Presentato Pro Evolution Soccer 2019

Dopo il rilascio di informazioni per errore, da parte di PlayStation Store Honk Hong, ecco che PES 2019 viene presentato ufficialmente; un’edizione importante sotto tanti punti di vista, a cominciare dalla perdita delle licenze di Champion’s ed Europa League che forse, finiranno tra le grinfie del suo rivale di sempre.
Per recuperare un po’ di terreno ecco che entrano in scena nuove licenze ufficiali per campionati, squadre e stadi, anche se al momento, non abbiamo a disposizione nomi tangibili e, soprattutto, non ci è dato sapere se queste nuove introduzioni saranno in qualche modo esclusive. Quello che salta all’occhio però, è la partnership con l’International Champions Cup (ICC), che troverà spazio anche in una Master League migliorata sotto diversi aspetti. Verranno introdotte anche nuove Legende, con focus particolare su David Beckham, che vanterà anche un’edizione speciale ricca di contentenuti aggiuntivi, come l’ottenimento del campione inglese e Philippe Coutinho (nuovo ambasciatore del brand) in prestito senza limite temporale all’interno del MyClub.
Scendendo in campo, le migliorie più evidenti sembrano essere improntate sulle animazioni dei calciatori e sopratttuto su una feature interessante come quella della Fatica Visibile, in grado di influire sulle movenze dei protagonisti in campo con l’andare del tempo. Non è una novità in assoluto, ma un’enfasi ulteriore su questo aspetto potrebbe rendere le partite ancor più tattiche, risparmiando le forze in fase di difesa o attaccare e pressare un calciatore in evidenti difficoltà atletiche.
Anche la già ottima fisica del pallone riceverà un boost in tal senso, con un maggiore studio sulla posizione di calciatore e pallone e le dirette conseguenze fisiche ma anche di contorno, con nuove animazioni di tifosi ed esultanze dopo aver messo a segno un gol.
Miglioramenti importanti anche dal punto di vista tecnico con lo sfruttamento del software Enlighten e un’accurata global illumination, per una resa migliore di luci e ombre in tempo reale e che ben si sposerebbe al meteo dinamico (sempre se sarà confermato). Il 4K e l’HDR sono ormai realtà e PES non sarà da meno, promettendo una resa grafica superiore, soprattutto su PS4 Pro e Xbox One X, progettate per spingere al massimo queste caratteristiche.

Infine le edizioni: tre saranno le edizioni disponibili al lancio, il 30 Agosto (molto in anticipo rispetto alla solita tabella di marcia) partendo dalla già citata Beckham Edition, accompagnata dalla Standard  e dalla Legend, disponibile solo in versione digitale.




Far Cry 5 – La Storia del Grande Pdor, Figlio di Kmer

Il franchise Far Cry ha da sempre avuto un buon successo, sin dai tempi in cui Crytek e il suo CryEngine fecero sfoggio della potenza tecnica senza compromessi. Dopo un secondo capitolo e un lungometraggio alquanto discutibile, la serie ha conosciuto una lunga pausa sino al 2012, quando Far Cry 3 stravolse i sandbox portando enorme varietà d’azione e personaggi del calibro di Vaas Montenegro alla ribalta. Il quarto capitolo ha seguito la strada intrapresa, migliorando alcuni aspetti, e rendendosi in tutto e per tutto una semplice evoluzione di quanto visto in precedenza, mentre Primal è stato in grado di portarci nella preistoria e, nonostante alcuni evidenti difetti, ad apportare qualcosa di nuovo nel panorama videoludico.
Far Cry 5 non si allontana dal sentiero tracciato dai capitoli principali, replicando, ma in maniera ancor più esagerata, tutto il meglio della serie. Cominciano però a delinearsi gli stessi segnali che hanno poi portato alla pausa già di un franchise Ubisoft: Assassin’s Creed, e a Far Cry potrebbe toccare lo stesso turnover.

