Drifting Lands

In un’epoca futura non meglio precisata, la società è collassata e il pianeta Terra è stato ridotto in frantumi da un cataclisma che ne ha lasciato soltanto grossi pezzi sparsi fluttuanti nell’universo, fra i quali navigano i pochi umani sopravvissuti. Fra contrabbandieri, ingegneri, mercenari, piloti ed emarginati di ogni risma noi ci troveremo fra i rifugiati di una gigantesca navicella chiamata “L’Arca” a fronteggiare corporazioni che hanno preso il controllo e che intendono accaparrarsi le risorse rimanenti. Al nostro protagonista spetta il duro compito di guidare la controffensiva contro i loro eserciti robotici e di proteggere la propria comunità riconquistando i territori un tempo retaggio dei terrestri.
Scaldate i motori, e pronti a partire.

Isole nel vento

L’ambientazione ricorda subito quella della serie animata Skylands – e non è peregrino pensare che questa sia stata fonte d’ispirazione, essendo entrambi i titoli di produzione francese – ma, a parte l’idea di base, lo sviluppo della trama è totalmente diverso: Drifting Lands segue e sviluppa infatti una propria storyline che tenta di raggiungere una sua profondità, presentando complotti, personaggi ambigui, rovesciamenti e una lieve caratterizzazione dei personaggi che non guasta, ma finisce col perdersi nella banalità di alcune scene ritrite e in una serie di scelte narrative che a volte risultano fumose, troppo repentine, con scene talvolta insignificanti, talvolta criptiche, e dialoghi piatti, non rendendo giustizia a un comparto RPG che è la vera novità del gioco e che avrebbe meritato una storia migliore – e non sarebbe stato difficile continuare a ispirarsi alla serie animata che, pur non godendo di una trama di particolare impatto, quantomeno fila sul piano narrativo, e avrebbe aggiunto qualcosa in termini di resa emotiva.

Role Playing Space

Dal punto di vista del gameplayDrifting Lands è uno shooter a scorrimento orizzontale con marcati elementi RPG.
Sviluppato dai francesi di Alkemi, il titolo pone subito al giocatore una prima scelta tra due livelli di difficoltà: “Normal“, in cui il fallimento della missione comporta la perdita del carico trasportato o addirittura della stessa astronave, e “Forgiving“, modalità esente dalle punizioni descritte, dove la sconfitta non comporta dunque la perdita di quanto raccolto.
In seconda battuta, bisognerà invece scegliere il velivolo con cui iniziare l’avventura tra un Interceptor (fragile, ma agile e potente), un Sentinel (meno potente ma corazzato) e un Marauder (una via di mezzo dei due).
Nel corso del gioco sarà possibile aggiornare la propria nave, acquistare nuove parti e scegliere addirittura le abilità speciali da utilizzare in combattimento, da pagare con la valuta accumulata nel corso di ogni livello. Tutto ciò viene fatto nell’hangar, in una pausa fra una missione e l’altra, dove si potrà sfruttare il denaro raccolto per rivoluzionare la propria nave, dotarla di nuove parti meccaniche e soprattutto sfruttare l’albero delle abilità, nella strutturazione del quale si giocano scelte che risulteranno importanti e strategiche nel corso delle missioni. In fase di combattimento sono disponibili 4 abilità d’attacco e 2 power-up passivi, da far corrispondere ad altrettanti pulsanti del controller (o della tastiera), skill che permettono una maggiore velocità, o di creare piccole esplosioni intorno alla nave, o di rilasciare mine, assorbire i proiettili, e così via; il numero di abilità selezionabili – che aumenta a mano a mano che si va avanti con le missioni, di pari passo con l’avanzamento di rango – è notevole e costituisce davvero un ottimo punto di forza del gioco. Le skill sono utilizzabili all’infinito durante ogni livello, ma richiedono ovviamente un tempo di ricarica dopo ogni utilizzo, come accade in svariati MMORPG.

Fly (game) over

Il rapporto tra l’aspetto role-playing game e quello shooter gioca un ruolo fondamentale nel gameplay di Drifting Lands, diventando gli aspetti dell’uno funzionali all’altro e viceversa.
L’aspetto RPG del gioco è molto ben studiato, dicevamo, e conferisce al titolo una sua profondità, permettendo di selezionare navicelle già abbastanza diverse fra loro per caratteristiche e personalizzarle tramite apposite implementazioni. Durante il combattimento verranno rilasciati svariati loot da alcune navi avversarie sconfitte che daranno al giocatore vantaggi di vario tipo.
Il lato propriamente shooter – che è poi l’aspetto cardine del gameplay – è però certamente meno mirabile, a cominciare dal movimento delle navicelle, dove anche le più veloci risultano a volte un po’ legnose rispetto agli avversari; ma il vero punto dolente è dato dalla ripetitività del titolo: dopo un paio di ore di gioco, le mappe di Drifting Lands cominciano a ripresentarsi inesorabilmente, così come alcuni nemici, che a volte aumentano in termini di resistenza ma che conservano sempre le stesse modalità di attacco. Nonostante la storyline ci provi, il gioco non dà inoltre alcuna ebrezza o il trasporto necessario per andare avanti, né quel senso di vera tensione che alimenta la sfida durante le missioni e che rende poi gli shooter di questo genere davvero divertenti nel lungo periodo.
Non che Drifting Lands non lo sia, anzi, i combattimenti vengono ravvivati dalle nuove skill che ogni volta non si vede l’ora di provare ma, senza questo aspetto, sarebbe un gioco con ben poco da dire. Quel che sbilancia questo titolo è infatti che il giocatore è troppo spesso portato a interessarsi più all’implementazione delle navicelle che agli scontri aerei che, come è chiaro, sono il cuore vero del gameplay del titolo.
Ciò nonostante, la sfida non manca: le armi a nostra disposizione non sono quasi mai così potenti da distruggere una navicella nemica con pochi colpi, portando l’utente a ricorrere alle abilità speciali per semplificarsi il lavoro, e persino a evitare con abilità gli scontri diretti nei momenti più ostici. In alcuni frangenti con un alto numero di nemici sullo schermo, infatti, capiremo che sarà il caso di ritirarsi per non perdere tutto il carico – se si gioca in modalità “Normal”, come consigliamo – e si potrà utilizzare un sistema di fuga rapida che ci farà letteralmente scappare dal campo di battaglia e porrà fine alla missione.

