà la mancanza. Nella maggior parte delle volte si porrà l’attenzione alla pura potenza di fuoco delle varie armi.
Nota dolente per quanto riguarda i nemici, perché dopo aver giocato per qualche ora e aver creato delle armi potentissime, i nemici saranno facilmente abbattibili: molte volte è capitato di non esser nemmeno sfiorati dalle pallottole degli avversari. Il bilanciamento tra armi e nemici dunque, non è dei migliori; è sufficiente creare delle armi OP per poter proseguire senza problemi al livello successivo.

Mothergunship non possiede un mondo di gioco vasto, ma per proseguire si dovranno attraversare stanze piene di nemici – che equivalgono a un livello – e dopo averle superato tutte, si arriverà a un boss, una macchina gigante, più difficile da sconfiggere ed equipaggiata con armi molto più potenti.
Come in Tower of Gun, nell’ultimo gioco di Grip Digital i livelli saranno creati casualmente, anche se questo meccanismo costruisce livelli molto simili tra loro o con gli stessi nemici. Fortunatamente i casi sono limitati, ma può risultare comunque ripetitivo.
Inoltre, in Mothergunship si può giocare in coop online, ma manca quello in LAN, una feature che poteva allungare la longevità del titolo e divertire ancor di più i giocatori, fornendo la possibilità di creare un party LAN o semplicemente di giocare a schermo condiviso.
La grafica è senza dubbio migliorata rispetto a Tower of Gun, risultando molto più dettagliata e con una caratterizzazione delle armi che ricorda l’art style di Borderlands. Anche gli scenari sono ben definiti, con colori né troppo accesi né troppo spenti, quasi metallici, proprio per ricordarci che in fin dei conti, siamo all’interno di una nave spaziale.
Il comparto sonoro invece, non è nulla di particolare: la soundtrack e i suoni ambientali sono discretamente realizzati; il rumore degli spari, a lungo andare, risulta ripetitivo, visto che continueremo a premere il grilletto per quasi tutta la durata del livello, ma nel complesso fa il suo lavoro, quello di far sentire il giocatore all’interno di una navicella spaziale aliena, con suoni metallici e robotici.
Tecnicamente Mothergunship – noi abbiamo provato solo la versione PlayStation 4 Pro – ha dei problemi legati al frame rate. Gli FPS calano drasticamente quando a schermo sono presenti parecchi elementi, come i proiettili. L’unico modo per risolvere questo problema è semplicemente quello di sconfiggere i vari robot e liberare lo schermo.




I migliori board game tratti dai videogame

Si avvicinano le vostre vacanze estive e non potete portare con voi la vostra console con i vostri giochi preferiti? Non c’è problema! Potreste sempre acquistare un gioco da tavolo.
Ormai come sappiamo dagli elementi di un videogame è possibile trarne fuori quasi ogni tipo di genere per l’intrattenimento, dai film a serie tv, giocattoli e persino board game. Negli ultimi tempi parecchi franchise famosi si stanno tuffando nel settore, ma solo alcuni riescono a portare qualcosa di davvero nuovo e coinvolgente.

Prendiamo come esempio lampante, tutti quei brand, come Zelda, Super Mario, Skyrim o Fallout e fidatevi, tanti, tanti altri, che anziché studiare qualcosa che sia in linea con il gioco in modo da offrire un prodotto originale, si affidano semplicemente alla semplice trasposizione, di alcuni degli elementi che li caratterizzano, in giochi come il Monopoli, Risiko!, o semplicemente in un gioco di carte, come per esempio Resident Evil Deck Building Game, in cui ci si limiterà a sfidarsi in un testa a testa utilizzando carte pescate dal deck.

In questo modo non offrono nulla di davvero significativo all’utenza: l’amante dei videogiochi, vuole qualcosa che duri nel tempo, un’esperienza di gioco che offra avventure durature e sempre nuove, in cui astuzia, ingegno e strategia siano il pane quotidiano.
Fortunatamente non tutti i brand si lasciano trasportare dalla corrente e spesso riescono anche a creare qualcosa di veramente eccezionale. Come Dark Souls: The Board Game, un dungeon crawler con tabellone modulare che ha mandato in solluchero i fan, con avventure degne del brand e miniature tanto belle e dettagliate da far girar la testa anche ai giocatori più esigenti.