Justice League

Approcciarsi alle vicende narrate in Far Cry 5 non è così semplice: l’impianto narrativo vede le sue radici nella fittizia Hope County, piccola cittadina del Montana, sotto il controllo della famiglia Seed e il loro Eden’s Gate, una setta religiosa militarizzata, che “veglia” sui suoi credenti per salvarli dalla fine del mondo. Quel che contraddistingue questo capitolo è la totale serietà con cui sono raccontate e sviluppate le varie storie, il cui fulcro, Joseph Seed, Padre e guida del proprio “popolo”, risulta essere molto diverso da Vaas Montenegro e Pagan Min. La sua sana e controllata follia e la sua pacatezza, sia nelle parole che nei modi, rendono il suo personaggio quasi divino e a tratti magnetico.
Tutt’altro discorso riguarda i tre fratelli John, Jacob e Faith, ognuno con una propria precisa caratterizzazione e idee, tutte racchiuse nella cieca fede verso il culto. La forza di Far Cry 5 sta tutta qui, in un poker di personaggi ben scritti e che giocano un ruolo fondamentale all’interno di Hope County; la loro presenza è tangibile in ogni strada, accampamento e “nell’aria”, confermando ancora una volta la capacità di Ubisoft di creare personaggi memorabili.
Tutto ciò si contrappone però a un contesto molto caciarone e un set di compagni di viaggio molto sopra le righe. Proprio come il film del duo Snyder/Whedon, Far Cry 5 è un titolo schizofrenico, che alterna la massima serietà e una cupezza a tratti tragica, alla leggerezza disarmante che caratterizza la sua narrazione per la maggior parte del tempo. Manca appunto quell’amalgama perfetta presente nel terzo e quarto capitolo e, nonostante ci si trovi davanti a personaggi migliori, una storia più matura e ricca di colpi di scena, tra cucinare testicoli di toro e dar fuoco a edeniti sulle note di Burn Baby Burn, finisce per perdere efficacia. Un’ulteriore botta alla credibilità del titolo è data dall’isolamento forzato della cittadina nel bel mezzo degli Stati Uniti dei nostri giorni: per quanto si sia cercato di spiegarne i motivi, non risulta comunque sufficientemente credibile che al paese più potente al mondo, in un’era di telecamere, internet e satelliti in ogni dove, possa sfuggire una setta violenta, autrice di atti ai limiti del crimine contro l’umanità. Certo, l’ispirazione è chiara: il Tempio del Popolo era una setta realmente esistita a Jonestown, fondata e guidata da Jim Jones che indusse 909 credenti a suicidarsi con il cianuro, dopo l’omicidio di cinque persone, tra cui un deputato del Congresso degli Stati Uniti e l’imminente intervento dell’esercito.
Se già negli anni ’70 tutto questo era difficile da nascondere, figuriamoci alle soglie degli anni ’20 del XXI secolo.
A completare l’offerta ci pensano il multiplayer e soprattutto la Modalità Arcade, dove è presente anche un editor di mappe in cui è possibile utilizzare asset provenienti dagli ultimi successi di casa Ubisoft. Si possono selezionare classi predefinite ed essere catapultati in tantissime aree, sia per sessioni cooperative che competitive. Un’ottima aggiunta in grado di prolungare di molto la longevità del titolo.

La definizione di follia

Il feeling è sempre lo stesso: come detto poc’anzi non sono presenti particolari innovazioni e tutta la libertà che ha caratterizzato i precedenti capitoli è ancor più presente in Far Cry 5. La mappa di gioco è enorme, suddivisa in tre zone principali, ognuna controllata da uno dei fratelli Seed. Ogni zona è ampiamente caratterizzata ma ogni elemento di gameplay è riscontrabile un po’ dappertutto. Colpisce sin da subito la totale assenza delle classiche scalate delle torri radio per liberare sezioni della mappa, in favore di un’esplorazione più terragna e in fin dei conti piacevole. Tutto l’ambiente di gioco è costellato di piccole missioni secondarie, nuovi personaggi con cui interagire, luoghi segreti e tanto altro, fornendo un pacchetto ludico capace di intrattenere ben al di là della progressione principale.
Una delle più grandi novità riguarda il reclutamento di mercenari (classici NPC o personaggi originali) con determinate peculiarità caratteriali e di gameplay; potremmo assoldarli – una volta reclutati attraverso apposite missioni – due per volta, fornendo un supporto fondamentale in certi casi: alcuni arriveranno su un aereo o un elicottero da combattimento, altri saranno più improntati allo stealth, mentre altri ancora adorano farsi sentire fino ai confini della mappa. Questo sistema porta molta varietà d’approccio durante le missioni o durante i classici scontri per la conquista degli avamposti o in campo aperto, permettendo di gestire la posizione e quando aprire il fuoco. Purtroppo molte volte l’intelligenza artificiale non aiuta, rendendo le situazioni difficili più di quanto dovrebbero essere. Ogni AI avrà la propria specifica arma mentre noi, fortunatamente, potremo contare su un buon arsenale, anche se non estremamente vario: pistole, mitra, fucili e armi per così dire “esotiche”, sono personalizzabili sia nell’estetica che nella costruzione, aggiungendo mirini avanzati o caricatori più capienti. Visto l’andazzo del titolo, una maggiore personalizzazione degli strumenti di morte di certo non avrebbe guastato, aumentando ulteriormente il senso di possesso della propria arma. Stesso discorso vale anche per i mezzi di trasporto, molto vari ma “costretti a rimanere se stessi” per tutta la durata del gioco.
Sparisce anche il crafting in favore dei potenziamenti (Tratti) che potremmo accumulare aumentando la nostra esperienza: l’albero delle abilità dunque non conterrà solo il miglioramento delle “doti” del nostro protagonista ma permetterà lo sblocco di alcune feature come la tuta alare o la capienza delle munizioni, un tempo possibile solo con la costruzione di una borsa più grande. Questo ha permesso uno snellimento delle meccaniche, abbracciando ancor di più la natura arcade del titolo.
Anche i mezzi con cui ci muoveremo per le strade di Hope County risultano abbastanza semplici da guidare, soprattutto barche e veivoli. Ognuno di essi però possiede delle piccole differenze: l’intento di diversificare il comportamente delle vetture è ampiamenti visibile ma tutto questo sparisce, di fronte al caos che si genera nella tumultuosa cittadina americana.

