This War of Mine: Complete Edition – La guerra di chi non spara

Capita spesso al telegiornale di sentir parlare di guerra, di studiarla a scuola o addirittura lodare le vicende di chi vi ha combattuto. Nei videogiochi la guerra è un tema più che ricorrente: che sia una riproposizione storica, una battaglia più contemporanea o addirittura futuristica, ci ritroviamo solitamente dietro il fucile per compiere gesta più o meno eroiche senza alcuna conseguenza (tematiche che abbiamo anche affrontato in un precedente articolo). Delle guerre vediamo sempre l’aspetto più adrenalinico, in cui un soldato combatte un nemico: non di rado i protagonisti che impersoniamo li consideriamo eroi, dimenticandoci di chi c’è nel fuoco incrociato, i civili, persone non in divisa che si trovano loro malgrado in mezzo a conflitti sanguinosi. Ed è così che 11 Bit Studios decide di farci vedere quest’aspetto poco considerato, quello di coloro che, inermi e indifesi davanti agli uomini con fucile, non vogliono perdere la speranza e fanno di tutto per sopravvivere di fronte al conflitto che tenta di distruggerli nel corpo e nello spirito; arriva anche su Nintendo Switch l’acclamatissimo This War of Mine, in una Complete Edition, in cui per la prima volta tutti i precedenti DLC (arrivati gradualmente per le versioni PC, PlayStaition 4 e Xbox One) sono presenti sin dall’inizio. Questo titolo ci metterà di fronte a decisioni difficili da prendere, compiere azioni al limite del giusto e dello sbagliato la cui moralità è dettata solamente dal vivere un altro giorno oppure no: le idee dietro alla realizzazione del gioco sono veramente molte e vederemo di fare ordine al meglio che possiamo.

Il mio spirito è ancora vivo

Il gioco è ispirato principalmente agli accadimenti del terribile assedio di Sarajevo (1992-1996), e ci cala nella condizione (con tutti i limiti della simulazione) di chi apra la porta di casa e trova la guerra di fronte a sé. Ci verranno proposti diversi scenari con svariati personaggi, ma le dinamiche di base li accomuneranno tutti: di notte bisognerà raccattare più oggetti possibili in diversi luoghi della città, come materiali per costruire elementi essenziali per la casa e per la nostra stessa sopravvivenza (come un tavolo da lavoro, un letto, un cucinino e così via), utensili, cibo, medicine, armi e, visto che questa versione include anche il DLC The Little Ones, anche giocattoli e libri per tenere alto il morale dei più piccoli che abitano con noi nella stessa casa; di giorno, visto che la città pullula di soldati e cecchini, è importante rimanere a casa per potersi rifocillare, riposare ma soprattutto sfruttare al meglio le risorse che ci siamo procurati durante la notte costruendo nuovi oggetti, rinforzare le mura di casa, utilizzare gli oggetti già costruiti come raccoglitori di acqua piovana, distillatori per produrre alcolici o presse per creare sigarette fatte in casa (entrambi ottima merce di scambio durante la guerra). Sarà dunque fondamentale procurarsi gli oggetti giusti sia per garantire la sopravvivenza fisica e psichica dei nostri personaggi, sia per poter costruire oggetti utili per la casa. Per quanto il raccogliere i materiali fuori casa sia essenziale (soprattutto quelle tante cose che non possiamo produrre come “materiali”, legno, transistor e altro), è bene che la casa funzioni come una sorta di “fabbrica”, in quanto le stazioni di lavoro potranno creare tanti oggetti non solo utili per noi stessi ma anche come merce di scambio: non è raro trovare in mattinata (o in alcuni luoghi di notte) persone intenzionate a scambiare uno o più oggetti con altri. Per tale motivo è importante controllare spesso la radio in quanto ci può dire quali sono gli oggetti più preziosi in fase di scambio in un determinato momento e anche dove poterli andare a trovare durante la notte. Qualsiasi mezzo è lecito per sopravvivere in una situazione del genere… oppure no?
Al calare della notte potremo andare a caccia di preziosissimi oggetti fuori casa. Prima di andar via, è bene “dare un compito” agli eventuali coinquilini che rimarranno a casa, come sorvegliare la casa durante la notte o semplicemente dormire per poi, il giorno dopo, essere produttivi sin da subito (i bambini potranno solamente dormire). È importante, per questi motivi, sfruttare al meglio le capacità delle persone che abitano in casa nostra: potremmo ritrovarci, per esempio, con un ex atleta la cui velocità è superiore a tutti gli altri (e sarà dunque perfetto per i saccheggi), un tuttofare che potrà costruire oggetti con meno materiali necessari, cuochi in grado di cucinare pietanze con meno ingredienti, altri senza delle vere abilità ma con un inventario più grande, etc…

Ovviamente più inquilini in casa significa anche più bocche da sfamare perciò, se qualcuno dovesse bussare alla vostra porta per aggiungersi al vostro “team”, valutate bene le sue qualità, anche se il rifiuto potrà far salire in noi un senso di colpa. Ad ogni modo, il “saccheggiatore” avrà la possibilità di portarsi qualche oggetto da casa, come un piede di porco, una pala o una merce di scambio, anche se ciò significherà sacrificare preziosi slot del nostro inventario personale. Nei luoghi del saccheggio – abitazioni semi-abbandonate, supermercati, scuole, ospedali fatiscenti e molto altro – si concentra il cuore del gameplay (di cui discuteremo in dettaglio dopo), che ci vedrà cercare oggetti nei cumuli delle macerie. Alcune volte capiteremo in luoghi senza occupanti al loro interno, ma il più delle vi troveremo delle persone disposte a tutto pur di proteggere i loro oggetti, oppure troveremo altri saccheggiatori, esattamente come noi. I cumuli non saranno più semplice spazzatura in cui troveremo oggetti poco utili (principalmente materiali per costruzioni) ma saranno le risorse di altre persone che, proprio come noi, stanno sopravvivendo alla guerra con tutte le loro forze. This War of Mine vuole mettere in discussione il codice etico morale del singolo giocatore mettendolo di fronte a come la guerra distrugga ogni residuo di umanità, anche dei civili che rimangono ai margini di essa: dobbiamo rubare? È davvero necessario? E se sì, quanto? E se lasceremo quelle persone senza niente e le abbandoneremo al loro destino? Sopravvivere, in momenti come questi, è realmente una questione di vita o di morte e talvolta può significare soprattutto la vita di uno e la morte di un altro. I personaggi che controlleremo, che ricordiamo sono normalissime persone, verranno influenzati da ogni azione, soprattutto di fronte a decisioni drastiche come queste e perciò “il riempirsi la pancia” non è sempre la giusta cosa da fare: i nostri personaggi cadranno in depressione e ciò si tradurrà in produttività ridotta e morale basso, fattore molto negativo in situazioni come quella che ci viene presentata. Ancora più influenti saranno gli omicidi: in situazioni del genere le persone che saccheggeremo potrebbero essere armate e ucciderle significherà convivere col senso di colpa. Capiteremo anche in luoghi popolati da bande e persone senza scrupoli, ma noi saremo sempre dei normalissimi civili col pad in mano, è dura gestire ciò che si prova togliendo la vita a un’altra persona, anche in un mondo virtuale. Si tratta di un titolo forte ma al contempo edificante, che trasmette quanto la vita sia importante e preziosa e quanto la guerra possa cambiare un essere umano in condizioni estreme, al punto da portarlo a rubare il pane di altri o addirittura arrivare a strappare una vita per la propria sopravvivenza; il vero messaggio di This War of Mine è che in guerra non esistono seconde possibilità per nessuno, il confine fra la vita e la morte diventa incredibilmente sottile e talvolta si dovranno compiere delle scelte così difficili che il nostro codice morale personale verrà messo in discussione accrescendo insoliti sensi di colpa con la quale non abbiamo mai avuto a che fare. La guerra cambia sempre le persone in peggio ma sta a noi resistere e far vivere il nostro spirito.

La più reale guerra in un videogioco

In This War of Mine troveremo principalmente due stili grafici: quello delle fasi di gioco, costituito per lo più in vera grafica 3D, semplice, sterile, quasi monocromatica e che ricorda a tratti dei bozzetti a matita, e foto di persone reali nelle schede dei personaggi. Prima di analizzare la grafica delle fasi di gioco bisogna in realtà apprezzare le fotografie dei personaggi rese con dei corrispettivi nel mondo reale: questa è una scelta di design molto importante perché ognuno di questi non è solo un personaggio fittizio, è una vita, un essere che respira, ha sogni e ambizioni a cui la guerra ha negato tutto in nome della sopravvivenza. I personaggi in questo gioco muoiono “per davvero”, il vuoto che lasciano all’interno della casa è reale, si sente e non verrà mai colmato nel giro di pochi giorni. Anche noi, un po’ come accade certe volte in Undertale, ci sentiremo in lutto per un personaggio che viene ucciso come un cane mentre stava pensando alla sua sopravvivenza, per quella vita strappata dalla legge non scritta del “vivere o morire”. Anche se non c’è un vero abbattimento della quarta parete, questo avviene in qualche modo, le fotografie sono il ponte fra noi – la nostra empatia – e il videogioco.
L’essenziale grafica 3D, che ripropone una Pogoren (città fittizia) distrutta dalla guerra, riesce a restituire quel senso di sporcizia e disordine provocato dai bombardamenti in parte ancora in corso ma soprattutto di perdizione dovuto allo sconvolgimento della normale vita quotidiana della gente comune. In casa, nelle fasi diurne, noteremo soprattutto che l’umore generale dei personaggi influirà sulla grafica: un umore felice, nonché una buona salute e una buona temperatura interna, produrrà una visualizzazione più limpida, al contrario di quando si affronteranno eventi devastanti, in cui la grafica avrà un più evidente effetto bozza a matita, giusto per indicare un cambio dell’umore dei personaggi.
La musica è per lo più un suono struggente che fa da sfondo ai colpi di arma da fuoco che si sentono in lontananza, un lontano eco che descrive perfettamente lo strazio dell’assedio ma che accende, nonostante tutto, una lieve nota di speranza alimentata da ricordi passati di una vita la cui guerra non aveva ancora distrutto la normalità. La scelta di una simile colonna sonora può non piacere a tutti, specialmente a coloro abituati ad ascoltare musica con ritmi calzanti o vere melodie portanti, ma gli amanti di band come i Godspeed You! Black Emperor o gli Ulver di Shadows of the Sun potranno apprezzare i toni decadenti e il minimalismo che bene si adattano ai temi qui proposti. Le chitarre spente e i pad eterei descrivono perfettamente quei giorni bui in cui non si sa se il giorno dopo si è ancora vivi; decisamente un ottima scelta e una colonna sonora degna di un secondo ascolto in sede differente dalla postazione di gioco.

Dalla parte del giocatore

Come abbiamo più volte accennato in questo articolo, lo scopo di ogni scenario è principalmente sopravvivere all’assedio (composto principalmente da tre fasi, non sempre con durate regolari: preparazione alla guerra, fase di attacco/aumento della criminalità e cessate il fuoco), dunque rimanendo vivi a ogni costo, sia fisicamente che spiritualmente. Cominciamo col dire che, un po’ come nella vita reale, non sono presenti veri tutorial che introducano al gioco, e tutto ciò che avremo, all’inizio di uno scenario, è una overview completa dei comandi di gioco e qualche finestrella informativa che si apre di tanto in tanto; una scelta sensata, visto che molti giochi moderni includono dei tutorial fin troppo esplicativi e qui calza anche con il fatto che “in situazioni del genere non esistono tutorial”, ma nemmeno la migliore in quanto, non avendo vere seconde possibilità, non saremo spesso preparati alle difficoltà che incontreremo nelle fasi di saccheggio, ben diverse dalle situazioni in casa dalla quale iniziamo. Ci viene spiegato l’essenziale, ma ciò non basta per godersi il gioco al 100%: spesso e volentieri, visto che rimediare a un nostro errore sarà molto difficile, l’unica cosa da fare sarà far morire tutti i nostri personaggi solo per riavviare lo scenario scelto senza sbagliare una seconda volta.
La nostra schermata di gioco in This War of Mine comprenderà un ambiente con delle icone sparse per eseguire delle determinate azioni. Nella versione PC il giocatore può sfruttare il mouse per cliccare direttamente alle icone senza doversi spostare direttamente sul punto dove sta l’icona; in questa versione per Nintendo Switch le icone nelle immediate vicinanze possono essere selezionate con la croce direzionale ma non tutte possono essere raggiunte con questo sistema, e perciò ci toccherà dunque spostarci verso le icone e attivare l’azione. Nonostante la levetta destra permetta di vedere cosa c’è nelle immediate vicinanze, non sarà possibile selezionare quelle icone per un immediato avvio di quella determinata azione. Di giorno è importantissimo sfruttare al meglio le ore a disposizione prima del saccheggio notturno e perciò un simile sistema di controllo non fa che nuocere alla dinamicità delle azioni da compiere durante il giorno; non è stato neppure implementato un controllo tramite touchsceen, come invece avviene per le versioni iOS e Android, per simulare in parte il mouse in modalità portatile, e ciò non è che un ostacolo per la fruizione del gioco che rimane bloccato ai soli controlli base. Essere veloci al mattino è fondamentale, soprattutto quando la casa è abitata da un bambino a cui, tramite un adulto, si possono insegnare cose come cucinare, accendere la stufa, prendere farmaci in caso di emergenza, cambiare il filtro per l’acqua piovana, sistemare le trappole per gli animaletti e molto altro: entrambi si devono posizionare sulla medesima icona e per farlo dobbiamo prima portare un personaggio all’icona e poi l’altro, sprecando tempo prezioso (vi consigliamo, in questi casi, di portare prima l’adulto in quanto i bambini, soprattutto se di buon umore, tenderanno a non stare fermi sullo stesso punto). Se la casa è popolata da più persone è bene impostare più compiti contemporaneamente a più personaggi ma con questi controlli, chiamiamoli diretti, verrà sprecato troppo tempo solo per portare i personaggi verso le icone. Purtroppo il problema con i controlli non finisce alla sola selezione delle icone ma anche al movimento dei personaggi in quanto ci sono problemi fastidiosi per ciò che riguarda le animazioni legate al fare le scale, sia in salita che in discesa: istintivamente, quando il personaggio controllato finirà di salire o scendere e girerà sul piolo finiremo col muovere la levetta in direzione dei suoi movimenti ma l’animazione legata al salire le scale non è ancora finita e perciò finiremo col riscendere, o risalire, le scale rimanendo “incastrati nell’animazione”. Bisognerà imparare a far concludere l’animazione automaticamente o altrimenti rimarremo in questo limbo proprio quando non potremo permettercelo (ovvero durante le fasi di saccheggio); purtroppo non pensiamo sarà un difetto risolvibile con una semplice patch perché altrimenti ci sarebbe da cambiare l’intero di controllo.