Altri titoli sono in lizza come This War of Mine: The Board Game, un progetto nato tramite Kickstarter e quasi interamente fedele alla controparte digitale. Un gioco cooperativo in cui i partecipanti dovranno fare delle scelte morali, raccogliere informazioni e beni per la sopravvivenza e combattere con gli altri sopravvissuti se necessario. Il gioco prevede oltre 1900 tipologie di eventi differenti in cui i giocatori potrebbero trovarsi coinvolti e, nonostante comprenda centinaia di carte e token vari, come potete notare dalla foto, nasce in realtà per essere un “open & play” quindi ci vuole veramente pochissimo tempo per impostare una partita.

Ci sono inoltre giochi altrettanto belli ma più strategici: è il caso di The Witcher: The Adventure Game., con un tabellone un po’ più “classico” rispetto a quelli visti fino a ora. Ma non dimentichiamo le trasposizioni da tavolo di Doom e Gears of War: anche per questi due, le miniature catturano completamente la scena lasciando il resto quasi in secondo piano. Può essere davvero complesso riportare su tavolo un gioco come Doom, con le sue caratteristiche orde di demoni furiosi, sparatorie al cardiopalmo e glory kills ma, fidatevi di me, Doom: The Board Game, ha davvero tutto, anche le glory kills! In questo gioco co-op da 2 a 5 giocatori possono scegliere di schierarsi con i soldati della UAC oppure con i demoni e giocare in una serie di scenari differenti grazie alla board modulare a tessere. Meccaniche molto simili a quelle di Gears of War, che prevede un full immersion nel mondo delle locuste, con meccaniche, armi, abilità e compagni con i quali si dovrà pianificare la strategia giusta per eliminare gli alieni. Anche qui le dinamiche richiamano a gran voce quelle che troviamo nel videogioco.

Insomma, il mondo dei board game è davvero sconfinato, i succitati sono solo alcuni dei titoli disponibili tra quelli tratti dai videogame e, considerando che questa categoria di giochi coinvolge sempre più appassionati, speriamo possa esserci sempre più ragione di parlarne con titoli sempre nuovi e originali.




La visione di Bethesda per Nintendo Switch

Nintendo Switch è la console che ha venduto di più nel primo anno di vita, riscuotendo molto successo, soprattutto per aver cambiato la visione delle console portatili e casalinghe da parte delle aziende. Infatti, fino a qualche anno fa, il mondo ha visto alcuni tentativi di portare una console ibrida sul mercato ma che non hanno avuto il successo sperato. La di questo tipo di console è dunque cambiata, anche tra il pubblico: a tal proposito, i colleghi di Dualshockers hanno intervistato Pete Hines, vice presidente senior al marketing di Bethesda Softwork, in occasione dell’imminente uscita di Wolfestein II: The New Colossus (del quale vi riportiamo la nostra recensione) per Nintendo Switch. Hines alla domanda se volevano o meno portare, alcuni titoli Bethesda, come già fatto per The Elder Scrolls V: SkyrimDOOM, Hines risponde:

«Dipende. Dipende se pensiamo o meno sul fatto che il gioco sia adatto alla piattaforma tecnicamente, e se pensiamo che sia qualcosa che il pubblico vuole su Switch. In questo modo, non è letteralmente diverso da qualsiasi altra piattaforma che guardiamo o da qualsiasi altro gioco che facciamo. Spero che sarà un mix di entrambi. Se ci sono cose che la gente vuole che pubblichiamo su Switch, è una buona idea e potrebbe funzionare. Se si tratta di cose nuove che pensiamo siano perfette e funzionino su Switch, lo faremo anche noi. »

Successivamente gli è stato chiesto se Bethesda svilupperà titoli in esclusiva per Switch, come fatto da Ubisoft con Mario + Rabbids Kingdom Battle:

«Non lo so,  vedremo. Tutta questa roba arriva sempre dall’idea degli sviluppatori e ciò che pensiamo sia una buona idea per il saggio e la piattaforma .»