Equilibri tecnici

Se in termini di gameplay troviamo uno sbilanciamento tra le due anime del gioco, l’intero comparto tecnico risulta invece bilanciatissimo.
Dal punto di vista grafico, Drifting Lands fa la sua dignitosissima figura con disegni a mano dettagliati dotati di uno stile piacevole e calibrato che, nonostante i colori accesi, non fa scivolare l’atmosfera nel cartoonesco o nel fumettistico giocoso; le sequenze nelle quali si dipana la trama richiamano abilmente alcuni giochi e film di genere trasposti per l’occasione, e le navi in ​​combattimento sono molto ben realizzate, restituendo forme ben disegnate e aerodinamiche, che ben s’inseriscono negli sfondi molto ben curati e nelle ambientazioni delle missioni, che anzi risultano piacevoli e in linea con lo stile del gioco, e il cui unico problema è, come dicevamo, quello di essere utilizzate troppo spesso.
Un punto a favore va certamente per la colonna sonora, dove all’interno dell’Arca, si hanno sonorità che richiamano la giusta atmosfera mercantile, mercenaria, a tratti steampunk, con un utilizzo di linee di basso che a tratti ricorda la decadenza desertica delle sequenze di Full Throttle, mentre durante le missioni si ha invece un ventaglio di temi musicali davvero di pregevole cura, che vanno da sonorità sintetiche anni ’80 alla pura elettronica passando per brani in cui si sentono gli echi dei riff di chitarra elettrica dei primi Iron Maiden o addirittura ritmi prog-metal e scale in stile Dream Theater.
A voler essere pignoli, la colonna sonora ha l’unico difetto di coprire gli effetti sonori del gioco, che risulteranno quasi azzerati a meno che non vengano settati dalle impostazioni in modo che le armi da fuoco, le detonazioni di certe skill, le esplosioni delle astronavi nemiche possano distinguersi dalla musica di sottofondo.
Da questo punto di vista non si può non ammirare l’ottimo lavoro di Alkemi la quale ha unito un comparto grafico che, seppur poco vario e non particolarmente complesso, risulta elegante, piacevole e ben curato, e una colonna sonora che dà al gioco il giusto mood, compensando alla mancanza di mordente della trama.

Terre alla deriva

Drifting Lands è un titolo che presenta dunque svariati aspetti interessanti, che lo rendono un gioco molto buono ma che non arriva a compiutezza perché gravato da alcuni aspetti deboli.
Come già accennato, le funzionalità RPG arricchiscono il titolo ma compensano solo in parte un aspetto shooter che, pur non essendo gravato da grosse sbavature nei combattimenti, risulta comunque scevro di elementi degni di nota e non supportato da una storyline che gli conferisca mordente; a grafiche ben curate che però non fanno della varietà il proprio punto forte, fa da contraltare una original soundtrack senz’altro azzeccatissima.
In ragione di quanto detto, la longevità del titolo (che offre varie ore di sfida prima di giungere al termine della storia) diventa quasi un difetto, perché la mancanza di mappe, la ripetitività dei livelli e il conseguenziale scemare della sfida avrebbero anche reso più sensata (e più adeguata) una durata più corta: più di una volta, nella seconda metà del gioco, mi sono ritrovato a pensare di non veder l’ora di arrivare alla fine, e forse avrei lasciato perdere prima, se non fosse stato a fini recensori.
Agli appassionati del genere che apprezzano l’ibridazione RPG potrà comunque piacere l’ambizioso progetto di Alkemi, a patto di concentrarsi sulla strategia e sull’utilizzo delle numerose abilità nei combattimenti e di infischiarsene della debolezza della storyline e della ripetitività del gameplay che costituiscono i veri e propri punti deboli di un gioco globalmente ben congegnato.




Steam in crescita: più di 14 milioni di utenti e nuova interfaccia grafica in arrivo

Valve conferma che la sua piattaforma virtuale su PC, Steam, in questo ultimo periodo sta vivendo momenti molto positivi riguardo la crescita di utenza, registrando più di 26 milioni di nuove utenze dall’inizio del 2016.
Durante l’Indigo 2017, Valve ha reso noto di aver ottenuto un record di 14 milioni di utenti collegati simultaneamente, quasi il doppio rispetto il 2015, nel quale si potevano contare invece 8,4 milioni utenti; per quanto riguarda gli utenti collegati ogni giorno, questi sono in media 33 milioni e quelli ogni mese 67 milioni. Steam dichiara anche il numero delle vendite mondiali e sono: America del  Nord 34%, Europa Occidentale 29%, Asia 17%, Russia 5%, Oceania 4% e America Latina 3%.
Inoltre, è anche in sviluppo una nuova interfaccia e diverse funzionalità che arriveranno gradualmente nei prossimi mesi.




