Il dito e la luna: fraintendere il videogame

Ormai avrete sentito tutti parlare della strage di Christchurch, avvenuta il 15 marzo scorso per mano del ventottenne australiano Brenton Tarrant: ha attaccato due moschee della città neozelandese e ucciso un totale di 50 persone, stando ai bilanci attuali. Il motivo dell’attacco? Contrastare la “sostituzione etnica” che in questo momento starebbe dilagando in tutto il mondo, come lui stesso spiega nel suo manifesto pubblicato su 8chan, piattaforma su cui tra l’altro aveva annunciato l’attentato.
Pensare che così tante persone siano morte è ovviamente raccapricciante, ma chi bazzica spesso le zone più “remote” dell’internet sa bene che il mondo è pieno di estremisti di ogni sorta, dai nazionalisti agli anarchici, dagli islamici ai cristiani, maschilisti (i cosiddetti Incel o i Redpill), nazisti e chi più ne ha più ne metta; non è dunque così assurdo pensare che un evento del genere prima o poi, ahimè,  accada.

Ma ciò che rende questo attacco così particolare è la presenza di piccoli elementi che lo rendono il perfetto, archetipale esempio di “live streaming terrorism”: il tutto è stato filmato con una videocamera montata sulla testa di Brenton e mandato in diretta su Facebook, con tanto di musica di sottofondo e citazione al meme “Iscrivetevi a Pewdiepie” prima dell’inizio della sparatoria. Forse è stata proprio la visuale in prima persona ad aver dato adito a molti giornali e testate (quantomeno italiane) che hanno paragonato il fatto, per l’ennesima volta, a un videogioco sparatutto. Non è un caso che il videogame si trovi anche all’interno del manifesto nazionalista prima citato, dove l’autore afferma, in modo evidentemente provocatorio, che Fortnite gli avrebbe insegnato a essere un killer mentre Spyro 3 gli avrebbe trasmesso il suo spirito nazionalista.
Insomma, credibile quanto un comizio di Salvini, e l’accostamento non è causale, visto che anche qui qualcuno gli ha creduto davvero, prendendo per veri i deliri – chiaramente di matrice troll – di un estremista della destra più becera. Numerosa letteratura scientifica ha appurato in questi anni come il videogame non porti a diventare assassini, o stupratori, né come si diventi neanche bravi cecchini (anzi, vari studi ritengono che apporti numerosi miglioramenti dal punto di vista cognitivo e intellettivo).
Se qualcuno ha intenzione di compiere una strage, non si allena su Call of Duty o Fortnite, sa già esattamente dove far pratica dal vivo e come ottenere tutto il necessario. Se qualcuno prova piacere nello stuprare una ragazza, di certo non l’ha scoperto grazie a Rapeplay (gioco recentemente bloccato da Steam che ha come colpa principale la morbosità e il cattivo gusto) e difficilmente invoglierà persona al male: il male e la criminalità esistono da molto tempo prima dell’invenzione dei videogame.
Puntare il dito verso il videogioco serve solo a demonizzare il media distraendo forse dai veri problemi: è soffermarsi a guardare il dito mentre questo indica la luna. Nel frattempo, 49 persone hanno perso la vita, l’umanità ha dato ancora una volta prova della sua crudeltà, e forse non ci si è soffermati abbastanza sulle cause, sul clima d’odio e xenofobia che prolifera nella nostra epoca.

Bisogna ancora imparare a farsi le domande giuste, e forse bisogna valutare adeguatamente il ruolo del medium nella nostra epoca, ora che tratta temi importanti, ora che molti videogame non sono più intrattenimento, ma opere compiute.