Oggi il reveal del nuovo Need For Speed

Con un’immagine pubblicata sulla propria pagina Facebook, EA ha comunicato che alle 15:00 di oggi verrà presentato il nuovo Need for Speed. Sul titolo si sa veramente poco tranne qualche rumor che lo collocherebbe per le vie di Las Vegas.
Il nuovo NFS torna dopo un capitolo che non ha avuto il successo sperato, per cui ci si aspettano grossi cambiamenti in termini di gameplay, richiesti tra l’altro a gran voce dai fan. L’unica certezza è l’utilizzo del Frostbite Engine, che ha già mostrato i muscoli nel titolo del 2016.
Un’ulteriore considerazione è sul perché fare un reveal così importante a pochi giorni dall’E3, un palcoscenico perfetto per uno dei titoli di punta per Electronic Arts. Probabilmente l’importanza di questa conferenza sta via via affievolendosi.
Restate in attesa per ulteriori aggiornamenti con un articolo d’approfondimento dedicato all’evento di quest’oggi.




Prey – Quando l’Originalità non Paga (in Senso Stretto)

In queste ultime settimane uno dei titoli che ha attirato maggiormente l’attenzione del pubblico videoludico è certamente Prey. Sviluppato da Bethesda, questo titolo è da considerarsi come un vero e proprio reboot del Prey del 2006, con alle spalle una storia molto diversa da quello che vediamo quest’oggi. Ci sono voluti ben undici anni di lavoro e di gestazione travagliata: il tanto acclamato sequel era stato infatti annunciato nel 2011 e poi cancellato nel 2014, per poi essere ripreso da Bethesda che decise di rilanciare il brand nonostante molti estimatori storcessero un po’ il naso.
Il gioco del 2006 è davvero migliore rispetto alla controparte moderna? Vediamo assieme di cosa si tratta.

Cherokee in space

L’inizio è di quelli che colpiscono. È una giornata come tante altre dove Tommy, il nostro protagonista e nativo americano Cherokee, lotta con il proprio retaggio e le sue origini, nella stazione di servizio insieme a suo nonno Enisi e la sua ragazza, Jen. Un elemento distintivo di Prey è proprio la caratterizzazione di Tommy: un uomo stanco di vivere come un Cherokee e che sogna di potersi godere la modernità e la libertà del XX secolo anche se, in fondo, capisce l’importanza delle radici e la propria cultura in via d’estinzione. Questi pensieri troveranno una brusca interruzione quando una nave aliena rapisce la maggior parte degli abitanti terrestri, compresi lui, Jen e suo nonno Enisi. Le priorità e sogni cambieranno improvvisamente: importerà solo sopravvivere e salvare ciò che si ama di più.
La storia di Prey è permeata prima di tutto da un percorso di crescita del protagonista, un semplice meccanico che si ritrova invischiato in qualcosa molto più grande di lui, che non diventa un mero espediente per andare da un punto A a un punto B ma un’occasione per accettare se stessi con il fardello delle decisioni difficili da prendere. Una volta arrivati sulla nave aliena, dopo esser stati prelevati da un raggio traente, quello che ci appare davanti è qualcosa di atroce: esseri umani fatti a pezzi e ridotti in poltiglia e la paura che ci soffoca e confonde dove l’unica cosa che ci farà andare aventi sarà Jen, che dopo la morte di Enisi, diventerà il nostro faro e unico motivo per continuare a vivere. Ma la morte forse è solo il principio e qui troverà risposta attraverso un piano esistenziale diverso, profondamente legato alle tradizioni Cherokee che sembra far a pugni con quanto vediamo a schermo, ma che invece regala una delle esperienze più originali del mondo videoludico.
Nonostante le premesse e le ottime idee di fondo, però, nella seconda parte dell’avventura si assisterà a una brusca accelerazione delle vicende e a un finale, sicuramente importante e simbolico, ma che probabilmente avrebbe necessitato di un maggiore approfondimento.
Una scena che fa male è quella post-credits, nella quale si assisterà al palese incipit di quello che avrebbe dovuto essere il secondo capitolo che, come sappiamo, non ha mai visto la luce.
Come detto, un punto forte è la caratterizzazione di Tommy, ma trovano risalto anche Jen e soprattutto Enisi, ultimo legame del protagonista alle sue origini. Grazie a lui sarà possibile interagire con l’aldilà, elemento che sarà molto utile in termini di gameplay, come vedremo in seguito.

