Hellblade: Senua’s Sacrifice – Una Perla che tutti (TUTTI) Devono Giocare

Spesso – e soprattutto in Italia – i videogiochi sono visti con diffidenza o come semplici passatempo; libri, film e simili sono ancora considerati la massima espressione del pensiero umano, capace di abbattere barriere innalzate da pregiudizi o argomenti tabù. Eppure qualche volta arriva, in ambito videoludico, qualcosa di potente che riesce a portare temi di difficile divulgazione, un mondo a sé stante e visto ancora con circospezione: tutto questo è Hellblade: Senua’s Sacrifice. Il tema trattato, le psicosi e schizofrenia, sono messe in scena in maniera tale che difficilmente si potrà vedere qualcosa di così coinvolgente su carta stampata o pellicola, facendo sì che l’immedesimazione in Senua, la nostra protagonista, ci avvicini di più a un mondo in parte sconosciuto e di difficile collocazione sociale.

A Scanner Darkly

Sembrano lontani anni luce i tempi di DMC: Devil May Cry ed Enslaved . Il progetto Hellblade è stato un lungo percorso che ha visto negli anni tanti cambiamenti, rinvii e soprattutto un basso budget. Ninja Theory però non si è data per vinta e, grazie alla supervisione di esperti, tra cui medici e psicologi e soprattutto alla viva voce dei pazienti, è riuscita a creare un prodotto unico nel suo genere. Il fulcro di tutte le vicende è Senua, ragazza sin da piccola affetta da disturbi psichici e tenuta separata dalla società dal padre. Questo, oltre a tanti altri traumi, di cui uno di questi sarà il punto centrale della narrazione, l’ha segnata profondamente, facendo aggravare i suoi problemi: voci nella testa, allucinazioni, paure e ansie sono solo alcune delle caratteristiche della protagonista, che non saranno solo fondamentali per la sua crescita personale e lo svolgimento della trama, ma avranno importanti ripercussioni sul gameplay, come vedremo in seguito. Senua risulta essere una dei personaggi più reali mai apparsi in un videogioco, non solo esteriormente, ma soprattutto nella sua psiche contorta: il risultato è un’empatia che solo un videogame può regalare; nelle circa otto ore di avventura noi SIAMO LEI, viviamo tutti i suoi traumi, le sue tragedie, la sua solitudine e la sua follia. Tutto questo è dovuto all’attento studio dei disturbi con anni e anni di consulenze e prove effettuate durante lo sviluppo del titolo e soprattutto a Melina Juergens, che ha prestato la sua voce e le sue fattezze nella realizzazione di Senua.
Le sue vicende sono immerse nel mondo dei Pitti durante l’invasione vichinga. Anche qui è stato fatto un lungo studio sulle usanze del popolo che sfidò l’Impero Romano, il tutto, per dare a Senua maggiore spessore e soprattutto una caratterizzazione estetica. Tutta la storia sfrutta la mitologia del popolo invasore, con una struttura lineare (tranne che per un caso) e un misto di reale e fittizio che vivremo dagli occhi di Senua. È una scrittura consapevole, ogni elemento ha una sua funzione e faremo fatica a capire cosa è reale e cosa no. Sarà un viaggio, sotto tanti aspetti, da quello fisico a quello interiore, trovando una potente e simbolica conclusione che, allo spuntare dei titoli di coda, ci farà provare immediatamente nostalgia.
Incluso con il gioco troveremo un documentario della durata di circa 25 minuti in cui è spiegato tutto il processo che ha portato alla realizzazione del titolo: scelte, script e soprattutto la presenza di esperti e pazienti, faranno luce su alcuni aspetti della protagonista. Da vedere esclusivamente a gioco finito.
Hellblade: Senua’s Sacrifice è un titolo necessario: apre gli occhi su un mondo che vediamo con diffidenza, che ci può anche far paura. Chiunque di noi può essere affetto, in maniera più o meno evidente, da questi disturbi e il vivere in prima persona cosa si prova dagli occhi di Senua è un modo di spingere più persone a non isolare il fenomeno e di capire meglio chi ci sta attorno. 