Welcome to Orochi Park si mostra in trailer

Lo sviluppatore Anima Chambers ci parla del suo gioco, Welcome to Orochi Park; Nato come parodia di The Secret World e Mass Effect, influenzato da entrambi, è stato sviluppato con una meccanica di testo strategica unica e molto strutturata.
Oggi vengono svelati, insieme al primo trailer dimostrativo, alcune delle caratteristiche di gioco, oltre alla notizia di una futura demo che dovrebbe essere rilasciata in Agosto.

Di seguito la dichiarazione di Chambers:

<<Welcome to Orochi Park è stato sviluppato per anni con amore e sono felice di svelare parte del mio lavoro tramite questo primo trailer. Adesso è ancora presto per il gioco completo, ma la demo che verrà rilasciata il prossimo mese dovrebbe dare ai giocatori un assaggio di quello che li aspetta. Inoltre la community di The Secret World, e il suo staff, si sono dimostrati molto disponibili a supportare il mio progetto e questo è ottimo considerato che tutto è nato come fan project>>

Il gioco non vedrà la luce prima del prossimo anno ma, se siete interessati, questa è una piccola descrizione di Welcome to Orochi Park: «In un mondo segreto dove il libro è sempre migliore del film, un’arma segreta di distruzione di massa devasterà Londra. I Templari rispondono. New York affonda. Milioni di annegati. La guerra segreta divampa. Gli illuminati invadono l’Inghilterra. Qualcosa di terribile è stato risvegliato nelle profondità del mare.
Nei panni del templare Marshal Celestine, comanderai le forze rimanenti della tua società segreta dal bunker anti-atomico, le cui volte fatiscenti ospitano una gigantesca potenza di fuoco. Respingere l’avanzata degli illuminati, o arrestare il panico che minaccia di spazzare via l’intero globo. Qualunque sia il cammino che scegli, probabilmente avrà un pessimo finale.»




TumbleSeed

Creato dal piccolo gruppo di sviluppatori indie Aeiowu, TumbleSeed trae ispirazione da meccaniche piuttosto diverse: l’estenuante difficoltà che contraddistingue il genere roguelike e un classico gioco arcade meccanico noto come Ice Cold Beer. Nonostante il particolare connubio, la combinazione rende il gioco straordinariamente singolare.Proprio perchè TumbleSeed dispone di pochi punti chiari, non è facile fare una breve descrizione e spiegare quel che il gioco vuole rappresentare. In ogni caso, le novità che presenta TumbleSeed  in termini di gameplay lasciano il giocatore con delle sensazioni di “prima esperienza” e al contempo eccitazione.La storia è alquanto minimale: in TumbleSeed si assume il ruolo di un seme che vive insieme a molti altri semi in un piccolo villaggio nella foresta, più precisamente alla base di una montagna. Mentre il villaggio sembra pacifico, sulla cima della montagna qualcosa si sta agitando. Una certa forza sta causando l’apertura di buchi giganti lungo tutto il sentiero che conduce al villaggio, e questo ha comportato il conseguente risveglio delle creature abitanti che sicuramente non sprizzano di gioia. L’unica soluzione è quella di salire sulla montagna e di compiere “La Profezia” prima che il villaggio sia distrutto.Ho detto che si assume il ruolo di un seme, ma non è del tutto preciso: quel che si controlla è piuttosto una lunga barra che si estende da un lato all’altro dello schermo e che deve essere utilizzata per spingere verticalmente il seme lungo la mappa. I lati della barra vengono controllati in maniera indipendente, così da sollevare soltanto il lato sinistro per far scorrere lentamente il seme a destra e viceversa.Non è per niente una sfida da sottovalutare ma, detto questo, non sono ancora sicuro che alla lunga risulti molto divertente. Personalmente, mentre passavano le ore di gioco la mia abilità andava crescendo, spingendomi a salire la montagna più velocemente rispetto alle prove precedenti, ma non ho mai provato il reale desiderio di essere competitivo nella classifica di questo gioco. C’erano sempre momenti in cui mi sono ritrovato a giudicarne male la fisica ma, soprattutto, nelle fasi più ardue del titolo, trattandosi di un “procedurale” mi son dovuto affidare più alla fortuna del seed che alle mie abilità: questo mi pare anche una scorrettezza nei confronti del player da parte di uno sviluppatore.L’abilità non si limita ovviamente solo nell’evitare buche o mostri. È anche necessario serpeggiare attorno il sentiero per raccogliere i frammenti di cristallo che servono come valuta nel gioco, e che, una volta presi, possono essere piantati scorrendo su appositi buchi nel terreno per ricevere una ricompensa a seconda della forma assunta attualmente dal proprio seme.La capacità di cambiare le forme è la chiave per TumbleSeed. Avviate una run con quattro diversi tipi di semi che si possono scambiare ogni volta a nostro piacimento; la bandiera permette di piantare un checkpoint casomai si cada in un buco; piantare le spine creerà una piccola lancia che inizierà a ruotare intorno al seme al fine di danneggiare i nemici, la terza forma provvederà a un piccolo rifornimento di cristalli e la forma del cuore incrementerà i nostri punti vita. Al di là di questi tipi di semi iniziali, è possibile trovare forme nuove e più complicate nascoste nel sottosuolo man mano si progredisce.Questo elemento di strategia e pianificazione è il pezzo più interessante della formula di TumbleSeed, dove si è spesso costretti a prendere decisioni difficili. Devo piantare una bandiera perché ho paura di cadere in un buco e perdere tutti i miei progressi oppure dovrei piantare un heartseed perché ho solo un cuore e potrei morire del tutto? Anche dall’inizio di una nuova run ho trovato molta soddisfazione nel testare nuove tattiche, scegliendo se concentrarmi sull’offensiva, sulla difesa o su una combinazione di entrambe.L’esperimento è divertente, ma TumbleSeed rende ogni errore costoso e doloroso. Come già detto, il gioco porta la struttura di un roguelike, e dunque, quando si muore, si torna alla base della montagna e si ricomincia senza alcuno degli upgrade precedentemente acquistati o valute guadagnate col sudore della fronte. Per non farci cadere in una facile frustrazione, in TumbleSeed si inizia ogni run con tre cuori, ognuno dei quali permette di ricevere un danno da caduta a causa di un buco o prendere un colpo da un nemico. È anche possibile guadagnare più cuori attraverso il già citato heartseed ,creandoci meno pressing psicologico tra le eventuali insidie che nasconde la montagna.Che TumbleSeed ti costringa a ricominciare quando si muore non è un grosso problema: tra le meccaniche che compongono un roguelike, esiste quella di ricevere oggetti o simili quando si ricomincia una run dopo essere morto rendendo il gioco non solo più accattivante ma anche piuttosto longevo. Qui questa meccanica non esiste e, inoltre, quel che rende Tumbleseed veramente frustrante è quanto il gioco ti punisca per ogni singolo danno ricevuto: quando accade, si vedranno resettati tutti i progressi fatti dal seme in uso, vanificando tutti i nostri sforzi.Un esempio: una volta ho deciso di spendere gran parte dei miei cristalli, costruendo uno strato protettivo di lance. Avevo anche un’aura, un bonus passivo che puoi raccogliere; ho fatto in modo che mi colpissero fino a rimanere con un solo cuore. Grazie all’aura, e con un solo cuore, avevo la possibilità di piantare gratuitamente i semi. Muovendomi nelle profondità della giungla – il secondo bioma del gioco – cominciavo a sentirmi invincibile. Ma, mentre stavo risanando un punto vita, ho avuto un attimo di distrazione e sono accidentalmente rotolato verso una piccola mosca che, muovendosi in maniera innaturale e spasmodica, è riuscita miracolosamente a evitare le mie lance e a colpirmi. Un singolo danno mi ha fatto perdere tutte le lance, l’aura e i cristalli, distruggendo tutto quello che avevo costruito fin dall’inizio della run.In conclusione posso dire che Tumbleseed è un gioco dedicato sia a chi ama le alte difficoltà ma soprattutto a chi è ricco di pazienza, poiché questa è la principale abilità su cui gli sviluppatori pare abbiano puntato per sfidare i proprio giocatori, e forse per far inserire una sottile, inconscia morale nel gioco.