Altro problema legato alle animazioni è quello della mancanza di elemento stealth, componente assente e che avrebbe arricchito il gameplay di questo gioco ancora di più. Sarà forse per la sua natura da gestionale per PC, ma a nulla servirà il piegare di poco la levetta direzionale: i personaggi si sposteranno sempre alla velocità massima e, per quanto nei luoghi esistano dei punti in cui nascondersi, sarà impossibile non far rumore e suscitare i sospetti degli occupanti dei luoghi che saccheggeremo. This War of Mine chiede inoltre una certa reattività nelle fasi di combattimento (come del resto un qualsiasi gioco che implichi armi da fuoco o oggetti contundenti) ma qui i controlli per queste azioni risultano legnosi e poco reattivi: fuggire dalle lotte, anche per un discorso legato all’integrità dei personaggi, sarà spesso la cosa giusta da fare ma il più delle volte il vero motivo per cui si evita di entrare in conflitto con altre persone è perché non si vuole avere nulla a che fare con quei controlli poco reattivi e che potrebbero farci perdere un conflitto, cosa che non possiamo permetterci assolutamente visto che non abbiamo mai seconde chance. La verità di tutti questi piccoli difetti è che, con buona probabilità, il tutto non si traduce bene in un setup da console e tutto ciò che rende immediato il gameplay su PC qui invece e risulta lento e legnoso.
Ad ogni modo, far fronte ai problemi di This War of Mine non è impossibile e può risultare comunque un buon acquisto anche per Nintendo Switch; il suo punto di forza è senza dubbio la sua ottima longevità dovuta non solo ai tanti scenari inclusi, da completare raggiungendo il cessate il fuoco, ma anche all’inclusione di tutti i DLC rilasciati precedentemente. Nella modalità This War of Mine Stories, selezionabile nella prima schermata, ci verranno proposti nuovi scenari, con degli esclusivi obiettivi da raggiungere tramite condizioni diverse, e l’editor delle storie in cui possiamo creare degli scenari da zero scegliendo quali personaggi ne prenderanno parte, la durata del conflitto, la durata e la durezza dell’inverno, quali luoghi saranno disponibili per i saccheggi e molto altro. This War of Mine non è certamente un gioco che manca in longevità, anche se il suo godimento su Nintendo Switch non è la modalità ottimale per scoprire questo titolo, nonostante la completezza della versione.

War is not fiction

This War of Mine è un gioco di rara profondità, è spaventosamente reale e intenso per essere un frutto dell’immaginazione umana, e ogni aspetto della guerra – o dovremmo forse dire “assedio” – è stato riprodotto con cura quasi maniacale. Una recensione non basta per descrivere i tantissimi aspetti che compongono i diversi aspetti del gameplay, dai saccheggi agli umori dei personaggi, dal mantenere la casa a una temperatura ottimale al difenderla dai ladri e molto altro. Oseremmo dire che questo è un gioco che, nonostante il PEGI 18, potrebbe essere preso in considerazione addirittura come parte integrante nei programmi di storia nei licei, in quanto ci fornisce una dura lezione di come sia in realtà una guerra, cosa si vive, cosa significhi avere una sola scatoletta di tonno e due bocche da sfamare ma soprattutto come essa trasforma persino le persone che non la combattono. Il concept dietro a questo titolo 11 Bit Studios è veramente sensazionale e ciò è stato anche dimostrato dal fatto che i costi di sviluppo sono stati recuperati in soli due giorni. Sfortunatamente è evidente come questo comunque splendido This War of Mine: Complete Edition sia un porting da PC non riuscitissimo, con tanti piccoli problemi che nel complesso non permettono una fruizione realmente ottimale. Il prezzo di lancio di 40€ sul Nintendo E-Shop potrebbe risultare un po’ eccessivo solo per questi aspetti, anche se bisogna ammettere che l’inclusione dei DLC può in qualche modo giustificarlo; se non volete aspettare qualche periodo di saldi sullo store Nintendo potrete comunque investire questi soldi nell’esclusiva versione fisica europea. Ricordiamo che oltre alle versioni PC, Xbox One e PlayStation 4 esiste anche un gioco da tavolo di This War of Mine, un altro particolarissimo modo per vivere questa sensazionale esperienza.
Un grande titolo, anche se il suo potenziale non è espresso benissimo.




Travis Strikes Again: No More Heroes

“Non ci sono più gli eroi di una volta”, cantavano gli Stranglers nell’ormai lontano 1977, quegli stessi eroi che hanno ispirato intere generazioni e alimentato fantasiose leggende tramandate di padre in figlio fino a diventare parte e sostanza di una storia alternativa forse più accessibile, ma non per questo priva di una profonda rete di significati e simboli che per certi versi risultano più tangibili di qualsiasi altra entità materiale.

Tutto questo preambolo per dirvi che Travis Touchdown non è più l’uomo di una volta, appesantito dalla violenza perennemente costante nella sua vita. D’altro canto è un assassino, e nessuno di noi è chiamato a scegliere ciò che siamo: lo siamo e basta. Ed è per questo che l’unica maniera per rifugiarsi lontano dalla realtà a volte è quella di fuggire dalla stessa, magari viaggiando verso il Texas a bordo di un camper in compagnia dei nostri videogiochi preferiti. Ma il passato è duro a morire ed è inevitabile portarsi dietro qualche strascico, specialmente se sei un killer professionista. Così la quiete appena conquistata viene turbata dalla visita inaspettata di Badman, anche lui alla ricerca disperata di un lieto fine per i suoi tormenti. Portatore di un odio smisurato nei confronti del nostro Travis, reo di aver ucciso senza pietà la figlia Badgirl incontrata durante la sua prima scalata nell’olimpo degli assassini, Badman si ritrova suo malgrado ingarbugliato in una brutta faccenda: la console a cui Travis si diletta a giocare ai videogame è la terribile Death Drive MK-II, una pericolosa arma di distruzione di massa in grado di trascinare i nostri eroi all’interno del software e rendere un incubo lisergico partorito dalla mente malsana di Suda 51 quello che fino a pochi attimi prima era un innocuo passatempo elettronico.

Queste sono a grandi linee le premesse dello spin off di No More Heroes, uscito in esclusiva su Nintendo Switch con un grande carico di aspettative da parte dei fan. Ma uno strano presentimento aleggiava nell’aria sin dai primi trailer mostrati al pubblico. Quello che abbiamo avuto modo di vedere non era esattamente quanto ci potessimo aspettare da un nuovo capitolo della avventure di Travis ma fu Gōichi Suda in persona a ribadire a più riprese che questo Travis Strikes Again non sarebbe stato un titolo canonico ma un passaggio obbligato verso il compimento di una possibile (?) trilogia. È andato tutto per il verso giusto?

NO MORE HEROES ANYMORE

Iniziamo subito con l’affermare un concetto: il modo migliore per capire l’idea dietro questo spin-off è conoscere l‘iter creativo alla base. Può sembrare una banalità, ma è sempre un bene ribadirlo in virtù del fatto che stiamo parlando di un gioco di Gōichi Suda, dove alle volte scelte stilistiche o di gameplay vanno al di là di esigenze puramente commerciali o di budget, e mai come in questo caso. Dopo l’esperienza passata in Electronic Arts in compagnia del maestro Shinji Mikami che ha visto trasformare il suo titolo più ambizioso – quel Shadow of the Damned nato da un dream team di nomi illustri – in un semplice action shooter in terza persona più volte rimaneggiato e castrato dai produttori, il buon Suda ha preso prepotentemente le distanze da un modo di concepire l’intrattenimento videoludico come forma di ricavo economico sicuro e calcolato che si tiene alla larga dal correre rischi attraverso meccaniche collaudate pronte per il mercato.
Parliamo di un game designer che ha imparato a proprie spese cosa voglia dire lavorare per un colosso come Electronic Arts, nel quale per forza di cose è necessario comprimere gran parte della propria libertà autoriale. Il bisogno di tornare sui propri passi è stato la causa diretta del suo ritiro dalle scene per otto lunghi anni, durante i quali ha potuto trovare una nuova fonte di ispirazione e in qualche maniera una rinnovata fiducia verso un settore ormai pigro e disincantato.
Il mercato dei giochi indipendenti occidentali, o che a dir si voglia indie, è stato per Suda il trampolino di lancio verso una rinascita artistica ed è proprio qui che si colloca lo sviluppo di Travis Strikes Again. Ripartire in piccolo con un budget contenuto, ma con una consapevolezza di se stessi più forte che in passato, con la voglia di sperimentare e andare al di là dei generi fino ad ora conosciuti, creando qualcosa di indefinibile ma allo stesso tempo alla portata di tutti, significa creare un gioco d’avanguardia e un dichiarato atto d’amore verso le produzioni indipendenti che ormai regnano negli store digitali. Ma le sole buone intenzioni non bastano a creare un buon videogame.

MOE~

Il gioco nella sua semplice struttura può essere divisa in due diverse fasi: la prima è quella dove si sostanzia il gameplay vero e proprio, ambientata totalmente dentro i software della demoniaca console da salotto del nostro Travis. Ci troviamo lì innanzi a un hack ‘n slash vecchia maniera, dove tempismo e riflessi risultano essere l’arma vincente per districarsi nelle caotiche situazione create dagli sviluppatori. Per combattere avremo dalla nostra la Beam Katana, entrata pienamente di diritto nell’immaginario della serie. Gli attacchi di Travis si traducono principalmente in leggero, utile per eliminare facilmente e velocemente grossi agglomerati di nemici, e pesante, che dovrà essere sapientemente dosato, ma in grado di causare ingenti danni ai nemici singoli. Per ogni attacco inferto, la barra energetica della vostra spada andrà esaurendosi fino alla completa inibizione dell’arma, motivo per il quale sarete costretti a prendere un attimo di respiro per ricaricare l’arma attraverso un movimento (abbastanza ammiccante) del vostro Joy-con (parlando della versione per Nintendo Switch). Per variare queste semplici meccaniche di base, il giocatore avrà a disposizione diversi attacchi speciali sbloccabili durante la run in anfratti nascosti dei livelli o subito dopo una boss fight. Aggiungono dinamismo e un pizzico di strategia ai combattimenti ma alcuni di questi sono totalmente trascurabili ai fini dell’avanzamento. I nemici principali sono costituiti dai Bug, creature antropomorfe che nel loro particolare design richiamano fortemente gli Haven Smile di Killer 7. Potrete recuperare le vostre forze da un venditore ambulante di ramen che vi presenterà un piatto diverso per ogni livello. Il gioco è tutto qui.
Per tutta la durata del titolo gli sviluppatori si propongono di conferire un minimo di varietà alle situazioni che mandano avanti il plot e, a essere sinceri, certe volte ci riescono brillantemente trovando delle soluzioni sorprendenti e simpatiche, tutto ciò però a discapito delle coerenza interna, rendendo di fatto il proseguimento un po’ troppo sfilacciato e poco uniforme, aspetto che caratterizza la maggior parte dei giochi di Grasshopper Manufacture, ma che può risultare indigesto per un pubblico più eterogeneo. In questo senso, i continui omaggi e rimandi ai titoli indie (ma non solo) più importanti del settore, oltre che alle numerose autocitazioni del designer (che arriva a inserire se stesso come uno dei villain) risultano in un primo momento apprezzabili e con un loro senso all’interno della trama, ma con l’avanzare delle ore di gioco verranno a noia molto facilmente. Ovviamente la possibilità di giocare insieme a un amico in locale alza l’asticella del divertimento, sempre che riusciate a trovare qualcuno capace di sopportare la tediosa ripetitività di fondo dell’avventura, ingigantita ulteriormente dalla struttura a corridoio dei livelli. Insomma, la maggior parte del tempo lo passerete avanzando attraverso percorsi fin troppo elementari e poco stimolanti.

La seconda fase probabilmente peserà come un macigno a tutti quei giocatori che non hanno una spiccata passione per gli infiniti blocchi di testo. In buona sostanza il buon Gōichi ha pensato bene di mandare avanti la trama del gioco tramite schermate di testo in 8 bit sulla falsa riga di un Metal Gear Solid qualsiasi. La scrittura dei dialoghi e la caratterizzazione dei personaggi secondari è in pieno stile Suda51, piacevole e divertente, e il designer spesso gioca su questa particolare scelta stilistica; col passare delle schermate e delle parole si insinua un pensiero lancinante, ovvero che lo scherzo e l’autoironia possa trasformarsi in un mea culpa non troppo velato dettato da un budget risicato e da tempi di produzione stringenti, che di certo non è una buona giustificazione per coprire la svogliatezza con la quale sono stati realizzati certi aspetti del gioco, ma questo argomento lo approfondiremo più avanti.