Infine gli è stato chiesto se i titoli verranno lanciati in contemporanea sia su Switch che su altre piattaforme; Hines risponde che, se lo fosse, sarebbe un’ottimo obiettivo per la software house, concludendo con:

«Questa è sempre la nostra preferenza, ma nel caso di The Elder Scroll V: Skyrim e DOOM, beh, questo non era possibile. Invece per il caso di Wolfenstein II: The New Colossus, abbiamo avuto bisogno di più tempo e non avevamo intenzione di tenere le altre piattaforme in attesa di Switch. Dal mio punto di vista, ogni volta che avremo la possibilità di farlo sia su Switch, che su altre piattaforme contemporaneamente, lo faremo . »

 




John Romero: gli Esport saranno più grandi degli sport tradizionali

John Romero in passato ha creato alcuni dei migliori FPS di tutti i tempi, primi fra tutti Doom e Quake, e così facendo ha anche gettato le basi per il multiplayer competitivo e gli Esport in generale. I colleghi di Gamereactor hanno discusso con John Romero a proposito della Romero Games, il sua nuova casa produttrice, e verso la fine hanno chiesto i suoi pareri riguardo agli Esport e se intende fare qualcosa di nuovo per la nuova disciplina.

Romero commenta:

«In realtà no perchè io ho già contribuito sin dall’inizio degli Esport. Pensate, mentre stavamo lavorando a Quake sapevamo già che gli Esport erano una realtà; venivamo contattati da diverse persone che adoravano i Deathmatch competitivi in Doom e volevano gli stessi in Quake e quando uscì, essendo stato il presidente del Cyberathlete Professional League per 10 anni, abbiamo organizzato degli eventi a Dallas con una presenza di 5000 persone che guardavano match di Quake o Counter-Strike validi per dei grossi premi in denaro. […] Arrivati ad un certo punto siamo riusciti a dividere qualcosa come un milione di dollari per le diverse posizioni del torneo.».
«Questo avveniva già negli anni 90, gli Esport andavano fortissimo, sono cresciuti a dismisura, i giochi cambiavano ma arrivati ad un certo punto, a metà dei 2000, pensammo: “perchè non fare un gioco che non cambi ogni volta, così come il calcio rimane lo stesso da sempre? È un gioco che non cambia, è super-competitivo, le persone ci giocano da sempre, perchè non possiamo fare una cosa simile con gli Esport?” […] Il problema era che non c’erano sponsor per finanziare un simile gioco, dunque non si poteva fare nulla senza i fininanziamenti necessari.».
«Tutto ciò non avveniva e dunque si prendeva in condiderazione il gioco del momento; StarCraft lo è stato per anni ma adesso è il momento di League of Legends, è l’Esport del momento. Ci sono altri titoli alla quale la gente gioca ma questo è gigantesco e va fortissimo. È davvero un bel gioco ed è un po’ come il calcio, insomma, si basa sul gioco di squadra e si fruisce meglio degli altri giochi competitivi in cui si gioca individualmente. I giocatori volevano un qualcosa che si basasse sul gioco di squadra, un po’ alla Counter Strike, e così si è potuta fondare una lega e con essa team più grandi.».
«Penso che gli Esport siano molto fighi, ci sono un sacco di persone che li guardano, e prima o poi diventeranno più grandi ancora degli sport tradizionali, perchè puoi inserirti virtualmente come uno spettatore e goderti lo spettacolo. Perciò penso siano fanstastici… certo, l’industria non è interamente fatta di Esport, ma questi sono una cosa gigantesca, così come lo sarà l’Augmented Reality. È una grossa parte dell’industria videoludica ma non comprenderà mai l’intera industria.».