Anche il gunplay rimane rimane ancorato ai suoi classici stilemi, dove tutto tende alla facilità d’uso. Ogni arma è però ben caratterizzata e non faticherete a trovare la vostra preferita. Potremmo portarne quattro, una volta attivato i potenziamenti necessari e questo, assieme al resto dell’arsenale fatto di granate, C4, esche per animali e chi più ne ha più ne metta, favorisce la massima libertà d’approccio; possiamo essere furtivi come un ninja, disattivando tutti gli allarmi e attaccare come un’ombra i nemici; possiamo bombardare e mitragliare dal cielo a bordo di elicotteri e aeri oppure, per i più smaliziati, l’approccio alla Rambo, con mitragliatrice pesante e lanciagranate.
Ognuno di questi approcci è estremamente appagante e spinge il giocatore a ingegnarsi per trovare nuovi modi di affrontare il pericolo. Far Cry 5 diverte, nonostante il forte senso di déjà vu, ma non si tratta comunque di un gioco semplice: trovarsi a corto di munizioni può accadere spesso e i nemici, benché non brillino di Q.I. digitale, sono numerosi e discretamente vari.

Cartoline interattive

L’evoluzione del Dunia Engine sembra aver raggiunto il suo apice. Gli splendidi paesaggi del Montana restituiscono meraviglia, quasi da indurre a fermarsi per ammirare i panorami. Ogni regione di Hope County è ben caratterizzata dal punto di vista delle ambientazioni, passando da praterie sconfinate a boschi nei quali perdersi, alte vette da scalare e fiumi da navigare. Insomma, il mix perfetto per una vacanza reale nelle wilderness areas statunitensi.
Tutto ciò fortunatamente è anche ben ottimizzato e senza problemi evidenti, dove l’utilizzo dei vari filtri regalano un’esperienza pulita e priva di cali di frame che possono compromettere la giocabilità, tralasciando un po’ di pop-up, soprattutto quando ci si ritrova in aria e qualche glitch qua e là. A colpire è l’impianto luci, in grado di rendere la cittadina quasi un paradiso, evocativo e idilliaco, visibile soprattutto in zone specifiche della mappa. La varietà di ambientazioni non combacia però con la varietà di flora e fauna, dove si è fatto davvero poco: nonostante l’enorme mappa a disposizione saranno pochi gli animali che incontreremo e le cui specie si contano su due mani scarse.
Il comparto audio si fregia dei migliori doppiatori, non solo per i protagonisti ma anche per i comprimari, restituendo credibili e freddi nella loro follia nel caso dei villain o del tutto fuori di testa per i nostri compagni. Peccato solo per la ripetitività dei dialoghi – quasi ossessivi – tra i membri della nostra crew e soprattutto l’interruzione delle conversazioni (che riguardano anche l’accesso a nuove missioni) nel caso in cui qualche nemico si trovi a moderata distanza senza rappresentare una minaccia. Un po’ di cura in più da questo punto di vista non avrebbe di certo guastato.
Per finire le musiche, perfette per accompagnare l’azione sia quelle create ad hoc per il titolo che quelle su licenza. Incredibilmente molto belle anche quelle Edeniti, nella loro versione di Radio Maria.

In conclusione

Far Cry 5 è la summa di tutto il meglio proposto dal 2012 a oggi nel franchise. Forse rappresenta anche l’ultima evoluzione possibile: sì, ci si diverte, intrattiene come pochi, portando su schermo personaggi assolutamente memorabili, ma è anche vero che molto sa di già visto e a tratti si percepisce una mancanza di idee o la voglia di andare sul sicuro. Ben vengano in questo caso i Blood Dragon e i Primal, così diversi eppure capaci di portare una ventata di aria nuova a una formula collaudata ma che rischia di fare la fine di un’altra setta, quella degli assassini.