Non solo preda

Prey si presenta come un FPS senza fronzoli e diretto discendente di Doom ma, a differenza di quest’ultimo, sono state aggiunte alcune feature interessanti che rendono questo titolo almeno peculiare, mouse o pad alla mano. Sono disponibili diverse armi, tutte di natura aliena e quindi una versione fantascientifica delle tipologie che tutti conosciamo. Ogni arma ha una doppia modalità di fuoco, il che approfondisce le fasi di shooting e rende adattabili alcune strategie in base ai nemici incontrati. Capiterà, ad esempio, di utilizzare il classico fucile d’assalto per falcidiare i nemici vicini ma ecco arrivare spari da molto, molto lontano: click destro del mouse e il nostro fucile diventerà automaticamente un fucile di precisione per colpire anche dalla lunga distanza. Probabilmente oggi non gridereste al miracolo vedendo qualcosa del genere ma state certi che un’introduzione di questo tipo amplia di gran lunga le possibilità di fuoco – e quindi d’approccio – alle diverse situazioni.
Ma oltre alle sparatorie c’è di più, a cominciare dai pavimenti anti-gravitazionali che spesso cambiano completamente l’approccio alla battaglia: trovarsi a testa in giù è abbastanza straniante, soprattutto agli inizi diventa difficile non provare un po’ di mal di mare. L’utilizzo dei pavimenti anti-gravitazionali diventa però strategico, dato che dipenderà spesso da noi se utilizzarli o meno. In ogni caso saranno indispensabili per la risoluzioni di piccoli enigmi e sezioni platform che ovviamente non sono il punto centrale del titolo.
Un’altra cosa ad attirare l’attenzione è l’uso dei portali spazio-temporali, che ricordano molto quelli presenti in Portal del 2007 (addirittura gli stessi colori). Sono visivamente suggestivi perché permettono di passare repentinamente da zone del tutto aperte a corridoi e viceversa, molto spesso con differenti centri gravitazionali.
Un altro tocco innovativo è il cosiddetto sistema Anima: come detto precedentemente, Enisi sarà soprattutto una guida spirituale per il nostro protagonista, al quale verranno insegnati i fondamenti delle cultura Cherokee, come in questo caso l’interazione con un piano esistenziale differente. Alla sola pressione di un tasto, la nostra anima diventerà del tutto indipendente dal corpo (sistema ripreso alla larga da Middle Earth: Shadow of Mordor) e quindi utilizzabile per accedere ad alcuni passaggi altrimenti inaccessibili e, grazie a un arco spirituale, sarà possibile colpire i nemici favorendo una bozza di sezione stealth. Ogni colpo consumerà la barra dedicata e sarà possibile ricaricarla assorbendo l’anima dei nemici sconfitti. Il suo utilizzo dipende molto dalla situazione in cui ci troviamo poiché, una volta abbandonato il corpo, esso stesso sarà un bersaglio facile. Proprio l’anima ci permetterà di essere virtualmente immortali in quanto, ricevendo un colpo critico, saremo sbalzati in un limbo dove potremo ricaricare la salute e la barra dedicata a questo potere colpendo determinati bersagli. Proprio un simile sistema è probabilmente l’unico vero difetto di Prey: non c’è una reale sfida in quanto, dopo essere usciti dal limbo, tutto riprenderà come se nulla fosse accaduto. Si ha veramente la sensazione che la morte non abbia conseguenze, dato che i nemici sconfitti rimarranno tali e chi ha perso molta salute continuerà in quello stato. Forse in questo caso sarebbe stato più furbo fare un passo indietro e lasciare il classico sistema dei checkpoint.
Un altro collegamento al mondo spirituale è Talon, un falco che Tommy possedeva durante la sua infanzia e che qui sarà utile (e del tutto indipendente) per distrarre e attaccare i nostri nemici e a indicarci l’obiettivo.
Infine, sarà possibile utilizzare anche delle navette che ampliano ulteriormente le possibilità offerte in termini di gameplay: saranno presenti in zone prefissate, come degli spazio-porti, e serviranno soprattutto per proseguire nel corso dell’avventura.

Prey ottimo direi

Prey utilizza lo stesso motore di Doom 3 e Quake 4 ma qui ulteriormente potenziato. L‘id Tech 4 regala degli ottimi scorci, e con modelli poligonali ricchi di dettagli: personaggi, ambienti, nemici e soprattutto le armi aliene con le loro continue animazioni, portano questo titolo ai vertici della qualità grafica non solo su PC, ma anche su Xbox 360.
Una nota di merito va al comparto degli effetti speciali, davvero ottimi, soprattutto se si pensa all’anno di uscita di questo videogioco: molto spesso capiterà infatti di essere abbagliati da quanto vediamo su schermo, non solo per il buon sistema di luci, ma anche grazie al contorno di esplosioni, scintille, dissolvimento dei nemici e ancora una volta nell’uso e nella visione delle armi.
Il lato artistico mostra, invece, un po’ il fianco a eccessive somiglianze con lo stesso Doom 3, soprattutto negli ambienti, molto simili tra loro, e su alcuni nemici – ma solo alcuni – per niente ispirati. Piccole macchie in un mondo che comunque risulta credibile e in una società aliena che basa la propria tecnologia sulla biomeccanica e su alcuni espedienti puramente fantascientifici che, come abbiamo visto, oltre che funzionali, sono alche molto interessanti da vedere.
In un titolo di questo livello non può ovviamente mancare un comparto audio eccellente a cominciare dalle musiche, create da Jeremy Soule, già famoso per aver composto brani per i vari lungometraggi di Harry Potter e dei vari The Elder Scrolls. Ognuno di essi avvolge sapientemente la situazione che stiamo vivendo, dalla caotica alla più drammatica, aggiungendo quel qualcosa in più al percorso di Tommy. Anche il doppiaggio si attesta su ottimi livelli (inglese con sottotitoli) non solo riguardo i protagonisti ma anche riguardo le varie voci aliene dei nemici e dei comprimari. La qualità si vede anche da questi dettagli em se ancora non bastasse, ogni suono alieno – che siano armi, i passi sui pavimenti anti-gravitazionali e persino la semplice apertura di una porta – è stato campionato apposta, proprio in nome della credibilità citata poc’anzi.

Commento finale

Il Prey del 2006 è un agglomerato di storie tristi, non solo per la trama ricca di tragedie, ma anche per la sua realtà commerciale e di sviluppo che ha visto nella cancellazione del sequel il suo apice.
Prey appartiene a un’epoca profondamente diversa da quella odierna, un tempo dove c’era ancora spazio per qualcosa di nuovo non solo in termini di gameplay ma anche di narrativa, mischiando generi diversi magari a un primo sguardo in contrasto ma proprio per questo dando vita a un risultato originale e accattivante. Nonostante l’alta qualità raggiunta in tutti i settori, Prey fu un flop commerciale e questo non fece altro che mettere una pietra tombale sull’intero progetto che, come sappiamo, è stato ripreso in questi anni da Bethesda.
In conclusione, è davvero migliore del titolo del 2017? Probabilmente sì: la voglia di osare di Human Head Studios, il team di sviluppo originale, rende il Prey del 2006 sicuramente più memorabile. Il Prey di Bethesda è senza alcun dubbio uno dei migliori giochi che potrete giocare quest’anno, eccelle in molte cose, gli puoi voler bene ma in fondo non lo ami. Consiglio a tutti di recuperare il primo Prey, capostipite di un’epoca che di lì a poco avrebbe visto l’entrata in scena di titoli come Bioshock, Mass Effect, Gears of War, Dead Space e altri entrati di diritto nella storia dei videogame.Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
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Leak di Life is Strange 2: prologo?