Wargames: l’uso militare dei videogame

«Le tecnologie che hanno dato forma alla nostra cultura sono sempre state sviluppate dalla guerra». Così scrive Ed Halter in From Sun Tzu to Xbox per spiegare come negli anni ’50 i primi super computer venivano utilizzati per i calcoli dei dati balistici per il lancio dei missili. Questi, prima dell’avvento dei computer, venivano fatti a mano e sembra abbastanza assurdo come una cosa così utile come un computer, sognato per ere ed ere dagli uomini, possa essere usato per generare conflitti. L’esercito americano contribuì ancora alla creazione dell’Electronic Numerical Integrator and Computer (ENIAC) che servì per gestire i calcoli per la detonazione della bomba ad idrogeno ma ancora i computer e l’elettronica in generale non erano ancora a disposizione di tutti. Negli anni ’70, ma più concretamente negli anni ’80, ci fu il boom delle arcade e l’arrivo dell’Atari 2600 nelle case degli americani. L’elettronica, anche se per scopi ludici, cominciava a essere alla portata di tutti e l’esercito, alla ricerca di nuovi metodi di addestramento e reclutamento, cominciò a cercare in questi software un qualcosa da poter sfruttare a loro vantaggio. Nel 1980 Battlezone di Atari uscì nelle sale giochi: diversamente dal tema sci-fi già visto in Space Invaders o in Galaxian, quest’ultimo più un simulatore che ci metteva alla guida di un carro armato. L’ambiente circostante era reso in 3D grazie ad un particolare uso della grafica vettoriale, molto innovativo per i tempi, e il tutto era visibile solamente attraverso il periscopio presente nel cabinato, il che rendeva l’immersione ancora più realistica. L’esercito americano ci vide bene e allora decise di trasformare il popolare cabinato in uno strumento di addestramento per le reclute; il simulatore di battaglia su carro armato fu trasformato in The Bradley Trainer, una versione rivisitata del popolare cabinato con dei controlli più realistici e più complessi, adatti dunque alla simulazione di battaglia, dei cambiamenti nel gameplay quali l’aggiunta di alcuni bersagli ed una rotazione più realistica attraverso un volante. The Bradley Trainer non fu mai rilasciato al pubblico e si dice siano esistiti solamente due esemplari di questo gioco: uno è andato perduto, l’altro è oggi parte della collezione privata di Scott Evans che, racconta, lo trovò fra i rifiuti nel retro della Midway Games.

Nel 1993, con la fine della guerra del Golfo, il governo americano fece dei drastici tagli al budget dell’esercito: i Marine temevano di perdere le risorse necessarie per allenare le proprie reclute. L’esercito vide in Doom, il popolarissimo first person shooter della ID Software che impazzava fra i giovani, una possibilità per simulare il combattimento e offrire un campo virtuale sulla quale esercitarsi; George Romero, creatore di Doom, aveva rivelato inoltre in un’intervista che i giocatori, qualora fossero stati in possesso delle abilità necessarie, erano liberi di modificare il gioco a loro piacimento. La Marine Corps Modeling and Simulation Management Office (MCMSMO) chiese e ottenne una copia commerciale di Doom e da lì sviluppò la mod che finì col diventare Marine Doom. In termini grafici la mod non era molto diversa dall’originale ma il centro del gioco stava nella collaborazione fra i giocatori, collegati in lan nella stessa stanza, e dunque nel raggiungimento dell’obbiettivo comune, come l’irruzione in un forte nemico o il salvataggio di degli ostaggi in un ambasciata straniera. La collaborazione era imperativa: infatti, prima di cominciare una missione, era importante stabilire chi fosse il caposquadra, i fucilieri e il mitragliere; in questo modo non si insegnavano solamente le tattiche e la cooperazione durante la battaglia ma anche come agire in base al proprio ruolo all’interno della squadra. La mod fu installata in ogni computer dei Marine in modo da estendere l’addestramento al di fuori dal campo di battaglia ma anche per svagare durante le ore libere; Marine Doom, anche se non fu usato come mezzo di reclutamento e propaganda, fu un ottimo mezzo per l’addestramento bellico e una mod ben riuscita tanto che, in seguito, questa fu adattata per Doom 2 e rilasciata al pubblico per l’aggiornamento 1.9.

