Dusty Rooms: uno sguardo al MSX

L’obiettivo di questa rubrica è principalmente quello di far scoprire quelle parti di retrogaming curiose, interessanti e, possibilmente, non ancora prese in esame. Oggi, qui a Dusty Rooms, daremo uno sguardo ai computer MSX, un sistema ancora non comune e che forse non lo sarà mai, probabilmente per via della sua scheda madre, un prodotto da vendere su licenza a terze parti affinché la producessero con i loro mezzi. Certo, il Commodore 64, l’Amstrad, l’Apple II e i computer Atari sono stati sicuramente i più popolari negli anni ’80 ma se oggi lo scenario dei personal computer è come lo conosciamo, lo si deve principalmente a queste favolose macchine MSX che finirono per dettare degli standard in quanto a formati e reperibilità dei software. Per capire l’innovazione portata da questi computer, utili sia per il gaming che per la programmazione, bisogna dare uno sguardo allo scenario tecnologico di quegli anni.

Non fare il Salame! Compra un computer!

Negli anni ’80 i computer cominciarono a far parte della vita di milioni di persone e, sia in termini di costi che di dimensioni, erano decisamente alla portata di tutti; in Nord America si assistette a un’impennata per via del crollo del mercato dei videogiochi del 1983, in quanto i genitori erano più propensi a comprare un PC per i loro figli con la quale poter sia giocare che studiare, e in Europa, e molte altre parti del mondo, avevano preso piede ancor prima delle console rudimentali come Atari 2600, Philips Videopac (Magnavox Odyssey 2 in Nord America) o il Coleco Vision. Tuttavia, in negozio, scegliere un computer rispetto a un altro era un impresa tutt’altro che facile: ogni macchina era in grado di leggere videogiochi e eseguire programmi gestionali, creativi o educativi ma, ogni compagnia, proponeva il proprio sistema e linguaggio di programmazione e perciò, senza uno standard, la compatibilità fra le macchine era pressoché nulla; il tutto era aggravato inoltre dalle centinaia di pubblicità che proponevano sempre il loro computer come il più veloce e generalmente migliore rispetto alla concorrenza. Lo scenario era ben diverso da quello odierno in cui sono presenti principalmente due sistemi operativi dominanti e, indipendentemente dal modello fisico che si prende in esame, è molto più facile orientarsi in un mercato che dà meno alternative e in cui la compatibilità è sempre più ampia.

(Pensate, compravate un Commodore 64 per la vostra azienda ma poi, una volta a casa, accendevate la TV e c’era Massimo Lopez che vi proponeva il suo migliore computer SAG e voi entravate in paranoia!)

Negli anni ’70 un giovane Kazuhiko Nishi, studente dell’Università di Waseda, cominciava a interessarsi al mondo dei computer, software ed elettronica con il sogno di costruire una console con i propri giochi e poterla rivendere ma, dopo una visita alla fabbrica della General Instruments, capì che non poteva comprare dei chip in piccole quantità per poter sperimentare e perciò dovette rinunciare momentaneamente al suo sogno. Cominciò a scrivere per alcune riviste d’elettronica affinché potesse mettere a disposizione la sua conoscenza per la programmazione ma, se voleva trarne il massimo vantaggio da questa attività, doveva necessariamente fondare una sua compagnia e fare delle sue pubblicazioni. Dopo aver lasciato l’università, Nishi fondò la ASCII per poter pubblicare la sua nuova rivista I/O, che trattava di computer, ma nel 1979 la pubblicazione cambiò nome in ASCII magazine che si interessava più generalmente di ogni campo dell’elettronica, inclusi i videogiochi. Con il successo della rivista Kazuhiko Nishi poté tornare al suo progetto originale, ovvero creare una macchina tutta sua, ma per farlo aveva bisogno di un linguaggio di programmazione; egli contattò gli uffici Microsoft riuscendo a parlare, con la prima telefonata, con Bill Gates e più tardi, quello stesso anno, riuscirono a incontrarsi. Entrambi avevano la stessa passione per l’elettronica, più o meno lo stesso background sociale (entrambi avevano lasciato gli studi accademici) e dopo diversi meeting aderirono per fare del business assieme. ASCII diventò la rappresentante di Microsoft in Giappone e Kazuhiko Nishi divenne vicepresidente della divisione giapponese della compagnia americana. Grazie a questa collaborazione Nishi poté inserire il BASIC nel PC 8000 di Nec, la prima volta che veniva incluso all’interno di un computer, ma nel 1982, quando Harry Fox e Alex Weiss raggiunsero Microsoft per poter creare dei software per il loro nuovo computer chiamato Spectravideo, egli vide le basi per coniare il suo progetto iniziale e cominciare a produrre una linea di PC compatibili fra loro visto che la macchina era costruita intorno allo Zilog Z80, un processore che faceva da punto in comune fra diversi computer e persino console (essendo incluso nel Coleco Vision, console che, prima dell’avvento del NES, andava molto forte). Kazuhiko Nishi voleva che il suo computer fosse piccolo, come quelli che aveva prodotto alcuni anni prima per Kyocera, doveva contenere almeno uno slot per delle cartucce ROM, essere facilmente trasportabile ed espandibile e doveva contenere una versione di BASIC migliore dei computer IBM; così composto era la sua perfetta visione di computer in grado di poter garantire uno standard fra queste macchine. Poco dopo Nishi contattò tutte le più grandi compagnie giapponesi come Casio, Mitsubishi, Fujitsu, Kyocera, SonySamsung e Philips, rispettivamente, che decisero di investire in questo nuovo progetto; fu così che nacque lo standard MSX.

(Kazuhiko Nishi e Bill Gates)

Software per tutti!

Come abbiamo già detto, le macchine MSX nascono dall’unione di ASCII e Microsoft nel tentativo di fornire uno standard per i manufattori di PC. Era parere comune, ai tempi, che “MSX” stesse per “MicroSoft eXtended” ma Kazuhiko Nishi, più tardi, smentì queste voci dicendo che la sigla stava per “Machine with Software eXchangeability“. Con questo nuovo standard, tutti i computer che esponevano il marchio MSX erano dunque compatibili fra loro; perciò, cosa rendeva un’unità uguale a un’altra? Per prima cosa la CPU 8-bit Zilog Z80A, chip creato dall’italiano Federico Faggini e che ne costituisce il cervello della macchina, poi abbiamo la VDP (Video Display Processor) TMS9918 della Texas Instrument che offre una risoluzione di 256 x 192, 16 colori per sprite di 32 pixel, il chip sonoro AI36910 della Yamaha che offre tre canali e tre ottave di tonalità e infine la ROM di 32kb contenente il BASIC di Microsoft; il computer è comprensivo di tastiera ed è possibile attaccare mangianastri, strumento essenziale per i computer dell’epoca, lettore floppy, almeno una porta per i joypad e ha anche una porta d’espansione. Tipico di molti MSX era un secondo slot per le cartucce che, inserendone una seconda, permetteva miglioramenti, cheat e persino espansioni per un determinato software (dopo vi faremo un esempio). Per via delle diverse aziende che producevano i computer MSX è difficile arrivare a un numero preciso di computer venduti nel mondo ma, per darvi un idea, nel solo Giappone sono stati venduti ben cinque milioni di computer, praticamente la migliore macchina da gaming prima dell’arrivo del Famicom. Le macchine ebbero successo anche in altri paesi come Olanda, Spagna, Brasile, Corea del Sud, Arabia Saudita e persino in Italia e Unione Sovietica. Al fine di proporre una macchina sempre più potente, ci furono ben altre quattro generazioni di MSX: MSX2, rilasciato nel 1985, MSX2+, nel 1988, e MSX TurboR nel 1990. La differenza nelle prime tre stava nel nuovo processore Z80 che poteva permettere molti più colori su schermo e una velocità di calcolo maggiore, mentre l’ultimo modello presentava un processore 16-bit R800 ma purtroppo, essendo a quel punto rimasta solamente Panasonic a produrre gli MSX, non fu supportato a lungo. Come abbiamo accennato, i computer MSX erano le macchine dominanti per i videogiochi casalinghi in Giappone, anche se per poco tempo visto che il Famicom arrivò poco dopo, lo stesso anno; tuttavia, nonostante il dominio generale della console Nintendo, il sistema fu supportato fino all’ultimo e tante compagnie, come Hudson Soft e Compile, sfruttarono ogni capacità di questa curiosa macchina; l’eccezione va fatta per Konami che, nel 1983, fondò un team dedicato per produrre giochi su MSX, un anno prima di firmare per Nintendo. Finita la festa, nel 2001 Kazuhiko Nishi ha annunciato il revival del MSX rilasciando liberamente l’emulatore MSXPLAYer, dunque, eticamente, siamo liberi di goderci questi giochi sul nostro PC (anche perché il Project EGG, una piattaforma simil Steam per i giochi per computer giapponesi, qui non c’è); tuttavia, nulla vieta di recuperare l’hardware originale anche se dovete tener conto dell’alto prezzo dei giochi; un’ultima buona alternativa è recuperare la Konami Antiques MSX Collection per Sony PlayStation e Sega Saturn che vi permetterà di giocare a molti titoli (la versione per la prima è divisa in quattro dischi mentre la seconda include tutti i giochi). Diamo uno sguardo a 10 giochi essenziali di questa macchina (ci scusiamo in anticipo se la maggior parte dei giochi saranno Konami!).