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.




Il solito “errore” ci presenta Pro Evolution Soccer 2019

L’E3 2018 è ormai alle porte e cominciano a fioccare rumor, leak e annunci ufficiali. Ma non manca mai il classico rilascio d’informazioni per “errore”, come accaduto quest’oggi con PlayStation Store Honk Hong che ha svelato i primi dettagli di Pro Evolution Soccer 2019. Sappiamo già che Uefa Champion’s League ed Europa League non faranno più parte del nuovo pacchetto di offerte, ma questo non ha fermato Konami, che ha cercato di mettere una pezza aggiungendo nuove licenze per quanto riguarda i campionati e club, più un nuovo MyClub e una nuova ML Real Season.
Novità per quanto riguarda i calciatori, che avranno nuove undici skill proprie e nuove e dettagliate animazioni, che si sposerano con risoluzione nativa a 4K con supporto dell’HDR.
Per quanto riguarda la probabile uscita si parla di 30 Agosto, molto prima del previsto. Attenderemo novità a riguardo al prossimo E3 di Los Angeles.

FONTE




Shadow of the Tomb Raider: tutti i dettagli

Come annunciato un paio di settimane fa, il nuovo Tomb Raider è stato annunciato ufficialmente, accompagnato da un trailer – purtroppo in CGi – dove cominciare a speculare sul nuovo titolo Eidos Montreal – conosciuti per il reboot di Deus Ex – visto che Crystal Dynamics è impegnata assiduamente su un altro franchise.
Il terzo capitolo Shadow of the Tomb Raider ci porta nella misteriosa terra dominata a suo tempo dalla civiltà Maya, della quale superstiti sembrano esserci ancora oggi. Scorci mozzafiato con le classiche piramidi ma anche piccole cittadine abitate, faranno da contorno alle nuove avventure di Lara Croft, arrivata a un bivio importante.
Da quel che traspare, Lara ha abbandonato la vecchia se stessa, insicura e inesperta per divenire un soldato perfetto, quasi priva di morale e rimorsi dopo aver fatto fuori un nemico. Qualcuno potrebbe pensare – anche leggendo il motto “The end of beginning” – che finalmente siamo giunti alla Croft che abbiamo conosciuto tanti anni fa, eppure c’è qualcosa di diverso. Queste sensazioni però, andranno approfondite sicuramente più avanti; quel che sappiamo è che l’archeologa cercherà vendetta nei confronti di Trinity, l’ordine che da tempo immemore, ha come obbiettivo quello di governare il mondo. Ma ci sarà anche un’apocalisse Maya da scongiurare.
Shadow of the Tomb Raider sarà un’evoluzione di quanto sviluppato finora, ma l’esperienza del nuovo team porterà sostanziali novità: probabilmente verrà dato maggior risalto alle fasi stealth, interagendo con l’ambiente circostante così da sorprendere i nemici. Proprio l’ambiente potrà essere nostro alleato e, a quanto promesso, sarà il più ricco e interattivo della serie. Vengono introdotte anche sezioni subacquee esplorative che fanno pendant a una nuova e più complessa ricerca delle tombe Maya.

Rilasciate anche informazioni sulle edizioni che troveremo nei negozi: Standard Edition, Collector’s Edition, Croft Edition, Digital Croft Edition, Digital Deluxe Edition e la versione Steelbook. Tra i contenuti speciali, per gli amanti dei collezionisti, l’immancabile action figure di Lara, un apribottiglia a forma di piccone, una torcia, colonna sonora su CD e, in game, tre nuove armi e nuovi costumi.

Insomma: Shadow of Tomb Raider potrebbe riservarci moltissime sorprese, a cominciare dalla narrazione che vedrà la protagonista compiere scelte “azzardate” e l’ambientazione, che potrebbe regalarci alcune delle più belle immagini di questa generazione. Attendiamo dunque il prossimo E3 per vedere del gameplay fatto e finito.




Extinction – Processo per Direttissima

Dopo aver giocato, streammato e recensito Attack on Titan 2, mai ci saremmo aspettati di mettere le mani su titolo tanto simile quanto diverso e capace di farci apprezzare ancor di più quanto prodotto da Omega Force. Extinction di Iron Galaxy, software house specializzata in consulenza tecnica e porting, risulta essere un minestrone di elementi presenti in altre produzioni, dal già citato Attack on Titan a Shadow of the Colossus, in cui alla fine nulla sembra funzionare a dovere.

Isayama chi?

