Captain Bone

L’universo dei giochi indie è immenso, con moltissimi titoli sviluppati da piccole software house sparse per il mondo. Una si trova a circa 50 Km da Agrigento, in quella Licata dove lo chef Pino Cuttaia è riuscito a portare due stelle Michelin facendo gridare al miracolo. E un piccolo miracolo – o una sanissima follia – sembra quella di sviluppare videogame in un angolo sperduto di una regione che non si distingue per avanzamento tecnologico e industriale.
Ma il team di sviluppo Orange Team non pare essersi scoraggiato e ha deciso di provarci, sviluppando dal 2016 a oggi quanto basta per produrre la pre-Alpha di Captain Bone che ci consente di completare una singola missione e di visitare un piccolo villaggio.

Captain Bone si presenta come un action-adventure in single player, che ambienta la sua storia nelle isole dei Caraibi durante il XVII secolo, più precisamente nell’isola di Nassau. Il protagonista è un buffo pirata scheletrico rimasto in mutande dopo il suo ultimo sbarco: la prima unica missione di questa versione è quella di recuperare dei vestiti per procedere con la sua avventura.
Dopo esserci ritrovati sul pontile ci avvieremo verso la cittadina. La prima sensazione è di leggero spaesamento: sin dai primi minuti si soffre un po’ la mancanza di indicazioni atte a indirizzare verso il completamento delle quest, che potrebbero essere implementati in futuro con una mappa o qualche espediente che eviti al giocatore di perdersi per ore a girovagare per il borgo in mutande.
Sono presenti pochi NPC con cui poter interagire e allo stato attuale non tutti forniscono indizi grandemente rilevanti. Se dei tre elementi in quest’unica quest da trovare il cappello risulta abbastanza agevole, lo stesso non può dirsi per il giubbotto e per i pantaloni: chi scrive ha dovuto chiedere indicazioni direttamente agli sviluppatori. La risoluzione in effetti non era ardua, ma alcuni asset di gioco (banalmente quello che permette di accedere allo strumento per recuperare i pantaloni) andrebbe forse maggiormente messo in evidenza nell’environment: la cittadina ha una sua ampiezza, è ricca di elementi, e si potrebbe girare molto prima di notare il punto giusto in cui guardare, a scapito della fluidità di gioco. Qualche bug attualmente presente potrebbe inoltre mettere i bastoni fra le ruote o addirittura impedire il completamento della quest: un personaggio molto importante a un certo punto è letteralmente sparito e abbiamo dovuto iniziare nuovamente la partita per dargli modo di riprendere il suo moto e ritrovarlo.
Se le interazioni in termini di indizi sono migliorabili, i dialoghi risultano invece parecchio divertenti e ben studiati, con riferimenti chiaramente lucasiani (se l’ambientazione piratesca non bastasse a richiamare la saga di Monkey Island, i fan più attenti troveranno conferma nella presenza del simbolo ™ al termine di alcune parole) che seguono un algoritmo random: ogni volta che parleremo con loro la conversazione non sarà la stessa, ma con frasi generate in modo casuale, così da  conferire molta varietà ai dialoghi.
Un limite attuale in questa pre-alpha di Captain Bone è l’impossibilità di saltare i dialoghi: bisogna aspettare diversi secondi per potere leggere la battuta successiva, elemento che rischia di appesantire l’esperienza  e che verrà probabilmente corretto permettendo di poter andare avanti premendo un tasto, come ci si aspetta venga implementata nella prossima release l’interfaccia dei dialoghi, al momento abbastanza spoglia e minimale, testo bianco su sfondo nero, che non rende giustizia a dei dialoghi in realtà molto divertenti.