10. King’s Valley 2

Un platformer che unisce elementi puzzle alla Lode Runner. Per procedere ai livelli successivi servirà collezionare tutte le pietre dell’anima sparse negli stage utilizzando i vari strumenti presenti, cui potremmo utilizzarne solo uno per volta. Man mano che si procede, gli scenari diventeranno sempre più grandi e difficili perciò non bisogna prendere questo gioco sottogamba. Una feature interessante, molto avanti per i suoi tempi, era l’editor dei livelli: una volta completati si potevano salvare in un floppy e scambiarli con gli amici.

9. Treasure of Usas

Un action platformer poco conosciuto ma comunque molto curioso che potrebbe interessare molto ai fan di Uncharted e Tomb Raider. Wit e Cles sono due cacciatori alla ricerca del tesoro di Usas e dovranno attraversare cinque città antiche per poterlo ritrovare. Il primo ha una pistola e migliori abilità nel salto mentre il secondo è un maestro di arti marziali e più agile. Le loro abilità sono migliorabili collezionando le monete negli stage e il gioco presenta la curiosa meccanica degli umori:  nello stage infatti, sono sparse le cosiddette carte dell’umore che, una volta raccolte, cambieranno i nostri attacchi. Una vera chicca se siete amanti di Castlevania o Mega Man.

8. Penguin Adventure

A Hideo Kojima game… ebbene si! Prima di Snake e i loschi tipi di Death Stranding (di cui non sappiamo ancora nulla) il noto programmatore ha prodotto questo gioco “puccioso” in cui dobbiamo far riunire Pentaro alla sua amata principessa. Nonostante il gioco abbia una struttura arcade apparentemente semplice, ovvero una sorta di platformer automatico simil 3D  (oggi potremmo definirlo un runner per smarphone), questo gioco ha molte meccaniche intriganti come un in-game store, warp zone, tanti easter egg e persino un finale alternativo. Mai giudicare un libro dalla sua copertina!

7. King Kong 2

Essendo liberamente ispirato al film King Kong Lives (o King Kong 2), controlleremo Hank Mitchell alla ricerca di Lady Kong. Raccomandiamo questo titolo ai fan del primo The Legend of Zelda in quanto molto simile e con tante caratteristiche interessanti che lo rendono davvero un bel gioco. Siate sicuri di trovare la rom patchata” poiché non è mai stato rilasciato in Europa.

6. Vampire Killer

Sembrerebbe un porting per MSX2 di Castlevania per NES ma così non è; sebbene il gioco abbia più o meno la stessa grafica, esso presenta un gameplay totalmente diverso. Questo titolo, anziché concentrarsi nelle sezioni di platforming, è più basato sull’esplorazione e il puzzle solving: per avanzare bisognerà trovare la skeleton key e per farlo ci serviranno armi, oggetti e chiavi per aprire forzieri contenti power up che si riveleranno utili allo scopo. Il gioco ha un pacing ben diverso dall’originale per NES ed è raccomandato ai giocatori più pazienti (anche perché le vite sono limitate e mancano i continue) ma anche ai più accaniti fan della saga.

5. Aleste

Unico gioco non Konami di questa lista, è uno shoot ‘em up sensazionale di Compile; uscito originariamente per Sega Master System, questa versione presenta due stage extra e una difficoltà più abbordabile. Di questo gioco stupiscono principalmente la grafica, la strabiliante colonna sonora resa con un chip FM montato sulla cartuccia e l’azione velocissima (tipica della serie) che da vita a battaglie in volo spettacolari. Provare per credere!

4. The Maze of Galious – Knightmare II

Concepito originariamente per competere con Zelda II: The Adventure of Link, The Maze of Galious è un difficilissimo metroidvania per i più allenati. In questo popolarissimo titolo per MSX, bisognerà esplorare un castello immenso alla ricerca delle dieci sub aree, dove risiedono demoni da sconfiggere, ma anche degli oggetti sparsi nel castello che espanderanno le abilità dei nostri Popolon e Aphrodite. The Maze of Galious è il secondo titolo della saga Knightmare, il cui primo titolo era un top down shooter alla Ikari Warriors e il terzo un RPG (per MSX2), ed è certamente il più bello. Nel 2002, questo titolo è stato soggetto di un curioso remake non ufficiale e il suo acclamato gameplay è stato ripreso nel similissmo La Mulana, considerato il suo sequel spirituale. Se siete fan dei metroidvania questo è certamente un titolo da giocare, anche per coloro che apprezzano le vere fide come Ghosts ‘n Ghouls, il già citato Zelda II o, chissà, magari anche Dark Souls! Vi raccomandiamo di giocarci con un walkthrough o almeno una mappa del castello; se siete dei masochisti fate pure senza!

3. Nemesis 2 e 3 + Salamander

Un pari abbastanza assurdo ma vi assicuriamo che non c’era modo per rendere giustizia a questi tre spettacolari titoli. I primi due sono dei sequel di Gradius mentre il Salamander proposto su MSX è completamente diverso dalla controparte per NES. Questi titoli della saga di Gradius su MSX presentano, insieme a delle colonne sonore squisite espresse con l’esclusivo chip SCC, un gameplay profondissimo attraverso power up espandibili, oggetti e sezioni bonus nascosti nei livelli e lo storytelling più dettagliato della saga. In Salamander, inoltre, per ottenere il finale migliore bisognerà inserire la cartuccia di Nemesis 2 nel secondo slot per completare il vero livello finale e mettere fine alla minaccia dei bacterion; altro che DLC e Amiibo! Nemesis 2 e Salamander sono i titoli più difficile mentre Nemesis 3: The Eve of Destruction è il più accessibile, perciò, se volete provarli, vi consigliamo di partire da lì. Tuttavia, dovrete abituarvi allo scrolling “scattoso” di questi titoli in quanto gli MSX, prima della seconda generazione, non erano in grado di offrire un’azione fluida e senza problemi;

2. Metal Gear e Metal Gear 2: Solid Snake

È più che risaputo che la saga di Metal Gear ha origini nel MSX2 e che quelli per NES non sono i veri punti iniziali della saga (per Snake’s Revenge, sequel non canonico del primo titolo, Hideo Kojima non era neppure stato chiamato per lo sviluppo del gioco). Entrambi i Metal Gear, soprattutto il secondo, sono dei giochi incredibili per essere dei giochi in 8-bit e, nonostante in molti ignorino questi due titoli, sono fondamentali per la fruizione dell’intera saga. Molte degli elementi visti in Metal Gear Solid come le chiavi sensibili alla temperatura, l’assalto all’interno dell’ascensore, l’abbattere l’Hind-D con i missili stinger e lo sgattaiolare nei condotti d’aria erano già stati introdotti in Metal Gear 2: Solid Snake; altri due titoli immancabili per MSX e giocabili persino in Metal Gear Solid 3: Subsistence. Non avete scuse per non giocarli!