Queste due fasi distinte del gioco sono intervallate da un HUB centrale rappresentato dal camper dove Travis trascorre le sue notti solitarie in compagnia di Hotline Miami (a quanto pare molto amato da Suda). Qui potrete scegliere il vostro vestiario preferito scegliendo tra numerose T-shirt a tema videogame, in continuo aggiornamento tramite update, potrete salvare i vostri progressi andando al bagno e dare una votazione tramite il web al ramen ingurgitato durante le vostre avventure all’interno della Death Drive MK-II.

What happened to the Hero?

Se già la ripetitività di fondo ha fatto storcere il naso, le cose non vanno meglio con il comparto grafico del titolo. Le potenzialità dello sbandierato Unreal Ungine 4 con il quale i ragazzi capitanati da Suda hanno imbastito le fondamenta del gioco (tanto da inserirlo come skin delle t-shirt selezionabili) non vengono minimamente sfruttate. A fronte di ristrettezze economiche produttive è più che lecito chiudere un occhio sulle diverse magagne tecniche riscontrate durante la partita, ma qui ci troviamo di fronte a una totale mancanza di idee e originalità, salvo alcuni particolari casi; fondali e pattern ripetuti in un eterno loop con una pochezza di poligoni imbarazzante. La cosa fa ancora più rabbia nel momento in cui a livello stilistico il gioco è al 100% made in Suda 51, con i suoi continui richiami a un certo tipo di estetica vintage di indubbio fascino. Se qualcosa in più si poteva fare, insomma, non è stata di certo fatta, probabilmente per la poca familiarità con il nuovo motore grafico della Unreal, non riuscendo ad ottimizzare al massimo il risultato dello sviluppo. A conti fatti questa è la prima produzione del team Grasshopper sull’ibrida Nintendo ed è come se l’intero titolo sia stato concepito come terreno di prova per futuri lavori.
Discorso diametralmente opposto per l’audio: il lavoro compiuto dal team è ottimo quanto per l’effettistica tanto che per la colonna sonora elettronica che riesce ad accompagnare perfettamente l’azione su schermo, alternando brillantemente loop in stile minimal a sinfonie strumentali riuscendo a dare carattere all’intera atmosfera di gioco.

In definitiva, il nuovo gioco di Gōichi Suda non spicca il volo come tutti speravamo. Non siamo di fronte a un disastro completo, questo è certo, nella sua immediatezza il titolo riesce comunque a divertire se preso a piccole dosi e possibilmente in compagnia di un secondo giocatore, ma un maggiore impegno ne avrebbe sicuramente giovato in termini di fruibilità e soprattutto di resa commerciale, dato che allo stato attuale esistono diverse alternative miglioriTravis Strikes Again a meno della metà del prezzo. Quindi c’è da riflettere a chi questo titolo è veramente indirizzato; alla piccola nicchia dei fan che lo acquisteranno quando il prezzo sarà diminuito o al grande pubblico generalista? Una spesa di 40 euro completa di Season Pass (2 DLC a oggi disponibili) per un gioco che non ha la minima voglia di farsi capire e di farsi piacere alle grandi masse è decisamente una presa di posizione azzardata e controversa. Ma d’altronde stiamo parlando di un gioco di Suda51 e in realtà c’è molto poco da capire, o si ama o si odia. Se appartenete alla prima categoria alzate il voto finale di mezzo punto.




Thronebreaker: The Witcher Tales

Dai creatori della serie The Witcher, CD Projekt RED, arriva uno spin-off dedicato al single player del  gioco di carte Gwent, introdotto come mini game in The Witcher 3: Wild Hunt.
Questa volta, a differenza di Gwent (il quale è esclusivamente un titolo multiplayer) il gioco è suddiviso in due parti distinte, una esplorativa e una dedicata al combattimento; in quest’ultimo caso, le battaglie sono rappresentate sotto forma di scontri di carte in pieno stile Gwent, mentre la fase esplorativa consiste più che altro nel muoversi in una mappa isometrica, interagire con personaggi e raccogliere delle risorse, senza particolare libertà di scelta, avvicinandosi quasi alle dinamiche di una visual novel.

Il gioco è ambientato prima della trilogia dedicata allo Strigo, e ci fa vestire i panni di Meve, regina di Rivia e Lyria, la quale deve fermare l’avanzata dell’impero nilfgardiano; per fare ciò, dovrà compiere delle scelte che influiranno con il corso della nostra storia, la quale conta ben 20 finali differenti.
Non affronteremo soltanto i nilfgardiani durante la storia, ma potremo incontrare dei banditi o dei mostri appartenenti alla mitologia della famosa saga dello Strigo, oppure dovremo sedare delle rivolte dei nostri stessi sudditi. La storia è ben raccontata, con tanti dialoghi, ed è presente anche l’italiano fra le lingue selezionabili.

Il gioco è rappresentato interamente in grafica bidimensionale, con sprite disegnati a mano, non richiede grande potenza di calcolo, può girare su macchine non particolarmente potenti senza sforzo: tuttavia il colpo d’occhio è piacevole, e le animazioni svolgono il loro lavoro egregiamente.
Il comparto sonoro è di buon livello, con musiche già presenti nella saga di The Witcher e nel gioco Gwent, con l’aggiunta di alcuni brani anche originali. Il doppiaggio è ottimo anche in italiano, cosa che farà felici molti giocatori, considerando che i giochi dedicati allo Strigo non hanno mai goduto di un doppiaggio nella nostra lingua.

Come già accennato, il gameplay si divide in due fasi, quella esplorativa e quella più improntata al combattimento: in quest’ultima, dicevamo che gli scontri sono rappresentati sotto forma di partite di carte in stile Gwent, ma, oltre alle partite usuali vinte al meglio di 3 turni, possiamo trovare dei veri e propri puzzle che dovranno essere risolti in un solo turno giocando un limitato numero di carte nell’ordine giusto. Questo tipo di scontri sono spesso più impegnativi e richiedono una buona conoscenza del gioco di carte, e questo rappresenta un ulteriore elemento di sfida per gli appassionati di Gwent. Se si preferisce giocare godendosi soltanto la narrativa, o se gli scontri risultano troppo ostici al giocatore, è possibile scegliere il livello di difficoltà più basso, nel quale è possibile saltare i combattimenti a piacimento.
Dopo ogni vittoria saremo ricompensati con dei premi, che potranno essere risorse per il nostro esercito, oppure delle carte che potremo usare nel gioco, o ancora altre carte che potremo usare nel gioco dedicato al multiplayer.
Il gioco ha una durata di circa 20 ore, e ha una buona dose di rigiocabilità, grazie ai 20 finali differenti che si possono raggiungere effettuando scelte differenti durante la partita.

CD Projekt RED con questo titolo prova a far conoscere il gioco di carte Gwent agli amanti del single player, che oltre agli scontri contiene anche una parte esplorativa con una storia ben narrata antecedente alla trilogia di The Witcher. Tutto sommato è un buon gioco, ma a nostro avviso non è esattamente per tutti date le sue commistioni con i card game, quindi, se si cerca un RPG di stampo più classico, conviene guardare altrove. Per gli amanti di Gwent, Thronebreaker: The Witcher Tales è un ottimo gioco che offre un buon livello di sfida e che può servire come lungo tutorial per il multiplayer.




Guacamelee 2

Al tempo della sua uscita, Guacamelee è stato acclamato come uno dei migliori metroidvania degli ultimi decenni. Le più grandi innovazione proposte da questo titolo, uscito ormai 6 anni fa, risiedevano senza dubbio nel sistema di combo e di prese, nel continuo passaggio fra due mondi e nella possibilità di giocare l’avventura in co-op locale fino a quattro giocatori, tutte caratteristiche mai implementate insieme in un genere definito come l’action-platformer e che finirono per dare un’insolita sfumatura arcade a un gameplay tipicamente casalingo. Guacamelee rimase ragionavolmente impresso nella memoria di milioni di giocatori nel mondo grazie al suo esilarante humor intriso di riferimenti ad altri videogiochi classici, meme e allo splendido art-style che rende la già particolarissima cultura messicana, nonché il vero e proprio culto dedicato alla lucha libre e ai luchador, ancora più frizzante e colorata – insomma, diciamo che dopo averlo completato viene voglia di visitare il Messico! Oggi Guacamelee 2, disponibile per PC, PlayStation 4, Xbox One e Nintendo Switch (la versione che prenderemo in considerazione), ci fa rivivere le stesse sensazioni e la stessa gioia che il primo titolo portò quasi cinque anni fa e si pone come un incredibile sequel di uno dei metroidvania più avvincenti degli ultimi anni. Vediamo insieme cosa Juan, Tostada e compagni hanno in serbo per noi in questo nuovo titolo DrinkBox Studios.

Nelle puntate precedenti

Esattamente come in Castlevania: Symphony of the Night, la primissima schermata di gioco è una rievocazione dell’ultima battaglia avvenuta in Guacamelee, con tanto di «what is a luchador? A miserable little pile of secrets», giusto per rendere il rimando al fantastico metroidvania Konami ancora più chiaro. Juan sconfigge il temibile Calaca, libera Lupita, la figlia del sindaco, e la maschera del coraggioso lucador si sgretola permettendo così ai due di vivere una vita tranquilla nei tranquillissimi campi di agave accanto alla tranquilla cittadina di Pueblucho… forse fin troppo tranquilla! Juan subisce i terribili effetti della vita da sposato, non è più in forma e possente come un luchador ma vive una vita felice insieme la sua bella moglie e i suoi adorabili figli. Quella che sembrava essere una normale giornata, in cui Lupita aveva chiesto a Juan di andare al mercato a comprare qualche avocado per fare una buona salsa guacamole, si è rivelata invece l’inizio di un disastro senza precedenti; Uay Chivo, l’iconico sciamano dello scorso titolo in grado di trasformarsi in una capra, spiega a Juan che in un’altra timeline, in cui Juan e Lupita venivano uccisi da Calaca, un luchador corrotto di nome Salvador, responsabile invece della fine di Calaca, si era messo alla ricerca della guacamole sacra per diventare l’essere più potente del mondo, ignaro del fatto che ciò avrebbe distrutto l’intero mexiverso. La guacamole sacra fu creata con meticolosa cura da Tiempochtli, dio del tempo, e siccome tutti la desideravano decise di nascondere la sua magica salsa nel Otromundo, accessibile solamente collezionando le tre reliquie sacre a forma di nachos, solitamente disposti a piramide (dunque triangoli… Tre triangoli… Due alla base e uno in alto… Dove li abbiamo già visti?). Dopo essere finiti in due timeline sbagliate, una sorta di purgatorio e una timeline “Nes-osa”, arriviamo alla timeline più oscura (si chiama proprio così!) dove ci riuniremo con la maschera e Tostada, la luchador che rappresenta lo spirito di quest’ultima, e ciò ci farà trasformare — esattamente come Sailor Moon con lo scettro magico — nel possente luchador di sei anni fa; da qui comincerà l’avventura vera e propria e sarà anche possibile far partecipare un secondo giocatore che prenderà il comando di Tostada (fino a un totale di quattro che potranno usare, all’inizio, Uay Chivos e X’tabay). Ci si renderà subito conto, anche nelle sezioni prologo, di come i comandi siano incredibilmente reattivi e, senza mezzi termini, perfetti per il sistema di combattimento e combo che Guacamelee 2 pone; per questo motivo, per quanto sia possibile giocare questo titolo in due giocatori con un set di Joy Con, raccomandiamo di giocare in multiplayer con un set per giocatore, in quanto la mappatura dei tasti in questa modalità rappresenta la migliore scelta di gioco (al giocatore servono immediatamente alla pressione 7 degli 8 tasti del controller, in modalità Joy Con singolo uno di questi sarà “L”, dunque alla sinistra o alla destra del vostro controller, dipende da quale avete. a disposizione Una vera tortura!). Se volete giocare con questo gioco in multiplayer allora vi converrà giocarci con un amico che come voi possiede Switch, altrimenti dovrete abituarvi a questa astrusa mappatura.

(La frenetica prima parte di Guacamelee 2!)

Well! Agilità fra i non agili qui!