L’attacco alle Twin Towers del 2001, una delle tragedie umane che più scossero il mondo, portò l’esercito americano a una nuova corsa alle armi e una nuova campagna di reclutamento. Poco dopo l’attacco, l’esercito cominciò una nuova campagna per il reclutamento nelle forze armate americane ma non sembrava andare benissimo. Le nuove campagne erano invasive e i giovani non volevano essere per niente risucchiati al loro interno. L’esercito a quel punto, per promuovere la vita all’interno dell’esercito produsse America’s Army: questo videogioco fu rilasciato gratuitamente il 4 Luglio 2002, anniversario dell’indipendenza americana, sia come download su internet sia come copia fisica (bastava andare in un centro di reclutamento nelle proprie città per ottenere il disco gratuitamente) e ben presto si costruì attorno una larga fanbase. America’s Army non era infatti il solito gioco sparatutto in cui i giocatori si incontravano e si giocava squadra contro squadra senza degli schemi ben precisi: in questo titolo, prima di potersi gettare nella mischia, era necessario seguire il campo di addestramento per ottenere le basi del combattimento per far sì di non girare a vuoto sulla mappa ed essere sempre d’aiuto ai propri compagni. Finito l’addestramento base era ancora necessario seguire dei corsi specifici per ottenere una specializzazione nel campo di battaglia, delle vere e proprie lezioni senza le quali non si poteva scendere in campo: i giocatori potevano specializzarsi nell’uso di delle armi specifiche, come i fucili d’assalto, le mitragliatrici o i fucili di precisione, oppure potevano specializzarsi nelle tecniche di primo soccorso ed essere comunque un pilastro portante della squadra. Così come in Marine Doom, era importantissimo capire i ruoli nel campo di battaglia e realizzare che ogni elemento è indispensabile per la squadra. Inoltre, differentemente dagli altri titoli FPS, l’obiettivo principale della missione che non era sempre l’eliminazione della squadra avversaria ma anche altri come il salvataggio degli ostaggi o la liberazione di dei civili o l’espugnazione di un forte nemico, anche ottenendo più punti facendo meno vittime possibili. I giocatori negli FPS spesso, specialmente in mancanza di comunicazione, sono dei cani sciolti e così come si gioca senza tattica si gioca anche senza conseguenze; durante un momento difficile, come quando si sta per perdere, i giocatori perdono la pazienza e tal volte, i più sciocchi, fanno vittime anche all’interno della propria squadra. Anche se non si muore effettivamente nel gioco, America’s Army punisce il giocatore di fronte l’ammutinamento o in presenza di comportamenti poco ortodossi: è possibile finire in carcere, che risponderebbe alla sospensione temporanea dell’account, o persino la cancellazione se questi comportamenti sono ripetuti più e più volte. America’s Army è stato accolto positivamente da critica e giocatori tanto che la serie dura a tutt’oggi; l’ultimo titolo della saga è America’s Army: Proving Grounds uscito originariamente su PC e da poco arrivato anche su PS4, confermando così l’amore dei fan verso questa serie videoludica spesso sottovalutata. Tuttavia non mancano le critiche da parte di gente contraria a mettere giovani sotto i 18 anni di fronte a uno strumento di reclutamento come America’s Army, teorici dei media e persino il gruppo dei veterani per la pace che non solo vedono l’esercito americano “arrivato alla frutta” in quanto propaganda bellica ma anche di come questo titolo fallisca ad evidenziare cosa sia veramente importante all’interno di un esercito; per quanto le armi possano essere affascinanti e il combattimento, dietro uno schermo, divertente ci si dimentica che un esercito debba portare l’ordine e la pace ed un videogioco, seppur senza conseguenze, ha sempre come fulcro la competizione fra i giocatori.

Con America’s Army l’esercito poteva vantarsi di preparare i giocatori per il campo di battaglia e la vita militare ma lo stesso non si poteva dire per alcune situazioni: l’esercito, così come i veterani per la pace ci ricordano, dev’essere un corpo che deve portare ordine e sempre pronto a servire il più debole ed ascoltare i civili. Con l’arrivo della guerra in Iraq i soldati dovevano essere pronti a trattare con i civili in quanto le differenze culturali sono parecchie e bisognava dare un’immagine del esercito più positiva possibile. Gli eserciti non sono estranei a queste prassi: sin dalla seconda guerra mondiale, l’esercito ha sempre messo su dei brevi corsi intensivi per la lingua e lezioni di cultura e di comportamentismo per mettere i soldati in condizione di comunicare con i civili o mandare segnali di soccorso. Cambiano i mezzi ma non la sostanza: Tactical Iraqi, incluso nella piattaforma per militari DARWARS, includeva delle lezioni di lingua araba (con le sfumature irachene) utili per i soldati e, una volta finiti i corsi, si potevano mettere in atto non solo le capacità linguistiche ma anche i comportamenti da adottare in presenza di civili e dunque rendere la comunicazione più rispettosa e pacifica possibile. Si veniva messi difronte a diverse situazioni in 3D, conversazioni con gente di tutte l’età ed estrazione sociale e perciò bisognava comportarsi di conseguenza: ad esempio, in presenza di adulti bisognava sempre togliersi occhiali e cappello prima di parlare (non farlo sarebbe stato poco rispettoso) e mai fare il gesto del pollice in su, in Medio-Oriente considerato un segno di mancanza di rispetto e maleducazione. Con i più piccoli era invece necessario abbassarsi e ci si poteva permettersi giusto un po’ più scherzosi, e così via.