1. Space Manbow

Questa rubrica si chiama Dusty Rooms e, pertanto, lo scopo è quello di farvi riscoprire titoli dimenticati e particolarmente interesanti; considerate quest’ultima entrata come un nostro personale regalo. Space Manbow è uno shoot ‘em up strabiliante pieno d’azione e retto da una grafica dettagliatissima per essere un gioco 8-bit, una colonna sonora spettacolare resa col chip SCC e un gameplay vario e mozzafiato, reso ancora più intrigante grazie allo scrolling fluido del MSX2 (cosa di cui i titoli di Gradius non poterono godere). Nonostante le lodi di critica e fan, Space Manbow rimane, a tutt’oggi, relegato a MSX e Konami, al di là di qualche cameo in qualche altro titolo, non ha mai preso in considerazione l’idea di un sequel (anche se ne esiste uno non ufficiale fatto dai fan uscito tanti anni dopo su MSX2), né allora né tanto meno adesso. Diamo a questo capolavoro l’attenzione che merita!

Honorable mentions

Che dire? Dieci posizioni sono veramente poche per una console che ha dato così tanto ma qui, vi vogliamo dare un altro paio di titoli da rivisitare su MSX:

  • Snatcher & SD Snatcher: altri due titoli di Hideo Kojima. Il primo è una visual novel mentre l’altro ricalca la stessa storia ma in veste RPG. Recuperate il secondo su MSX2 ma giocate Snatcher altrove in quanto la versione per MSX è incompleta e inconcludente.
  • Xevious: Fardraut Saga: da un semplice coin-op per arcade a uno SHMUP moderno con trama ed espansioni varie. Un titolo decisamente da recuperare!
  • Eggerland 2: il secondo gioco della saga di Lolo e Lala. Un puzzle game da capogiro per riscoprire le origini dello studio Hal.
  • Ys (I, II & III): una delle saghe RPG più strane e sottovalutate di sempre. Giocare questi titoli su MSX non è raccomandabile per via della barriera linguistica ma il loro aspetto su questo computer è decisamente sensazionale.
  • Quarth: un puzzle game Konami molto interessante che metterà alla prova il vostro ingegno. Un’altro bel gioco da recuperare

(Per finire, vi lasciamo con questa bella intervista con Bill Gates e Kazuhiko Nishi riguardo i computer MSX)

(E questa fantastica pubblicità italiana!)



Speciale E3: Annunciato il remake di Resident Evil 2

Parte di questa conferenza è sicuramente all’insegna del gore, e Resident Evil non poteva non mancare. Tra topi, zombie e cadaveri dilaniati, ecco che spunta l’immancabile protagonista: Leon Scott Kennedy. Resident Evil 2 uscirà il 25 gennaio 2019.




Capcom rinnova nuovamente il marchio per Deep Down

Uno dei titoli più attesi al lancio di PS4, tanto da essere presentato al grande pubblico in contemporanea, fu Deep Down, sviluppato da Capcom con il nuovo motore grafico Panta Rhei. Successivamente però, tra 2013 e 2014, non se ne seppe più nulla, a parte i costanti rinnovi del trademark da parte della software house, che sarebbero scaduti definitivamente questo mese, come da legge statunitense per i diritti commerciali. Ma a quanto pare, il nome è stato registrato ex-novo, il che potrebbe significare che il progetto è ancora in fase di sviluppo. L’ultima richiesta di estensione è ancora più confortante, motivata con “ricerca e sviluppo”. Incrociando le dita, potremmo vederlo tra qualche giorno all’E3 di Los Angeles.




Dusty Rooms: la saga di Thunder Force

Come abbiamo ribadito in molti altri nostri articoli, la retromania è in piena attività; molti titoli vengono riscoperti e sempre nuovi modi per giocarli, che riguardino nuovi hardware come le retroconsole, le console originali o altri discussi nella precedente rubrica, vengono proposti ai giocatori più nostalgici. Oggi, specialmente su Nintendo Switch e Steam, un vecchio genere videoludico sta tornando di moda e i più appassionati sperano ogni giorno nel ritorno delle loro saghe preferite, che siano sequel, remake o remastered: parliamo degli shoot ‘em up, uno dei generi più antichi del gaming e uno dei più iconici. Negli anni ‘80 e ’90, sia nelle arcade che a casa, titoli come Gradius, R-Type, 1943, Darius, Pulstar e molti altri erano sulla cresta dell’onda e appassionati e casual hanno sempre apprezzato questo genere per la sua natura avvincente e tosta difficoltà; nonostante il genere fosse in continua evoluzione (vedi l’avvento, più tardi, dei Bullet Hell) e continuavano a uscire titoli sempre più raffinati, come Radiant SilvergunEinhänder, Darius Gaiden, Ikaruga, Gradius V e R-Type Final, in occidente fu messo da parte poco per volta e molte nuove uscite furono riservate al giappone dove gli SHMUP (abbreviazione comunissima di “shoot ‘em up”) sono sopravvissuti nonostante il calo nelle arcade (che per loro non fu destabilizante). A oggi il genere è abbastanza in fermento grazie alle uscite indie, come Crimzon Clover: World Ignition e Super Hydorah, e ai colossi del genere, come CAVE , G.Rev e Treasure, che allietano gli appassionati con vecchie e nuove uscite, di questi tempi in tutto il mondo grazie a piattaforme come Steam, ma le sage storiche degli anni ’90, soprattutto Gradius e R-Type, sembrano in stallo.
Una delle saghe di cui si sente di più la mancanza, e una fra le più amate degli appassionati degli SHMUP, è certamente Thunder Force di Technosoft, un developer che regalò ai giocatori molti shooter come Herzog Zwei, Hyperduel e Blast Wind ma anche altri titoli come Devil’s Crush, che era un gioco pinball, e Nekketsu Oyako, un beat ‘em up; a ogni modo, Thunder Force era certamente il loro franchise di punta, una saga di titoli in grado di dettare legge sul fronte degli SHMUP e uno di quei tanti titoli della libreria del Sega Mega Drive/Genesis in grado di far voltare la testa ai possessori del Nintendo Entertainment System e persino Super Nintendo.