Prenderemo presto dimestichezza coi controlli e presto cominceremo, come tipico di questi generi, a collezionare gradualmente le abilità che permetteranno a Juan di superare ostacoli e rompere barriere per accedere a zone precedentemente inaccessibili. Il fattore backtracking, fondamentale per il genere metroidvania, è tarato alla perfezione e ciò potrà permettere al giocatore di accedere ad aree segrete o semplicemente liberare un passaggio alla volta di creare una scorciatoia. Troveremo spesso, come succedeva nel precedente titolo, delle aree che metteranno alla prova, man mano, tutte le abilità che andremo acquisendo con dei percorsi a ostacoli veramente folli e alla fine verremo ricompensati con un baule contenente soldi, porta cuori, costumi alternativi o “porta abilità”, quest’ultimi necessari per eseguire le mosse speciali eseguibili col tasto “A”: ci toccherà fare montanti in aria (dai, a chi vogliamo prendere in giro? Sono degli Shoryuken!), fare doppi salti, wall-jump, sfruttare delle “catapulte volanti” (dopo vi spiegheremo) e soprattutto cambiare la polarità dell’ambiente, altra meccanica fondamentale di questo gioco. Esattamente come in Guacamelee, Juan ha il potere di spostarsi dal mondo dei vivi al mondo dei morti e viceversa (prima trovando degli appositi portali e poi, trovata la specifica abilità, comodamente premendo il tasto “L” o “ZL”) ed entrambi i mondi presentano spesso delle caratteristiche ambientali diverse (come ad esempio la presenza/assenza di un muro o nemici, nel mondo dei morti un geyser di lava diventa un pilastro nel mondo dei vivi, e così via). Guacamelee 2, così come il suo predecessore, chiede al giocatore di padroneggiare al meglio questa abilità senza la quale non si potranno superare gli ostacoli più astrusi del gioco; spesso e volentieri si finisce bloccati nello stesso punto, soprattutto il quelle aree extra in cui la ricompensa è un baule, ma questo titolo, in fondo, non fa che incarnare lo spirito dei titoli classici degli anni ‘80, ‘90 e un po’ anche 2000 in cui il trial & error era spesso la meccanica che permetteva a un gioco, spesso senza sistema di salvataggio, di essere più longevo possibile. A ogni modo, con la giusta pazienza, superare una di queste aree è solamente una questione di pratica, e ogni giocatore riuscirà, con più o meno tentativi, sempre a ottenere l’ambito premio di queste stanze.
Juan troverà le abilità di cui ha bisogno nelle varie aree del gioco (rigorosamente all’interno delle statue ChoozoVi dice niente?) ma potrà renderle ancora più efficienti grazie all’implementazione del nuovo albero delle abilità in uno dei menù di pausa: qui, con i soldi collezionati, potrete rendere ancora più potenti i vostri colpi singoli, abilità varie di schivate e combo, prese di wrestling, mosse speciali e mosse pollo (sì, per offrire un qualcosa di simile alla morfosfera di Samus, Juan e Tostada potranno trasformarsi in polli!). Parlando di abilità, Guacamelee 2 introduce le nuove catapulte volanti, simili a quelle presenti in Castlevania: Order of Ecclesia: queste sono come dei ganci sospesi in aria dalla quale Juan e Tostada potranno aggrapparsi e catapultarsi verso la direzione opposta premendo “X” (un po’ come fa Spider-Man con le ragnatele). Tuttavia l’implementazione non può considerarsi riuscita al 100%, e i veterani che hanno giocato all’appena citato capitolo di Castlevania se ne renderanno conto facilmente: Shanoa attivava una sorta di aura che le permetteva di gravitare verso “il gancio” per poi stabilire meglio la direzione caricandosi verso la direzione opposta desiderata con la croce direzionale. In Guacamelee 2 invece sarà tutto più immediato: la direzione verrà stabilità dall’angolo del salto con la quale ci lanciamo verso questi ganci e una volta premuto “X” non sarà più possibile correggere l’angolo. Tante volte l’angolo risulterà corretto come quante volte, per via della fretta, sbaglieremo il lancio, costringendoci a riprovare il salto da capo. Fortunatamente in Guacamelee 2 non ci sono vite e i checkpoint sono abbastanza vicini fra loro, perciò nonostante le difficoltà che questi ganci possono dare si può riprovare infinite volte una stessa sezione. Tuttavia, la cosa più importante da padroneggiare in Guacamelee 2 è senza dubbio il sistema di combo; imparare a combattere per ottenere la combo più alta, il che significa assestare tanti colpi e schivare gli attacchi come un ninja. Schivando gli attacchi si conserva la combo e più è alta più saranno i soldi che otterremo alla fine del combattimento; ma come gonfiamo una combo? Da qui si capisce quanto complesso, intricato ma soprattutto divertente sia il sistema di combo in Guacamelee 2: i colpi a nostra disposizione saranno una hit combo semplice con “Y”, le 5 mosse speciali con il tasto “A” e i lanci/prese con “X” (quest’ultime da sbloccare dall’albero delle abilità). Frequentando la scuola di Faccia di fuoco (che scopriremo qui essere il cugino di Grillby, il barista dell’omonima locanda in Undertale!) impareremo man mano degli esempi di combo ma nel campo di battaglia daremo sfogo alla nostra creatività concatenando questi attacchi principali come vorremo; cosa c’è di meglio di partire con un bel uppercut semplice, poi una combo di jab con “Y” in aria, super montante con “A+ su, altra combo di Jab, poi un pugno a siluro, altra combo e per finire un bel piledriver o una frog splash se il nemico è un gigante? Una di quelle situazioni in cui Dan Peterson, iconico cronista della WWF/E negli anni ‘80 e 2000, non potrebbe fare a meno di gridare: «mamma, butta la pasta!». Nuovi campi di battaglia significano nuove possibilità di combo e perciò, sotto questo aspetto, ogni sezione di combattimento necessità di nuove strategie e nuovi metodi per far fuori più nemici velocemente conservando nel processo la combo; Guacamelee 2 in questo offre un sistema di lotta mai stancante e divertente come pochi altri giochi del suo genere.

Lo llamaban Juan

Per coloro che non lo sapessero, il wrestling in Messico, rigorosamente chiamato lucha libre, si discosta totalmente dal suo omologo americano o giapponese (per il quale si trova un ottimo rappresentante videoludico in Fire Pro Wrestling World), sia per lo stile di lotta nei match, sia per l’importanza che questi eventi hanno a livello sociale. I luchador in Messico sono dei veri e propri eroi in carne e ossa, e un’avventura come Guacamelee 2 non fa che rappresentare quello che è l’immaginario collettivo messicano quando si parla di questi eroi fuori dal comune, trasfigurato con stravaganze e leggerezze qui e là. Pensate che tempo addietro, negli anni ‘40, ci fu un wrestler chiamato El Santo che venne venerato esattamente come un dio: di lui, oltre ai suoi spettacolari match nel quadrato, venivano venduti fumetti e film in cui lui interpretava se stesso e agiva esattamente come un eroe, soltanto che lui a differenza dei vari Batman e Spider-Man esisteva veramente! A testimonianza del suo status d’eroe El Santo si toglieva la maschera per pochissime occasioni (nessuna delle quali in pubblico) e, alla sua morte, fu sepolto con la sua preziosissima maschera. L’atmosfera e l’epicità della storia prova, anche spiritosamente, a rievocare le leggendarie imprese di questi personaggi mascherati, un misto fra storia e leggenda che viene tramandato con vivacità. Guacamelee 2 ci presenta un Messico policromo, con una moltitudine di colori inebriante, un luogo frizzante e pieno di vita grazie a un 2D splendido animato ad hoc, esattamente come nel primo capitolo. Ci sono in più giusto un paio di elementi in 3D nei background che reagiscono perfettamente alla luce e donano un filo di profondità in più rispetto al primo episodio. In poche parole, la grafica risulta sempre chiara al giocatore e anche la mappa in game, abbastanza diversa dalla disposizione a blocchi di molti altri metroidvania, risulta sempre chiara e mai astrusa; talvolta permette pure di capire dove sono le aree segrete!
Altro plauso va fatto ovviamente alla colonna sonora: come il primo capitolo, anche Guacamelee 2 non presenta alcuna linea di dialogo doppiata (giusto qualche lamento, sforzi, etc…) ma in compenso abbiamo dei bellissimi brani che ci accompagneranno in questa coloratissima avventura. Torna qualche tema familiare, come quello della città di Pueblucho (in chiave minore), ma ovviamente abbiamo tante belle musiche nuove. Le melodie attingono dalle più iconiche tradizioni musicali folkloristiche messicane, soprattutto quelle dei mariachi fatte di trombe squillanti e chitarre scanzonate che definiscono il ritmo, ma attingono molto da generi moderni come la musica elettronica e, essendo un gioco abbastanza “old school”, anche e soprattutto dalla chiptune. In realtà nulla che sia davvero degno di nota, ma neppure una colonna sonora da scartare.

Uno, due, tre, Vittoria!

Guacamelee 2, così come una bella terra come il Messico, è un gioco in grado di trasmetterti il più puro buon umore e l’allegria grazie alla sua coloratissima grafica, alla sua storia un po’ strampalata e ovviamente alle migliaia di citazioni ad altri giochi, cartoni animati, meme, cultura internettiana, film e quant’altro in giro per le città delle sue lande piene di vita. Il divertimento inoltre non si ferma solo con l’avventura principale: è possibile integrare con il contenuto aggiuntivo acquistabile Terreni di Prova, dove sarà possibile competere in nuove modalità e affrontare nuove sfide. Abbiamo certamente un sequel all’altezza delle aspettative, anche se, dispiace dirlo, un po’ inferiore al primo titolo; elementi come le nuove catapulte volanti non sono il massimo, come del resto alcune sfide poste nelle stanze extra, le quali, laddove si deve prendere un baule, risultano spesso un continuo trial and error dettato in parte dal caso. Si perde molto tempo nelle sezioni extra e meno nelle sezioni principali e ciò, per quanto possa incentivare la longevità, talvolta risulta un prolungamento affatto necessario.
Tuttavia, il gameplay di base, non è per nulla cambiato e Guacamelee 2, così come il suo predecessore, è un validissimo titolo in grado di regalare ore e ore di divertimento da soli o in compagnia (diremmo anche doppio, visto che, una volta completato verrà sbloccata la modalità difficile). Non ci si può aspettare di meglio da un titolo indie di prima categoria e il suo prezzo di lancio di 19,99€ è più che giustificato.

Botte, nachos e azione caliente… una volta terminato non potrete fare a meno di gridare: «Ay, caramba!». Non potevamo aspettarci di meglio da DrinkBox Studios.




The Textorcist: The Story of Ray Bibbia

Roma: la chiesa cattolica ha ottenuto il pieno potere sulla capitale italiana tramite metodi non proprio leciti, avvalendosi anche di poteri demoniaci. Solamente un esorcista, Ray Bibbia, si oppone al loro volere, ed è pronto a combattere il potere clericale a colpi di… tastiera.
Questo è il singolare incipit di The Textorcist: The Story of Ray Bibbia, prima fatica dello studio italiano Morbidware di Diego Sacchetti e Matteo Corradini (che i più conosceranno per il suo lavoro con i The Pills). The Textorcist è stato scritto proprio da Matteo, che ha saputo creare una storia tanto semplice quanto cazzuta al punto giusto.

Dio perdona, io no!

The Textorcist è il risultato di un felice incontro tra The Typing of the Dead e Dodonpachi, il typing game messo al servizio dello shump nella sua variante più hardcore: il bullet hell. Un ibrido decisamente strano e non convenzionale, ma che alla fine funziona alla grande, sfornando un titolo carismatico e originale come pochi nel panorama indie mondiale.
Ma andiamo con ordine: partiamo subito col dire che questo è un titolo che farà felici i fan dei film d’azione, visto che le citazioni non mancano (uno su tutti il Titty Twister di Dal Tramonto all’Alba), il tutto unito con una verve umoristica “all’italiana” davvero azzeccata. Non nego di aver urlato al colpo di genio quando ho dovuto usare il PC di Ray, un vetusto, ma utile Holyvetti, così come aver riso tanto alla scoperta di un gruppo black metal vegano (chiaro riferimento a Vegan Black Metal Chef) e all’easter egg del bidet.
Umorismo e citazionismo a parte, il gioco funziona: la pixel art è ben curata e non banale, e il gameplay è davvero un unicum nel mondo gaming. Il nostro compito è quello di azzeccare le parole dei nostri (veri!) esorcismi, il tutto mentre dovremo evitare i proiettili sparati dal nemico. Interessante il meccanismo della Bibbia, nostra unica arma per scacciare il maligno: fungerà da scudo, e se verremo colpiti verrà sbalzata dalle nostre mani, rimbalzando in giro per l’arena. Senza il nostro libro sacro, dopo un breve invincibility frame, saremo vulnerabili per tre colpi (dopodiché sarà game over) fino a quando riusciremo a riprenderla. Attenzione anche al timer attorno, se scadrà il tempo Ray perderà il filo delle proprie parole e sarà costretto a ricominciare l’esorcismo dall’inizio! Un meccanismo che sembra più facile a farsi che a dirsi, e che da quel sapore un po’ “soulslike” a The Textorcist: sarà fondamentale dosare le fasi di attacco con quelle di schivata per evitare di dover rincorrere la nostra preziosa bibbia ed essere così vulnerabili agli attacchi nemici. In un gioco simile, la pazienza è più di una virtù.
Particolare il gameplay, dicevamo, uno dei punti di forza del titolo. Essenzialmente abbiamo a disposizione tre approcci diversi: possiamo muoverci con le frecce direzionali e digitare le corrette lettere, usare la combo shift+WASD sempre per spostarci, oppure usare un joypad. Con quest’ultimo il gioco cambia radicalmente, trasformandosi da un typing game ad un rhythm game molto vicino a Crypt of the Necrodancer. Le lettere vengono sostituite dalla pressione dei bumper dorsali, ognuno di essi correlato a una lettera dell’esorcismo. Così facendo il gioco diventa forse più immediato, ma ugualmente difficile. Niente di impossibile, ma siamo decisamente nel campo dell’ “hard but fair”, così come si addice a questo tipo di giochi, che si ispirano alle difficoltà dei titoli degli anni ‘90. Chiude il tutto una colonna sonora a cura di GosT, autore di una synthwave potente e che flirta alla perfezione col metal, decisamente uno dei punti di forza del titolo.