Gli Stati Uniti non furono gli unici a utilizzare i videogiochi come mezzo di propaganda: in Siria infatti è stato sviluppato Under Siege, un titolo ambientato nella seconda intifada e in cui si può combattere a fianco dell’esercito della liberazione palestinese e dunque contro le forze armate israelite. Similarmente, in Iran è stato sviluppato Special Operation 85, dove si vestono i panni dell’agente segreto Bahram Nasseri per liberare due ingegneri nucleari imprigionati in Israele. Caso invece molto simile ad America’s Army è invece Glorious Mission, titolo che promuove la vita e l’arruolamento nell’esercito della liberazione popolare cinese. Quest’ultimo titolo può vantarsi di avere una vastissima utenza di 300 milioni di giocatori, un numero che surclassa i 13 milioni di America’s Army, e che, come la controparte americana, ha generato altre controversie. Secondo i media russi i nemici presenti nel gioco somigliano molto a dei soldati americani; di tutta risposta un rappresentante del Ministero della Difesa cinese ha risposto che lo sviluppo del gioco non è una propaganda di odio verso nessun paese e che i media dovrebbero astenersi da ogni qualsiasi assurda speculazione.

Il mercato è pieno di titoli di combattimento simulato. A detta di alcuni veterani dell’Iraq, Call of Duty: Black Ops 2 e Modern Warfare sono i giochi che meglio restituiscono l’esperienza della guerriglia in quanto, nelle battaglie, è possibile attuare sia degli approcci sia furtivi che approcci di impatto; gli stessi istruttori consigliano di giocare a questi titoli per estendere l’addestramento e provare nuove tattiche di battaglia. Tuttavia, sempre a detta degli stessi veterani, può dubitarsi dell’efficacia di questi come mezzi di reclutamento in quanto i giocatori non saranno mai veramente preparati per i traumi della guerra: l’istinto di sopravvivenza, la violenza o perdere i propri compagni sono cose che non si imparano di fronte ad un computer. Inoltre non ci sono mai delle vere conseguenze a delle azioni sbagliate: sparare ad un civile, fallire una missione non comporta nessun problema se non perdere punteggio nella graduatoria del gioco. Un soldato, riguardo agli FPS, pare abbia detto: «Nei videogiochi, quando perdi un avatar ricominci. Nella vita reale, quando qualcuno muore l’hai perso per sempre. Da sopravvissuto lo devi seppellire, e dopo devi anche chiamare sua moglie.». Questi meccanismi logorano non solo i familiari delle vittime nei combattimenti a fuoco ma chi sopravvive dovrà fare i conti con queste esperienze per sempre.

La realtà virtuale arriva in soccorso persino per risolvere questi problemi: SimCoach ci mette di fronte a un avatar 3D che aiuterà a superare lo stress post traumatico e la depressione solita nei veterani di ritorno a casa; il programma si pone come un luogo sicuro, un posto dove si può parlare in totale tranquillità dei propri problemi una volta tornati a casa. SimCoach offre all’utente delle risposte basate sulle esperienze di altri veterani e familiari che hanno vissuto e sopportato queste terribili esperienze e, digitando in un corretto inglese, il coach potrà aiutarci a superare i nostri problemi personali e sociali. Software come questo ci ricordano che è molto meglio impugnare i controller che le armi vere e proprie e che se proprio si vuol far la guerra è meglio farla dal divano di casa nostra.




Doom arriva su Nintendo Switch

Id Software  ha appena annunciato che la versione Switch di Doom arriverà nei negozi americani il 10 Novembre. Nintendo aveva già dichiarato che il titolo sarebbe stato accompagnato da un’altra importante IP  degli stessi sviluppatori: Wolfenstein 2.
Doom  su Nintendo Switch godrà della campagna single-player completa e di tutti i livelli di difficoltà inclusa la ultra-nightmare; i giocatori potranno inoltre scegliere di giocare in modalità arcade e in multiplayer con il death match a squadre e la classica modalità capture flag. Infine il titolo sarà corredato da 18 mappe  e tutti i contenuti DLC finora rilasciati.