Le umili origini e il Mega Drive

Al contrario di ciò che si possa pensare, il primo Thunder Force uscì nel 1983 su molti computer giapponesi come lo Sharp X-1 e il NEC PC 8801, anni prima di Gradius e R-Type (cui, solitamente, vengono considerati gli innovatori del genere); nonostante il precoce arrivo sul mercato, il gioco era un semplice “top down shooter”, sulla scia di Bosconian e Sinistar ma con i bersagli in superfice come in Xevious (dunque ben lontano da ciò che il genere sarebbe diventato più in là), e l’obiettivo era volare nell’area di gioco, con la nostra navicella della federazione spaziale, per distruggere le basi dell’Impero Orn. Un po’ come Steet Fighter (l’omonimo titolo che diede il via alla nota saga picchiaduro), il primo Thunder Force non ebbe grande risonanza nel mondo degli shooter e ciò che avrebbe reso grande la saga Technosoft doveva ancora arrivare.
Quattro anni dopo arrivò il sequel Thunder Force II, prima sul (fantastico) computer giapponese Sharp X68000 e poi su Sega Mega Drive, dove in Nord America fu inserito nella linea dei titoli di lancio. L’arrivo sulla console 16-bit fu molto importante non solo perché la saga arrivò ai giocatori di oltreocenao ma anche perché Technosoft fu uno dei primi developer a firmare per Sega ed erano pronti a evidenziare tutte le grandi caratteristiche del Mega Drive. Il titolo introdusse tantissime novità che caratterizzarono la saga di fronte alla spietata concorrenza delle altre case videoludiche: gli stage top-down vennero affiancati da degli stage sidescroller tradizionali (alla Gradius), venne inserito il sistema di power up tipico della saga ma soprattutto il nuovo timbro caratteristico dell’audio e delle composizioni (su uno stile molto rock/metal) contribuì a dare al gioco una colonna sonora, per l’epoca, spaventosa. La strategia chiave del gioco, ma più precisamente di tutta la saga, si cela soprattutto nel tirar fuori le giuste armi nel momento più propizio: come ogni SHMUP che si rispetti, in Thunder Force II bisogna collezionare i power up in volo ma, a differenza di molti altri titoli simili, tutti rimangono disponibili al giocatore ed è dunque possibile riselezionarli, durante il gameplay, a seconda della situazione che ci viene posta davanti; ogni arma, che variano a seconda del tipo di gameplay, ha i suoi pregi e difetti e pertanto conoscere ogni singolo power up (e dunque icona del gioco) è essenziale per gestire ogni tipo di situazione anche perché, se verremo colpiti, perderemo ogni power up collezionato ripartendo col pattern d’attacco base. Le due versioni sono semi-identiche ma preferire l’una o l’altra è questione di gusti personali: la versione per Sharp X68000 ha una grafica migliore, delle cutscene di presentazione, qualche power up in più e alcune clip vocali tagliate dalla versione per Mega Drive (come la famosa: «Shit!»); la seconda presenta degli stage sidescroller più ampi in larghezza, qualche arma esclusiva, una difficoltà più abbordabile e, a oggi, è possibile reperirlo con più facilità. Dopo un inizio un po’ sottotono il nuovo titolo della Technosoft era decisamente più definito e l’occidente accolse più che positivamente Thunder Force II (seppur nessuno giocò mai al primo titolo) rimanendo affamato per un nuovo titolo.

Thunder Force III e l’arrivo nelle arcade

Nel 1990 arriva Thunder Force III e anche questo, come il predecessore, porta diverse novità: ci fu un grosso miglioramento sul fronte del comparto grafico, quando si perde una vita viene perso solamente il power up che si stava usando al momento dell’esplosione, è possibile cambiare la velocità della navetta durante il gameplay e, il più importante, i livelli top-down vengono soppiantati definitivamente in favore di dei livelli sidescroller eccellenti.
Il successo di Thunder Force III, sempre fortemente caratterizzato dalle “sonorità Technosoft”, fu tale da ricevere un porting per il mercato arcade che prese il nome di “Thunder Force AC”, il primo titolo della compagnia per le sale giochi. Questo titolo era più o meno un porting della versione per Mega Drive ma furono cambiate alcune cose come l’interfaccia grafica per la selezione dei power up e i punteggi (che adesso si trovavano in basso) e due stage che furono ridisegnati e accompagnati da nuovi brani; Thunder Force AC uscì più in là per Super Nintendo con il nome di Thunder Spirits ma il porting che ne uscì fu problematico e certamente non all’altezza né del cabinato né dell’originale per Mega Drive. Il gioco soffriva di rallentamenti quando le schermate erano troppo “affollate” (chiamarli cali di framerate è errato per questo tipo di console) e, nonostante il superiore chip sonoro, non riuscì a restituire le sonorità tipiche della saga; titoli come questo confermarono con più decisione che lo SNES era, sì, una macchina superiore al Mega Drive ma il suo processore (più lento rispetto alla concorrenza) non riusciva a restituire l’azione frenetica tipica degli SHMUP e pertanto la console Sega ne ospitò diversi, uno più bello dell’altro. La migliore versione casalinga è indubbiamente quella per Mega Drive e Thunder Force III rimane a oggi uno dei migliori shoot ‘em up per il sistema.

L’eccellenza di Thunder Force IV

Thunder Force IV, rilasciato nel 1992, perfezionò un concept già eccellente di suo, portando il Sega Mega Drive, per cui ne era esclusivo, al limite delle sue capacità. Gli sviluppatori trassero il massimo sia in termini di potenza, mantenendo un azione sempre al massimo della velocità, che in termini di qualità grafica grazie a un ingegnosissimo uso dei diversi layer di scorrimento della console Sega, dando una sensazione di profondità come pochi altri titoli per i tempi; inoltre, Thunder Force IV fu uno dei pochissimi titoli del Mega Drive a essere ottimizzato per il 50Hz, il che significa che la versione PAL non solo girava a 60HZ, come un gioco NTSC, ma non aveva neppure le bande nere al di sopra e al di sotto dello schermo. I tre compositori della colonna sonora (Toshiharu Yamanishi, Takeshi Yoshida e Naosuke Arai) composero ben oltre un’ora e mezza di musica, sempre dalle sonorità rock, metal, jazz e fusion, e si avvalsero non solo del chip FM, tipico del Mega Drive, ma anche del chip PSG che era presente all’interno della macchina per permettere la compatibilità con i titoli per Master System; il risultato che ne uscì fu semplicemente strabiliante!
Thunder Force IV non fu un gioco soltanto un gioco impressionante in termini di potenza ma anche in termini di gameplay, in quanto presenta, probabilmente, i livelli più belli della serie e una nuova arma che si ottiene dopo il livello 5, e anche in termini di storytelling in quanto la scena finale lasciò i fan della saga nel dubbio più totale in quanto non si capì esattamente cosa successe al Rynex, la nave pilotata dai giocatori, al termine della cutscene di chiusura. Secondo molti, anche tenendo conto delle specifiche dell’hardware e delle tecniche utilizzate per svilupparlo, questo titolo rappresenta il punto più alto della serie; l’unica pecca di questo gioco, circoscritta solamente per il mercato Nord Americano, è il cambio del titolo in Lightening Force: Quest for the Darkstar, scritto per altro con un errore ortografico (la grafia corretta è “lightning“), e perciò, nonostante le ottime recensioni e riscontri nei negozi, pochi fan sapevano che questo titolo era in realtà il sequel di Thunder Force III.