La definizione di follia

Precisiamo subito una cosa: se vi aspettate qualcosa in stile Heavenly Sword, toglietevelo dalla testa. Lo scopo di Ninja Theory non era e non è quello di portare un titolo dal gameplay stratificato e combattimenti che prevedono la distruzione del joypad. Qui tutto è incentrato sul simbolismo, a cominciare dalla parte che colpisce meno del titolo. Gli scontri che affrontiamo risultano semplici, con i classici colpi leggeri e pesanti e due tipi di schivata; ai tasti dorsali e riservato l’onere della parata (che se effettuata col giusto tempismo vi permetterà di stordire l’avversario) e un piccolo boost per effettuare un paio di mosse speciali, utili in determinati frangenti. I combattimenti quindi non risultano particolarmente profondi, non ci sono abilità da sbloccare e men che meno nuove combo da utilizzare. Sta tutto qui, dall’inizio alla fine. Nonostante ciò però gli scontri non saranno mai banali: le personificazioni delle paure di Senua vi terranno sempre sull’attenti in quanto ci ritroveremo da soli contro numerosi nemici di natura diversa. Oltre a questi scontri – a dir la verità un po’ slegati tra loro – potremo affrontare anche delle boss fight, sicuramente più adrenaliniche e completamente diverse tra loro. La differenza tra la sopravvivenza e la morte la farà il tempismo e capire i moveset nemici che, in diversi frangenti, attaccheranno in gruppo. Un aiuto importante, sempre in fase di combattimento, arriva dal Focus, una sorta di bulletime, ma non solo. Il Focus rappresenta anche la capacità di Senua di mettere a fuoco, appunto, il proprio obiettivo evitando di farsi distrarre dalle sue paure e angosce, ma soprattutto dalle voci intime. Spiegarlo a parole risulta difficile, ma state certi che vedendolo con i vostri occhi – soprattutto in una boss fight in particolare – capirete che nulla, proprio nulla, è stato lasciato al caso.
Un altro di questi elementi è poi la fase esplorativa, in cui bisognerà trovare particolari rune, che bloccano il vostro cammino, specialmente su delle porte, all’interno dell’ambiente di gioco. Questo farà sì che ogni ombra, cambiamento di prospettiva e oggetti possono essere rimandi a quelle rune che, una volta trovate, vi permetteranno di avanzare. Benché – considerata la parte di puro gameplay – non siano sezioni propriamente esaltanti, anche qui la forma segue la funzione: molti dei pazienti ascoltati da Ninja Theory raccontano di come allucinazioni e associazioni, che nella realtà non esistono, risultano in qualche modo determinanti. Quando andiamo a caccia di queste rune nell’ambiente, da osservatori esterni, non capiamo esattamente l’utilità, ma per Senua, tutto questo è fondamentale. Sente il bisogno di cercare queste associazioni, convinta che, qualora non fosse in grado di riconoscerle, rimarrebbe bloccata per sempre nel suo mondo. Oltre a questo sono presenti anche dei puzzle ambientali, in cui, attraverso una sorta di portali spazio-temporali, sarà possibile, ad esempio, salire su una torre precedentemente distrutta o di entrare in porte un tempo sbarrate.
Se dedico queste righe alla spiegazione – per così dire – del fenomeno è perché, alle volte, risulta troppo facile vedere cosa si ha davanti e giudicarlo ma, una volta scalfita la superficie, almeno in ambito videoludico si può capire il perché alcune scelte siano state fatte: semplicemente perché non ci sarebbe stato altro modo di rappresentare alcuni aspetti della psicosi di Senua, in questo caso. Molto spesso è il contesto a fare la differenza.