I benchmark di AMD Radeon Rx Vega riescono a raggiungere la GTX 1080

AMD ha appena rilasciato dei benchamark relativi alle prestazioni delle nuovissime AMD Radeon RX Vega 64. Questi test hanno fatto totalizzare alla nuova VGA di casa AMD ben 10 FPS in più rispetto alla 1080 Founder’s Edition di NVIDIA e circa 16 fps in più di AMD Fury X in DOOM, test effettuati in risoluzione 1440p. La squadra che ha testato e stressato queste schede video ha utilizzato come API, Vulkan anziché OpenGL, non arrecando vantaggio a nessuna VGA, dato che sia Nvidia che AMD beneficiano di questa API.

AMD ha anche testato altri otto giochi e ha concluso che l’AMD Radeon RX Vega 64 è quasi paragonabile alla GTX 1080 di casa Nvidia. I giochi che sono stati testati sono: Ashes of the Singularity, Battlefield 1, Deus Ex: Umanità divisa, Forza, Gears of War, Hitman, Sniper Elite 4 e Warhammer.Sicuramente sono stati testati altri giochi, ma in questo momento non sono stati ancora rilasciati nuovi benchmark, che con molta probabilità vedremo nei prossimi giorni.
L’AMD Radeon RX Vega 64 sarà disponibile il 14 agosto, mentre l’AMD Radeon RX Vega 56 sarà disponibile successivamente.




Annunciato Night Trap: 25th Anniversary Edition

Se credete che David Cage abbia inaugurato un filone di videogiochi molto vicini alla cinematografia, tanto che i suoi titoli vengono considerati dei film interattivi, vi sbagliate di grosso: il 1992 è stato infatti l’anno del controverso Night Trap, uscito su 3DOSEGA Mega CD e PC, che fin da subito fece scalpore, in quanto fu uno dei primi tentativi di portare un film interattivo al grande pubblico e poteva contare anche sulla presenza di Dana Plato (famosa per aver interpretato Kimberly Drummond ne Il mio amico Arnold). Il titolo, estremamente violento, contribuì, assieme a Doom e Mortal Kombat, altri titoli dell’epoca, alla realizzazione dell’ESRB, il primo sistema di classificazione dei videogiochi in base all’età.
Adesso, dopo ben 25 anni, è arrivato il momento di rispolverarlo. È stata infatti annunciata una nuova riedizione che arriverà su PS4 e PC il 15 Agosto mentre non è ancora stata annunciata una data per quanto riguarda Xbox.
Può essere sicuramente una buona occasione per recuperare un titolo che in parte ha cambiato il mondo videoludico.




Top 7: i peggiori film tratti da videogiochi

È difficile trovare un lungometraggio tratto da un videogioco che accontenti tutti. Abbiamo quindi deciso di passare in rassegna i peggiori, che consigliamo caldamente di non guardare.

#7 SUPER MARIO BROS – 1993

Le origini di tutto: Super Mario Bros ha aperto la strada ai film basati su un videogioco ed è considerato uno dei peggiori film di tutti i tempi nonostante vanti la presenza di Bob Hoskins e Dennis Hopper.
La trama si distacca molto da quanto siamo abituati a vedere e di certo non è l’unico difetto: pessimo make-up, personaggi mal caratterizzati e dialoghi imbarazzanti sono solo esempi di un progetto mal riuscito e soprattutto partito male. Per arrivare alla stesura finale del copione passarono, infatti, circa tre anni nei quali nessuno degli sceneggiatori seppe costruire una trama basata sul famoso videogioco. E il risultato è evidente: un flop sotto tutti i punti di vista.

#6 MORTAL KOMBAT: DISTRUZIONE TOTALE – 1997

Dopo il primo film del 1995 – volendo accettabile – nel ’97 Mortal Kombat torna con un sottotitolo che la dice lunga su quanto si è cercato di fare col precedente film: Distruzione totale.
In questo secondo capitolo assisteremo al susseguirsi di vicende confuse nonostante un discreto incipit, attori probabilmente in vacanza e nonsense in quasi tutti i minuti della pellicola. Nonostante gran parte del cast del primo film sia stata accantonata e sostituita, nessuno notò la differenza, in quanto personaggi che dovevano essere fondamentali non risultarono tali, lasciando perplesso lo spettatore anche sul perché della loro presenza. Ma il peggio è riservato agli effetti speciali, pessimi e spesso ridondanti, essendo utilizzati anche quando non fosse necessario. Un po’ come le esplosioni nei film di Micheal Bay.