Il salto al 3D

Con l’arrivo del Sega Saturn, prima di rilasciare il successivo episodio della saga, Technosoft decise di rilasciare nel 1996, in Giappone, una bellissima collezione, divisa in due volumi, contenente tutti i titoli della serie (escluso il primo): Thunder Force Gold Pack 1 conteneva Thunder Force II e III, mentre il Gold Pack 2 conteneva Thunder Force AC e VI. Il nuovo Thunder Force V, uscito nel 1997 per la console 32-bit di Sega, fu il più profondo in termini di storyline: il Rynex vagò per secoli nello spazio in condizioni critiche e fu trovato da dei terrestri che ripresero il controllo della nave grazie a un’intelligenza artificiale sulla luna che, più avanti, si sarebbe ribellata e avrebbe dichiarato guerra alla terra. In termini di gameplay fu introdotta una bellissima nuova arma chiamata “Free Range” e la possibilità di mandare il propri power up in “over weapon”, rendendoli temporaneamente più potenti ed efficaci rispetto alla loro forma base. La maggior parte degli elementi sullo schermo, soprattutto la nave pilotata e i nemici, furono resi in 3D ma il gioco mantenne il suo stile 2D e ciò lo rese impopolare di fronte al nuovo scenario videoludico più interessato in giochi esplorabili in tre dimensioni; neppure la versione per la più popolare Sony PlayStation, rilasciata l’anno successivo in tutto il mondo, sembrò attecchire con i fan, specialmente con i più casual di cui solitamente la saga riusciva ad attrarre facilmente a sé.
Thunder Force V è un titolo a ogni modo solidissimo e la sua colonna sonora è fra le più spettacolari della sua saga, specialmente grazie supporto ottico che permise una qualità audio nettamente superiore ai chip sonori delle console della vecchia generazione. Anche qui, come un po’ per Thunder Force II, scegliere l’una o l’altra versione è questione di gusti: la versione per Sega Saturn (uscita solo in giappone) ha la migliore grafica, migliori effetti grafici e qualità sonora mentre quella per PlayStation, seppur soffre nei comparti in cui la concorrenza è migliore, ha un miglior rendering dei filmati, effetti sonori più complessi, modalità di gioco, artwork e easter egg aggiuntivi e può vantarsi di meno cali di framerate.

Un ritorno sottotono e tardivo

Un sesto Thunder Force era in programma per il Sega Dreamcast ma con il fallimento della console il progetto fu scartato; tuttavia, nonostante non esista uno screen di questo progetto, la colonna sonora fu rilasciata con il nome di Broken Thunder.
A ogni modo, Technosoft si tirò fuori dall’industria videoludica e chiuse i battenti nel 2001 reincarnandosi nella società “Twenty-one company” che si occupa di ricerca e sviluppo e detiene i diritti delle loro IP; Sega riuscì ad acquisire i diritti per Thunder Force VI e in seguito fu sviluppato per PlayStation 2 e rilasciato esclusivamente in Giappone nel 2010. Nonostante contenesse numerosi riferimenti ai vecchi titoli, Il gioco, che uscì abbastanza tardi per essere un gioco della generazione dei 128-bit, fu ampiamente criticato per la facilità generale del gioco, dal momento che il giocatore aveva accesso a tutte le armi sin dall’inizio, per la mitezza degli stage e dei movimenti della telecamera poco curati. Il rilascio per una console considerata obsoleta e circoscritta al Giappone non aiutò la serie a riemergere dal dimenticatoio.

Nuovi propositi

Dopo questa breve riapparizione della saga, Sega ha annunciato nel 2016 di aver comprato le IP della Technosoft dalla Twenty-one company e perciò possono sviluppare le loro IP per dei futuri progetti; quello stesso anno Thunder Force III prese parte all’ultima parte di Sega 3D Classic Collection per Nintendo 3DS ma di recente, esattamente lo scorso aprile, hanno annunciato che Thunder Force IV sarà parte della collana Sega AGES per Nintendo Switch. Visti dunque gli ultimi risvolti, avremo presto un Thunder Force VII?
Beh, noi non lo sappiamo (e forse non è ancora il momento) ma vi possiamo dire con certezza che se c’è un momento per recuperare questa fantastica serie shoot ‘em up è proprio adesso. Ogni titolo di questa saga contiene sempre il giusto equilibrio fra azione e difficoltà e pertanto è una serie adatta sia ai veterani che ai neofiti del genere. Se volete affacciarvi al panorama SHMUP i giochi Thunder Force (specialmente il terzo e il quarto) rappresentano un ottimo punto di partenza e vi offriranno una sfida che, al giorno d’oggi, è semplicemente assente.




Capcom rilascerà due titoli tripla A entro il 31 marzo 2019

Capcom ha annunciato che rilascerà due titoli AAA, in aggiunta ad altri entro il 31 marzo 2019, come riportato nell’ultima presentazione dei propri risultati finanziari.
Non si sa ancora quali siano: potremmo sperare si tratti del tanto atteso Deep Down, oppure  un titolo assente da lunga data come Onimusha. La risposta arriverà probabilmente all’E3 2018 che si terrà dal 12 al 14 giugno a Los Angeles.
Inoltre le vendite di Monster Hunter: World sono arrivate a quota 8 milioni in data 16 aprile, davvero un ottimo risultato per Capcom.




Cartucce speciali in edizione limitata per il 30esimo anniversario di Mega Man

Capcom collaborerà con iam8bit per produrre cartucce funzionanti per NES e SNES di Mega Man 2 e Mega Man X in occasione del 30esimo anniversario della saga del Blue Bomber; i preorder sono già aperti ma queste chicche arriveranno solamente a Settembre 2018. Le cartucce saranno prodotte in serie limitata e costeranno 100$ a pezzo: 7500 cartucce di Mega Man 2 saranno color blu opaco e altrettanto numero in bianco opaco per quanto riguarda Mega Man X, mentre altre 1000, per entrambi i prodotti, saranno di un blu semi-trasparente, fosforescente più scuro e saranno distribuite in maniera casuale all’interno di scatole non numerate. Ricevere l’una o l’altra versione delle cartucce è solo questione di fortuna!

La forma della cartuccia di Mega Man X ci suggerisce che, forse, queste funzioneranno esclusivamente su NES e SNES americani; non ci sono informazioni riguardo alla compatibilità ma, con buona probabilità, potrebbero funzionare solamente su console d’oltreoceano.

La scatola di Mega Man 2 ha una copertina apribile in due parti mentre quella di Mega Man X si apre in tre (un po’ come le confezioni di alcuni LP); entrambi i prodotti includeranno un booklet, rispettivamente con le prefazioni del collezionista Salvatore Pane e lo youtuber Jirard Khlil (più noto come “The Completionist“), e altre “retro-sorprese” che saranno note agli acquirenti solamente una volta ricevuto il prodotto.

Questo annuncio avvia il “Mega May” promosso da Capcom, indicando che, durante questo mese, ci saranno ben altre sorprese per i fan del Blue Bomber, specialmente con l’E3 dietro l’angolo. Il robottino più famoso del gaming ritornerà in questo 2018 con Mega Man 11, un gioco inedito che uscirà più tardi per PC, Playstation 4, Xbox One e Nintendo Switch.




Street Fighter V: il punto della situazione

Dopo tante anticipazioni, Street Fighter V  venne rilasciato il 16 Febbraio 2016 su PC e PS4. In molti sperarono che il titolo riuscisse a superare le vecchie edizioni, grazie anche al nuovo engine, introducendo nuovi personaggi, nuove strategie e combat system innovativi, basate sull’utilizzo della barra V-Gauge e EX Gauge, in grado di fornire alla saga un ulteriore livello di coinvolgimento e sistema di combo. Ma nello specifico, su cosa si basano queste nuove tecniche?

  • Il V-Trigger si basa su tecniche uniche che usano la V-Gauge e che consentono al giocatore di cambiare il corso dell’incontro.
  • Il V-Skill comprende mosse uniche che si differenziano da personaggio in personaggio e che si possono usare in qualsiasi momento.
  • Il V-Reversal si basa su un sistema di contromosse che consumano una sezione della V-Gauge.
  • Le Critical Arts sono attacchi finali che consumano tutta la EX Gauge.