Le animazioni sono fluide e già ben curate, con alcuni movimenti del protagonista da migliorare, come quando, dopo una corsa, ci si ferma e si vede il personaggio scivolare per un po’ prima di fermarsi del tutto.
L’AI, che è sempre un problema non da poco, vede ancora dei margini di miglioramento, con NPC che si lanciano dalle alture o finiscono incastrati tra le varie case, oppure che se colpiti da un gancio del protagonista finiscono per rincorrerlo per tutta la città, non lasciandogli tregua. La vita del capitano non è molta e si perde facilmente, anche solamente saltando da una parte all’altra di una scala o discesa, causando danno. In tal senso, sembra un po’ eccessivo che Captain Bone possa morire a seguito di un semplice salto che ci costringerà a ricominciare da capo.
Come detto, è possibile colpire i personaggi non giocati: ci si aspetta dunque un combat system che in questa fase non è possibile valutare.
Il motore grafico utilizzato da Captain Bone è l’Unreal Engine 4, che riesce a gestire in maniera ottimale luci e ombre di giorno, mentre la luminosità scarseggia dopo il tramonto, presentando qualche piccolo inestetismo nelle lanterne sparse per tutta la città; le luci delle lanterne, molte volte risultano scarse o assenti, lasciando il giocatore quasi completamente al buio.
I modelli tridimensionali dei personaggi hanno una loro personalità: niente spigoli o visi squadrati, ma volti e corpo molto arrotondati che sembrano modellati a mano, creando un effetto simile alla plastilina.
Il comparto sonoro presenta un buon ventaglio di suoni che possono ancora vedere qualche revisione in termini di utilizzo durante la run. La soundtrack, infatti, è molto orecchiabile, in pieno tema piratesco, con un jingle che rimangono facilmente impressi, ma alcuni elementi sono decontestualizzati, come il sound del mare, che si continua a sentire, in maniera abbastanza marcata, anche all’interno della città.
Dei piccoli errori e bug attualmente presenti possono essere risolti senza difficoltà, come delle piccole implementazioni, quali l’uso del tasto Esc per uscire dai vari menù o il caricamento automatico del salvataggio dopo essere andati Game Over, potrebbero essere comunque di peso.
Tirando le somme, possiamo comunque dire con certezza che i ragazzi di Orange Team stiano facendo un bel lavoro con Captain Bone: i difetti riportati sopra sono abbastanza normali in questa fase e c’è di certo ancora non poco da migliorare. Ma la base del gioco c’è tutta, implementando delle buone quest, continuando con dei dialoghi divertenti e dal buon ritmo, e innestando la parte action in maniera equilibrata può venir fuori un prodotto di tutto rispetto.
Restiamo dunque in attesa di sviluppi, e non vediamo l’ora di vedere il resto del gioco.




Rilasciato il teaser del nuovo Tomb Raider

Pochi giorni fa, all’interno del codice del sito ufficiale di Tomb Raider sono stati trovati nome e data di uscita del nuovo capitolo, Shadow of The Tomb Raider e 14 Settembre 2018. Non si è dovuto attendere molto all’ufficialità: proprio ieri sono state rilasciate alcune informazioni ufficiali che vedono confermato il titolo ma non la data di uscita. Non si sa molto sul gioco: Square Enix ha rilasciato un breve teaser e una descrizione molto vaga, “Il momento in cui Lara diventa la Tomb Raider“. La data importante dunque diventa il 27 Aprile, durante il quale verranno rivelati maggiori dettagli. Il gioco sarà disponibile per PS4, PC e XBOX ONE X.




The Legend of Zelda: Breath of the Wild

Annunciato come il titolo che avrebbe dovuto salvare Wii U, The Legend of Zelda Breath of the Wild è finito per diventare uno dei primi titoli di lancio di uno Switch le cui vendite, a tutt’oggi, sono in costante ascesa. Menzionato per la prima volta nel 2013, mostrato per la prima volta all’E3 2014 e arrivato solamente nel 2017, Nintendo ha consegnato un titolo destinato a rimanere nella storia, un esempio di come un titolo open world vada congegnato. Breath of the Wild rappresenta un nuovo traguardo  nel mondo videoludico, d’esempio non solo per il suo genere, un titolo che porta gameplay e storytelling a vette difficilmente raggiungibili, uno di quei casi in cui si eleva lo stato di videogioco a vera e propria opera d’arte. in occasione del recente arrivo del secondo e ultimo DLC, abbiamo deciso di recensire il Game of the Year 2017 nella sua forma più completa.