I Ravenii, un popolo costituito da orchi di varia natura, stanno mettendo a ferro e fuoco gli ultimi avamposti umani, ormai costretti a vivere nella paura di essere annientati definitivamente. Alcuni di questi “orchi” raggiungono dimensioni spropositate, in grado di distruggere in un sol colpo intere città. Sarà Avil, ultima Sentinella rimasta, a difendere quel che resta dell’umanità. Questo è in sostanza l’incipit di una trama raccontata attraverso cutscene animate con discreta qualità e alcuni dialoghi presenti soprattutto all’inizio di ogni missione. Lo spirito del mangaka di Attack on Titan è ampiamente visibile, ma Extinction non cerca nemmeno di nascondere la propria mancanza di originalità. Tutta la narrazione risulta alquanto scialba, basata su cliché dal sapore amaro, e avanza senza picchi particolari fino alla sua conclusione. Le storie di Avil, della sua compagna d’armi e del suo clan sono davvero poco approfondite, quanto basta per far proseguire le vicende, della durata di circa otto ore.
A far da contorno alla campagna principale sono presenti alcune modalità basate sullo sfruttamento delle classifiche online, costituite dal punteggio ottenuto in ogni missione: Sfide del giorno, Sopravvivenza ed Estinzione non sono comunque sufficienti a portare quella varietà che tanto servirebbe a questo titolo.

E quindi?

Ricordando che si tratta di un titolo dal prezzo di ben 60€, quello che Extinction ha da offrire in temini di gameplay è veramente basilare. Le varie missioni, generate automaticamente la maggior parte delle volte, utilizzano pochi asset, dalle quali deriva una certa ripetitività. Ogni missione presenta obbiettivi secondari diversi che, una volta raggiunti, aumentano il punteggio base, premettendo quindi di acquistare i tanto agognati potenziamenti. Che poi agognati mica tanto, perché è possibile terminare la campagna con Avil fresco fresco di ritorno dalle battaglie, e questo segna uno dei tanti punti dolenti del gioco. Il gameplay risulta poco equilibrato, sia per quanto concerne la difficoltà sia per quanto riguardo i Ravenii che dovremmo affrontare: la loro particolarità sta nel possedere set di armature uniformi o costituite da pezzi provenienti da diversi set. Ogni armatura ha il suo punto debole ma la loro posizione e tipologia estremamente randomica rende la difficoltà di alcune missioni mal gestita, diventando troppo semplice o proibitiva in base al tipo di Ravenii apparso. Se questo elemento risulta, in fin dei conti, l’unico spunto di varietà concesso dal gioco, è anche vero che la frustrazione è sempre dietro l’angolo, con la sensazione di non aver alcun controllo su quanto stia avvenendo.
Ma come si abbattono questi giganti? Essenzialmente la procedura è comune per tutti i Ravenii: ci si dirige verso l’obbiettivo, si mozza la gamba per bloccarne l’avanzata, si fa in modo che la barra di esecuzione della nostra arma si riempia, si mozza loro la testa e avanti un altro. Se nella prima ora di gioco tutto questo può risultare a tratti esaltante, ci si accorge subito che non basta trovarsi davanti una manciata di armature diverse per creare grosse difficoltà – a patto di non trovarsi nelle frustranti Tower Defense – e non aiutano di certo Avil e il suo risicato moveset o la gestione delle collisioni e della fisica; tutti questi elementi creano un certo disturbo, rendendo il gioco difficile per i motivi sbagliati. Poiché un Ravenii è capace di uccidervi in un sol colpo – e volendo ci sta – non sono state studiate adeguate contromisure: la schivata per esempio va bene per i più piccoli ma contro i giganti è essenzialmente inutile.  Vi capiterà di morire anche senza esser toccati (e non c’entra l’onda d’urto) trasformando il gioco in un trial & error senza sosta.
Anche i movimenti, benché fluidi, a volte risultano problematici: siamo sì in grado di muoverci tra i tetti, scalare edifici e balzare in aria ma, anche qui, sarà il caso a decidere dove e come atterrerete. Se non volete chiamarlo “caso”, potete chiamarlo “estrema imprecisione di input dei comandi”.

Non vale la candela

Lo stile adottato ricorda da vicino quanto visto in Fortnite, con un cel-shading ben fatto e soprattutto molto pulito. Tutto risulta abbastanza fluido e senza problemi particolari: sicuramente la loro esperienza è stata ben sfruttata, portando un gioco senza problemi rilevanti; texture, shader e luci sono di buona qualità ma senza toccare picchi particolari; solo un po’ di pop-up qua e là, ma nulla che comprometta l’esperienza di gioco.
Meno rilevante è il comparto audio che non si avvale di effetti sonori particolarmente suggestivi e il doppiaggio (inglese) solo discreto.