Sviluppata dalla Dontnod Entertainment, Life is Strange è stata con un bel metacritic di 85 una delle avventure grafiche di maggior successo dell’ultimo periodo incentrata attorno alle vicende di Maxine Caulfield, studentessa che scopre di possedere l’abilità di riavvolgere il tempo.
Dagli screenshots emersi su Imgur vien da pensare alla possibilità che si tratti di un prequel (questa volta sviluppato da Deck Nine) del quale il personaggio principale sarebbe Chloe Price e che ci racconterebbe come Chloe e Rachel Amber siano diventate amiche dopo che Maxine (finora migliore amica di Chloe Price appunto) partì senza dare più notizie alla volta di Seattle.

https://imgur.com/a/0UGL0

Changing ChloeLife is Strange - Prequel LeaksLife is Strange - Prequel LeaksLife is Strange - Prequel LeaksLife is Strange - Prequel LeaksLife is Strange - Prequel LeaksLife is Strange - Prequel LeaksLife is Strange - Prequel LeaksLife is Strange - Prequel LeaksQuesti gli screenshots. Vi lascio sperando di avere nuove informazioni al più presto magari proprio durante l’E3.

Life is Strange – Prequel Leaks




Phantom Dust Remastered

Phantom box

Nato nel 2004 dalla mente di Yukio Futatsugi (ideatore della serie Panzer Dragoon), Phantom Dust fu una perla nascosta della prima Xbox, console che, appena entrata sul mercato, non riuscì a opporsi allo strapotere di Playstation 2, nonostante svariate esclusive di spessore (Ninja gaiden, Halo, Fable, per citarne alcune) e una potenza oggettivamente superiore.
Il gioco non fu esattamente un successo commerciale, tanto da non essere pubblicato in Europa, e per gli occidentali è disponibile solamente in lingua inglese.

Brutto ma buono

A una prima impressione, osservando dal punto di vista grafico Phantom Dust non ci si fa un’idea positiva: il gioco non è invecchiato bene, le textures sono in bassa risoluzione, le animazioni legnose; insomma, a parte la risoluzione, il frame rate (quasi sempre fisso sui 30 fps) e l’adattamento agli schermi wide screen, il gioco è esattamente identico all’originale del 2004.
Non facendoci condizionare dalle prime impressioni possiamo però renderci conto che abbiamo a che fare con un gioco dalla trama interessante e dal gameplay originale e profondo.

Storia

Phantom Dust è ambientato in un futuro post apocalittico in cui la superficie esterna della Terra è pervasa da una misteriosa polvere che causa la perdita della memoria a chiunque ne sia esposto per un certo lasso di tempo.
Gli esseri umani sono costretti quindi ad abitare nel sottosuolo e fanno affidamento su un ristretto gruppo di persone che manifestano poteri “esper” con i quali sono in grado di manipolare la polvere e utilizzarla a proprio vantaggio.
Gli esper (così vengono metonimicamente chiamate le persone dotate degli stessi poteri) vanno spesso in missioni di esplorazione per trovare reliquie del passato chiamate “Ruins” con la speranza di riuscire a trovare la causa e la ragione di questa polvere misteriosa della cui origine l’umanità ha perso totalmente i ricordi.
Noi controlleremo un esper senza nome, trovato dentro un sarcofago insieme a un altro suo simile che dice di chiamarsi Edgar: i due si uniranno a un gruppo di persone chiamato “Vision” e verranno coinvolti in missioni nel mondo esterno per trovare le già citate Ruins.

Gameplay

Il gioco è un misto tra un trading card game e un pvp arena game, non c’è nessun gioco – almeno fra quelli che conosco – che si avvicini anche lontanamente a unire due generi così distanti tra loro e questo è un pregio non da poco.
Prima di affrontare le missioni bisogna creare il proprio arsenale (paragonabile a un mazzo da gioco): le abilità in esso contenute verranno generate poco alla volta nell’arena di combattimento, e noi potremo usarne soltanto 4 alla volta. É possibile sovrascrivere un’abilità con un’altra più utile ma quella sovrascritta verrà persa per tutto il match, e starà al giocatore scegliere quali abilità mettere nell’arsenale e quali usare nel campo di battaglia (tranne nelle fasi iniziali in cui le abilità sono predefinite).
Possiamo avere più di un arsenale, da scegliere a seconda della missione o dell’avversario che dovremo combattere in multiplayer, composto da 30 slots nei quali possiamo inserire abilità di diverse scuole, nel dettaglio: Psycho, Optical, Ki, Nature, Faith. A loro volta le abilità possono essere di diversi colori: rosso (attacco), blu(difesa), verde (cambiamenti di stato), viola (annullamento abilità nemica), giallo (abilità speciali), bianco (particella aura).
Nella campagna single player, quando non affrontiamo delle missioni, possiamo esplorare l’accampamento sotterraneo dei Visions, visitare varie locations e parlare con diversi personaggi che ci daranno consigli, ci assegneranno delle missioni o ci permetteranno di acquistare abilità da inserire nell’arsenale (per chi non voglia affrontare la campagna single player è possibile acquistare le abilità tramite microtransazioni).
Nonostante il valido gameplay, il gioco tenderà a stancare a lungo andare: le ambientazioni tendono a ripetersi e le missioni sono troppo simili tra loro, allungando eccessivamente il brodo. A mio avviso si sarebbe potuto accorciare di almeno un terzo la campagna, la quale dovrebbe essere principalmente un tutorial per il multiplayer.