Nella selvaggia Hyrule

La storia vede Link svegliarsi da un sonno profondo: la calma luce blu illumina quel poco che c’è all’interno del Sacrario della Rinascita. Prenderemo in mano la Tavoletta Sheikah, strumento fondamentale in questo nuovo titolo, e, poco dopo, usciremo da questa caverna per un primo sguardo alla nuova e immensa Hyrule. Attorno è tutto molto strano: l’animosità della città, il mercato dove la gente pullulava, le guardie, gli sciamani, i negozi, i bar… la Hyrule che conoscevamo or non è più. Intorno a noi uno scenario deserto e nell’Altopiano delle Origini, fra qualche nemico e qualche animale selvatico, ci sarà solo uno strano personaggio che ci accoglierà e ci darà i primi consigli per imparare a muoverci in questo ambiente desertico e ostile. Apprenderemo presto che la Hyrule che conoscevamo è stata spazzata via dalla Calamità Ganon, una nuova forma del noto antagonista della saga che incarna tutto il suo odio e la sua cattiveria; Zelda è prigioniera di questo demonio da ben 100 anni e aspetta il nostro ritorno sin dal giorno del combattimento contro la Calamità, giorno in cui 4 campioni, rappresentanti delle 4 principali razze di Hyrule, caddero in battaglia insieme alle loro antiche macchine da guerra, i Colossi Sacri. In un ambiente selvaggio e decaduto dovremmo dunque iniziare a capire cosa è successo 100 anni fa, a ricordare tutto quello che abbiamo dimenticato, a trovare quelle persone che possono essere in possesso di indizi dal passato, ma soprattutto dovremo imparare a sopravvivere in quel contesto: dovremo dunque imparare a cacciare – in quanto i nemici in questo titolo non rilasciano più energia – cucinare, ma soprattutto imparare a valutare il vastissimo mondo intorno a noi per rendere l’esplorazione più efficace possibile. La nuova parola d’ordine di questo nuovo Zelda, anche se sicuramente non è la prima volta che tale parola ha avuto un significato così profondo, è libertà. Verremo presto dotati delle tre abilità fondamentali per esplorare ogni singolo meandro della vastissima Hyrule, la più grande mai vista in un titolo della saga di Zelda, e da quel momento il mondo ci apparterrà; tutto ciò che vedremo intorno a Link, dai punti più vicini a quelli più lontani, è costruito in un modo tale da stimolare la nostra curiosità, ogni luogo, a nostro rischio e pericolo, sarà accessibile; non saremo più legati agli oggetti tipici della saga che precedentemente limitavano l’esplorazione facendoci scoprire il mondo circostante gradualmente. A tal proposito, saremo persino liberi di affrontare le prove che ci vengono poste, e dunque di srotolare la trama, in qualsiasi ordine vorremo, ogni obiettivo del gioco, primario o secondario che sia, sarà del tutto opzionale: potremo, ad esempio, scegliere di affrontare i 4 colossi sparsi per Hyrule per poi alla fine scagliarci contro Ganon oppure, una volta scesi dall’Altopiano delle Origini, potremo direttamente andare al Castello di Hyrule e provare a buttar giù Ganon con un equipaggiamento minimale. La nostra curiosità ci porterà se non altro sino ai diversi santuari sparsi per Hyrule, dei brevi dungeon al termine dei quali otterremo un Emblema del Trionfo, o ai Colossi Sacri che rappresenteranno in un certo senso il vero progresso del gioco: si tratta infatti di vere e proprie macchine da guerra costruite appositamente per contrastare la Calamità Ganon e in questo nuovo titolo sono la cosa che più si avvicina ai dungeon tipici della serie. Breath of the Wild ci offre un’infinità di modi per sperimentare questa nuova avventura, e decidere dove andare e in quale ordine affrontare gli obiettivi principali non è che la superficie del gioco; in questo titolo vengono introdotti diversi tipi di armi che si suddividono principalmente in tre categorie (ovvero le spade, le lance e le armi pesanti come asce o spadoni), e ognuna offre modi diversi di combattere, ognuno adatto ai diversi tipi di nemici presenti nel gioco; le armi, a loro volta, così come gli scudi e gli archi, avranno caratteristiche proprie, un numero che rappresenta la potenza d’attacco (o la difesa nel caso degli scudi) e una resistenza. Anche se varie armi si rompono in poco tempo è davvero difficile rimanere senza un sistema d’offesa in quanto non solo sarà (quasi sempre) possibile recuperare qualche arma negli ambienti limitrofi, ma l’ambiente potrà venire in nostro soccorso, permettendoci di far cadere contro un nemico un lampadario scagliando una freccia, facendo rotolare un macigno da una rupe o muovendo una cassa di metallo con l’abilità Kalamitron; sarà possibile placare intere orde di nemici senza brandire la spada neanche una volta! E ancora, sarà possibile ottenere determinati effetti preparando pozioni speciali che saranno decisive non solo nelle battaglie ma anche nell’esplorazione; vogliamo affrontare un’altissima montagna ma non abbiamo i vestiti adatti? Ci converrà preparare qualcosa di piccante e riscaldarci a modo nostro! Abbiamo una vastità di variabili che possono essere ottenute tramite le pozioni, il cibo o i vestiti che andremo ad accumulare, tutte seguendo una normalissima logica di sopravvivenza, senza dover pensare a chissà quale astrusa soluzione. È incredibile come questo titolo, in realtà, rompa così radicalmente certi capisaldi della serie, come l’assenza dell’equipaggiamento tipico di Link o lo storytelling lineare, ma è a sua volta sorprendente come in realtà Breath of the Wild rispetti i principi e la filosofia dei precedenti giochi restituendo in tutto e per tutto quel senso di scoperta e di avventura di cui il primo titolo era famoso; insomma si combattono ancora i mostri, si risolvono i puzzle e si esplora il mondo circostante ma in The Legend of Zelda: Breath of the Wild  tutto è restituito con classe, pensato in un certo senso senza limitazioni: uno Zelda dei sogni, da sempre pensato e mai consegnato, fino ad oggi.