La tana del Bianconiglio

Per una volta vorrei partire direttamente dall’audio, praticamente perfetto. In Hellblade quest’aspetto è fondamentale, non solo per immergerci al meglio nel mondo di gioco, fatto di enormi boschi e sinistri luoghi chiusi, ma anche per entrare nella testa di Senua dove, le sue voci, avvolgono tutto il mondo di gioco. L’utilizzo di microfoni bineurali per la registrazione è stata una scelta azzeccata, in quanto ha permesso di captare l’audio a 360° e godibile appieno soltanto utilizzando delle headset, possibilmente 7.1. Una volta indossate le cuffie entreremo in un mondo fatto da decine di voci, completamente diverse le une dalle altre e con caratteristiche proprie: chi invita alla riflessione, chi sbeffeggia e chi incita a proseguire. Oltre a ciò le altre componenti audio, inerenti all’ambiente di gioco, sono riprodotte magistralmente creando un mondo vivo e assolutamente plausibile: il fruscio del vento, lo scorrere dell’acqua, i passi sul terreno di Senua regalano uno dei migliori sonori degli ultimi anni. Menzione d’onore anche a Melina Juergens, in grado di dare una prova attoriale magistrale e – se si potesse fare – da candidatura alla statuetta. Il gioco è tradotto in italiano solo nei testi. Resta qualche dubbio sulla qualità dei sottotitoli, a volte mal gestiti nel tempismo.
Per quanto riguarda la parte grafica, l’utilizzo dell’Unreal Engine 4, ha permesso di utilizzare un’ottima mole poligonale e soprattutto un bellissimo comparto luci. Se nel primo caso il tutto è chiaramente visibile, con ottima modellazione del mondo di gioco, anche nel ricreare alcuni particolari della civiltà celtica, le luci sono quasi una presenza invisibile, verosimili tanto da non farci caso. L’espediente di non utilizzare alcuna interfaccia in-game permette poi di avere ampia e chiara visione di ciò che ci circonda, prendendo spunto da canoni cinematografici; questo, anche grazie all’utilizzo di particolari filtri che segnalano anche il grado di coscienza di Senua: non mancheranno sezioni idilliache, quasi psichedeliche, e parti in cui la realtà prenderà il sopravvento, diventando tutto freddo e crudo. Texture di buona fattura, escludendo qualche elemento di discreta qualità e animazioni che forse rappresentano, assieme all’audio, il fiore all’occhiello della produzione: Melina Juergens e i suoi movimenti sono stati scansionati con una nuova tecnologia che permette una riproduzione precisa delle movenze del personaggio cosicché Senua appaia reale ai nostri occhi. Le espressioni facciali sono tra le migliori mai viste e, in combinazione con il parlato, sono semplicemente perfette. Anche gli effetti speciali sono ben resi e sono una delle peculiarità del motore grafico utilizzato: fiamme, pulviscolo, motion blur e tutto il contorno sono ben resi, aggiungendo quel qualcosa in più ad un titolo visivamente quasi ottimo. Quasi, appunto, perché purtroppo da segnalare vi sono sporadici bug e glitch legati al temporal antialiasing, alcuni pop-up e qualche piccola compenetrazione poligonale; nulla che infici comunque la qualità del titolo. Infine le musiche, create da Andy La Plegua, avvolgono il tutto quando serve, senza strafare, enfatizzando con le giuste tonalità i momenti bui e la scalata verso la redenzione di Senua.

In conclusione

Hellblade: Senua’s Sacrifice è un titolo che tutti dovrebbero giocare, almeno una volta nella vita. Riesce ad abbattere alcune barriere sociali facendoci immedesimare con maestria in certe problematiche, aprendo una porta su un mondo che pian piano comincia a schiudersi. Azzeccate scelte stilistiche e di gameplay portano questo gioco tra i top di quest’anno, con Ninja Theory che si è assunta un grosso rischio: avrebbe potuto sviluppare qualcosa di comune, andare sul sicuro, ma fortunatamente, la volontà di esprimere qualcosa di forte ha avuto la meglio. Se pensiamo che è un titolo da circa 30 € sicuramente non è da farselo scappare.
Magari i combattimenti non vi lasceranno a bocca aperta, le sezioni esplorative non sono il meglio che la produzione videoludica possa regalare, ma i viaggi di Senua, vi faranno chiudere un occhio su tutto ciò.
Per la cronaca, il gioco è stato ampiamente apprezzato da pazienti affetti da simili disturbi.