Incidente in un impianto Micron, sospesa momentaneamente la produzione di DRAM

Un impianto di produzione di memorie DRAM della Micron Technology potrebbe limitare momentaneamente la produzione per un incidente interno e, data l’alta domanda delle componenti, ciò potrebbe comportare un ulteriore aumento dei prezzi, già lievitai negli ultimi mesi.
L’impianto coinvolto è la Fab 2 di Taiwan, secondo quanto riporta EETimes – tramite la società di monitoraggio dei prezzi delle memorie, DRAMeXchange – di proprietà di Micron dallo scorso anno, nell’ambito dell’operazione d’acquisto di Inotera (costata 3,2 miliardi di dollari). La Fab è uno dei due impianti situati a Taoyuan.
L’incidente sarebbe stato causato da un malfunzionamento nel sistema di distribuzione dell’azoto che ha causato una contaminazione dei wafer e dei macchinari.
Sempre secondo DRAMeXchange, Micron avrebbe avuto un calo di produttività pari a 60.000 wafer al mese, che avrebbe impattato negativamente del 5,5 % sulla produzione mondiale delle DRAM del mese di luglio.
Un portavoce della Micron ha rassicurato la clientela dicendo che le operazioni di Taoyuan sono state subito ripristinate dopo l’accaduto, scongiurando così un impatto negativo sul business dell’azienda, la quale non cesserà di monitorare la situazione e terrà aggiornati clienti e fornitori.
DRAMeXchange non si mostra molto convinta, e osserva che i lavori per ripulire quanto prodotto dai danni e per riprendere i lavori richiedono non poco tempo, e questo, secondo vari analisti, potrebbe comportare un blocco dell’impianto con vari effetti negativi, in primis sui prezzi delle memorie attualmente sul mercato, e anche probabili ritardi di consegna per il prossimo iPhone ritarderanno (il quale monterà, appunto, memorie della Micron).




Virginia

Il recente annuncio di Transference VR durante la conferenza Ubisoft all’E3 ci ha dato ancora una volta dimostrazione di come il mondo cinematografico e quello videoludico vadano sempre più intrecciandosi, nutrendosi dei rispettivi mezzi tecnici, linguaggi e suggestioni formali e sostanziali. Il meccanismo è in atto da tempo, il sempre maggior ricorso nel settore agli attori hollywoodiani è un segno di ulteriore ibridazione, e quando titoli come Virginia si affacciano nel panorama dei videogame abbiamo la misura di quanto la settima arte sia un’influenza di rilievo per certi autori e game designer, anche in termini di regia e sceneggiatura.
Sviluppato da Variable Games, Virginia segue la storia di Anne Tarver, neo agente FBI assegnato al caso della scomparsa del giovane Lucas Fairfax e, al contempo, incaricato di riferire agli Affari Interni del comportamento della collega Maria Halperin, con cui si trova in coppia sul caso. Da questi presupposti, piuttosto classici, prende le mosse un intreccio che si complicherà progressivamente, mostrando risvolti complessi che porteranno il giocatore in un dedalo di misteri nascosti dietro la quieta immagine dell’ordinario.