Poetry in motion

La grafica, considerando che è stata pensata per una console poco potente come Wii U, è veramente spettacolare; l’art-style ha un che di cartoonesco, non troppo accentuato come in The Legend of Zelda: The Wind Waker ma nemmeno troppo realistico o dark come in The Legend of Zelda: Twilight Princess. Abbiamo un bellissimo comparto di effetti di luce e ombra, ambienti ben caratterizzati che modificheranno il gameplay, ma soprattutto avremmo sempre una visione totale di tutto quello che abbiamo intorno, giusto per incentivare la nostra curiosità. Il tutto viene visualizzato perfettamente, anche a chilometri e chilometri di distanza sarà possibile intravedere santuari, torri o persino il centrale Castello di Hyrule avvolto dalla Calamità Ganon. Il framerate, in passato, è stato oggetto di alcune critiche ma, con il rilascio delle ultime versioni, questi problemi sono stati quasi del tutto debellati; nella maggior parte delle volte Link – e con lui il mondo circostante – verrà animato a 60FPS e i bug grafici sono per lo più inesistenti (anche nella versione per Wii U). Il comparto sonoro, curato da Manaka Kataoka e Yasuaki Iwata, è qualcosa di eccezionale: le musiche, specialmente in fase di esplorazione, avranno un tono minimale e rilassante che ricorda molto il pianoforte di Ryuichi Sakamoto ma non mancano composizioni più pompose nelle fasi d’azione, pezzi più caratteristici nelle zone più popolose nonché parecchi temi familiari che i giocatori di vecchia data apprezzeranno di cuore. Questo nuovo titolo offre dei brani veramente atipici per la serie e non sono stati in pochi ad apprezzare questa nuova colonna sonora.
Breath of the Wild, probabilmente, è un va oltre la definizione di semplice gioco: è un titolo che porta il giocatore a immedesimarsi in certe situazioni, un gioco la cui componente fondamentale, prima di buttarsi nell’azione, sta nell’osservazione attenta dei luoghi e delle cose, rimanendo inevitabilmente affascinati dai nuovi, sterminati paesaggi Hyruliani nei quali si finisce per perdersi, a volte dimenticando i nostri obiettivi a favore della contemplazione. La musica fa il paio con tutto ciò, offrendo melodie sognanti ma allo stesso tempo “descrittive”, restituendo benissimo ciò che abbiamo attorno; sembra tararsi in base alle situazioni e agli ambienti e anticipare in un certo senso le nostre sensazioni. Inoltre, anche se la maggior parte dei dialoghi avverrà tramite textbox come tipico della serie, questo titolo è il primo titolo della saga ad avere delle cutscene interamente doppiate; alcuni si sono lamentati delle voci dei personaggi nei paesi di lingua inglese, ma in Italia, grazie all’esperienza dei nostri doppiatori, l’esperienza di questo titolo è decisamente migliore grazie a professionisti del calibro di Natale Ciravolo, Pietro Ubaldi e Marco Balbi. Non potevamo chiedere di meglio per uno storytelling fatto con classe e di questo livello.