#5 DOOM – 2005

I 100 minuti più lunghi della vostra vita: tentativo di abbattere le barriere tra cinema e videogioco, Doom ci riesce per una manciata di minuti solo quando diventa un FPS con brutti effetti speciali. Ispirato al Doom meno riuscito, il terzo, questo film vede come protagonista The Rock che, prima di lanciarsi su The Fast and Furious, ha deciso di prestarsi in una trama più realistica: una base scientifica su Marte circondata da zombie. Chiudendo un occhio sulle caotiche sparatorie – e in un film che si ispira a un FPS è quanto dire – il film risulta scialbo, scontato e quanto di più banale si possa volere.

#4 ALONE IN THE DARK – 2005

Il 2005 è il turno di Alone in The Dark, che oltre a essere pessimo – e, del resto, altrimenti non sarebbe in lista – riesce a risultare anche insignificante: bastano appena dieci minuti per cominciare a provare una certa sonnolenza, tendenza che non migliora nel corso del film . Sceneggiatura, regia, fotografia e Tara Reid risultano senza mordente facendoci pensare che del videogioco abbiano preso soltanto il titolo.

#3 STREET FIGHTERS: THE LEGEND OF CHUN-LI – 2009

Tutti conosciamo Chun-Li, una bella ragazza cinese dell’Interpol dotata della capacità di tirar calci a una velocità disumana. Tutto questo, nel film, è stato affidato adun’attrice che rappresenta la massima espressione del casting mal riuscito: Kristin Kreuk. Durante il corso della pellicola la sua interpretazione risulta insipida e assolutamente fuori contesto. Il film in sé riprende solo qualche nome e qualche colpo della famosa saga di picchiaduro, facendo rimpiangere il lungometraggio del 1994 con Jean Claude Van Damme.

#2 BLOODRAYNE – 2005

Di BloodRayne – diciamoci la verità – ci importa solo della protagonista, con quella sensualità micidiale alla Eva Green, qui interpretata da Kristanna Loken, che però non raggiunge nemmeno un decimo del carisma della protagonista del videogioco. In un film che vede la presenza di Ben Kingsley e Michelle Rodriguez, la storia pare proseguire a caso. Questo, e tanti altri difetti, hanno permesso al film, di ricevere ben cinque nomination ai Razzie Awards: peggior attrice protagonista, peggior attrice non protagonista, peggior attore non protagonista, peggior regia e peggior sceneggiatura.
Oltre a un meritato secondo posto in questa top.

#1 TEKKEN – 2009

Ambientato nella città di Tekken City (?), la Tekken Corporation (?) sponsorizza un torneo chiamato Iron First, dove i combattenti lottano tra loro per ottenere celebrità e prestigio, anche mediante l’utilizzo di armi bianche (?). Decide di partecipare anche Jin Kazama, che cerca vendetta nei confronti di Heihachi Mishima. Già a partire dall’incipit si possono notare errori grossolani e alcune mancanze gravi che sono una caratteristica assodata del videogame come il gene Devil. Resta inspiegabile poi come le coreografie dei combattimenti risultino tremendamente confuse e soprattutto slegate da quanto siamo abituati a vedere e soprattutto giocare. Sicuramente è tra le peggiori trasposizioni cinematografiche di un videogioco ma, purtroppo, non c’è mai limite al peggio.

#Bonus TEKKEN 2: kazuya’s revenge

E con il sequel si è, infatti, riusciti addirittura a far peggio: Tekken 2 si presenta come un prequel ma molte delle vicende narrate risultano in totale contrasto con quanto visto nel film precedente. Tutto è incentrato su Kazuya Mishima, uno dei personaggi più carismatici mai creati, letale e senza un minimo di moralità, almeno nel videogioco. Nel film è un inetto il cui intento principale è passeggiare. Tralasciando qualche nome preso dalla saga e gettato a caso all’interno della sceneggiatura, il film non ha nulla a che fare con Tekken, anche perché non ci sono combattimenti.