Richiami seriali

Pur godendo di una trama complessa, sul piano narrativo Virginia prende le mosse da stereotipi classici del cinema e della fiction televisiva. Come se non bastassero i riferimenti agli UFO che aleggiano nel corso della storia, a rievocare X-Files si aggiunge la collocazione dell’ufficio della Halperin in un seminterrato, che ricorda quello del buon vecchio Fox Mulder, l’agente meno amato dai vertici del FBI. Seppur i richiami sono estremamente ricorrenti, non è la serie di Chris Carter il principale riferimento del titolo: le dinamiche della provinciale Kingdom (immaginaria cittadina della Virginia), ricordano molto da vicino quelle dell’altrettanto immaginaria Twin Peaks, ed è proprio nell’opera di David Lynch che troviamo il basamento concettuale di Virginia. A partire dal soggetto dell’indagine, quel Lucas che con la sua scomparsa diventa la mano atta a scoperchiare il Vaso di Pandora delle esistenze dei miti cittadini di Kingdom, svolgendo quindi una funzione simile a quella di Laura Palmer in Twin Peaks, e diventando il fulcro attorno al quale si srotola l’inconscio della stessa protagonista, Anne. Virgina non è infatti la classica detective story: l’indagine diventa anzi quasi un pretesto per mostrare la polvere nascosta sotto il pesante tappeto di Kingdom, ma soprattutto per leggere dietro le vite dei due personaggi principali, gli agenti Anne e Maria. In Virginia non sono presenti enigmi, neanche sotto forma di piccoli puzzle, e per questo possiamo definire il titolo come una “visual novel”. Il puzzle è probabilmente la personalità stessa della protagonista: in parallelo all’indagine sulla scomparsa del giovane Lucas, è evidente come Anne conduca una silenziosa ricerca su alcuni aspetti del proprio passato che non hanno mai trovato risposta.

Ricordo, cammina con me

Il gioco alterna infatti una narrazione lineare – cronologicamente ordinata nel susseguirsi dei singoli giorni che compongono la settimana in cui si colloca l’indagine – a rapidi flashback, visioni, sequenze oniriche, figlie del linguaggio lynchiano che pervade l’intero titolo. Le memorie e le visioni di Anne tendono sempre più a confondersi col piano del reale, i simboli sono talmente vividi da lasciare più di una volta il dubbio sulla loro veridicità. È un impianto che ricorda Twin Peaks, ma anche Blue Velvet, altro film di David Lynch dal forte apparato simbolico, anch’esso ambientato in una piccola cittadina americana, al punto che, nell’unica sequenza del videogame ambientata in un Roadhouse, non mi sarei stupito di sentire il pezzo di Bobby Vinton che dà il titolo al lungometraggio del regista di Missoula.
Simbolismo e tendenza all’astratto per un titolo ambizioso, dunque, ma non sempre questi elementi sono ben calibrati: Virginia gode infatti di un immaginario surreale espresso in sogni e allucinazioni che dà spesso luogo a un’ambiguità a volte confusionaria. Ma, se è vero che la realtà è talvolta contaminata dalla finzione, è altrettanto vero che la finzione rivela a sua volta scampoli di verità nascoste nelle profondità della coscienza, e questo meccanismo riesce a volte a fornire in maniera efficace vari indizi su cosa agiti il subconscio di Anne. Più di una volta però questo procedimento non risulta efficace, con la conseguenza che il flusso simbolico perde in potenza e armonia, risultando caotico, claudicante e solo parzialmente apprezzabile. Elemento che si fa tanto più delicato nella misura in cui non sono presenti dialoghi o linee di testo a contribuire alla spiegazione della storia: Virginia opera infatti una scelta di campo coraggiosa e che, in ogni caso, dà i suoi frutti in fase di regia, la quale riesce a offrire ottimi momenti di cinema, con un montaggio serrato e improvvisi salti scenici non solo nelle cinematiche, ma soprattutto nei momenti di gameplay.

Il bisonte, la scatola, il cardinale

Lo stile cinematografico di Virginia è uno degli aspetti più riusciti del titolo, capace di dare al giocatore una narrazione essenziale ed efficace e abile nel giocare con gli stilemi di un certo cinema d’autore statunitense. Siamo ovviamente lontani dalle vette simboliste di registi del calibro di Lynch, Cronenberg o Ferrara, la regia è qui molto più acerba, talvolta ingenua, ma è innegabile come Virginia sia uno dei migliori esempi del genere in campo videoludico, raccontando una storia che regge pur in assenza di dialoghi, affidandosi al montaggio e alla potenza di immagini popolate da simboli poderosi che vanno dal bisonte (animale americano per eccellenza) al cardinale rosso (uccello detto “cardinale della Virginia“, che ritorna come un ossessivo redde rationem della protagonista con il proprio passato), i quali ricorrono nelle visioni e nei sogni di Anne unitamente a simboli quotidiani, quasi banali, che scandiscono il tempo e il ritmo della storia.
Assume forte valenza simbolica la chiave spezzata che Anne porta sempre con sé, simulacro attorno al quale ruotano il proprio vissuto irrisolto, il rapporto col padre, i misteri sepolti, la paura d’affrontarli e l’impossibilità d’aprire una scatola nascosta in interiore che serba verità che spesso si preferirebbe non conoscere.