Purtroppo pur avendo delle novità molto importanti, i fan non furono soddisfatti, soprattutto a causa della povertà di contenuti, la mancanza di una modalità single-player e l’instabilità del matchmaking che provocava un delay tra client-server che rendeva l’esperienza di gioco davvero spiacevole e che penalizzava i giocatori che oltre al competere online desiderano dedicarsi alle modalità in singolo.
Il team di sviluppo, guidato da Yoshinori Ono, noto produttore di videogame, ha deciso di dare una svolta al futuro del titolo, migliorando a poco a poco l’esperienza grazie a correzioni tecniche, una modalità storia in single-player, sfide periodiche e nuovi contenuti da sbloccare tra arene e personaggi aggiuntivi. Percorso durato due anni e completato con il lancio della Arcade Edition, espansione scaricabile gratuitamente per coloro i quali hanno già Street Fighter V originale. Mentre chi lo dovesse acquistare direttamente in negozio, avrà a disposizione i dodici personaggi aggiuntivi delle Stagioni 1 e 2. Una delle novità di Street Fighter V: Arcade Edition è proprio il concetto “Arcade” stesso: fin dal primo momento, la mancanza di questa modalità era tra le cose che hanno fatto storcere il naso a molti appassionati della saga. Ci sono voluti circa due anni prima che una feature che molti consideravano “base” venisse introdotta, ma dopo tanti errori e promesse, Capcom ha deciso di fare sul serio, provando a farsi perdonare. Quella arrivata in Street Fighter V non è semplicemente un’opzione Arcade, ma rivivere l’intero franchise, partendo dalla genesi fino ad arrivare ai giorni nostri. È possibile scegliere sei diversi percorsi, ognuno collegato a un capitolo precedente della saga, partendo dal primo Street Fighter del 1987 fino a Street Fighter V, passando dall’amatissima serie Alpha o Street Fighter III: New Generation, considerati da molti appassionati due dei migliori capitoli della saga. Scegliendo Street Fighter II, per esempio, possiamo trovare solo i personaggi presenti nella line-up di quello specifico capitolo (Chun-li, Balrog, Vega, Guile, Ken), accompagnati dal boss finale M.Bison.

La possibilità di avere il concetto di completismo all’interno del gioco, fornisce ai giocatori la possibilità di sbloccare illustrazioni e finali per ciascun personaggio, invogliandoli a completare ogni ramo della Modalità Arcade con tutti i combattenti. Capcom è stata – stavolta – attenta a offrire una difficoltà molto equilibrata e mai banale: infatti il livello degli avversari cresce man mano che si va avanti all’interno della modalità, raggiungendo difficoltà molto impegnative al boss. Arcade a parte, tornano le battaglie a squadre già viste nel precedente capitolo Street Fighter IV, che permettono a squadre di massimo cinque persone di affrontarsi, personalizzando la tipologia d’incontro e le regole di eliminazione. Altrettanto interessanti sono le Battaglie Extra, ovvero sfide periodiche in cui è possibile vincere skin, targhette, punti esperienza o Fight  Money.

Novità meno evidenti, ma molto gradite dai fan è la diminuzione dei tempi di caricamento, nuove opzioni nella Modalità Allenamento che permettono di controllare i singoli frame degli attacchi, permettendo di applicare una strategia diversa ogni volta e capire quando è vantaggioso utilizzare determinate combo. La novità più importante, come accennato all’inizio dell’articolo, sta nell’aggiunta di un secondo V-Trigger per ciascun personaggio, in maniera simile alle Ultra di Street Fighter IV: adesso si ha la possibilità di scegliere quale dei due trigger utilizzare prima di entrare in partita.

Per un maggiore approfondimento, pareri e delucidazioni, noi di GameCompass vi invitiamo a recuperare la puntata sui picchiaduro presentata da Gerò Micciché, Lanfranco della Cha, Andrea Celauro e Marcello Ribuffo.




Puzzle Fighter

Chi l’ha detto che i migliori developer lasciano al mercato mobile solo le briciole? Dalle abilissime mani di Capcom arriva Puzzle Fighter per iOS e Android, una nuova versione del popolare puzzle game competitivo Super Puzzle Fighter II Turbo lanciato nel 1996 per Arcade, Sony Playstation e Sega Saturn; questo nuovo titolo prende decisamente le mosse dal succitato gioco quello che mise le basi tanto tempo fa, al qualesono state aggiunte un tante nuove meccaniche, elementi RPG e, da buon titolo mobile, anche le microtransazioni. Come lo fu il suo predecessore (che uscì più in avanti anche su Xbox 360 e Playstation 3 in versione HD Remix), anche questo è una frizzante festa a tema Capcom e la lista degli invitati vede personaggi che vanno dalla saga di Street Fighter, a Darkstalkers, per finire con Dead Rising, Mega Man, Devil May Cry, Ace Attorney e persino Viewtiful Joe! Diamo uno sguardo a questo unico puzzle game che mischia gemme colorate e botte da orbi!

Ti spiezzo (le gemme) in due!

Il gioco ci mette sempre di fronte a un avversario, che sia un AI o un giocatore online, e il nostro obiettivo è mandarlo al tappeto. Per sferrare i colpi bisogna disporre le gemme colorate, che cadranno dall’alto come in Tetris, in quadrati o rettangoli, evitando il più possibile di lasciare spazi incompleti, per poi farle esplodere con le gemme crash (una sorta di “bomba” per ogni specifico colore) e sgomberare il nostro campo di battaglia; più è grande il nostro agglomerato, che si unirà in un’unica più grande gemma power, più forte sarà il nostro colpo, e lo sarà ancora di più se riusciremo a fare esplodere a catena un’altra serie di gemme di un altro colore. I nostri colpi, come in un fighting game che si rispetti, non solo produrranno un danno nella barra d’energia avversaria, ma riempiranno il campo avversario di gemme timer (sorta di gemme fantoccio che diventeranno delle normali gemme solo dopo un conto alla rovescia); inoltre, ogni volta che faremo esplodere delle gemme, avremo la possibilità di riempire una nostra barra speciale che, una volta pronta, ci permetterà di eseguire un super attacco che arrecherà al nostro avversario un grossissimo danno (anche se non verrà inviata alcuna gemma timer).
L’obiettivo del vecchio titolo era semplicemente quello di riempire il campo avversario di gemme timer al punto da otturare l’ingresso per le nuove gemme; qui invece hanno decisamente voluto dare molta più importanza all’aspetto “Fighter” nel titolo. Se sulle vecchie console casalinghe dovevamo semplicemente scegliere un personaggio in base al pattern del contrattacco (legato appunto alle gemme timer) qui invece vengono date al giocatore molte più possibilità di personalizzare il proprio stile di gioco; ogni combattente, che potrà essere affiancato da altri due personaggi, avrà un’affinità con un colore specifico e ciò significa che, se fatto esplodere, produrrà più danno rispetto agli altri colori (che sono quattro in tutto); se uno o due personaggi di supporto avranno lo stesso colore affine allora i danni, sempre per gli agglomerati di quelle particolari gemme, saranno davvero semi-irreparabili.
C’è dunque molta preparazione prima della battaglia vera e propria ma dovremo forse dedicare ancora più tempo a potenziare i personaggi. Al termine di ogni battaglia vinta, online o single player, otterremo in premio delle carte per le mosse speciali (come i più classici Hadouken o uno Psycho Crusher) con le quali potenziare i nostri personaggi preferiti e aumentare i nostri punti esperienza; raggiunto un certo numero di carte ci toccherà comunque pagare una determinata somma per rendere effettivo il potenziamento della singola mossa e, rendendo effettivi anche l’aggiunta dei punti esperienza al profilo del personaggio, potremo anche salire di livello. Ogni combattente ha, in totale, 5 carte ma, durante le battaglie, potrà equipaggiare solamente due di queste e starà dunque a noi scegliere quali: se favorire un danno maggiore a un particolare effetto (come il prolungamento del countdown delle gemme timer), se scegliere una carta rara e potente a una più comune ma potenziata… le possibilità sono molteplici e in questo il gioco stupisce non poco.

Modernità o Tradizione?

