The Low Road

1976. La giovane Noomi Kovacs, diplomata al LeCarré Institute for Exceptional Spies viene assunta nella divisione Intelligence della Penderbrook Motors, che presiede alla protezione di importanti segreti industriali (e alla corrispettiva sottrazione ai concorrenti). Noomi è talentuosa e intelligente tanto quanto impaziente, e vuole mettersi alla prova sul campo ma, come ogni nuova leva, viene relegata a compiti di poco conto dal suo supervisore, Barry “Turn” Turner, ex agente governativo dall’oscuro passato. Un’interessante missione è alle porte, l’obiettivo è il recupero di un geniale progettista misteriosamente scomparso nel quartier generale della REV Inc., ma Noomi non è la prima scelta, anzi: il suo capo le dice a chiare lettere che manderebbe lei solo se non ci fosse proprio nessun altro. Ed è così che la nostra agente vedrà profilarsi il suo primo obiettivo personale: fare in modo che ciò accada.

A hard road

Prima di addentrarci nei dettagli del gioco, è bene ripercorrerne lo sviluppo: il lavoro su The Low Road inizia nel 2014 da un’idea dell’allora CEO di Xgen Studios, Skye Boyes e dell’Art Director Scott Carmichael, con l’intento di creare qualcosa di completamente diverso dal precedente Super Motherload.
Viene fatto un investimento in know-how di genere con l’assunzione di Jed Lang come Lead Programmer e Leif Oleson-Cormack come Narrative Designer, e nel 2015 lo studio ottiene il supporto economico del Canada Media Fund. Tutto sembra andare per il meglio, quando il progetto subisce un improvviso stop a causa della prematura scomparsa di Skye Boyes a soli 33 anni, a seguito di un arresto cardiaco.
Superato lo shock e con il lutto nel cuore, il team si rimette al lavoro con al comando la moglie di Boyes, Kaelyn, che lavora assieme al gruppo per portare a termine The Low Road, il quale viene finalmente rilasciato nel luglio 2017 per PC, Mac e Linux, fino ad arrivare la scorsa estate su Nintendo Switch. La versione che abbiamo provato tiene conto della classica combo mouse-tastiera, come si addice a un amante della prima ora delle avventure grafiche punta e clicca.

Il Canto della Missione

Ma ritorniamo alla storia narrata: abbiamo detto che Noomi Kovacs si troverà a fare di tutto per avere assegnata la sua prima missione. Come in ogni adventure game, bisognerà compiere una sequenza di azioni per arrivare al risultato finale. Prima di portare però a termine questo primo obiettivo, la nostra protagonista si ritrova a dover fare una telefonata di prova su incarico di Turn. Viene così introdotta una delle particolarità del titolo, una meccanica quantomeno singolare nell’ambito di  un punta e clicca: la prospettiva cambia, dallo scorrimento orizzontale in stile platform che caratterizza The Low Road si passa a una visuale in prima persona con in primo piano le mani del nostro personaggio, che dovremo muovere con il mouse. La prima prova di questo tipo consiste in una conversazione telefonica (che può produrre svariati esiti) durante la quale dovremo fornire le migliori risposte all’interlocutore basandoci su informazioni presenti in documenti consultabili dentro a un fascicolo. Un’idea intelligente, che spezza l’univocità del gameplay tipica delle dinamiche punta e clicca. Si trovano circa una quindicina di questi momenti in tutto il gioco, mini-game di vario genere che non sempre risultano adeguatamente elaborati, e che avrebbero potuto compensare alla quasi totale mancanza di difficoltà del titolo sul piano degli enigmi: è quasi impossibile rimanere arenati in The Low Road e, se questo agevola la fruizione della narrativa, d’altro canto toglie un po’ di mordente a un gioco che esigerebbe un livello di sfida maggiore. Quando l’architettura del design fa della narrazione la colonna portante (come accade nei titoli Telltale e Quantic Dream, per citare gli esempi più noti), la scrittura necessita di un maggior grado di cura sul piano contenutistico e di un ritmo di racconto che vada di pari passo con le esigenze narrative. The Low Road gode globalmente di una buona scrittura, incarnata in un efficace uso dell’ironia, in dialoghi ben pensati, alcuni dei quali davvero divertenti come lo scambio di battute in rima con Hab (che fa da prodromo a una vera e propria sfida di rima baciata svolta in una modalità picchiaduro che ricorda da vicino Oh…Sir! The Insult Simulator) o alcuni siparietti grotteschi che stimolano una storia globalmente solida, che risulta godibile e diramata pur non riservando momenti di stupore: è infatti utile anche fallire in determinati frangenti, e vedere quali futuri sono riservati ai personaggi dopo quel singolo (falso) game over. Il racconto, in questo caso, sfuma nel nero ed è affidato a semplici scritte che raccontano un finale alternativo ma “parziale”, perché un “forward” da videoregistratore ci riporterà immediatamente al punto in cui avevamo perso, dandoci la possibilità di effettuare scelte alternative, fino a imbroccare quella corretta. I finali possibili in The Low Road sono effettivamente due, e il bivio si presenterà nell’ultimo scenario, che sarà possibile ripercorrere soltanto a seguito di un salvataggio.