Conclusioni

Microsoft ci ha fatto un bel regalo (ricordiamo che il gioco è gratis per tutti i possessori di Xbox One e PC con Windows 10) permettendoci di scoprire questo gioco che può offrire una lunga campagna single player e una modalità multiplayer che ci permetterà di sfidare amici in locale o altri utenti di Xbox live.
Nonostante i succitati difetti, il gioco è un passo nella direzione giusta per Microsoft, e nel panorama videoludico rappresenta un titolo certamente unico nel suo genere, a cui raramente se ne potrà accostare un altro per similarità.




Red Dead Redemption 2 rinviato al 2018

Rockstar Games sposta il lancio del secondo capitolo di Red Dead Redemption all’anno prossimo, precisamente alla primavera 2018. La software house spiega che il gioco, per offrire la migliore esperienza di gioco possibile, ha necessariamente bisogno di più tempo per essere sviluppato. Per questo si scusa con i suoi fan dicendo:”Siamo davvero dispiaciuti per la delusione a causa di questo ritardo, ma crediamo fermamente che un gioco si debba rilasciare solo una volta pronto. Non vediamo l’ora di rilasciare importanti news sul gioco questa estate. Nel frattempo, per favore, godetevi questa nuova selezione di screenshot di Red Dead Redemption 2“.




The Surge – Attenzione, Il Potenziale C’è! Al Prossimo Giro Però

Dopo Lords of The Fallen, The Surge è da considerarsi come il titolo di maturità per Deck 13. Nonostante l’evidente richiamo al titolo originale, questo soulslike si distacca abbastanza da avere una propria identità, anche se non tutto va nel verso giusto.

In un mare di ruggine

In un futuro prossimo il mondo è in pericolo: riscaldamento globale, cambiamenti climatici, crisi finanziaria e altri fatti poco piacevoli, rendono C.R.E.O. Industries l’unica in grado a mettere una pezza a quanto sta accadendo. Tutto parte dai suoi Esoscheletri, non solo in grado di migliorare le abilità umane ma anche di rimettere in piedi gli infermi, come il nostro protagonista, Warren. Il progetto per salvare il mondo ha inizio ma, già al nostro risveglio, capiamo che non tutto è andato nel verso giusto.
Già a partire dall’incipit si può intuire come la trama non sia il punto forte del titolo: i richiami ad altri film e videogiochi di fantascienza sono palesi, ma sono aggrovigliati in modo da non intrattenere il giocatore, al punto che, passata qualche ora, potrebbe non importarvi più di raccogliere gli audiolog in giro per la mappa per conoscere ulteriori dettagli sulla storia. Anche i personaggi di certo non aiutano: Warren, il nostro protagonista, nonostante si trovi fin da subito invischiato in una situazione fuori controllo, con zombie armati di esoscheletri pronti a ucciderlo in qualunque momento, appare assolutamente avulso da quanto stia accadendo, come se stesse partecipando forzatamente alla trama. I comprimari sono addirittura peggio sceneggiati, e anche sulla storia di questi pare si sia fatto abbastanza per mantener vivo il disinteresse: non pare rilevante il perché si trovino lì e, nonostante i dialoghi a scelta multipla, non sembrano aver nulla da dire, a parte consegnare alcuni incarichi secondari che, se completati con successo, porteranno il nostro inventario ad arricchirsi.
Si ha come la sensazione che molte cose siano soltanto abbozzate: ad esempio, potremmo attaccare dei npc pacifici o delle guardie non ostili, che ovviamente risponderanno come si deve ma, dopo il reset del gioco, dopo una morte o dopo essere entrati nel MadBay, l’hub centrale, tutto tornerà come prima, come se nulla fosse successo. Quindi niente sistema di reputazione, il che ci permette di fare ciò che vogliamo senza conseguenze. Anche riguardo il MadBay ci sono buchi di sceneggiatura non da poco: cos’è? Perché quando ci entriamo tutto il mondo di gioco si resetta? Perché respawniamo lì? Domande a cui non troveremo risposta: quest’hub sembra essere presente semplicemente “perché deve essere così”, senza nessuna contestualizzazione nella trama o nella lore.
È un vero peccato, perché bastava davvero poco a creare una storia che legasse in qualche modo il nostro peregrinare da una zona all’altra del mondo di gioco. Il paradosso è che The Surge finisce proprio quando le cose cominciano veramente a farsi interessanti.