Suoni e visioni

Virginia non è certo un titolo elaborato sul piano grafico, con modelli tridimensionali in cel shading che conservano comunque un proprio stile e che danno il loro meglio negli ambienti aperti, nei quali predominano i colori chiari. Nell’opera dominano inoltre i cromatismi, con un ricorrere del rosso che ricopre un valore certamente simbolico, e che fa il paio con l’erubescenza del cardinale della Virginia.
Un punto a favore va alle animazioni prodotte da Terry Kenny – abilmente affiancato dal Pink Kong Studios – le quali rivestono un ruolo molto importante nel dettagliare una storia che, in assenza di dialoghi, risulta esaltata dai particolari visivi, dalle espressioni, dalle movenze dei corpi, atte a rendere atteggiamenti o particolari stati d’animo dei personaggi.
Sul piano tecnico si riscontrano un po’ di problemi di frame rate, nonostante il titolo sia stato giocato a 30 FPS come consigliano gli sviluppatori sin dal menù iniziale; nulla che risulti troppo fastidioso, considerando soprattutto che non vi sono particolari esigenze di precisione, ma sono comunque piccoli difetti presenti nel titolo riscontrati da più di un giocatore.
Il vero capolavoro dell’opera è però il comparto sonoro, una raffinatissima colonna sonora composta da Lyndon Holland ed eseguita dall’Orchestra Filarmonica di Praga che non sfigura nel confronto con i suoi omologhi della settima arte, accompagnando l’azione con perfetta coerenza e restituendo in maniera magistrale quel senso di sospensione proprio del contesto onirico, giocando a volte su una dialettica oppositiva suono-ambiente che regala risultati di straordinaria armonia (vedi la traccia Roadhouse nella sequenza al locale notturno); Holland, classe 1987, dà prova di grande perizia e di una consapevolezza sul piano armonico affatto scontate per un compositore così giovane, spaziando da chiare influenze di genere – una su tutte quella di James Newton Howard e dei suoi primi lavori quali Il Fuggitivo, Linea Mortale e Virus Letale, dalle quali eredita soprattutto la commistione fra suoni orchestrali e sintetizzatori – ad alcune più recenti OST di Cliff Martinez, e creando un ponte fra la musica classica e le sonorità sintetiche ’80-’90 che ben si presta ad accompagnare le sequenze di un titolo come Virginia.

Finali senza fine

Nel saggio Tipologia del romanzo poliziesco, il critico Tzvetan Todorov distingueva due narrazioni all’interno delle storie appartenenti al macro-genere del giallo: la storia del delitto e quella dell’inchiesta condotta dal detective, che altro non è che un mezzo per ricostruire la prima storia. Nel caso di Virginia, il delitto (ovvero la scomparsa del giovane Lucas) è un mero pretesto per un viaggio multiforme, che attraversa i tortuosi sentieri dell’inconscio delle due protagoniste e che finisce col costruire un grande affresco d’intrighi, complotti, società segrete e misteri governativi racchiuso nel microcosmo di una piccola cittadina americana. Come molti suoi corrispettivi cinematografici (e non), quel che Virginia lascia al giocatore è un senso di stordimento e disorientamento di fronte a una storia dal forte impatto visivo (e visionario) e non pochi quesiti aperti. Il titolo si affida a una potenza di immagini basata su simboli, icone e simulacri i cui significati sottesi si dipanano tra salti temporali e narrativi, diacronie, flashback che aprono uno squarcio sul passato dei personaggi principali e flashforward che prefigurano scenari futuri probabilmente irrealizzati fino all’apoteosi lisergica della sequenza finale. Come nel Doppio Sogno di Schnitzler, il dualismo fra realtà e immaginazione lascia il giocatore nell’incapacità di distinguere il vero dal falso, quel che Anne ha realmente vissuto e quel che invece è frutto di sogni e visioni; se questo non è un difetto in sé, lo è però il suo contenuto, quel piano surreale del titolo che da un lato conferisce a Virginia una gran forza immaginifica ma, dall’altro, finisce col risultare troppo carico, talvolta ridondante, spesso frammentario, penalizzando una trama i cui risvolti si perdono in un insieme astratto e indefinito.
Il lavoro di Jonathan Burroughs e soci rappresenta comunque un pregevole unicum in ambito videoludico, strizzando l’occhio ai grandi maestri del cinema surreale sul piano icastico e, per scelte formali, ai noir più visionari di metà ‘900, da The Third Man di Carol Reed a Laura di Otto Preminger, con i quali ha in comune le atmosfere rarefatte e una doppia articolazione narrativa in cui tutti i personaggi, gli oggetti, i simboli assurgono a simulacri guidati da una voce senza corpo.
Titolo difficilmente incasellabile in ambito videoludico (a meno che non ci si voglia fermare spregiativamente e semplicisticamente a una definizione di “walking simulator” che non tiene conto di contenuti e forme), Virginia è una detective story che non presenta enigmi o elementi di difficoltà per il giocatore, il quale non dovrà far altro che immergersi in una narrazione di genere dai risvolti metafisici e psicologici che, pur non risultando priva di difetti, indurrà i più curiosi a rivivere una seconda volta le circa 3 ore di gameplay per vedere la storia da un’altra angolazione, nella speranza di decifrare, nel marasma di simboli sfuggiti a un primo sguardo, la chiave spezzata atta ad aprire la cassetta dei significati nascosti dell’opera.




Terra World: il franchise sbarcherà in Italia?

Poco più di una settimana fa Mistwalker Corporation, lo studio del padre di Final Fantasy Hironobu Sakaguchi, annunciava il sequel del popolare JRPG per mobile Terra Battle, mostrando il primo gameplay durante un livestream su Nico Nico. I circa 24 minuti di giocato davano un buon assaggio di quelle che sono le nuove caratteristiche di Terra Battle 2: principalmente una world map che dà la possibilità al giocatore di esplorare e configurare la propria formazione prima di ogni battaglia.
Insieme a Sakaguchi erano presenti il leggendario compositore Nobuo Uematsu, il quale si sta prendendo cura della colonna sonora, e Kimihiko Fujisaka (Drakengard The Last Story) che si occupa del character design. Sarebbero coinvolti inoltre Silicon Studio (della serie Bravely) e, si vocifera, il famigerato Yoko Taro, che dovrebbe curare alcuni aspetti della storia.