Imperfect Spies

In termini di gameplayThe Low Road è quanto di più essenziale ci si possa aspettare da un titolo del genere: privo di qualsiasi interfaccia di scelta con azioni contestuali effettuabili tramite un semplice click del mouse, ci si servirà del tasto destro per l’analisi degli oggetti e del tasto sinistro per le azioni vere e proprie. Il puntatore cambia aspetto e forma ogni qualvolta sarà possibile interagire con un oggetto, che a sua volta verrà messo in rilievo rispetto al background. Proprio nell’interazione con gli oggetti circostanti si può ravvisare uno dei limiti del titolo: sempre per una scelta di game design, si è optato per asciugare il più possibile le interazioni, a favore di quelle con elementi che risultino funzionali alla risoluzione degli enigmi. Se questa è una scelta in favore della snellezza e del ritmo, d’altro canto rischia di lasciare il quadro narrativo un po’ spoglio. In un titolo del genere, l’analisi degli “elementi inutili” da parte di un personaggio ha una funzione ben precisa, quel che risulta dalle interazioni può contribuire a dare forza al contesto o caratterizzare di rimando alcuni personaggi o ambienti, o ancora può aumentare la carica ironica o poetica, o epica, o altro relativo al messaggio veicolato dal gioco, in relazione alla prospettiva e al feel che si vuole restituire all’utente. Questo tipo di interazioni sono qui portate ai minimi termini, e spesso è un peccato, specie davanti a scenari così belli e ricchi di dettagli.
Lo stile grafico è infatti uno degli aspetti più ammirevoli del gioco: ispirandosi alle illustrazioni “gouache“, Scott Carmichael mette in scena ambienti e personaggi di grande godibilità, più improntati allo stile utilizzato da moderni illustratori, fumettisti e cartoonisti che ai pittori classici, creando un ottimo effetto visivo, elegante e vivido al contempo, con un equilibrio non facile fra l’altro da raggiungere, dovendo rendere credibili le animazioni quasi da luna park di personaggi che si muovono come burattini. Ma tutto è così ben realizzato che la credibilità della finzione scenica non vacilla, risultando anche le dinamiche d’animazione perfettamente in linea con l’art-style e con i toni improntati al “comedy”.
A tutto ciò fa da sfondo il comparto sonoro di Eric Cheng, con buoni effetti e un’ottima soundtrack sospesa tra sonorità british e accenti psichedelici che riportano all’epoca di riferimento senza risultare marcatamente retrò. Sarebbe stato un lavoro perfetto sul piano audio se non fosse inficiato da alcuni doppiaggi che, seppur buoni, hanno alcune fastidiose sbavature in termini di resa, tra echi e riverberi poco gradevoli. Roba da poco, comunque, che non rende meno buona un’operazione globalmente di rilievo.

Si vive solo due volte

The Low Road è un titolo lontano dall’essere perfetto, ma è un’avventura grafica degna di essere giocata: una buona scrittura, che non sottovaluta un efficace equilibrio di trama e ironia, valorizzata da un ottimo comparto grafico e da una colonna sonora ben curata, a cui si aggiungono una varietà di mini-game che fanno da valido contraltare a enigmi non impegnativi ma funzionali a entrambi i finali della storia. Il cui risultato è globalmente più che positivo.
Se esiste un paradiso per i creatori di avventure grafiche, Skye Boyes, alla cui memoria il gioco è dedicato, avrà giocato con gusto a The Low Road, e da qualche parte sorride soddisfatto del risultato dei ragazzi di Xgen Studios, che hanno affrontato con successo il banco di prova del primo punta e clicca della loro storia di development.