1000 modi per morire

Fortunatamente i pregi sono altri e diciamolo subito: The Surge è un gioco cattivo, tanto.
Rispetto al titolo From Software, ogni nemico base può farvi molto ma molto male, a tal punto che ogni combattimento diventa una vera sfida. È proprio questa la parte più riuscita del titolo: ogni scontro ha qualcosa da dire e bisognerà essere molto tattici se si vuole sopravvivere. Tutto è all’insegna della familiarità nei colpi, tra leggeri e pesanti, la schivata simil Bloodborne, eccezion fatta per la parata, la cui posa non consente al personaggio di muoversi e che, a colpo ricevuto, consumerà una delle tre barre presenti, quella della stamina; la barra della salute e la barra dell’energia completano il quadro, dove quest’ultima può essere impiegata, una volta raggiunta una certa carica, per eseguire colpi finali, ricaricare la salute con appositi iniettabili e potenziare gli attacchi del Drone, che sarà una risorsa utile non solo come aiuto offensivo ma anche per aprire alcune porte altrimenti inaccessibili. È possibile anche potenziarlo lungo il corso dell’avventura e sceglierne il tipo d’attacco una volta selezionato il bersaglio. La sua utilità diventa fondamentale qualora ci si ritrovi davanti un gruppo di nemici; grazie al drone potremo colpirli e attirarli singolarmente, sfruttando la basilare IA dei nemici. Proprio il sistema di targeting si presenta innovativo: è possibile distinguere e selezionare i diversi punti da colpire, tra arti, testa e corpo colpendo solo quel singolo punto. Diventa importante studiare un minimo l’avversario, capire se ci sono parti non ricoperte dall’armatura e quindi vulnerabili oppure, al contrario, selezionare una parte dell’equipaggiamento, danneggiarla e, attraverso un colpo finale, ricevere un loot. I cadaveri li rilasciano abbastanza spesso e sarà possibile visionarli ancor prima di raccoglierli. Ogni nemico rilascia rottami da utilizzare per potenziare la batteria nucleare, le armi e le armature e addirittura crearle, ma solo se abbiamo a disposizione gli schemi ingegneristici. Oltre ai rottami, per poter costruire servono determinati oggetti: ogni pezzo d’equipaggiamento utilizzato consuma una certa quantità di energia quindi è essenziale potenziare la batteria nucleare per poterne utilizzare uno migliore. A livello estetico, l’equipment in sé non è personalizzabile, soprattutto durante i potenziamenti, essendone modificabili solo le caratteristiche.
Sono presenti anche dei perks attivi e passivi: quelli attivi, chiamati iniettabili, permettono soprattutto di ricaricare la salute o, per esempio, di potenziare gli attacchi, mentre quelli passivi possono aumentare le nostre statistiche ma, ogni qualvolta inseriti nel nostro equipaggiamento, consumeranno anch’essi l’energia della batteria.
Come nei Souls si perderanno tutti gli scarti tecnologici in nostro possesso in caso di morte e, ovviamente, anche qui sarà possibile recuperarli, ma con sostanziali differenze: abbiamo un tempo limite, dopodiché gli scarti verranno persi del tutto. Per aumentare il tempo a disposizione basta eliminare qualche nemico che si interpone tra noi e i nostri scarti.
Insomma, come potete aver capito è un titolo complesso e che migliora piccoli aspetti dei classici soulslike, a cominciare dalla possibilità di mettere in pausa il gioco, ed è fornito di menu molto chiari e intuitivi fino agli scontri con i boss. Anche i boss infatti regalano quel qualcosa in più a livello di gameplay e bisognerà studiarli con attenzione, abbastanza da rimanere uccisi diverse volte prima di sconfiggerli. A dir la verità i pattern d’attacco non sono molti ma il sapere che ogni colpo potrà eliminarvi senza pietà non rende più facile conoscerli. Tutti hanno un punto debole ma non sarà visibile immediatamente e, a differenza di altre boss fight, qui non è importante solo quando colpire, ma anche dove. Nonostante ciò, i boss si presenteranno solo come grossi ostacoli da superare. Non c’è emozione nell’affrontarli, nessun brivido particolare, manca quel “non so che” perché un titolo di questa categoria possa fare il salto di qualità.
Anche le mappe, in qualche modo, hanno qualcosa da dire nel bene e nel male: abbastanza grandi e articolate, con tanti passaggi di collegamento e le classiche scorciatoie tra il nostro hub e alcune zone d’interesse, necessitano di un’attenta esplorazione, in quanto è possibile trovare oggetti rari o nuove aree che non pensavamo esistessero. Una caratteristica fondamentale è che alcuni accessi saranno disponibili solo quando il nostro personaggio sarà a un livello tale da potervi accedere e, di conseguenza, spostarsi tra le varie mappe liberamente, in stile Dead Space. Ma anche qui, per ogni Yang esiste anche un Yin corrispettivo: la grandezza e l’articolatezza delle mappe porta a una certa dispersività, disorientando il giocatore e diventando non di rado frustrante, specie a causa della grande somiglianza fra molti ambienti che spesso mancano di elementi distintivi.

Déjà vu

Sul piano tecnico, il gioco si presenta abbastanza bene, con modelli poligonali per i personaggi più che buoni, come del resto gli oggetti equipaggiabili e gli oggetti di scena, e buoni filtri che regalano all’occhio una pulizia generale niente male; meno felici le texture, di qualità altalenante. Trovano risalto anche l’utilizzo degli effetti speciali, bellissimi da vedere soprattutto in aperto combattimento che lo trasformano in un balletto coreografico pieno di luci, scintille e onde d’urto.
Le poche cutscene sono ben realizzate anche se con qualche calo di frame di tanto in tanto mentre le parti giocate rimangono fluide, ancorate ai 60fps anche nei momenti più concitati. Sono previsti diversi setup grafici che rendono il gioco adattabile a tutte le macchine.
Purtroppo, il lato a colpire meno è proprio la realizzazione artistica: per quanto si sia cercato di dare un’identità visiva al titolo, non si può fare a meno di notare eccessive somiglianze con quanto visto in altri titoli – cinematografici e non – tanto da perdere interesse per i dettagli, che sono anche tanti ma che non invogliano a soffermarsi. Tutto sa già visto, soprattutto per via delle Exosuit, e non ci sono scorci mozzafiato e memorabili come nei titoli FromSoftware.
Fortunatamente il comparto audio rialza un po’ l’asticella con ottimi effetti sonori, dai singoli colpi fino ai vari suoni dei mezzi meccanici sparsi per tutta la mappa. Tutto è stato riprodotto con qualità e attenzione al dettaglio.
Anche la musica trova nel suo utilizzo, o meglio nel suo non utilizzo, una scelta azzeccata in quanto la maggior parte delle volte saremo circondati solo dai rumori ambientali che aumentano in maniera drastica l’immedesimazione di trovarsi in una landa distrutta, desolata e ostile.
Il doppiaggio, inglese, è probabilmente la cosa che colpisce meno nella parte sonora: non c’è enfasi, come se si sia fatto il proprio e basta. Ricordo che ci troviamo in una base distrutta, tossica, con macchine assassine eppure, a detta dei personaggi, sembra di trovarsi all’interno di una libreria il giovedì pomeriggio.