Come ciliegina sulla torta abbiamo i due DLC, il primo rilasciato a giugno e il secondo a dicembre 2017, che riescono a rendere un’esperienza di gioco già perfetta ancora più profonda e longeva. Il primo, intitolato Le Prove Leggendarie, si incentra sull’abilità e la potenza della Master Sword; Link dovrà risvegliare il vero potere della spada che esorcizza il male e lo potrà fare solamente dimostrando di essere un vero eroe, affrontando durissime prove che lo vedranno privo di ogni vantaggio. La Ballata dei Campioni, ultimo e più vasto DLC, vede Link alle prese con ulteriori prove verso un ultimo eccezionale potere; come il titolo suggerisce, ci verrà raccontato di come la principessa Zelda mise insieme la squadra dei campioni, Urbosa, Revali, Mipha e Daruk, chiudendo così l’intero arco narrativo di Breath of the Wild e dando ai fan una storia completa fino all’ultimo dettaglio. In tutto questo i DLC offrono un infinità di contenuti aggiuntivi come armature e maschere, bardature, oggetti rari e la fantastica modalità “Cammino dell’Eroe” che farà apparire sulla mappa l’intero itinerario percorso da Link, molto utile per farsi un’idea di dove si è stati e di quali siano i luoghi inesplorati, permettendo dunque di trovare qualche santuario ancora nascosto. Inoltre, col primo DLC, si potrà selezionare la modalità “Master” ovvero la modalità difficile della campagna principale, che vedrà dunque diversi cambiamenti nel gameplay e un innalzamento del livello di sfida.

Un gioco perfetto

Insomma, The Legend of Zelda: Breath of the Wild con la sua vastità geografica, le diverse quest, santuari, strategiem nonché i due recenti DLC, offre al giocatore centinaia di ore di gioco rendendolo probabilmente uno dei migliori – se non il migliore – gioco della nota saga Nintendo. Eiji Aonuma e il team dietro allo sviluppo di questo eccezionale titolo hanno superato le aspettative di fan e critici videoludici di ogni dove; un gioco che sfiora la perfezione e a cui è difficile trovare veri difetti. Al di là di qualche rarissimo calo di framerate, sistemati semi-definitivamente con l’ultimo aggiornamento, Breath of The Wild è infatti un titolo che offre tantissimo e che non lascia spazionulla di marginale o noioso; ogni singolo aspetto di questo titolo è curato maniacalmente, dall’esplorazione all’interazione con gli NPC, dallo storytelling al gameplay effettivo, nulla è stato lasciato al caso. The Legend of Zelda: Breath of the Wild è destinato a rimanere non solo un “must have” per i possessori di Switch e Wii U ma anche a segnare la storia dei videogame futuri, e a imprimersi nella memoria dei giocatori di tutto il mondo.




Grim Fandango Remastered gratis per 48 ore su GOG

Gog.com ha reso disponibile gratuitamente e per un tempo limitato (sino al 14 dicembre 2017) la remastered di Grim Fandango per PC, Mac e Linux. Il gioco è localizzato in 5 lingue ed è scaricabile sul sito della nota piattaforma.
Il titolo vede per protagonista Manny Calavera, agente incaricato di vendere biglietti di viaggio alle anime che devono affrontare il percorso che, secondo la concezione azteca, porta dalla terra dei morti sino al Nono Aldilà.