In conclusione

Extinction è in fin dei conti una bozza di un gioco che chissà, magari in futuro troveremo sugli scaffali. Le poche buone idee sono prese in prestito da altre produzioni, che non è un male di per sé, ma non aggiunge nulla di proprio per dare quel tocco di originalità che serve. Storia banale, gameplay abbozzato e a tratti frustrante sono avvolti da un comparto tecnico sufficiente ma che non solleva particolarmente le sorti del lavoro di Iron Galaxy.

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.




Reverse: God of War al contrario

Reverse è una nuova rubrica ricavata da un’idea presa in prestito da un format dello Zoo di 105 di qualche anno fa. Prendete il vostro videogioco preferito e immaginatene la trama partendo dalla fine. Un Benjamin Button delle trame videoludiche, insomma, con alto contenuto di spoiler, che troverete da qui in poi.
L’uscita del nuovo God of War pare l’occasione ideale per esordire ripercorrendo a ritroso la saga, che ha al centro le vicende di Kratos, il quale, pur di vincere una battaglia, fu disposto a dare la sua anima ad Ares, il Dio della Guerra. Questo finì per consumarlo gradualmente, portandolo a uccidere sua moglie e sua figlia, atto che mise le basi per la sua sete di vendetta verso Ares, del quale prese il posto dopo averlo ucciso.
Storia bella, anche se forse un po’ banale, ma che ha decisamente segnato un’epoca, portando il concetto di epicità nei videogame a livelli mai visti. Ma proviamo a leggerla al contrario:

Kratos, il Dio della guerra, decide di alzarsi dal trono per noia, facendo lo stesso giochetto del Principe cerca moglie: vuole essere accettato per quello che è realmente e non come Dio. A un certo punto esce dal mare, con le sue spade che si trasformano senza motivo, trovandosi improvvisamente nel tempio dell’Oracolo di Atene. Una luce lo pervade, agglomerandosi e trasformandosi in un tizio con i capelli di fuoco e una lunga spada conficcata in gola. Kratos decide di estrarla e i due cominciano a lottare, forse perché il Dio è stato disturbato nel suo sonno.
A un certo punto Kratos ne ha abbastanza e decide di punto in bianco di chiudere il Vaso di Pandora e di riportarlo al proprio posto. La via più breve è morire: quindi, si infila  in una tomba per raggiungere l’Ade. Al suo risveglio, sente un leggero bruciore allo stomaco, forse a causa di qualcosa che ha mangiato la sera prima, ma più probabilmente a causa del palo conficcato nel suo ventre. Gentilmente delle arpie riportano il vaso ai suoi piedi e il tizio con i capelli di fuoco contro cui aveva lottato poco prima riesce a togliere il palo da Kratos con la sola forza del pensiero. Il Dio guerriero così è libero di recarsi in varie stanze camminando in stile “Moonwalker” e a riportare il vaso al suo posto. Nel frattempo tornano in vita bestie e mostri di vario tipo, fioccando direttamente dalle mani o dalle spade del protagonista, forse divenuto più magnanimo nel corso dell’avventura.
Scendendo dal Titano Crono, Kratos trova una fanciulla ignuda ad Atene, ma è così indispettito dal suo petto a bassa definizione che la appende in alto dandola in pasto alle arpie. Continuando a camminare col moonwalk, si ritrova su una nave in pieno Mar Egeo, dove salva l’Idra dai pericolosissimi alberi dell’imbarcazione e salva a sua volta un uomo dallo stomaco della bestia con la sola forza del pensiero.
Dopo aver passato “una notte da chimere” con un paio di procaci ancelle, vede improvvisamente il suo corpo sbiancarsi e dalle sue lame comparire una bambina e una donna, della quale si innamora all’istante, senonché un’orda di Barbari interrompe il suo sogno d’amore.

Il suo desiderio è però ormai esaudito, Kratos è stato finalmente accettato come umano, ma c’è un’ultima cosa da fare: sconfiggere i Barbari. Per non rendere le cose troppo facili, decide di restituire la testa al loro Re e di farsi togliere le Spade del Caos e, cavalcando al contrario, farà capire a entrambi gli schieramenti che la guerra è inutile, convincendoli a tornare tutti a casa. Nel finale, riabbraccia la donna e la figlia, abbandonando per sempre le ire e i tumulti di un Dio della guerra.

Non trovate che sia più bella così? Basta solo invertire il punto di vista per creare storie totalmente nuove. God of War è solo il primo di una lunga lista ma, se vi è piaciuta (o se non vi è piaciuta), fatecelo sapere.




God of War: Vita e Morte di un Deicida

Lira incontrollabile, la sete di vendetta e il sacrificio, sono tre delle innumerevoli sfaccettature di Kratos, la personificazione della potenza e della rabbia, protagonista di una delle saghe che è entrata con prepotenza nell’Olimpo dei videogiochi. In questo articolo ripercorreremo le vicende del “fu” Dio della Guerra, dai concept sino all’imminente God of War su PlayStation 4. Attenzione a possibili spoiler.