Commento finale

The Surge è a conti fatti un titolo riuscito a metà: se, da un lato, l’idea di portare un soulslike nel mondo della fantascienza è ottima, allontanando l’ombra di Dark Souls, dall’altro il gioco risulta povero di idee, e quelle che ci sono a volte sono poco approfondite. Se i combattimenti posso essere definiti buoni tutto il resto è segnato dal compromesso, non solo narrativo ma anche artistico portando questo titolo nel limbo dei giochi di cui non si avrà memoria. Il titolo ha paradossalmente una sua identità, è subito riconoscibile, ma nonostante ciò riesce a risultare al contempo anonimo. Le potenzialità ci sono tutte e magari in un secondo capitolo, dove si sarà ascoltato il parere della critica, troveremo un vero rivale dei titoli FromSoftware.

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
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Destiny 2: il resoconto della live

Qualche giorno fa si è svolta la live di Bungie incentrata sul gameplay di Destiny 2, che ha introdotto a svariate novità del gioco. Passandole in rapida rassegna, si va dalle nuove sottoclassi – Dawnblade, Sentinel Arcstrider – a oggetti come la spada infuocata in dotazione allo stregone e lo scudo da vuoto per il titano, che potrà lanciare e colpire i nemici (à là Capitan America, per intenderci), mentre il cacciatore sarà dotato di una lancia ad arco. Oltre alle granate e al corpo a corpo ci sarà anche una terza abilità che, come visto per lo stregone, crea una barriera curativa. Destiny 2 riproporrà le vecchie super-abilità presenti nel precedente capitolo. Avremo a disposizione delle nuove classi di armi, come le SMG, dei lanciagranate, lanciamissili multipli e minigun, e dal gameplay si nota il ritorno dei danni elementali nelle armi.
Riguardo la campagna, la storia ci porterà a visitare tre nuovi mondi: IO, Titan e Nessus. I pianeti saranno abitati e magari avranno delle zone social al loro interno. La storia, come anticipato mesi fa, vede la legione rossa come oppositore e come principale antagonista – e capo dell’esercito cabal – Gha’ul, il quale sostiene che il Viaggiatore abbiamo scelto gli umani commettendo un grosso errore, poiché avrebbe dovuto scegliere proprio i cabal.
Questo per quanto riguarda il plot; per quanto riguarda, invece, il PvE, i nuovi mondi saranno esplorabili con delle cinematiche che accompagneranno i guardiani nella loro avventura. Saranno introdotte delle nuove attività come la caccia al tesoro, varie avventure, settori perduti e altro ancora, spesso costituite da veri e propri dungeon, superati i quali si otterranno preziose ricompense. Si è parlato anche di vaste mappe nei vari mondi: la mappa sulla Terra, sulla quale potremo visitare anche l’Europa, sarà particolarmente vasta. Già annunciato, inoltre, il nome della prima missione: I’m coming.
Il PvP presenta delle nuove mappe e nuove modalità, come quella Countdown. Il crogiolo verrà sconvolto dall’implemento dei 4v4 a sfavore e alla scomparsa delle modalità 3v3.
Dietro Destiny vi è sempre stata la volontà di Bungie creare una community che rimanga unita, ed è per questo che in questo secondo capitolo sarà implementato il ranking – se così si può definire – dei singoli clan, di cui ogni membro contribuirà con le proprie azioni alla crescita. Chi si trova senza clan potrà richiedere una “Guida di gioco“, che consiste nella possibilità di richiedere un “tutor”, ruolo che sarà svolto da un membro di un clan che potrà, in tal maniera, guadagnare punti ai fini del ranking.
Per chi si chiedesse su che piattaforma sarà possibile scaricare il gioco, la live ha dato finalmente una risposta: Destiny 2 sarà presente su battle.net di Blizzard, e non su Steam, come ipotizzato. Ad ogni modo, pare non ci saranno server dedicati, né su PC né tantomeno su console, ma su questi temi aspettiamo ulteriori news in occasione dell’imminente E3.
Per la beta bisognerà ancora attendere qualche settimana, e la data di rilascio non è stata ancora rivelata.
Vi ricordiamo che Destiny 2 sarà presente all’E3, esattamente alla conferenza Sony e che il gioco uscirà l’8 settembre per PlayStation 4, Xbox One e per PC.




Assetto Corsa: Ready to Race (DLC) – Soldi Spesi Bene, Molto Bene

Sono ormai diversi i DLC e gli aggiornamenti rilasciati finora per Assetto Corsa. Il simulatore di guida italiano, apprezzato da critica e pubblico, è stato in costante evoluzione soprattutto grazie al parere dei fan, diventando un titolo finalmente maturo (almeno nella parte guidata).
Ready to Race è solo l’ultimo dei tanti contenuti aggiuntivi e, proprio come i Porsche Pack, contiene solo nuove auto, spaziando dalle track-car ai mostri protagonisti del WEC e di Le Mans.
Varranno la cifra richiesta?