Grim Fandango, ideato da Tim Schafer, pur non avendo avuto all’epoca un gran riscontro di pubblico, ha rappresentato una delle avventure grafiche della LucasArts più lodate dalla critica, e conserva tutt’oggi un nutrito stuolo di estimatori. I diritti sono detenuti dalla Double Fine Productions dello stesso Schafer.




Annunciata la data d’uscita di Thimbleweed Park su PS4

Thimbleweed Park arriva finalmente su PS4. Dopo un’attesa di alcuni mesi, anche i possessori della console potranno giocare il punta e clicca di Terrible Toybox a partire dal 22 agosto. La notizia è stata resa nota dallo stesso creatore, Ron Gilbert, in un post pubblicato su PlayStation Blog.
Per chi non conoscesse l’ultima opera del creatore di Monkey Island, si tratta di un’avventura  grafica in pixel art che si rifà ai grandi capolavori dell’epoca LucasFilm Games (Maniac Mansion su tutti, e non a caso è uscita in occasione del trentennale del gioco ed è ambientata nel 1987) ed è una riproposizione parodistica di una detective story dai contorni sovrannaturali che mette dentro elementi tratti dalla letteratura di Stephen King e da note serie tv quali X-Files e Twin Peaks. per offrire un’avventura davvero strana e meravigliosa.

Nel post pubblicato, Ron Gilbert precisa che gli utenti «meravigliati dalla precisione con la quale un punta e clicca funziona su console, senza un mouse», in ragione dell’enorme quantità di tempo spesa dall’intero team a perfezionare i controlli su pad senza far perdere le emozioni delle avventure degli anni ’80 e ’90. In realtà questo era già avvenuto sul NES, dove si può ricordare un porting di Maniac Mansion in 8 bit.
Ron Gilbert ha sviluppato il gioco affiancato da altri due grandi nomi della vecchia guardia Lucas, Gary Winnick e David Fox, e il riscontro della critica è stato estremamente positivo. Il gioco è già giocabile dal 30 marzo su PC, Mac e Xbox One. In attesa della data di rilascio dell’ormai confermata versione per Nintendo Switch, vi lasciamo al trailer di lancio per PS4:




To The Moon

Che valore hanno i sogni? Che valore hanno i nostri ricordi? Scambiereste un ricordo autentico con il ricordo con un sogno mai realizzato? Probabilmente alcuni oggi accetterebbero lo scambio; di certo non pochi lo fanno nell’universo di To the Moon, nel quale la Sigmund Corporation è riuscita nell’intento di manipolare i ricordi a piacimento e offre questo genere di servizi a clienti in punto di morte (per non causare dissonanze cognitive ai sottoposti), aiutandoli a esaudire i propri desideri irrealizzati. Nel caso in questione, tocca agli scienziati Neil Watts ed Eva Rosalene rendere reale – quantomeno sul piano mnemonico – il desiderio dell’anziano John: andare sulla Luna.Velleità infantile, atavica, anche banale a primo acchito. Vien da pensare al desiderio istintivo del bambino che guarda il mondo con occhio disincantato e dichiara di voler fare l’astronauta, da grande.
Ma non sta ai due esperti giudicare il proprio cliente: entrambi devono limitarsi a connettersi alla memoria di John per risalire alla motivazione primigenia da cui è scaturito il desiderio, e far leva su quella per far sì che diventi reale – almeno sotto forma di ricordo – nella convinzione che non ci sia nulla che non si possa ottenere se animati da una forte motivazione. Ma già dal primo ricordo emerge ben poco, così Neil ed Eva si trovano a dover andare sempre più a ritroso – con non poche difficoltà – fino all’infanzia di John nella speranza di trovare la chiave del problema.