La storia di quello che è ormai divenuto un franchise, Terra World, in Italia è pressoché sconosciuta: il primo Terra Battle fece la sua comparsa nell’ormai lontano 2014 sui dispositivi mobile di tutto il mondo; o quasi, visto che all’appello mancava appunto il nostro caro Belpaese. Purtroppo, nei tre anni successivi – passando per molteplici update e annunci ufficiali, accompagnati da petizioni e richieste fatte dai fan, più o meno direttamente, agli sviluppatori giapponesi – non siamo riusciti a meritarci una versione dedicata sugli store principali (Google Play e App Store) e non stiamo parlando della mera localizzazione del titolo, quanto della vera e propria presenza, negata sui marketplace nostrani.
Inspiegabilmente infatti l’Italia si ritrova emarginata e, mentre Sakaguchi dichiara di voler continuare il supporto al primo capitolo, ne annuncia appunto il secondo accompagnato da Terra Wars e una non meglio specificata versione console del primo episodio.

Fresco di giornata è invece questo nuovo scorcio di gameplay: il filmato che riportiamo è abbastanza interessante dal momento che ci mostra una delle più importanti feature introdotte nel nuovo titolo, ovvero il passaggio dalla world map alla griglia di battaglia. Nel video qui sotto si vede come una volta ingaggiato il combattimento il sistema torna ad essere simile a quello del primo Terra Battle.
Speriamo che l’Italia possa questa volta rientrare nelle grazie di Sakaguchi-san e, perché no, magari avere l’opportunità di giocare la versione italiana del primo episodio anche se a distanza di tutti questi anni.




Samurai Warriors: Spirit of Sanada

Sebbene sembri, a un primo sguardo, il solito musou che Koei Tecmo Omega Force ci propinano da circa 20 anni, Samurai Warriors: Spirit of Sanada offre delle chicche che, a suo modo, lo rendono unico.
Il gioco in questione è uno spinoff della serie Samurai Warriors, che a sua volta è uno spin-off della serie Dinasty Warriors (Shin Sangoku Musou in Giappone, da quì ha origine appunto la parola che ne identifica il genere di appartenenza).

Storia

La storia è incentrata sulla vita di Masayuki Sanada, e ne percorre le varie fasi fino alla morte, per poi incentrarsi sulla vita del più famoso figlio Yukimura; verremo a conoscere quindi il loro punto di vista nella guerra per il dominio del Giappone dell’epoca Sengoku, oltre a molte personalità del periodo che potremo utilizzare come alleati, o che saranno nostri nemici nelle battaglie secondarie (in tutto ci sono 61 personaggi giocabili). Di ogni personaggio potremo leggere una scheda dettagliata che ci racconterà la loro storia, e peccato che nel gioco non sia disponibile la lingua italiana, perché una simile mole di testo in sola inglese può rappresentare un vero problema per chi non ha dimestichezza con la lingua.

Gameplay

Le novità principali rispetto agli altri musou consistono nell’esplorazione di villaggi o città e nei mini giochi all’interno di esse: si può pescare, coltivare, visitare il dojo per imparare nuove tecniche, prendere il tè con un alleato per rafforzare il legame, visitare l’archivio per rivivere eventi passati, visitare il fabbro per aumentare la potenza delle armi e, infine, visitare vari negozi.
Un’altra importante novità è rappresentata dai cosiddetti “six coins (che raffigurano il simbolo del clan Sanada): parlando con gli alleati a volte guadagneremo dei punti che riempiranno le sei monete, ognuna delle quali rappresenta uno stratagemma da usare in battaglia, il quale ci faciliterà la missione che stiamo affrontando, a volte curando le nostre ferite o quelle degli alleati, a volte dandoci un bonus alla velocità, e via dicendo.
Il combat system invece è quello a cui siamo abituati da sempre, che si incentra più sulla spettacolarità che sulla tecnica vera e propria: sebbene sia possibile imparare tantissime tecniche, si può completare il gioco facendo sempre le stesse combinazioni di mosse, il che può risultare alla lunga monotono per chi è nuovo al genere o non lo ama.

Grafica e Sonoro

L’aspetto tecnico del gioco non è dei migliori: la modellazione dei personaggi è discreta, mentre tutto il resto è piatto e con una densità poligonale bassa, le textures sono spesso in bassa risoluzione, insomma, se non fosse per la presenza di centinaia di nemici presenti contemporaneamente, per il frame rate solido e per la spettacolarità degli scontri, ci troveremmo ampiamente sotto la sufficienza.
Il gioco è disponibile su PC e Ps4 e gira a 1080p su PS4 e 4k nativi (uno dei pochissimi giochi a supportarli) su PS4 pro.
Per quanto riguarda il sonoro: è stato fatto un discreto lavoro sulle musiche, epiche al punto giusto ma nulla di trascendentale.
I dialoghi sono di buona fattura e ben recitati, anche se disponibili solamente nella lingua giapponese, e gli effetti sonori durante le battaglie sono quelli classici, fra suoni di mischia, cavalli e sferragliare di armi e armature.

Conclusioni

Samurai warriors: Spirit of Sanada è un gioco ricchissimo di contenuti ed è caldamente consigliato a chiunque sia appassionato di storia giapponese e ami il genere musou (e conosca la lingua inglese); la storia principale ci terrà impegnati per una ventina di ore ma, se si vuole completarlo al 100%, ce ne vorranno almeno il doppio.
Se non si ama il genere invece conviene starne alla larga, le novità che apporta il titolo in questione non sono abbastanza a renderlo appetibile a un pubblico più eterogeneo.