Dalla strada alla pista

Partendo dalle stradali, la prima vettura a essere ammirata è la Toyota Celica ST185, divenuta famosa per aver vinto ben cinque campionati del mondo rally tra il 1992 e il 1994, tra mondiale piloti e costruttori. Dalla sua apparizione, il nome Celica è stato sempre un marchio distintivo per Toyota, vantando tecnologie all’avanguardia come un avanzato sistema a quattro ruote sterzanti ed essendo la prima al mondo ad avere una trazione integrale a due varianti. La vettura è estremamente reattiva ai cambi di direzione e vigorosa nell’accelerazione, e il modello è perfettamente ricreato, regalando la sensazione di stare al volante di una vettura che ha fatto la storia dei rally. È molto facile ritrovarsi in sottosterzo, per cui bisogna dosare bene il gas in entrata in curva, cosa che la rende di difficile approccio per i neofiti.
Se la Celica può ancora essere considerata una vettura mansueta, la McLaren 570S è invece una vera belva: 570 CV, 1300 Kg di peso, o-100 in 3,2 secondi. Il nuovo corso McLaren comincia da lei, a cominciare dal nuovo design e dalle nuove doti telaistiche che la differenziano molto dalla sua antesignana, ovvero la Mclaren MP4-12C.
Rispetto a quest’ultima, infatti, la 570S è molto più reattiva, più brutale in accelerazione e in frenata; si avverte subito anche la sua leggerezza nei rapidi trasferimenti di carico, il che rende questa vettura una degna rivale della Ferrari 488 GT-B.
La Mclaren P1 GTR invece è la vera punta di diamante della casa britannica: è una versione elaborata della P1 ma da usare esclusivamente in pista in quanto non rispetta nessun regolamento del codice della strada, e soprattutto nessun regolamento sportivo. La potenza incrementata a 1000 CV e un peso ridotto di 50 Kg rispetto alla versione standard, rendono questa vettura spaventosa, basta davvero un piccolo tocco d’acceleratore per ritrovarsi molto più lontano dal punto da cui si era partiti. È probabilmente la vettura più difficile da portare al limite del DLC in quanto è ben di più di una semplice hypercar e, paradossalmente, anche di una vettura da gara; anche usare il sistema DRS può diventare pericoloso, e basta una minima oscillazione di troppo per finire fuoristrada, specie quando ci mette del suo l’algoritmo del vento – di cui parlerò in seguito – introdotto nel DLC.
La vettura è comunque splendida, con ogni dettaglio perfettamente ben reso a cominciare dagli interni, ricchi di fibra di carbonio, tasti e schermi LCD. Peccato solo per le texture delle livree, a bassa risoluzione e in verità un po’ bruttine a vedersi, ma questa è purtroppo ormai una consuetudine per le vetture Kunos.
Dopo questa super dose di adrenalina torniamo alla normalità (si fa per dire) con la Lotus 3-eleven, vettura intrisa dello spirito di Colin Chapman, fondatore di Lotus, che ha sempre lavorato per avere le auto migliori al mondo, macchine dal basso peso ma dalla grande potenza. È la vettura più divertente di questo add-on e sembra di trovarsi alla guida di uno sciame d’api: l’auto non sta mai ferma ed entra in curva con la sola forza del pensiero. Anche qui il modello è ben ricreato ma un po’ sporcato da aliasing intorno alle prese d’aria e sullo spoiler posteriore mentre gli interni sono perfetti. Provate a usare questa vettura al Nordschleife: non ve ne pentirete.

Solo in pista

Sono tante le Audi presenti in questo DLC, cominciando dalle TT, presenti in due versioni: VLN e Cup. La prima è nata su richiesta dei clienti che volevano avere l’opportunità di guidare in gara una vettura dei Quattro Anelli. Il risultato è appunto la TT RS VLN: sostanziali modifiche aerodinamiche, motore potenziato e tante altre modifiche hanno trasformato una tranquilla coupé in una vettura da corsa vera e propria. Sorprendentemente è molto divertente, soprattutto se si gareggia con vetture della stessa categoria. Il suono del motore è qualcosa di oscenamente bello, vigoroso, potente e, se avete delle ottime cuffie, difficilmente vi staccherete da questa vettura.
Come approccio è abbastanza permissiva, non si scompone facilmente e questo spiega il perché sia così adatta ai classici piloti della domenica.
La TT Cup, invece, si basa sull’ultima versione della coupé tedesca: anche qui la vettura ha subìto un drastico miglioramento grazie all’utilizzo smodato di fibra di carbonio e al re-design della carrozzeria. Le differenze con la versione VLN sono evidenti, a cominciare dalla maggiore potenza e dal sempre presente sibilo del turbo e del classico suono della valvola Wastegate. Nonostante la maggiore esuberanza del motore sembra comunque abbastanza pigra, forse dovuto ad un rapporto peso/potenza mal ottimizzato.
Ben di tutt’altra pasta è la R8 LMS, che rispetta le nuove norme del GT3, il campionato turismo riservato alle supercar. La R8 è una delle vetture migliori del campionato e forse la migliore GT3 presente su Assetto Corsa. Il modello è eccezionale: ogni piccolo elemento aerodinamico è perfettamente riprodotto così come dettagli dei fari e soprattutto degli interni. Il V10 di derivazione Lamborghini si fa sentire parecchio e le sue doti dinamiche rendono la R8 almeno una spanna superiore alle concorrenti.
Poi, è un sogno è trovarsi al volante della Maserati MC12. Costruita appositamente per partecipare all’ormai defunto campionato FIA GT, la MC12 presenta, nei suoi 5 metri e 14 centimetri, tutta la purezza e la maestosità di un marchio che ha fatto la storia delle corse. Dotata di motore ereditato dal V12 della Ferrari Enzo, che consta di 630 CV e cambio costruito da Maserati stessa, è una vettura indubbiamente vincente, e questo DNA è ben impresso anche all’interno dell’abitacolo che non sembra per nulla quello di una vettura da corsa: alcantara ovunque e ogni dettaglio è costruito con classe, niente di abbozzato, nemmeno le saldature. Anche all’esterno la MC12 appare diversa da tutte le altre per via di una maggiore eleganza nelle linee, che ricordano vetture d’altri tempi, al cui si aggiunge il suono del motore accompagnato da piccoli cigolii che come in un orchestra ci accompagnano durante il nostro giro in pista. L’importante non è il tempo sul giro, ma come lo si vive.