Temi (im)portanti

In questo viaggio al termine dei ricordi, Neil ed Eva si addentreranno nel vissuto più profondo di John, in un intrecciarsi di relazioni umane che va dall’amico più fidato al suo unico, vero amore, River, passando per quelle familiari, relazioni che imprimono il primo marchio nel percorso dell’esistenza. Temi comuni a ogni essere umano, ed è proprio dietro la maschera dell’ordinarietà che si annidano le storie speciali. Tramite una storia di vita senza alcun tratto apparentemente straordinario, Kan Gao riesce a trattare temi profondi e delicati: dicevamo del rapporto tra desiderio e memoria, e su entrambi gli argomenti emergono importanti interrogativi (abbiamo il diritto di non assecondare desideri altrui perché ci paiono ingiusti nei nostri confronti? Il valore dei nostri desideri è superiore a quello dei nostri ricordi?). Proprio sul tema della memoria, il racconto sembra oscillare tra il Gondry di Eternal Sunshine of the Spotless Mind – in cui è al centro il tema della rimozione dei ricordi dolorosi – e il Nolan di Memento e Inception – rispettivamente per il meccanismo del viaggio mnemonico à rebours e per il sistema a livelli in cui si struttura il percorso a ritroso nei ricordi – tralasciandone però la componente filosofica e per calcare la mano su quella emozionale. Certo non è un terreno semplice: John desidera aver innestato un nuovo ricordo per esaudire il proprio desiderio, ma la memoria non è una stanza illuminata a giorno, è anzi zeppa di zone d’ombra, è un terreno scosceso disseminato di crateri, non diversamente dalla Luna, la cui parte oscura è perfetta allegoria di quel subconscio in cui si nascondono i ricordi rimossi. E così è anche per John, come scopriranno i nostri scienziati.
Il tema si intreccia senza forzature a un altro ancor più spinoso e certamente meno noto, quello della Sindrome di Asperger. È una delle scelte più meritevoli di To The Moon, probabilmente il primo videogame a mettere in primo piano una simile patologia, e a ciò si aggiunge il merito di averla trattata con delicatezza inaspettata e rifuggendo ogni banalità, non facendo dei soggetti affetti da simili caratteristiche dei freak ma, al contempo, non puntando su un facile binomio autismo-genialità che, nel caso in questione, avrebbe costituito una comoda scappatoia. Tratti dell’Asperger sono stati del resto rintracciati in uomini di genio del calibro Darwin, Newton, Lewis Carrol, van Gogh, Tesla, Einstein, Syd Barrett ed è curioso trovare una simile patologia – parente stretta dell’autismo, e che comporta difficoltà sul piano sociale e comunicativo – in un videogame, essendo quelli dell’informatica e della produzione videoludica settori che vedono un discreto numero di soggetti interessati.

Novel, Visual & Sound

Seppur robuste e importanti, le tematiche da sole non potrebbero mai bastare; ragion per cui è il caso adesso di soffermarsi su quello che è un aspetto cruciale di opere atte a raccontare una storia attentamente pensata, dagli intenti autoriali, ovvero il meccanismo narrativo. Come nel caso di molti titoli di non facile inquadramento, si dibatte infatti su dove incasellarla fra chi la inserirebbe nel largo calderone delle avventure grafiche punta e clicca e chi la definirebbe una mera visual novel. Al di là di ogni definizione, possiamo certamente osservare che To The Moon consta di meccanismi propri dei punta e clicca sul piano tecnico ma di un dipanarsi del gameplay che lo avvicina più a quello delle visual novel: gli enigmi sono infatti quasi inesistenti mentre l’interazione con l’ambiente circostante è massima e finalizzata a ottenere ulteriori dettagli sulla trama. Le uniche, piccole sfide di gioco presenti consistono in piccoli puzzle da ricomporre tra un ricordo e l’altro e in una sfida di Whack-a-mole al Luna Park, ma si tratta di divertissment che non hanno rilevanza alcuna ai fini del completamento del gioco, il quale finisce col basarsi sostanzialmente sulla pura narrazione. Ed è proprio su questo piano che il titolo trova la sua forza, nella trattazione sapiente di tematiche importanti, rifuggendo la banalità e mettendo in sequenza eventi con un attento lavoro di regia videoludica che ben scandisce i tempi del racconto, utilizzando una scrittura elegante che riesce a equilibrare la profondità dei dialoghi con vari momenti di leggerezza (fondamentale, in tal senso, è la carica di sarcasmo e ostentato cinismo fornita dal Dr. Watts, a cui è affidata una piccola linea comica). Alcuni limiti del titolo sono però al contempo però rintracciabili proprio in fase di scrittura perché, se da un lato Kan Gao riesce a offrire un racconto raffinato e bilanciato, dall’altro canto questo manca in parte di quello spessore che ci aspetteremmo una volta alzata l’asticella dell’autorialità, non raggiungendo altissime vette di scrittura né offrendo dialoghi o monologhi memorabili.
La parte testuale rimane comunque un punto forte del titolo, che si arricchisce di richiami alla contemporaneità (dal Lorenzo von Matterhorn di How I Met Your Mother a Twilight fino ai vari “Hadouken”, “Kamehameha” e “Hulk Smash” citati da Neil Watts nei momenti di apertura di un varco tra un ricordo e l’altro) e che viene assolutamente completata da una colonna sonora straordinariamente intensa, basata su composizioni di pianoforte capaci di caricare emotivamente testi comunque già solidi e di regalare atmosfere sognanti e trasognate: il leitmotiv del titolo – composto dallo stesso Kan Gao, autore dell’intera soundtrack – vi resterà impresso a lungo, come del resto la dolcezza di Everything’s alright, l’unico brano cantato dalla voce carezzevole di Laura Shigihara.
La grafica 16-bit, che ricorda da vicino vecchi titoli come Secret of ManaFinal Fantasy o Chrono Trigger, essendo il titolo sviluppato con RPG maker, si armonizza perfettamente in quest’impianto, contribuendo all’unicità di un titolo che, nonostante una grafica affatto originale, risulta ormai facilmente riconoscibile dopo pochi secondi di gioco.