Sviluppato da Sony Santa Monica, God of War ebbe una gestazione particolare e il cui successo fu del tutto inaspettato. God of War non fu il primo progetto di Santa Monica: tutto iniziò con un gioco meno ambizioso ma capace di dare i primi asset ed esperienza al team che avrebbe realizzato il noto titolo d’ambientazione mitologia, Kinetica. Fu proprio uno degli sviluppatori di Kinetica, David Jaffe, a divenire capo del nuovo team che, ispirandosi a titoli come Ico e Devil May Cry volle portare sulla nuova console Sony qualcosa che non si era mai visto e dal tono epico. Due aspetti erano fondamentali: il contesto e il protagonista. L’ambientazione scelta fu quella della antica Grecia, con quell’immancabile epica che permetteva di prendere innumerevoli spunti sia dal punto vista dei nemici, della trama e delle sezioni platform. Se questa fu relativamente semplice, la scelta del protagonista non lo fu altrettanto: il team di sviluppo era deciso a creare un personaggio originale, carismatico e brutale ma lontano dagli stilemi dell’epica classica. Furono passati in rassegna diversi modelli, come soldati con maschere ma abbastanza anonimi, guerrieri dalla spiccata vena africana fino a un personaggio che portava sulle spalle un bimbo o un cane, ma anche qui nulla di fatto, grazie a Zeus. Fu così deciso di realizzare un personaggio a torso nudo e che al posto dell’armatura avrebbe avuto un grosso tatuaggio per dare un tocco di colore. Inizialmente blu, il tattoo divenne rosso dopo che fu notata un’eccessiva somiglianza con un personaggio di Diablo II. Anche le armi hanno caratteristiche particolari: sono due lame, denominate Spade del Chaos, fuse con una lunga catena direttamente sulle braccia del protagonista, per gentile concessione di Ares. A questo punto manca solo il nome: visto che nella mitologia greca spesso ogni personaggio personificava una qualità (una virtù o un vizio), al personaggio in questione fu affibbiata la Potenza, che in greco antico si traduce appunto con Kratos (Κράτος). Il corpo bianco di Kratos è dovuto alle ceneri della moglie e della figlia da lui uccise mentre si trovava sotto il controllo di Ares, e attaccate per sempre alla sua pelle – di base scura –, attraverso una maledizione dell’Oracolo della sua stessa città.

L’inizio della fine

Dopo tre anni intensi di sviluppo venne presentato finalmente il nuovo titolo: God of War. Il gioco si apre con il potente Kratos, pronto a gettarsi dalla montagna più alta della Grecia. Ma le vicende interessate cominciano tre settimane prima. Kratos è tormentato dai molti mali che ha causato, ma soprattutto uno gli impedisce di dormir bene la notte: l’aver ucciso sua moglie e sua figlia, nonostante in quel momento fosse sotto l’influsso di Ares, è il suo peccato più grande. Proprio il Dio della Guerra sarà il principale antagonista del primo capitolo e darà filo da torcere al nostro paladino. Molti saranno i momenti esaltanti e ci troveremo a interagire con molti degli Dei che abbiamo studiato a scuola – o che, al limite, abbiamo visto in Pollon : Zeus, Artemide, Ade, Poseidone e Atena consegneranno a Kratos i loro poteri, tornando molto utili durante il corso del gioco, soprattutto una volta circondati da orde di nemici. Ares è ormai nemico dell’Olimpo e del mondo intero e sarà proprio Kratos a sconfiggerlo in una boss fight ben coreografata. Nonostante la vittoria, Kratos non avrà pace, succedendo ad Ares come nuovo Dio della guerra.
God of War fu un successo su vasta scala, apprezzatissimo dalla critica e amato dal pubblico, e dalla sua uscita costituì uno dei pilastri del grande tempio Sony. Tanta sana violenza viene immersa in un contesto – quello della mitologia greca – assolutamente originale e credibile e con una trama che a poco a poco lascia intravedere tutti gli aspetti del mondo di gioco e di Kratos, un antieroe che all’inizio faremo fatica a comprendere ma che col tempo impareremo ad apprezzare. Era dai tempi di Devil May Cry che non si vedeva un hack ‘n slash di tale potenza, perfetto sotto tutti i punti di vista e originale grazie all’impiego delle Spade del Caos e dei vari poteri messi a disposizione dagli Dei, il tutto contornato da una reattività dei comandi fuori scala. Oltre ai combattimenti, erano in scena anche sezioni platform e qualche puzzle ambientale da risolvere; un esempio su tutti è quello del Tempio di Pandora. Importante è anche la possibilità di potenziare Kratos e le sue armi, dando così un forte senso di crescita all’interno del gioco.
God of War ha anche il merito di aver sdoganato i quick time event, trasformando l’eliminazione dei nemici e soprattutto dei boss in scene altamente coreografiche e suggestive, e la particolarità della telecamera fissa, perfetta in tutte le situazioni e che in un gioco del genere fa davvero la differenza, essendo gestita direttamente dal motore di gioco, dando sempre il punto di vista migliore e rendendo l’azione cinematografica e adrenalinica.
Sul piano tecnico, GoW era quanto di più bello visto su PlayStation 2: modellazione certosina di personaggi principali e comprimari così come gli ambienti di gioco, tutti ricchi di dettagli e accompagnati da ottimi filtri, e soprattutto senza caricamenti di sorta. Ottimi particellari ed effetti speciali sono arricchiti da un comparto artistico d’eccezione e da un comparto sonoro perfetto sia nelle musiche che nel doppiaggio.
God of War rimane senza dubbio uno dei migliori videogiochi della storia. Allo Spike Video Game Award 2005 ha ricevuto il premio “Gioco d’azione dell’anno” e David Jaffe, il suo creatore, ha ricevuto il premio “Sviluppatore dell’anno“. Cominciarono anche a farsi vivi rumor su un lungometraggio cinematografico, ma non si ebbero più notizie.