La classe Regina

Ultime, ma non per importanza, le vetture LMP1 protagoniste degli ultimi anni assieme alla Porsche 919 rilasciata con i Porsche Pack.
Con i cambiamenti regolamentari del 2014, l’Audi aggiorna la sua R18 e-Tron Quattro, aumentando cilindrata, migliorando aerodinamica e telaio e scegliendo un solo motore elettrico, invece dei due usati dalla concorrenza. Proprio questa vettura segnerà l’ultima vittoria per Audi Sport alla 24 Ore di Le Mans. Purtroppo in-game c’è da segnalare una mal gestione dei giri motore nel caso in cui, superati i 5.500 giri/minuto, la power-unit (unione di motore termico e motore elettrico) comincia a danneggiarsi al punto che difficilmente si riesce a terminare un giro senza ritirarsi. Ci aspettiamo un fix nei prossimi giorni, dato che al momento è molto difficile godersi questa vettura. A parte questo, risalta subito all’occhio la differenza tra questa e le concorrenti: il suo motore diesel ha talmente tanta coppia che potrebbe stracciare le texture dell’asfalto, ma farete fatica a sentirlo dato che sarete riempiti dai vari sibili del motore elettrico e dal sistema K.E.R.S., adibito al recupero dell’energia cinetica per ricaricare le batterie. Il modello dell’Audi R18 è uno dei più difficili da realizzare: non ci sono superfici piane e tutta la carrozzeria è un groviglio di canali e appendici atte a generare la deportanza, necessaria a tenere incollata a terra questa vettura. Inutile dire che anche l’abitacolo è sublime, con il risaltare dei numerosi sistemi elettronici presenti al suo interno.
Anche Toyota ha modificato la sua TS040, con risultati abbastanza deludenti, ma almeno, a differenza dell’Audi, non ha problemi a essere strapazzata in pista: il suo motore a benzina rende, infatti, questa vettura completamente diversa dalla pari livello tedesca, presentandosi più nervosa e tendente al sovrasterzo. Ci si ritroverà spesso al bloccaggio delle ruote anteriori facendo della TS040 la vettura più difficile da portare al limite assieme alla P1 GTR. Le LMP1, quindi anche la Porsche 919, sono vetture estremamente sensibili ai cambiamenti di temperatura, turbolenze aerodinamiche e come vedremo tra poco, alla forza e alla direzione del vento.

L’aggiornamento 1.14

Come sempre arriva anche un corposo aggiornamento (gratuito) per Assetto Corsa: la versione 1.14 porta, infatti, oltre ai soliti fix per le vetture e aggiornamenti di dati statistici, alcune novità interessanti in termini di intelligenza artificiale, la quale affronterà in maniera diversa le traiettorie in pista e modificherà l’incidenza degli spoiler in maniera indipendente, da vettura a vettura. Questo è un grande passo avanti e porta le gare in singolo a un maggiore livello di realismo e imprevedibilità. Grazie a questo update si vedranno, infatti, delle vere e proprie battaglie e soprattutto più errori come fuoripista o bloccaggio delle ruote in frenata: ognuno pensa a sé e ognuno cerca in tutti i modi di sopravanzare l’altro.
Come ripetuto più volte nel corso di questo articolo, è l’algoritmo del vento la vera novità, che potrà sembrare una cosa di poco conto, ma che invece può influenzare il comportamento della vettura in pista anche in maniera drastica. Si sente soprattutto nelle vetture LMP1, dove l’enorme vela di collegamento tra abitacolo e spoiler posteriore crea un vero e proprio spostamento della vettura in direzione del vento. Bisogna stare attenti sia in aperto rettilineo che in frenata da questo punto di vista.
Infine, sono stati apportati diversi cambiamenti per la gestione della zavorra nei campionati e nel multiplayer e aggiornamento dei nuovi pneumatici V10 per quasi tutte le vetture.

Commento finale

Il DLC Ready to Race porta tra le nostre mani vetture completamente diverse tra loro ma capaci ognuna di regalare qualcosa, un’emozione unica magari conferita dallo sfarfallio della turbina dell’Audi TT VLN o dalla cattiveria pura – quasi “ansiogena” – della McLaren P1 GTR. Tutte le vetture sono sublimi, ottimamente realizzate e, considerando il prezzo di 7,99 € a cui viene venduto il DLC, anche a buon mercato. Assolutamente consigliato a tutti gli amanti della guida e di Assetto Corsa.




Life is Strange 2 è finalmente ufficiale

La conferma è arrivata nelle ultime ore: Square-Enix e Dontnod sono al lavoro per sviluppare il secondo capitolo di Life is strange.
Per festeggiare il superamento del traguardo di 3 milioni di copie vendute, lo studio francese ha rilasciato un video dove annuncia di star lavorando sul nuovo titolo, che non sarà comunque presente all’E3.
In attesa del rilascio, guardate cosa dicono Michel, Rod e Luke:




Netflix produrrà una serie su The Witcher

Platige Image ha annunciato che produrrà, per Netflix, una serie ispirata a The Witcher, serie di romanzi di Andrzej Sapkowski, divenuta celebre grazie alla serie videoludica prodotta da CD Projek. Lo stesso autore sarà consulente creativo mentre, l’intero progetto sarà guidato da Sean Daniel e Jason Brown, produttori della serie fantascientifica The Expanse, sempre per Netflix.
Per ora non si hanno notizie sul possibile cast o sulla data d’uscita, ma vi terremo aggiornati su ogni novità