Storie videoludiche: gli “umili” esordi di National Insecurities

Entrare nel settore dello sviluppo videoludico non è mai stato facile, e una delle attività più ostiche è quella di trovare i fondi necessari per trasformare il proprio sogno in realtà. Oggigiorno, anche avendo i finanziamenti, in realtà, non è semplice farsi sentire in mezzo alla moltitudine di concorrenti del settore, né è detto che si producano bei giochi. Ma con una buona dose di perseveranza, duro lavoro e voglia d’imparare tutto è possibile. Un esempio di tutto ciò lo forniscono sviluppatori come National Insecurities, start-up britannica che ha debuttato l’anno scorso con 2000:1: A Space Felony,  i cui buoni risultati hanno permesso alla piccola software house di lanciarsi in progetti più grandi.

La loro storia ha inizio nel 2012, anno nel quale il team di incontra durante il primo anno d’università. I ragazzi iniziarono a lavorare al loro primo titolo, chiamato The Old Gods Are Dead, solamente due anni più tardi. È stato lo sviluppo di quest’ultimo a portare alla formazione del team che, durante uno showcase, venne notato da una società gallese interessata a distribuire il loro primo gioco. Tuttavia, la compagnia non era in grado di finanziarli e questo portò i membri di National Insecurities a cercare possibili finanziatori.
Il lead designer del team, Gary Kings decise di mettersi alla ricerca di editori, come Team 17 e Devolver Digital, che avevano dimostrato di saper aiutare delle piccole start-up. Sfortunatamente, furono rifiutati. Questo spinse Kings a rivolgersi all’amministratore delegato della UKIE CEO DR Jo Twist che lo indirizzò verso il Games Finance Market.

Pochi mesi dopo, la National Insecurities presentava The Old Gods Are Dead a una miriade di possibili investitori. Inizialmente, trovarono un investitore che poi, successivamente, lì abbandonò e le altre società interessate al progetto erano fallite o non erano più interessate. I ragazzi non si diedero per vinti e deciso di presentarsi alla fiera per il secondo anno: il Games Finance Market mise su un bootcamp per preparare i team partecipanti agli incontri con i potenziali investitori. Questo fu impagabile, afferma Kings, capì come discutere con gli editori e, infatti, fu la sua abilità nell’interloquire a fargli ricevere i fondi che servivano alla società. Secondo lui è molto importante incontrare i finanziatori faccia a faccia e mostrar loro quanto straordinari siano i titoli che si è capaci di creare.
L’oggetto di ogni incontro era The Old Gods Are Dead, ma il team aveva già in cantiere 2000:1: A Space Felony, e Kings aveva intenzione di cominciare a tastare il terreno per il nuovo titolo. Scoprì che Humble Bundle aveva lanciato un programma di finanziamento indirizzato a lavori indipendenti, Humble Originals, e decise di provare ad attirare la loro attenzione. Creò un finto gioco chiamato Disorient on the Murder Express e lo inviò inserendo un messaggio interamente in maiuscolo all’interno della descrizione:

«QUESTA NON È UNA VERA APPLICAZIONE, È UN TENTATIVO DI ATTIRARE LA VOSTRA ATTENZIONE SU UN ALTRO GIOCO SU CUI STO LAVORANDO PER HUMBLE ORIGINALS».

Tre giorni dopo, ricevette il rifiuto di Humble Bundle. Il giorno dopo ancora, arrivò un’altra mail, dove Humble Bundle domandava «E allora, questo gioco?». Fu così che lo studio ricevette 10.000 dollari per completare lo sviluppo e, nel luglio 2017, 2000:1 : A Space Felony è stato pubblicato su Humble Originals. La società ha ricevuto un ulteriore finanziamento di 30.000 dollari per rifinire il lavoro su due propri titoli.
Quello della National Insecurities è soltanto uno degli esempi, inserirsi e crescere sul mercato videoludico non è facile; ma le lezioni imparate dai piccoli sviluppatori possono essere utili non meno di quelle provenienti dai grandi, oggi. Il consiglio dello stesso Kings al termine della chiacchierata con i colleghi di Gamesindustry è esemplificativo, invitando gli sviluppatori agli inizi a non aver fretta di avere successo immediato, perché i risultati spesso arrivano dopo un po’, e soprattutto a non aver paura di far la figura di quelli che sanno poco:

«Concedetevi il lusso di non sapere, e chiedete sempre a quelli ne sanno più di voi – che sono poi quasi tutti quelli che incontrate, quando siete ancora agli inizi. Trovate un mentore, se potete: se incontrate qualcuno che conosce come vanno le cose che sia disposto ad aiutarvi, tenetevelo stretto.»

Il messaggio dei giovani developer di National Insecurities è quello che «il successo può essere trovato lungo la strada grazie a ciò che hai imparato»: in un’epoca in cui a molti sembra già di sapere tutto, quello di essere sempre pronti a imparare ci sembra il miglior consiglio che si possa dare.

Fonte: GameIndustry