Rivelati accidentalmente i processori AMD Ryzen 3 1200/1300, primi benchmark

AMD ha recentemente annunciato la nuova linea di processori Ryzen Pro, che includerà, la non-ancora-rivelata, serie Ryzen 3. Quest’oggi grazie ad un leak da parte di wccftech.com abbiamo in anteprima i tanto attesi benchmarks del processore Ryzen 3 1200. CPU nata per build entry level creata basandosi sulla nuova architettura Zen di AMD. Entrambi i processori Ryzen 3 1200 e Ryzen 3 1300 saranno CPU quad-core ma, a differenza dei fratelli maggiori, avranno il SMT (Simultaneous Multithreading, aka Hyper Threading) disabilitato.
Il processore Ryzen 3 1200 non nasce solo per le build HTPC ma può benissimo essere integrato, grazie alle sue performance e il suo costo, in build entry level orientate al gaming.
La linea Ryzen 3, basandosi su una tecnologia quad-core (2 CCX) senza SMT, conterà un netto di 4 core e 4 thread per ciclo effettivi. Ciascun core avrà al suo interno 512 KB per la cache L2, ma solo la metà dei 16MB di L3 disponibili saranno attivi. Il TDP del chip sarà di 65W. Dal momento che il prezzo del processore Ryzen 5 1400 è di 169 dollari, e visto che AMD normalmente calcola il prezzo dei suoi chip con un incremento di $ 20, possiamo aspettarci che i processori Ryzen 3 1300 e Ryzen 3 1200 costino rispettivamente $ 149 e $ 129.
Il benchmark di SiSoft Sandra, oltre a confermare le specifiche della CPU, ci svela il anche la frequenza di funzionamento che sarebbe di 3,1 GHz. Inoltre, il processore è in grado di ottenere 72,28 GOP nel benchmark generale e 54,05 e 44,81 GFLOP nei rispettivi parametri di riferimento Whetstone effettuando i benchmark di calcolo a singola e doppia virgola mobile. Questi sono risultati ottimi visto e considerato che il chip avrà un prezzo di circa $ 129. Facendo una comparazione questi risultati sono comparabili alle prestazioni che otterremmo con un Intel Core i7-2600k. Di seguito troverete gli screenshot ai test dei benchmark effettuati con SiSoft Sandra.

Osservando i risultati del benchmark di Passmark, forse più semplici e diretti da comprendere anche per i meno esperti, il Ryzen 3 1200 ha ottenuto 7043 punti. Guardando i risultati in prospettiva, un Intel i5 3570k ottiene 7151 punti ed un i7 2600k un punteggio di circa 8221 punti. Ciò significa che non stiamo guardando ad una CPU con un livello di prestazioni che puo fermarsi alle build HTPC ma al contrario abbastanza potente da poter gestire carichi di gioco moderatamente pesanti.

Il rapporto performance/prestazioni del Ryzen 3 1200 sarà eccezionale e costituirà un’ottima scelta per i giocatori (che non mirano sicuramente al 4k) o build HTPC.

Considerando che in termini di prestazioni siamo nel territorio di un Intel Core i5, questa CPU dovrebbe facilmente essere in grado di gestire carichi leggeri e moderati in termini di gioco, mentre i giochi più pesanti, in termini di prestazioni CPU, probabilmente ne risentiranno. AMD fa sicuramente un passo in avanti, offrendo un netto aumento di prestazioni in una fascia di mercato budget in cui le vecchie CPU erano solo veramente buone per scopi HTPC o NAS. Rimane da vedere quale sarà, se presente, il potenziale di overclocking, poiché sarà questo il vero fattore finale, che potrà aiutare o peggiorare le vendite.
Ecco un tavolo di confronto per la linea Ryzen 3:




Rainway App mostra le demo di Batman Arkham Knight, NieR: Automata e The Witcher 3

Andrew Sampson, sviluppatore della Rainway App e Borderless Gaming, ha mostrato il primo gameplay dell’applicazione streaming in esecuzione su Nintendo Switch. L’applicazione Rainway è gratuita ed è stata progettata per consentire uno streaming fluido tramite rete wireless tra un PC performante e, in questo caso, una console Nintendo Switch, semplicemente utilizzando un browser web (anche se Andrew Sampson sogna di sviluppare un’app ad hoc, sempre se Microsoft, Sony e Nintendo lo consentiranno).

Le prime registrazioni di Rainway mostrano quanto seriamente sia stato preso lo sviluppo dell’app. Per questa occasione è stato fatto un test con il gioco Batman: Arkham Knight, che purtroppo ha sofferto di evidenti cali di framerate. Tuttavia, secondo Sampson, è solo questione di tempo prima che il gioco funzioni senza problemi rilevanti.
Lo sviluppo dell’applicazione Rainway per il browser web è attualmente molto più avanzato rispetto alla versione Switch e sembra funzionare senza problemi.

Di seguito è possibile vedere una sessione 1080p a 60fps di Batman: Arkham Knight su web browser.

https://twitter.com/Andrewmd5/status/878615164798500864

Qui alcuni istanti di NieR:Automata su Switch tramite Rainway App:

https://twitter.com/Andrewmd5/status/880806319095242752

Abbiamo anche un’immagine di The Witcher 3 sempre su Nintendo Switch:

https://twitter.com/Andrewmd5/status/880770581813178369

Infine, ancora una volta su Switch, anche una dimostrazione di Undertale tramite Rainway App:

https://twitter.com/Andrewmd5/status/880817285916708865

Tirando le somme, siamo molto curiosi di vedere i futuri sviluppi di questa interessante applicazione e soprattutto se mai Nintendo accetterà di inserire Rainway nello Switch eShop.