Un Mobile poco mobile

Sviluppato nel 2011, il gioco è stato oggi riproposto in versione mobile, e per l’occasione è stato risviluppato con motore Unity, con un leggero lavoro sulle grafiche e l’aggiunta di alcuni piccoli sistemi in-game come work log, qualche implementazione nei ricordi e poco altro. A parte queste implementazioni – nessuna di vero rilievo, in verità –  emergono alcuni difetti di questa versione nel sistema di movimento, più lento e farraginoso rispetto a quello del pc, certamente ancora ottimizzabile, così come lo sono i dialoghi, per i quali non è possibile accelerare la velocità di lettura, difetto che spezza non poco il ritmo di gioco e che potrebbe penalizzare non poco un titolo che richiede predisposizione alla lettura e pazienza (specie in relazione agli standard odierni). Nulla che una buona patch non possa migliorare, e già gli sviluppatori hanno annunciato aggiornamenti, soprattutto perché la versione in italiano era stata lanciata sullo store con qualche problema tecnico che gli utenti non hanno mancato di ravvisare.

Dalla Terra alla Luna

Il viaggio dalla Terra alla Luna narrato da Jules Verne è certamente agli antipodi rispetto a quello narrato in To The Moon, tutt’altro che legato alla narrativa avventurosa o alla fantascienza dei primordi, ma certamente ha in comune un tratto concettuale, quello della sfida esistenziale, della battaglia quotidiana per la realizzazione dei sogni che vede al centro la forza di volontà, motore immobile per l’esaudimento di ogni desiderio.
I momenti di riflessione davanti agli interrogativi posti dalla storia si alternano agilmente a quelli in cui sono le emozioni a farla da padrona, in un climax che porterà anche i cuori più duri ad avvicinarsi alla storia d’amore tra John e River non meno che ai grandi messaggi che il titolo vuole veicolare e ricordare, per utilizzare un verbo appropriato, sulla falsariga di quanto sosteneva Edward Morgan Foster quando affermava che “unless we remember, we cannot understand”. 
To The Moon è un titolo certamente raro nel panorama videoludico mondiale: a Kan Gao va il grande merito di aver creato un’opera videoludica che unisce profondità tematica e abilità di scrittura in un quadro di grande armonia, sostenuto da una colonna sonora raffinata, con composizioni che si imprimono nel cuore del giocatore e lo accompagnano con levità fino alla fine della storia. Un piccolo astro luminoso che non si può far a meno di ammirare e che continuerà a lungo a splendere nel firmamento degli indie games.