Il landscape videoludico è cambiato radicalmente da quel lontano e più spensierato 1996; stiamo ovviamente parlando delle solite odiose loot box e le microtransazioni. I premi che otterremo a fine battaglia saranno solitamente monete, gemme (la seconda valuta, come tipico dei giochi mobile) e qualche carta, rara o comune, per le mosse speciali; ci saranno poi alcune volte, ad esempio durante alcuni eventi o in occasione di alcuni obiettivi soddisfatti, in cui otterremo dei forzieri con dentro oggetti ancora più pregiati come skin alternative per il roster che abbiamo sbloccato finora o la carta di un nuovo personaggio. Dovrebbe essere un evento gioioso ma lo sarà solamente se il nuovo personaggio avrà la stessa affinità dei combattenti che solitamente utilizziamo; la scelta più saggia sarà quella di mettere da parte quel personaggio in attesa di ottenerne almeno un altro con il suo stesso colore affine. Tuttavia le loot box più comuni saranno spesso indirizzate a quel nuovo personaggio, e dunque ottenere le carte che ci servono per potenziare i nostri combattenti abituali, per sconfiggere se non altro gli avversari che si fanno sempre più forti della modalità online, sarà sempre più difficile.
Il nostro account avrà dei punti reputazione che ci sistemeranno in una determinata lega (bronzo, argento, oro, e così via) dunque il matchmaking, per le battaglie in rete, è sempre ben equilibrato; a ogni modo, si arriverà sempre al punto di potenziamento dei personaggi più nuovi che il gioco vorrà, perciò finiremo in una sorta di limbo in cui non potremo né potenziare i nostri personaggi abituali (in quanto l’outcome casuale dei premi li ignorerà quasi del tutto), né vorremo usare quelli nuovi perché sono troppo deboli rispetto al rango della lega e potremmo non avere il supporto della stessa affinità. A questo punto avremo due semplici alternative: o continuare a brancolare nel buio, in attesa delle giuste carte, o cedere alle tentazioni delle microtransazioni.
L’in-game shop ci permetterà di comprare carte, forzieri e valute; potremo barattare le già citate gemme con le monete che ci servono principalmente per le carte (sia per acqustarle dal negozio che per potenziarle) ma per comprare i due restanti elementi nello shop ci serviranno le prime. Se il giocatore non vorrà combattere centinaia di battaglie per ottenere le gemme, potrà acquistarle a manciate con i  soldi veri e sudati (ma i bravi gamer di ogni età graviteranno via da questi moderni artifizi)! Inoltre, da buon mobile game che si rispetti, la nostra routine videoludica sarà sempre limitata: ogni circa 6-8 ore si aggiorneranno sia le 3 battaglie contro il computer, che serviranno per ottenere dei punti missione che ci faranno ottenere, di tanto in tanto, determinate loot box rare, e i 6 premi per le battaglie online, che potremo continuare anche una volta terminati i premi solamente per ottenere qualche spicciolo e punti reputazione.
Se vogliamo rinfrescare i premi online e le sfide contro il computer ci toccherà cedere delle gemme e, come abbiamo già scritto, sono sempre più difficili da ottenere.

Kawaii o Kě’ài ?

Il gioco si presenta bene, la grafica presenta uno stile sul cel shading con un art style chibi (le cui caratteristiche, prettamente nipponiche, sono i piccoli corpi e le grandi teste) ben curato; tuttavia l’aspetto generale del gioco sembra un po’ low cost e dozzinale. A primo acchito potrebbe sembrare che la nota compagnia giapponese possa aver commissionato il titolo a qualche sviluppatore cinese, uno di quelli che abbia molta esperienza nel mercato mobile, ma così non è: il gioco è stato sviluppato e distribuito direttamente da Capcom. Ci si chiede dunque come mai uno sviluppatore di rango si sia limitati così tanto nel comparto grafico e presenti, dunque, un gioco che sembra sviluppato con un budget molto ocntenuto; forse si sarebbe potuto fare molto di più ma, chissà, probabilmente si è scelto questo stile per porsi meglio al sempre più grande mercato videoludico asiatico (cinese in primis). Ad ogni modo, le arene e l’atmosfera generale sanno di Capcom, i rimandi ai singoli giochi sono ben riconoscibili ed è tutto molto grazioso. Allo stesso modo i temi musicali risultano ben composti e molto curati: ci sono tanti rifacimenti dei temi più familiari nonché tanti nuovi temi composti per questo gioco. Lo stile musicale si mantiene per lo più sull’elettronica ma ci sono tanti pezzi che si affacciano al metal che potrebbero piacere molto ai fan dei Dream Theater, Symphony X o Ayreon; mettete gli auricolari e godetevi lo spettacolo!

Una gemma è per sempre

In definitiva, Puzzle Fighter è nel complesso davvero un bel gioco: la base è rimasta più o meno la stessa dell’originale, e le aggiunte portano questo titolo verso una più nuova e moderna dimensione. Il gioco è molto supportato, l’utenza è molto attiva e gli sviluppatori rilasciano spesso aggiornamenti con nuovi personaggi, eventi speciali o semplicemente per curare qualche piccolo errore nella programmazione.
Tuttavia, così come la modernità porta cose belle, ne porta anche di meno apprezzabili: le microtransazioni, la doppia valuta, le loot box, l’outcome random e questo “controllo della routine videoludica” sono sempre cose che fanno storcere il gioco ai giocatori di vecchia data e ai puristi. Gli stessi, però, specialmente quelli che hanno amato Super Puzzle Fighter II Turbo, potranno almeno finalmente apprezzare la convenienza di giocarlo sul proprio smartphone in ogni luogo; Puzzle Fighter è un gioco che può piacere sia alle persone che viaggiano spesso, e hanno dunque poco tempo per giocare ai videogiochi, sia ai giocatori più assidui in cerca di sfide sempre più avvincenti. Ci sentiamo però di dire (e questo è un personalissimo parere di chi scrive) che questo nuovo titolo non è da considerarsi migliore dell’originale: le tante nuove aggiunte migliorano certamente il gameplay, però ciò che rendeva Super Puzzle Fighter II Turbo eccezionale era proprio la sua semplicità e la sua accessibilità. Il sistema del colore affine, per quanto interessante possa sembrare, può allontanare gli utenti un po’ più casual e rallentare l’andamento di un gioco abbastanza frenetico, portando il giocatore a dare spesso la precedenza al suo colore e a mettere in secondo piano, in un certo senso, gli altri tre; inoltre le aggiunte RPG sono molto belle e donano indubbiamente molta profondità al titolo ma ciò può essere forse un po’ fuori contesto per un puzzle game come questo.
Troverete Puzzle Fighter gratuitamente sia nell’App Store che nel Play Store e vi consigliamo tantissimo di scaricarlo e provarlo; tuttavia vi consigliamo anche di dare uno sguardo o provare (se ci riuscite) l’originale su Playstation e Saturn o PS3 e Xbox 360 in veste HD Remix, giusto per avere anche voi una visione d’insieme più completa e un giudizio più fermo.