In nomine dei nostris

The Textorcist scende in campo con la sicurezza di un veterano, e convince sotto molti punti di vista. Nonostante la relativa brevità del titolo, completabile in circa quattro o cinque ore, e un endgame ridotto all’osso (potremo affrontare ogni boss più volte, cercando di conquistare la vetta della leaderboard), la prima fatica di Morbidware è una piccola gemma che va giocata e amata, soprattutto per chi ama la difficoltà dei giochi di una volta, l’umorismo dei film d’azione e il panorama indie moderno.

 




Tropico 6

La brezza marina, il tepore del sole, quel dolce sentore di dittatura sudamericana: questo è molto altro è Tropico, famosa serie di gestionali/city builder di Kalypso Games che da ben diciotto anni allieta le giornate di ogni sano dittatore dello stato libero di Bananas che alberga dentro ognuno di noi. La sesta fatica della saga, Tropico 6, vede un cambio della guardia, con Haemimont Games che lascia spazio ai tedeschi di Limbic Entertainment, autori degli ultimi episodi di un’altra serie storica, Heroes of Might & Magic.
Ma bando alle ciance: prendiamo subito il nostro biglietto della nave e imbarchiamoci verso Tropico!

Sandinista!

Tropico 6 si propone a noi forte di un’idea innovativa per la serie: si pone infatti fine all’unico isolotto e ci si lasciano alle spalle i problemi di spazio derivanti da una simile scelta e si dà il via alla multigestione di un arcipelago con flora e fauna diversi tra di essi, forse la più grande novità del titolo. Già dal tutorial il nostro fido consigliere Penultimo ci spiegherà l’importanza delle varie isolette e della loro diversificazione: potremo avere un’isola apposta da dedicare all’industria, come per esempio, un isolotto vulcanico ricco di minerali, oppure un vero e proprio paradiso tropicale, meta perfetta per il turista straniero e spendaccione, oltre, ovviamente, alla nostra isola principale, che funge da nucleo per i tropicani.
Il gioco ci offre tre modalità diverse e uguali allo stesso tempo: se il multiplayer si descrive da solo, mi soffermo brevemente sulle varie missioni, che tentano di offrire un piccolo spunto narrativo riguardo la storia di El Presidente, ma che, alla fine, rappresentano un mero diversivo rispetto alla modalità sandbox, da sempre vero centro nevralgico della serie.

Sul piano grafico, il potere dell’Unreal Engine 4 si mostra in tutta la sua bellezza, gli scorci di Tropico 6 sono i più belli che i nostri occhi da dittato…ehm, presidente abbiano visto. Peccato che la cura nei paesaggi del nostro arcipelago non venga riposta anche negli abitanti degli isolotti, davvero scialbi e privi di qualsiasi personalità se non quelle che leggiamo nelle loro schede.
Sul lato del gameplay non si registrano molte novità, Limbic è voluta andare sul sicuro, creando un greatest hits delle feature viste nei precedenti capitoli della saga: è tornata la meccanica dei discorsi al popolo, direttamente da Tropico 3, così come i raid dei pirati presi da Tropico 2, e vengono confermate le quest da completare, meccanica introdotta dal precedente capitolo e su cui si basa la gran parte delle nostre partite durante il lungo mandato che ci accompagna dall’era coloniale fino ai giorni nostri, passando per la seconda guerra mondiale e la guerra fredda. Dovremo stare attenti a ogni fazione presente sull’isola e non, come il portavoce della corona inglese durante gli inizi del nostro regime, passando per comunisti, religiosi, capitalisti, ambientalisti e chi più ne ha più ne metta. Sarà importante creare una buona economia basata sull’esportazione di beni più o meno raffinati, ottenuta sfruttando le rotte commerciali. Il tutto cercando di restare al potere con mezzi più o meno leciti, con un’enfasi su quest’ultimi, da bravi dittatori quali siamo.
A chiudere il tutto, fa capolino la sempre ottima colonna sonora, come da tradizione della serie: un tripudio di son cubano, salsa e bachata che ben si sposa con l’atmosfera isolana.

El pueblo unido jamás será vencido

Per quanto Tropico 6 cerchi di “dividere e conquistare” puntando al futuro, ma con un piede ben saldo al passato, c’è da dire che è abbastanza deludente la parte legislativa: davvero semplicistica, con pochi editti e una costituzione che ci offre poche possibilità di variare il nostro gameplay, un po’ deficitaria se si pensa alla mole di leggi ed editti che potevamo attivare in passato. Soddisfacente invece è la parte puramente dedicata al city building, essendo questo capitolo di Tropico quello con più edifici della serie. Chiaramente non si potrà ottenere la complessità di un City: Skylines, ma resta comunque un’esperienza funzionale al titolo.

A conti fatti, il ritorno di El Presidente convince, ma con delle riserve: ottima l’idea degli arcipelaghi, così la conferma di alcune delle feature del predecessore e il ritorno dei discorsi. Peccato solamente per la semplificazione della parte legislativa, dicevamo, e del micromanagement in generale, segno di un abbassamento della difficoltà che può far storcere il naso ai fan di lunga data e agli appassionati del genere.
Ad ogni modo, Tropico 6 resta un titolo che spicca grazie al suo carisma e all’atmosfera, davvero unica nel panorama videoludico.

 




SNK 40th Anniversary Collection

Se qualcuno non lo sapesse, cominciamo col ricordare che SNK è stata una delle case videoludiche più influenti e importanti del Giappone in campo hardware e software. La Shin Nihon Kikaku (in inglese “New Japan Project”) fu fondata nel 1973 e cominciarono a produrre videogiochi dal ’79 per tutti gli anni ’80 ma fu negli anni ’90 che diventarono dei protagonisti del gaming di quegli anni. Popolari nell’home market ma soprattutto nelle arcade, la SNK rilasciò il Neo Geo MVS (che sta per Multi Video Sistem) nel 1990, segnando così un punto di svolta nel mercato. Oggi SNK è una delle compagnie più attive nell’ambito del retrogaming, avendo rilasciato molti dei suoi titoli chiave sullo store del Nintendo E-Shop e lo spettacolare Neo Geo Mini, una bellissima mini console che riproduce la forma e le funzionalità di un cabinato MVS.
A fine 2018, il 13 Novembre, SNK ha rilasciato per Nintendo Switch la bellissima SNK 40th Anniversary Collection, approdata lo scorso 29 marzo su PS4, una raccolta di titoli pre-MVS curata da Digital Eclipse e SNK, che racconta le radici di questa nota compagnia giapponese. Non troveremo nessun Metal Slug, King of Fighters, Fatal Fury o Samurai Showdown ma avremo in compenso dei grandi titoli che hanno posto le basi per l’avvenire di SNK e i suoi futuri “big red monster”, i cabinati Neo Geo MVS,  che dominarono le arcade negli anni 90. Vediamo cosa c’è all’interno di questa bellissima collection che celebra la vita e l’eredità di una compagnia giapponese che fronteggiò Nintendo e Sega con risultati veramente eccellenti.

Una notte al museo

Prima di scendere nelle (brevi) analisi dei singoli giochi che compongono questa raccolta, vogliamo analizzare la presentazione della collection in sé. All’avvio avremo la possibilità di accedere alla sezione museo dove poter conoscere la storia dei titoli SNK dal 1978 – pensate –  al 1990, anno in cui fu lanciato il più standardizzato sistema Neo Geo MVS, includendo dunque anche giochi che non sono presenti in questa raccolta. Ogni presentazione include solitamente artwork, manuali di istruzioni, illustrazioni pubblicitarie, screenshot e a volte anche foto dei cabinati, il tutto accompagnato da brevi ma dettagliatissime linee di testo che ci raccontano la storia dello sviluppo del gioco in questione, le innovazioni portate e retroscena esclusivi. Sono così utili e belle che le abbiamo consultate più volte nel compilare questa stessa recensione!
La sezione museo include inoltre le colonne sonore di tutti i giochi presenti in questa collezione, nel caso vorreste ascoltare singolarmente alcuni dei brani dei giochi a cui avete giocato. Nelle opzioni invece potrete guardare i crediti, cambiare la lingua (dei menù, non certo dei giochi), vedere il progresso degli achievement esclusivi di questa collection e scegliere la visualizzazione verticale o orizzontale, come un vero cabinato arcade (ma questa opzione è possibile solo in modalità portatile).
Nei giochi, così come accade per le migliori collection che si rispettino, abbiamo la possibilità di cambiare il ratio dell’immagine, ovvero il classico 4:3 (spesso allungato) centrato, il 4:3 che si lega ai bordi superiori e inferiori dello schermo e 16:9 (le stesse opzioni presenti nella release Sega Ages di Thunder Force IV); poi possiamo cambiare filtro dell’immagine, ovvero il pixel perfect (senza filtro), con gli scalini della TV e il filtro monitor da sala giochi, ai tempi più avanzati rispetto ai monitor casalinghi. Essendo questa collection principalmente indirizzata ai giocatori di una certa età che hanno giocato in passato a questi titoli, e che con buona probabilità hanno sempre meno tempo per giocare ai videogiochi, è stato inserito un tasto rewind, “L”, che permette di mandare indietro l’emulazione dei giochi giocati e dunque giocare al meglio ogni singola partita; un compromesso veramente superiore, e più veloce, dei più comuni save/load state (a ogni modo presenti e utilizzabili dal menù di pausa). Qualora doveste abbandonare per forza la vostra partita potrete tornare al menù principale con l’opzione “salva ed esci”; in questo modo, quando riprenderete la vostra partita, vi ritroverete esattamente nel punto in cui l’avevate lasciata, una scelta semplice, standard, essenziale e perfettamente funzionale. In alcuni dei giochi è possibile cambiare la regione e scegliere le versioni arcade e Nintendo Entertainment System (ove presente). Quest’ultima opzione è una vera e propria manna dal cielo per quegli utenti che non hanno ancora preso in considerazione l’iscrizione al servizio online di Nintendo Switch che permette l’accesso ai titoli NES in streaming. Ma adesso diamo un breve sguardo di dettaglio a buona parte dei giochi inclusi in questa raccolta.
Di seguito vi verranno riportati i titoli (anche alternativi), l’anno di produzione, le versioni regionali (selezionabili dal menù col tasto “X”) e versione hardware, ovvero arcade e/o NES.

  • Alpha Mission/ASO1985US, JPArcade, NES. Uno dei primi shoot ‘em up moderni della SNK, che dunque seguì la rivoluzione lanciata da Gradius nel 1985. Il gameplay si rifà principalmente a Xevious, con obiettivi in volo e in superficie da eliminare coi missili, ma la sua unica meccanica consistente nel raccogliere pezzi di armatura in volo, e dunque creare diverse combinazioni di offesa e difesa, lo accostava tranquillamente ai giochi RPG di cui i programmatori SNK erano ghiotti. È un gioco veramente difficile e tedioso ma grazie alle opzioni inserite in questa collection potremo giocarlo con molta calma, la stessa che mancava tempo addietro quando orde di bambini sudati inserivano le proprie 500 lire per provare a superare anche un solo livello.
  • Athena1986INTArcade, NES. Platform che ha per protagonista la dea greca della sapienza, dell’arte e della guerra (rigorosamente in bikini rosso come da tradizione epica), lo si può considerare come un insolito mix di Alex Kidd in Miracle World, per il design generale, e Ghost ‘n Goblins per la sua incredibile difficoltà. Sebbene il gioco non sia esente da difetti, Athena fu una delle più grandi hit della SNK prima del lancio del Neo Geo MVS; il titolo portò elementi propri del RPG, genere più propriamente legato alla dimensione casalinga, in un semplice platform per arcade tramite la semplice collezione di armi, scudi e pezzi di armatura che apparivano addosso ad Athena una volta raccolti: una vera rivoluzione per l’epoca. La protagonista stessa divenne una delle prime mascotte della SNK, tanto che per il titolo Psycho Soldier (che vedremo più avanti) venne creata Athena Asamiya, una discendente diretta dell’originale Athena, che apparirà più in là anche nella serie picchiaduro King of Fighters, anche con l’iconico bikini rosso nelle schermate di vittoria. Sconsigliato a chi ha poca pazienza e ai puristi dell’epica greco-romana.
  • Crystalis/God Slayer1990US, JPNES. Questo titolo per NES si discosta in tutto e per tutto dallo stile arcade che caratterizza molti dei giochi SNK presenti in questa collection, infatti Crystalis è un iconico gioco d’avventura sullo stile di The Legend of Zelda che provò a colmare la grande fame venutasi a creare dopo il rilascio di Zelda II: The adventure of Link, titolo che lasciò i fan della saga con uno strano amaro in bocca per il suo forte scostamento dal primo capitolo. A differenza dell’iconica saga Nintendo, il design generale di Crystalis ha una spiccata sfumatura sci-fi, più vicina a Phantasy Star, e altre componenti RPG non presenti in The Legend of Zelda, prima fra tutti la crescita livellare. Il gioco ricevette nel 2000 un porting per Gameboy Color ma solamente con l’avvento di internet Crystalis ottenne lo status di cult following. Una vera e propria chicca per NES che difficilmente gli iscritti del servizio online di Nintendo Switch vedranno in tempi brevi (sempre se mai arriverà) in streaming; una vera e propria gemma nascosta che potrete persino giocare offline! Se c’è un titolo che vale l’acquisto di questa collection, Crystalis è esattamente quel gioco.