Videogiochi e cinema: il lento dialogo tra industrie

Il mondo dei videogiochi e quello cinematografico hanno linguaggi comuni e, pur serbando i due mondi non poche differenze, entrambi vanno avvicinandosi sempre più in termini di linguaggio e anche di rilevanza sul piano sociale e culturale.
I dati parlano chiaro, e le testimonianze di questo avvicinamento sono sempre maggiori. Fra queste, è interessante leggere quella di Gina Ramirez, agente all’APA (Agency for the Performing Arts), che in un’intervista rilasciata a GamesIndustry.biz, spiega i vari aspetti per cui i videogiochi e il cinema venivano considerati universi differenti, per quanto riguarda il marketing e la scelta degli attori e la loro evoluzione nel tempo.
L’APA si occupa di rappresentare attori, scrittori, produttori, registi, ma negli ultimi anni l’agenzia si è interessata anche al mondo dei videogiochi, che nell’ultimo decennio ha avuto una crescita esponenziale.
L’agenzia per cui lavora Ramirez, oltre a rappresentare colossi come Capcom per la realizzazione di film e nuove iniziative o Activision, è riuscita a far collaborare piccoli produttori con i grandi marchi del mondo dei videogame, come la stessa Activision, che ha permesso a un giovane scrittore di lavorare a un DLC per Call Of Duty. Ma non si occupano solamente di grandi aziende: hanno infatti anche rappresentato DJ2 e alcuni sviluppatori indie e le loro relative pubblicazioni, come We Happy Few, Little Nightmares e Ruiner.
Secondo la Ramirez, i videogiochi devono ancora affermarsi del tutto nel mondo del business, ma la strada pare essere quella giusta. La stessa Ramirez ha lavorato per varie agenzie fino ad arrivare, nel 2013, ad Activision; proprio lavorando lì si è resa conto che il mercato videoludico è ancora troppo “giovane” per poter essere uno standard di business per le aziende.
Durante la sua esperienza in Activision, Gina Ramirez ha notato l’evoluzione dell’atteggiamento delle celebrità verso il mondo dei videogiochi: anni fa lavorare con i videogiochi era visto alla stregua del fare da testimonial a merendine o bibite, ma lei è riuscita a sensibilizzare la maggior parte dei VIP ed è riuscita a coinvolgerli personalmente ed emotivamente, ottenendo così prezzi più economici per la loro partecipazione.
Molte aziende, però, non riescono a comprendere l’importanza del coinvolgimento dell’attore nella creazione del videogame e si intestardiscono nell’ingaggiare un attore, magari perché famoso o perché lo credono perfetto, ignorando la sua voglia di partecipare e il suo reale coinvolgimento.
Gina Ramirez nel 2015 lascia Activision con la convinzione che il dialogo tra Hollywood e il mondo videoludico sia impossibile ma, quando firmò con l’APA, l’agenzia disse di credere che un incontro tra le due forze era possibile. Nonostante le perplessità, la Ramirez volle ritentarci e stavolta con buoni risultati.
A lungo andare, oltre agli attori/doppiatori, anche l’intero mondo cinematografico è diventato molto più economico per gli sviluppatori: prima gli studi cinematografici, per utilizzare una loro IP, pretendevano per l’acquisto di una licenza una quota molto alta, invece adesso lavorare con i videogiochi viene visto come una pubblicità, una mossa marketing intelligente e di conseguenza il costo delle licenze per l’utilizzo di IP già registrate è sceso.
Ancora oggi quello tra il mondo dei videogiochi e quello cinematografico non è un dialogo semplice, dovuto a molte – troppe – rigidità da un lato e dall’altro, Ramirez, i due mondi si avvicinano sempre di più, a testimonianza di come il videogame rivesta un valore sempre più importante anche sul piano artistico.




Monster Hunter World: il contributo di Nintendo non va dimenticato

È un po’ triste vedere un franchise tipicamente associato alle console Nintendo spiegare le ali per migrare alla volta di altri sistemi videoludici; tuttavia siamo contentissimi di sapere che Monster Hunter World, uscito per Xbox One e Playstation 4, venda come il pane e si trovi in testa alle classifiche di tutto il mondo. L’ultima incarnazione della serie potrebbe non essere perfetta ma è comunque un ottimo sequel.
Per quanto possa essere difficile da accettare, la famosa serie Capcom aveva bisogno di passare alle console casalinghe e, dunque, a un utenza più ampia come quella su Xbox One e PS4 (nonché potenza, cosa che Switch non può permettersi); l’ultima volta che la saga è apparsa in una console casalinga è stato con Monster Hunter 3 per Wii nel 2009, dunque quasi dieci anni visto che il successivo Monster Hunter 4, rilasciato nel 2013, uscì per il portatile Nintendo 3DS. Il salto su Xbox One e PS4 potrebbe certamente dare più credibilità al brand e ampliare, decisamente, la già larghissima fan base a livelli mai visti prima.

La serie ne ha certamente goduto ma tutto ciò è forse un po’ difficile da accettare per Nintendo: il titolo è arrivato presto in cima alle classifiche inglesi durante la settimana di lancio e a oggi Monster Hunter World ha superato le cinque milioni di unità fra versioni fisiche e digitali (non dimentichiamoci che questo titolo dovrà ancora uscire per PC, il che porterà ancora più giocatori); le azioni Capcom hanno avuto un incremento del 4.9%, registrando il picco più alto in diciassette anni, e questo sottolinea i limiti della console Nintendo (sia in termini di potenza che di utenza).
La decisione di portare la serie su altre console si è rivelata vincente ma ciò non significa che la relazione fra Monster Hunter e Nintendo sia finita; la serie deve molto alla “Grande N” e giocatori e critici di tutto il mondo lo sanno. Questo nuovo titolo non è comunque esente da difetti: il matchmaking non risulta efficiente, almeno al lancio, tanto che i giocatori di vecchia data rivendicano le gesta dell’online sulle console portatili.

Quando la serie arrivò per la prima volta su Playstation 2 nel 2004 non fu un grande successo; fu con il passaggio su PSP che Monster Hunter definì il suo imperfetto online e si concentrò di più sul multiplayer. La serie riscontrò un modesto successo ma fu solo con il passaggio su 3DS e gli esclusivi titoli Nintendo (come Monster Hunter Generations) che ridefinirono la formula senza stravolgere il gioco di base, riscontrando così il successo meritato.
Ci duole ammetterlo, ma non vedremo mai Moster Hunter World per Nintendo Switch; sicuramente Capcom non vorrà fare un porting al costo di sacrificare il buon comparto tecnico che sta caratterizzando il suo successo nelle altre piattaforme. Tuttavia, Switch non avrebbe bisogno di questo specifico titolo, ma bensì una “sub serie” per la console Nintendo.

Un opzione per Capcom sarebbe quella di portare in occidente Monster Hunter XX, uscito in Giappone nell’Agosto 2017; questo titolo, essendo fondamentalmente un porting, non ha riscontrato un grosso successo. Capcom aveva grosse aspettative per la versione Nintendo Switch però, essendo uscito praticamente 5 mesi prima su 3DS, capirono che Monster Hunter XX, con le soli 100.000 copie vendute dopo la settimana di lancio, non avrebbe ottenuto risultati migliori sulla console ibrida, pur essendo un’esclusiva.
Tuttavia il successo di Monster Hunter World in occidente potrebbe convincere Capcom a rilasciare il titolo Switch nei rimanenti territori (lasciando perdere la release su 3DS); potrebbe essere un percorso rischioso e costoso per Capcom però, potrebbe rivelarsi un ottimo investimento per introdurre la saga ai possessori di Nintendo Switch di oltremare.
Un altro modo per rivedere Monster Hunter su Swich potrebbe essere il rilascio di un nuovo titolo esclusivo. Fra le due alternative è in realtà la strada più rischiosa e Capcom, solitamente, non è un publisher che scommette i propri soldi su uno spin-off quando può ottenere le stesse entrate, se non più grosse, con il rilascio di altri titoli classici (vedi Resident Evil su PS4 e Xbox One); tuttavia è un publisher che, con buona probabilità, avrà già preso in acconto il successo del nuovo titolo e il nuovo status tripla A di Monster Hunter. Inoltre Capcom sa benissimo quanto il contributo Nintendo sia stato decisivo per la saga, quindi è improbabile che una console come Switch, la cui utenza aumenta di giorno in giorno, rimanga senza un Monster Hunter per l’occidente.
Per adesso, possiamo solo incrociare le dita e sperare che un nuovo titolo della saga arrivi su Switch il prima possibile.