  • Ikari Warriors/Ikari1986US, JPArcade, NES. Ispirato a film come Rambo e Commando, Ikari Warriors è un gioco simile a uno shoot ‘em up che però ci permette di controllare l’avanzamento dei nostri soldati Ralph e Clark (Paul e Vince al di fuori del Giappone), futuri combattenti in King of Fighters. Sebbene, come Athena, il gioco presentava una miriade di difetti (soprattutto sulla versione per console) il gioco diventò popolarissimo, sia nelle sale giochi che nelle case dei possessori del NES, per via dell’avvincente campagna da giocare in due giocatori contemporaneamente. Dopotutto, come non poteva Ikari Warriors diventare popolare? Insomma, includeva due virili soldati che uccidevano ondate di nemici in una giungla a petto nudo a colpi di fucile (infatti molti giocatori speculavano che i due personaggi giocabili erano proprio John Rambo e John Matrix di Commando, in poche parole Sylvester Stallone e Arnold SchwarzeneggerRambo Commando!), granate ed era possibile anche guidare i carri armati, feature che diventerà essenziale in Metal Slug. La versione per console è decisamente la più difficile in quanto non era possibile includere la feature dello stick rotante presente in sala giochi (oggi fedelmente riprodotta nella la versione arcade col secondo stick del controller del Nintendo Switch, le stesse meccaniche di un twin stick) e non era possibile continuare a giocare dopo la perdita delle due vite; tuttavia, alla perdita dell’ultima vita, potrete riprendere a giocare se digiterete, con i tasti “A” e “B” del NES, il nome di una famosa pop band svedese di quattro lettere… Mamma Mia, che complicazione!
  • Ikari Warriors II: Victory Road1986US, JPArcade, NES. Terminata la prima avventura, Paul e Vince tornano a casa in aereo ma una strana turbolenza li porta avanti nel futuro, in uno strano mondo sci-fi popolato da strane creature e alieni. Il gameplay generale rimase lo stesso del primo capitolo ma furono aggiunte giusto nuove armi, come i bazooka e le spade in grado di uccidere i nemici senza un proiettile, le aree nascoste e sostituiti i carri armati con delle armature. Questo nuovo titolo incluse inoltre delle chiarissime linee di dialogo, uniche per entrambe le versioni. Nonostante i temi più seriosi, in Ikari Warriors II furono inseriti elementi di humor per rendere la fruizione del gioco più leggera. Se giocate a questo gioco in due provate a incrociare le spade come si vede nell’artwork!
  • Guerrilla Wars/Guevara1987US, JPArcade, NES. Inizialmente il gioco fu concepito come un ulteriore sequel di Ikari Warriors ma durante lo sviluppo il presidente della SNK si interessò ai personaggi di Ernesto “Che” Guevara e Fidel Castro dopo aver letto il libro “La Guerra di Guerriglia” scritto dal rivoluzionario cubano, unico libro che trattava la rivoluzione cubana disponibile in Giappone. Fu così che un giorno, a metà dello sviluppo del sequel, si presentò ai programmatori chiedendo che il titolo venisse trasformato in un gioco sui rivoluzionari cubani. Ebbene sì, nella versione Giapponese (in realtà anche quella americana ma i nomi dei personaggi giocabili non vengono mai menzionati) controllerete il guerrigliero Che Guevara e l’ex leader cubano Fidel Castro, come secondo giocatore, intenti a rovesciare il durissimo governo di Fulgencio Batista… altro che lezioni di storia! Il gameplay riprende Ikari Warriors in tutto e per tutto ma aggiunge il salvataggio di ostaggi, che se colpiti da un nostro proiettile comporteranno la perdita di 500 punti, e il miglioramento delle AI dei nemici, ora più furbe e più strategiche. Probabilmente è un gioco che non portò grandi innovazioni, ma era un gioco “rivoluzionario” a modo suo!

  • Ikari III: The Rescue1989US, JPArcade, NES. Stavolta per la rabbia, visto che “Ikari” in giapponese significa proprio “rabbia”, Paul e Vince abbandonano le armi e decidono di far fuori i nemici alla vecchia maniera: “mazzate”! In Ikari III le armi da fuoco si fanno rare, così come i neo-introdotti oggetti contundenti, e il nostro metodo di difesa principale diventano i pugni e i calci – un vero e proprio tributo a Chuck Norris!. Da notare è anche l’abbandono dello stile animato degli artwork in favore di uno più realistico e crudo.
  • Iron Tank1988US, JPNES. Altro titolo sviluppato per NES che non arrivò mai nelle sale giochi ma che, a differenza di Crystalis, conserva un gameplay prettamente arcade. Iron Tank è il sequel di TNK III (che vedremo più avanti), ovvero un gioco simile a Ikari Warriors ma in cui controlleremo un carro armato. I due tasti del NES serviranno a sparare due tipi di fuoco diversi, ovvero uno sparo che segue la direzione del carro armato e uno direzionato nel verso del cannone principale. TNK III era dotato dello stesso stick rotante di cui Ikari Warriors era munito per muovere il cannone principale (dunque si poteva mirare dritto col cannone principale e spostarsi lateralmente continuando a sparare coi cannoni inferiori, sparando così in due direzioni contemporaneamente) ma col controller del NES è tutto un altro discorso: il cannone superiore si muove soltanto quando terremo premuto “B” (layout del NES), ovvero il tasto dei cannoni inferiori, perciò sarà impossibile sparare in due direzioni in questa versione. Nonostante le limitazioni Iron Tank risulta comunque un gioco molto gradevole.
  • P.O.W. Prisoners of War/Datsugoku1988US, JPArcade, NES. Uno dei primi beat ‘em up della SNK, P.O.W. si rifà principalmente a film come Fuga di mezzanotte o Fuga da Alcatraz in cui un protagonista programma, e conclude, una fuga da una prigione di massima sicurezza. La versione arcade di questo gioco ha un sistema di controllo a quattro tasti che includono un calcio e un pugno forte, un tasto per le combo e un tasto per il salto. Nel 1989 P.O.W. uscì per NES e, visti i problemi relativi al controller e alla memoria del sistema, fu semplificato il sistema di combattimento e tolta la modalità per due giocatori; in compenso furono introdotte nuove armi e oggetti contundenti, sub-aree e un nuovo boss finale. Per una volta la versione NES sembra che abbia dato di più rispetto alla controparte arcade!

  • Prehistoric Isle in 19301989US, JPArcade. In questo spettacolare shoot ‘em up sulla scia di R-Type partiremo alla volta di una misteriosa isola per capire cosa si cela dietro allo strano fenomeno della scomparsa degli aerei che le si avvicinano; una volta lì scopriremo che l’isola è abitata da creature preistoriche, dinosauri, cavernicoli e altri esseri ancestrali. Come il rivoluzionario gioco della Irem, avremo una sorta di satellite che rimarrà attaccato al nostro aereo ma potremo posizionarlo in otto posizioni diverse dalle quali partirà un colpo di supporto diverso: in diagonale bassa verrà lanciato un siluro in pieno stile Gradius, se lo posizioneremo sul retro lasceremo delle mine, e così via. I passi avanti rispetto ad Alpha Mission e Chopper I (arrivato in questa collection come DLC) sono evidenti e, fra gli Shmup presenti in questa collection, Prehistoric Isle in 1930 è certamente il più completo e il più avvincente.
  • Psycho Soldier1987US, JPArcade. Sequel spirituale di Athena che include la sua erede Athena Asamiya, Psycho Soldier è un platform a scorrimento automatico che funziona su quattro superfici, un po’ come avviene in City Connection della Jaleco. Ha pochi legami con l’originale Athena, come il poter rompere i blocchi e l’inclusione di Athena stessa, ma offre un gameplay nettamente superiore al suo predecessore, con potenziamenti di vario tipo e persino trasformazioni, e si gioca con molto piacere, soprattutto in cooperativa con un secondo giocatore che comanderà l’amico Sie Kensou, anche lui futuro combattente in King of Fighters. Di degna nota è soprattutto la colonna sonora, la prima nella storia dei videogiochi a includere una traccia con delle linee cantate dalla cantante giapponese Kaori Shimizu; la versione giapponese venne curata con particolare attenzione, tanto che poi per l’uscita di Athena per Famicom venne inclusa una musicassetta con il singolo, ma la versione inglese presenta delle linee “broken english” molto risibili!
  • Street Smart1989US,JPArcade. Il primo esperimento della SNK in ambito picchiaduro. Il genere era ancora agli albori: Street Fighter, uscito nel 1987, pose le basi per i picchiaduro in tutto il mondo, ma non stupì abbastanza da imporre uno standard, e molte compagnie videoludiche ponevano in essere un proprio sistema di gioco sempre diverso. Street Smart mette i giocatori in un area di gioco tridimensionale, ponendosi dunque come una specie di area boss di un beat ‘em up, ma il tutto risulta molto giocabile pur non avendo mosse speciali e tutte quelle feature che faranno grandi i tournament fighter à la Street Fighter II. Al posto della parata, Street Smart offre un tasto per fare una capriola all’indietro e evitare con stile gli attacchi avversari. Gli unici due personaggi disponibili, Karate Man e Wrestler, sono rispettivamente primo o secondo giocatore. L’obiettivo del gioco? Mettere al tappeto gli avversari per la gloria, i soldi… e le ragazze!

  • TNK III/T.A.N.K.1985US, JPArcade. In TNK III si combatte con un carro armato, guidato dal Ralph di Ikari Warriors, e il sistema dello stick rotante, per la prima volta implementato qui, permette di far fuoco col cannone principale in una direzione e muoversi in un’altra facendo fuoco con un altro cannone che segue la direzione dell’autoblindo. Grazie ai controlli di una console moderna come il Nintendo Switch possiamo rivivere l’esperienza autentica di questo storico titolo che non solo ha avviato questo filone di titoli di sparatutto dall’alto con lo stick rotante ma ha anche salvato la SNK da un incombente fallimento. Un vero e proprio capolavoro!
  • Vanguard 1981 INTArcade. Primo grande successo mondiale per SNK, Vanguard era così popolare che Atari ne comprò i diritti per poter fare un porting per l’Atari 2600 che divenne un successo anche nel mercato casalingo. Era uno shooter simile a Scramble, gioco della Konami che pose le basi per gli shmup e la sua stessa saga di Gradius, ma proponeva feature ambiziosissime: aveva quattro tasti per sparare in alto, in basso, a destra e a sinistra, scorreva in orizzontale, in diagonale e in verticale, aveva delle linee di dialogo, rese con una primitiva sintesi vocale simile a quella vista in Berzerk, ed era uno dei primi giochi per sala giochi a includere una funzione di continue (tanto che nei filmati demo, prima di inserire il gettone, veniva spiegata questa futuristica feature). A bordo della nostra navicella dobbiamo arrivare in fondo alla caverna in cui risiede il re Gondo, un alieno che terrorizza le colonie vicine; al termine dell’avventura, come consueto per i primi giochi arcade, il gioco ricomincia a una difficolta elevata e potremo continuare fin quando ne abbiamo voglia (che fortuna non dover più inserire monete in una macchina). Magari ai giocatori più giovani Vanguard potrebbe non dire niente, ma ciò non toglie che è uno dei giochi più importanti della storia del gaming e merita di essere giocato almeno una volta nella vita. L’unica cosa che avrebbe potuto migliorare questo gioco sarebbe stata inserendo un’intonazione di Danger Zone di Kenny Loggins ogni qual volta la voce robotica annuncia l’ingresso in una “danger zone“, ma in fondo va bene così (e poi… non l’aveva ancora scritta)!

Quelli che abbiamo elencato sono i titoli originariamente rilasciati per Nintendo Switch, ma la stessa edizione è stata gratuitamente implementata l’11 dicembre 2018, quando tutti i possessori di SNK 40th Anniversary Collection si sono ritrovati un aggiornamento che aggiungeva ben altri 9 titoli:

  • Bermuda Triangle1987US, JPArcade. Un insolito shoot ‘em up che incorpora le meccaniche dello stick rotante visto in TNK III e Ikari Warrior, Bermuda Triangle permette di controllare una nave madre di grandi dimensioni (simile a una Great Fox della saga di Star Fox, per intenderci) e pertanto, visto che schivare i proiettili non sarà semplicissimo, potremo contare sui caccia che affiancheranno la nostra nave madre, anche per quel che riguarda la potenza di fuoco. Ciò che stupì all’epoca, insieme all’emozionante gameplay che includeva anche meccaniche di viaggio nel tempo, fu anche la sua coloratissima e vibrante grafica, visivamente un grande passo in avanti per SNK.
  • Chopper I/Legend of Air Cavalry1988US, JPArcade. Un moderno shoot ‘em up che ricorda nelle sue fattezze la saga di 19XX di Capcom. Altro grande titolo per SNK, Chopper I offre un gameplay veramente da manuale, con un intensità di proiettili nemici simile ai primi titoli della Toaplan, come Truxton e Zero Wing, famosi per aver – diciamo – lanciato quella tendenza che anni più avanti si sarebbe evoluta nel bullet hell (ma questo titolo è ben lontano dall’esserlo). Un titolo più che mai adatto per gli appassionati degli shmup vecchio stile, non troppo moderno ma neanche troppo datato.
  • Fantasy 1981US, JPArcade. Altro titolo proveniente dall’epoca d’oro delle arcade, per tanto costruito intorno allo stesso hardware di Vanguard e Sasuke vs. Commander (rilasciato in questi DLC), questo titolo offre un gameplay incredibilmente vario che si rifà principalmente ai più popolari Donkey Kong, Jungle Hunt e lo stesso Vanguard, in cui un ragazzo corre dietro alla sua sfortunata ragazza che viene rapita da pirati, scimmioni e tribù di cannibali. Come il precedente successo arcade SNK, Fantasy include l’innovativa feature di continue, chiare (ed esilaranti) linee vocali e persino, in un livello, parte della popolarissima hit disco “Funkytown”! Un altro titolo storico che, come Vanguard, possiede quella magia capace di portarci in un epoca in cui ci si stupiva con poco fatta principalmente di giochi elettronici, code interminabili dietro a un cabinato, senza cellulari e senza internet.

  • Munch Mobile/Joyful Road1983US, JPArcade. In questo strano gioco dai toni “pucciosi” controlleremo un’automobile senziente dalle braccia elastiche, utili per raccogliere mele, ciliegie, pesci, sacchi di soldi e taniche di benzina ai bordi della strada. Munch Mobile è un gioco particolarmente difficile, soprattutto perché la strada è piccola e l’uscita fuori strada comporta la perdita di una vita, ma se si è bravi potremo arrivare addirittura agli uffici della SNK! Il gioco, inoltre, tenta di sensibilizzare i più piccoli riguardo i temi dell’ambiente e dell’inquinamento: una volta raccolto e mangiato un oggetto commestibile possiamo guadagnare molti più punti se getteremo i suoi resti nei cestini della spazzatura riallungando le braccia verso questi oggetti sparsi nei per i bordi della strada. L’ironia sta proprio nel fatto di come un’automobile, un oggetto artificiale, riesca ad essere più pulita di certe persone!
  • Ozma Wars1979 INTArcade. Questo titolo, il più vintage di questa collection, è un fix shooter sulla scia di Space Invaders, il primo gioco che imitò il successo arcade della Taito. Ozma Wars nacque dall’impossibilità di Taito di produrre abbastanza cabinati e tabletop di Space Invaders; SNK, in mezzo alle tante compagnie che acquistarono i diritti per produrre Space Invaders al fine di aiutare Taito con la distribuzione, creò parallelamente sullo stesso hardware un kit di conversione per offrire ai giocatori delle sale giochi, che erano colme di cabinati di Space Invaders, un’esperienza diversa e lanciarsi nel mercato come un nuovo produttore, al pari di Taito, Sega e Nintendo. Anziché far fuori una schiera di alieni come nel popolare arcade, Ozma Wars innova il concetto proponendo navicelle, più dettagliate e sullo stile dei caccia spaziali di Star Wars, che come in uno shooter moderno scendono dall’alto verso il basso, sparano con più frequenza e persino di riducono la loro hitbox mettendosi di taglio (come quando si premono “L” e “R” in Star Fox) o addirittura rendendosi invisibili per qualche secondo; probabilmente, però, l’innovazione più grande di questo titolo fu quella di offrire dei livelli sempre diversi e la barra di energia, che si ricarica attaccando la nostra navicella alla più grande nave madre. Il modesto successo di questo gioco, primo vero loro titolo originale, spinse la SNK a puntare sempre più in alto e Ozma Wars rappresenta in tutto e per tutto l’inizio della compagnia che noi oggi conosciamo e amiamo.
  • Paddle Mania 1988INT Arcade. Probabilmente uno dei primi crossover della storia, ma non come intendiamo oggi un Super Smash Bros.: Paddle Mania mette faccia a faccia, in un campo chiuso in cui la palla non può andare fuori campo, giocatori di tennis, pallavolo, pallanuoto, sumo e persino surfisti! Nonostante le bizzarre premesse lo scopo del gioco è comunque molto semplice: mandare la palla nella porta avversaria, esattamente come in Pong. Sebbene il gioco originale prestava due tasti per muovere la racchetta da destra verso sinistra e viceversa, sul Nintendo Switch si è deciso di optare per dei controlli twin stick che rendono l’esperienza un po’ tediosa e non realmente gradevole. L’esperienza del twin stick è portata avanti in tutta la collection, ma probabilmente Paddle Mania è il gioco a cui meno serve questa feature!

  • Sasuke vs. Commander 1980INTArcade. Altro innovativo gioco arcade della SNK, costruito ancora una volta sullo stesso hardware di Vanguard, Sasuke vs. Commander è ancora una volta un gioco simile a Space Invaders. Invece di conformarsi a uno stile sci-fi, come andava di moda ai tempi, questo titolo offrì al giocatore uno scenario tipicamente giapponese con shogun, il carattere “grande” che si vede in lontananza (che segnala il culmine della festa dei morti di Kyoto) e gli immancabili ninja. Alla fine delle schermate di combattimento, in cui i ninja lanceranno a Sasuke gli iconici shuriken, apparirà un nemico più tenace e più grande; per tale motivo si dice che Sasuke vs. Commander introdusse il concetto di boss al termine di un livello. Un altro gioco che ci racconta le origini delle arcade.
  • Time Soldiers/Battle Field1987 US, JPArcade. Ancora una volta un top-down shooter sulla scia di Ikari Warriors con la differenza che lo stick ruotante qui montato ruota in 16 direzioni anziché in 8 come in tutti i giochi con questa caratteristica che abbiamo visto in questa collection. Time Soldier offre un campo di gioco più ampio e perciò possiamo muoverci in tutte le direzioni che vogliamo. Ovviamente, come il titolo ci suggerisce, questi futuristici combattenti – uno dei quali, dall’alto, sembra Pegasus dei Cavalieri dello Zodiaco – si spostano nel tempo per salvare i loro compagni, alcuni di loro in un’antica Roma popolata da soldati romani e persino creature mitologiche! Anche se il gameplay, dopo aver giocato ai vari Ikari Warriors, Guerrilla Wars e TNK III, può risultare ripetitivo almeno ci consola il fatto che qui il ritmo si presenta un po’ più veloce, con una difficoltà attenuata e una grafica più dettagliata.
  • World Wars1987 INTArcade. Sequel di Bermuda Triangle, il gioco, che gira sulla stessa arcade board, presenta le medesime caratteristiche del suo prequel ma con una navicella più piccola. Il concept della nave madre fu abbandonato in favore di un gameplay più fruibile e classico, con power up e proiettili più facilmente evitabili; viene abbandonata anche la componente del viaggio nel tempo in favore di un più semplice viaggio intorno al mondo, anche se mantiene le stesse componenti sci-fi. Da provare indubbiamente.

The future is now!

Come abbiamo visto, la collection (che include anche Beast Busters e SAR: Search and RescueI) prende in considerazione un periodo poco conosciuto della storia della SNK ma ciò non toglie che sono comunque 32 grandi giochi che vi possono regalare ore e ore di gameplay di stampo prettamente arcade, ormai quasi del tutto perduto. La presentazione e le funzionalità di questa collection sono veramente superbe e ci sono comunque diversi giochi in grado di giustificare l’acquisto per Nintendo Switch e PS4, primo fra tutti Crystalis. Non sarà forse una collection che interesserà ai più giovani (a parte i più virtuosi interessati a “studiare la storia”) ma vi garantiamo che è un gran salto nel passato e, per chi non conosce la SNK, una vera e propria lezione sulla loro storia e sulla loro eredità che ancora oggi influenza il panorama videoludico mondiale.




Son of a Witch

Son of a witch, sviluppato dai serbi Bigosaur, è un videogioco di ambientazione fantasy, e di genere roguelike con smaccate meccaniche action-beat ‘em up, dove potremo vestire i panni di innumerevoli personaggi pronti ad abbattere anche il nemico più ostinato.
Teoricamente all’interno del gioco vestiremo i panni del figlio di una strega che è stato mandato a recuperare un antico artefatto e ad abbattere chi lo ha rubato.
Potremo assumere varie vesti e, grazie al conseguimento di vari obiettivi, riusciremo a sbloccare non pochi personaggi che, ovviamente, apporteranno diversi “benefit” in termini di skill e si distingueranno per singole peculiarità.

Giocabile sia in singolo che fino a un massimo di 4 giocatori, in questo titolo ci ritroveremo ad abbattere nemici su nemici che ci attenderanno all’interno di ogni stanza, ognuna delle quali generata proceduralmente. Il titolo dispone di un’innumerevole quantità di armi (spade ghiacciate, lance ecc), il che ci porterà spesso a provare le varie combinazioni che quasi sempre ci porteranno a favorire le armi a distanza, soprattutto quelle magiche, che risultano molto utili all’interno del gioco. Potremo trovare anche varie pozioni o artefatti che miglioreranno o peggioreranno le nostre statistiche. Durante la nostra avventura ci ritroveremo a dover aiutare personaggi secondari, ad affrontare delle sfide e, infine, se degni, di sconfiggere il boss del livello. Un fattore veramente dominante nel gioco è il fattore aleatorio: l’esito della nostra run sarà dettato quasi del tutto da quello che troveremo all’interno di ogni stanza, che risulta imprevedibile. “Seguendo” le orme di titoli come The Binding of Isaac, prima di passare alla porta successiva dovremo uccidere qualsiasi cosa ci ritroveremo davanti. Inoltre, potremo tornare indietro nel caso in cui volessimo cambiare arma e/o comprare qualcosa in uno dei negozi.

Son of a Witch presenta una grandissima quantità di modalità;

  • Regular game: praticamente la modalità “storia”, dove dovremo superare le 7 aree per riuscire ad affrontare il boss finale;
  • Casual/Party mode: versione del gioco a scorrimento dove il fine è quello di massacrare chiunque;
  • Barbarian Challenge: modalità che permette di sbloccare il tanto ambito eroe barbaro, in caso riusciste a superarla (buona fortuna);
  • Hard mode: versione molto più difficile della base, accessibile solamente dopo aver superato la modalità base con tutti gli eroi;
  • PVP arena: modalità locale dove poter sfidare i propri amici fino a un massimo di 4 per volta;
  • Inoltre, è presente una modalità network con accesso “limitato”, dove sono necessari amici che forniscano le credenziali per poter giocare.
  • Infine, è presente la daily challenge che può essere affrontata solamente una volta ed è uguale per tutti i giocatori.

Il titolo creato dal team di Bigosaur non eccelle certo per il suo comparto tecnico, che, ahimè, risulta mediocre. Dal punto di vista sonoro il titolo si mantiene sulla sufficienza, nulla di speciale, ma appropriato. La grafica è molto semplice e presenta dei modelli buffi e cartooneschi, ma risulta tutto sommato piacevole.

Il gioco è rigorosamente in lingua inglese, ed è vivamente consigliato agli amanti dei rogue-like: prezzo di lancio 10,5 €, e vale assolutamente la spesa.




Valkyria Chronicles 4

Nonostante gli episodi usciti su PSP, Valkyria Chronicles 4 si collega direttamente al primo episodio uscito nel lontano 2008 in esclusiva su PS3, un ibrido tra JRPG e strategico a turni con una grafica in cel-shading molto gradevole ai tempi dell’uscita. Nonostante le ottime recensioni, il gioco non fu un vero e proprio successo, e i seguiti furono dirottati sulla console portatile di casa Sony, i quali ebbero ottimi riscontri in Giappone ma non in Occidente, e dopo le scarse vendite del secondo episodio, uscito nel 2010, SEGA decise di non distribuire il terzo episodio se non in terra nipponica. Dopo anni la tendenza sembra essere cambiata, e oltre ad aver rilasciato l’intera saga di Yakuza e la remaster dei primi 2 Shenmue, nonostante il deludente spinoff Valkyria Revolution, SEGA ci riprova con il quarto episodio della saga principale di Valkyria Chronicles.

Il gioco non è un vero e proprio sequel: si svolge parallelamente al primo episodio, ma con un punto di vista differente, l’ambientazione è collocata in una realtà alternativa nella quale l’Europa del 1935 è al centro di una guerra che vede come antagonisti non più la Gallia e l’Impero del primo episodio, ma l’Impero e la Federazione Atlantica (di cui noi faremo parte). A differenza del primo episodio però non dovremo più difenderci dall’impero ma saremo impegnati ad attaccarlo (almeno nelle prime fasi di gioco), nei panni del comandante Claude Wallace, il quale essendo molto giovane commetterà degli errori che si ripercuoteranno nei rapporti con il resto della squadra, i personaggi sono caratterizzati dal tipico stile anime, presente anche negli altri episodi, e anche la storia si adatta benissimo a questo stile, alternando situazioni comiche ad altre dure e tragiche come solo gli anime giapponesi riescono a fare.

Lo stile grafico si rifà ai precedenti episodi, proponendo un cel-shading convincente, anche se con poche migliorie rispetto al prequel uscito su PS3, la conta poligonale non fa gridare al miracolo, ma la direzione artistica di gran livello permette di passare sopra a questo difetto, di certo non è un titolo per gli amanti della grafica ultra pompata.
Sul fronte sonoro ci troviamo anche vicini al prequel, con il quale il titolo condivide buona parte della colonna sonora insieme ovviamente a brani originali, anche gli effetti sonori sono molto simili, e il doppiaggio in inglese fa un discreto lavoro (questa volta però sono presenti i sottotitoli in italiano per la gioia di chi non mastica bene la lingua anglosassone), per chi invece volesse il doppiaggio in giapponese dovrà scaricare un dlc gratuito per poterlo attivare.

Purtroppo le similitudini (negative) con il primo capitolo non si riscontrano soltanto sul piano tecnico: il gameplay è praticamente invariato, con poche novità; è presente come nel prequel la “modalità libro“, dove possiamo sfogliare le pagine contenenti cutscene che sono fondamentali per capire la storia ma anche prendere parte alle missioni principali e secondarie, nonché accedere alla caserma, dove possiamo personalizzare la nostra squadra e addestrare i soldati, i quali possono aumentare di livello e apprendere nuove abilità grazie all’esperienza accumulata in battaglia. Risulta importante formare una squadra con dei membri che abbiano affinità tra di loro: non tutti vanno d’accordo fra loro, e questo può essere deleterio per la riuscita delle missioni.
Nelle missioni dovremo prima schierare la squadra esattamente come nel primo capitolo, e dovremo scegliere tra varie classi, anch’esse invariate rispetto al prequel con l’unica eccezione rappresentata dal granatiere, il quale può lanciare granate a lungo raggio con una potenza devastante, ma deve perdere molto tempo a ricaricare.
Le missioni si svolgono a turni, le unità possono muoversi fin quando la barra del movimento non si consumerà e poi attaccare, ognuna di loro avrà delle abilità uniche a seconda della classe e anche a seconda del personaggio stesso (ci sono ad esempio personaggi che potranno avere dei malus quando sono presi dal panico e via dicendo).
Il gameplay è quindi rimasto sostanzialmente invariato rispetto al primo capitolo, dicevamo, con leggerissime differenze, ma questo non deve necessariamente essere considerato un difetto, in quanto stiamo parlando di un ottimo gioco, con un bel ritmo e missioni molto impegnative, quindi anche se non innova rimarremo comunque soddisfatti dalla lunga campagna che dovremo affrontare.

In conclusione, Valkyria Chronicles 4 è un ottimo titolo che ci riporta alle origini della saga, sia perché è contemporaneo al primo capitolo, ma anche perché ha un gameplay sostanzialmente in continuità, seppur con qualche eccezione: il gioco è impegnativo al punto giusto, la storia è  ben raccontata e ci terrà incollati fino alla fine dell’avventura di Claude Wallace e della sua squadra.




Sekiro: Shadows Die Twice – La Strana Cultura del Masochismo

Sono passati ormai poco più di dieci anni da quando Hidetaka Miyazaki ha definito un nuovo genere con Demons’ Souls, esclusiva PlayStation 3 che ha riscritto il concetto di sfida per i videogiocatori, con il protagonista (il giocatore stesso), immerso in un mondo a lui quasi sconosciuto, scoprendo il proprio destino tra mille difficoltà e ostacoli quasi insormontabili. Questo setting diede modo all’autore di portare avanti il proprio progetto con la trilogia di Dark Souls prima e Bloodborne poi.
Sekiro: Shadows Die Twice è però tutt’altro: l’iniziale strana partnership con Activision ha creato un prodotto sicuramente più accessibile ma anche dannatamente malvagio, in grado di far selezione già a partire dalle prime ore di gioco. Ma una volta superati tutti gli ostacoli, Sekiro è senza dubbio una delle migliori produzioni del 2019.

Dark Souls… in Giappone

Il Giappone dell’epoca Sengoku non è nuovo per le trasposizioni videoludiche (vedi Nioh), ma quando c’è lo zampino di From Software, tutto prende un’altra piega. Ogni elemento risulta nuovo, grazie alla solita spruzzata di dark fantasy che in questo caso rende la terra natia dell’autore un luogo magico e terrificante al tempo stesso. Anche all’interno di Sekiro: Shadows Die Twice ritroviamo gli elementi classici della poetica di Miyazaki: tra sangue, draghi, predestinazione ci si sente a casa anche se, la narrativa è decisamente più diretta. In questa produzione infatti, prendiamo le vesti di un personaggio con un proprio background narrativo e una sua caratterizzazione, uno shinobi caduto in disgrazia e che si troverà invischiato in situazioni ben più grandi di lui. Tutto viene raccontato attraverso cutscene, attraverso classici dialoghi con NPC (dotati di elementari animazioni labiali), level design e ovviamente attraverso le descrizioni degli oggetti, meno criptiche rispetto ai souls e in grado di arricchire una storia che si presenta ben più complessa di quanto sembri. Il mondo mostrato da From Software è dunque pieno di sfaccettature, ricco di NPC e di scelte più o meno velate che porteranno (dopo circa una quarantina di ore) a uno dei quattro finali disponibili.
Miyazaki dunque riesce a portare avanti il proprio pensiero riuscendo a portare anche in questo frangente un puzzle di storie, sentimenti e pericoli… più di quanto pensiate.

Weregame

Iniziamo col dire che proviamo pietà per tutti coloro che si approcciano a un titolo From Software per la prima volta, partendo proprio da questo. Al contrario delle precedenti opere infatti, in cui sin da subito venivano messe le cose in chiaro, qui le cose sono un po’ diverse. Si è discusso tanto della partership con Activision e per chi ha dimestichezza con le idee di Miyazaki, si riesce a capire benissimo chi abbia influenzato cosa. Ad esempio, sin dai primi momenti, tutto viene spiegato in maniera molto chiara, fornendo indicazioni utili sulla trama e sugli scopi da perseguire. Vi è persino una sezione allenamento dedicata, sfruttando un malcapitato non-morto che per sua volontà, verrà violentato dai colpi della Sabimaru, la Katana del nostro Sekiro. L’impressione è che l’ultima produzione “From” sia in qualche modo rivolta a un pubblico ben più vasto del solito, cercando di venir incontro anche ai “casual gamer” che non vogliono star ore a rimuginare su una singola frase presente in una descrizione di un oggetto. E così, invogliati a proseguire, quasi accompagnati per mano, ci accingiamo a entrare nel magico Giappone dell’Era Sengoku sino a quando, quella stessa mano, ce la si ritrova in faccia con maestosa e violenta potenza.
Tagliamo subito la testa al “Toro Infuocato”: Sekiro: Shadows Die Twice non è un gioco per tutti. Anche chi si è dilettato con i vari souls o Bloodborne si troverà di fronte a una cattiveria e malvagità senza precedenti, in cui ogni singolo errore può essere fatale.
Sekiro è qualcosa di completamente diverso, a cominciare dallo stile di combattimento, votato più all’azione offensiva che all’attesa, sfruttando le tante novità offerte dal titolo From Software. Niente stamina prima di tutto e questa è una mancanza a cui bisogna abituarsi in fretta: il poter attaccare, schivare o correre senza sosta è qualcosa di nuovo in questi frangenti e, se all’inizio questa libertà può dare alla testa, ci si accorge immediatamente di come un approccio sbagliato porti a un solo e singolo esito: morte. Ogni errore costa caro e riconoscere al più presto le movenze del nemico è assolutamente fondamentale. Il combattimento è dunque una danza, fatta passi leggeri, salti leggiadri e deviazioni effettuate al millisecondo. È questo il segreto di Sekiro, in cui è possibile anche parare i colpi avversari, ma a vostro rischio e pericolo: anche se invisibile, nelle serie precedenti, vi era una sorta di contatore di “equilibrio” che una volta sceso a zero, dopo aver ricevuto numerosi colpi, si entrava in una fase di stordimento che rendeva inevitabile qualsiasi colpo critico. Questo concetto, qui, viene estremizzato, portando addirittura a vista suddetta barra, denominata della Postura. Ogni colpo la danneggia e più si è feriti più lentamente si ricaricherà. Per evitare di rimanere brutalmente uccisi o facilitare l’eliminazione del nemico, sarà necessario imparare la deviazione (una sorta di parry), che infligge danni alla postura altrui riducendone i nostri. Bisogna tenere alta la soglia d’attenzione di ogni singolo movimento avversario, studiarlo e trovare soluzioni ma fortunatamente, abbiamo a disposizione alcuni strumenti in grado di aiutarci, utilizzabili attraverso la cosiddetta Protesi Shinobi, un arto meccanico in grado di ospitare diversi dispositivi – curioso come nel giro di pochi giorni abbiamo avuto come protagonisti due personaggi (Nero e Sekiro) con medesime caratteristiche –.

Ogni attrezzo shinobi, da una potente ascia a uno scudo in grado di respingere i proiettili avversari, possiede un proprio albero dei potenziamenti e altrettante caratteristiche; ognuno di essi può essere ovviamente adeguato o meno per il nemico che stiamo affrontando ma fortunatamente intercambiabili in tempo reale (per un massimo di tre strumenti) oppure sostituiti attraverso il menu (il gioco va in pausa). L’utilizzo di questi strumenti ampia a dismisura il gameplay, sopperendo in qualche modo alla mancanza di altre armi da utilizzare, avendo come sola e unica arma principale la Sabimaru. Tralasciando alcuni elementi tradizionali come fiaschette curative e oggetti di potenziamento, Sekiro è nuovo anche dal punto di vista dei movimenti, contando su una mobilità senza precedenti, sfruttando un level design che fa della verticalità il suo marchio di fabbrica. Il rampino del braccio prostetico è vitale non solo per l’esplorazione ma anche per tendere agguati o fuggire come un lampo; da notare come per scelta precisa di From Software è possibile appigliarsi solo in punti strategici, decisi a priori. Questo limita sì la libertà concessa al giocatore ma ha altresì permesso uno studio più attento della posizione di nemici e del protagonista all’interno del contesto, presentando le soluzioni migliori al videogiocatore.
Essendo uno shinobi, lo stealth entra prepotentemente all’interno del design del gioco; del resto Sekiro è in qualche modo una reminiscenza di un nuovo Tenchu. Abbiamo a disposizione un comando dedicato alla “postura stealth”, elementi ambientali da sfruttare e ovviamente le alture per monitorare le zone. Queste sezioni funzionano abbastanza bene in generale, permettendo di liberare potenzialmente una zona senza essere visto oppure origliare, carpendo informazioni utili per il prosieguo. Il problema deriva però da un’intelligenza artificiale che di certo non aiuta, con personaggi in grado di non accorgersi di una violenta morte a pochi passi ma di allarmarsi in gruppo a centinaia di metri di distanza. Tutto risulta purtroppo mal calibrato e soprattutto poco approfondito, nonostante lo sblocco di abilità a essa dedicate. Proprio queste abilità, unite a quelle offensive e speciali sono il modo con cui il nostro personaggio può evolvere e migliorare, unito alla possibilità di aumentare vitalità, postura e forza d’attacco solo ed esclusivamente attraverso l’ottenimento di oggetti chiave.
Infine arriviamo all’elemento più controverso, il concetto di morte che per From Software è molto caro. Resuscitare, oltre che elemento narrativo, è qualcosa che bisogna imparare a sfruttare a livello strategico. In certi frangenti la morte può salvarvi la vita ma bisogna fare tremenda attenzione. Una morte sfrutta un nodo speciale che può essere ricaricato attraverso il riposo agli Altari dello Scultore (Falò) o attraverso i colpi critici inferti ai nemici. Ritornare in vita ha delle conseguenze, non solo su Sekiro (percentuale di monete ed esperienza persa per sempre), ma anche sul mondo di gioco che in qualche modo può ricordare la Tendenza dei mondi di Demon’s Souls.
Sekiro: Shadows Die Twice è dunque un titolo completo sotto tutti i punti di vista, nonostante sia lontano dalla varietà dei souls. Ma queste sue caratteristiche, in qualche modo, rendono l’esperienza di gioco comunque unica per ogni giocatore, che potrà comunque sfruttare ciò che ha imparato nel new game + o in qualche futura espansione che siamo sicuri, arriverà.

Kintsugi

From Software non ci ha abituato a titoli “spacca-mascella”, cosa che si riconferma anche in questo frangente. Nonostante però non vanti qualità visive di altri titoli, in qualche modo, non se ne sente ne la mancanza, ne il bisogno. La capacità della casa di Tokyo di rendere memorabile qualunque anfratto degli ambienti di gioco e dei personaggi, nonostante texture, shader e luci poco a passo coi tempi, è sorprendente, con l’impressione abbastanza concreta che tutto sia costruito mettendo in cima alla lista la direzione artistica prima di qualunque altra cosa. Tutte le sezioni presenti hanno una loro personalità, dai valichi innevati a lugubri villaggi, dove noi, assieme a Sekiro, possiamo immergerci alla stessa maniera con cui in Dark/Demon’s Souls affrontavamo una nuova zona. Il level design, benché colleghi meno tutto l’ambiente di gioco, è come da tradizione su altissimi livelli, ricchi di scorciatoie, segreti, tutto studiato per essere affrontato nella migliore maniera possibile. Ma vi è un’altra tradizione, anche se di stampa negativa: i difetti classici delle serie precedenti permangono, come compenetrazioni letali e la gestione della telecamera, senza dubbio migliorata ma ancora non perfetta, rendendo alcuni scontri ancor più difficili di quanto siano.
Sul fronte audio, ritorna il doppiaggio italiano, che svolge un buon lavoro cercando di replicare in qualche modo la solennità di certi dialoghi e la psicologia di Sekiro, un uomo distrutto, che dopo aver perso qualunque stimolo, ritrova un proprio scopo. In qualche modo però, la lingua originale (giapponese) riesce a restituire qualcosa in più, probabilmente grazie al contesto generale e a doppiatori forse un po’ più in parte. Menzionando il suono di deviazione della Sabimaru che presto diventerà iconico, le musiche svolgono un ruolo chiave, presenti anche come accompagnamento ambientale. Ovviamente è durante le boss fight che questa componente da il meglio, comunicando sempre qualcosa su chi stiamo affrontando, tra musiche auliche, malinconiche ed evocative.

In conclusione

Sekiro: Shadows Die Twice è semplicemente il titolo più malvagio prodotto da From Software. Nonostante un’accessibilità facilitata, probabilmente su direttive Activision, Sekiro è qualcosa che raramente si vede all’interno del mercato videoludico, qualcosa che se ne infischia della massa e capace di far selezione già dalle prime ore. Ma se si è perseveranti, pazienti e abbastanza abili, vi ritroverete tra le mani una perla, un gioco maestoso sporcato soltanto dai difetti tipici delle produzioni From Software, alla quale probabilmente non vuole (o sa) porvi rimedio. Nonostante questo, Sekiro: Shadows Die Twice rimane senza dubbio nella top tre del 2019, nonostante l’anno, sia appena iniziato.

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Sapphire Radeon RX 580 8GB NITRO+ Special Edition
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10