Non solo monolite

Sorpresi? Esiste anche un God of War per smartphone denominato Betrayal, che cronologicamente si interpone tra Chains of Olympus e il secondo capitolo. Kratos, ormai vero e proprio Dio della Guerra, conquista, grazie al suo esercito spartano. Una volta giunto al suo prossimo obbiettivo, Rodi, viene fermato da Argo, un mostro mandato dalla regina degli Dei, Era, per dissuaderne i piani di conquista. Kratos, lo imprigiona senza ucciderlo, ma la bestia troverà comunque la morte per mano di un misterioso assassino. Kratos darà la caccia a quest’individuo in lungo e in largo senza riuscire a prenderlo. Il piano prevedeva di screditare Kratos agli occhi degli Olimpici, cosa che accade comunque per la stessa mano del nostro eroe, il quale uccide il nipote di Zeus, Ceryx (anche figlio di Hermes). Sarà proprio in questo momento che a Kratos verrà affibbiato il titolo di “uccisore degli Dei“, ponendo le basi per la guerra totale che si scatenerà di lì a poco.
La caratteristica di Betrayal è la sua grafica 2D e il suo essere più un platform game che altro. I combattimenti sono presenti ma ovviamente non hanno nulla a che vedere con quanto visto su console. Essendo un titolo per cellulari si son dovuti fare dei sacrifici, a cominciare dal sistema di controllo – in certi casi fastidioso – fino al comparto tecnico e sonoro. Resta un buon titolo, ma ovviamente i God of War a cui si riferisce il grande pubblico e la critica sono ben altri.

La maledizione di Kratos

Lo sviluppo di God of War II era ampiamente previsto, e la palla passò da David Jaffe al responsabile delle animazioni, Cory Barlog, aprendo anche di fatto la leggenda della “maledizione di God of War”: un nuovo capitolo, un nuovo producer. Il team era diviso in due: chi voleva sviluppare il titolo sulla nuova e più potente console (PlayStation 3), e chi voleva sfruttare al massimo l’ampio numero di unita vendute di PS2. Fu Yoshida, presidente Worldwide di Sony, a prendere la decisione: God of War II fu sviluppato su PlayStation 2.
Le vicende si aprono sempre a Rodi, con Kratos, nelle vesti di Dio della guerra che porta distruzione nella città con lo scopo di conquistarla. Un’aquila appare dal nulla dando vita al Colosso che sarà il nostro super avversario nella prima parte del gioco. L’unico mezzo per sconfiggerlo è la Spada dell’Olimpo, una potentissima arma forgiata da Zeus per sconfiggere i Titani anni addietro. Grazie a essa Kratos configgerà il Colosso di Rodi ma, nel farlo, perderà tutti i suoi poteri, tornando mortale. L’aquila si rivela essere Zeus stesso, che uccide Kratos portando così ordine nel caos. Ma il nostro eroe troverà soccorso nei Titani, che l’aiuteranno a compiere la sua vendetta ai confini del tempo e dello spazio. Solo la sequenza finale vale il prezzo d’acquisto del titolo.
Il secondo capitolo rappresenta un affinamento di quanto visto in precedenza: il sistema di combattimento è rimasto pressoché invariato nella forma ma con un miglioramento della risposta ai comandi e feeling con armi. Le nuove armi e magie rappresentano le vere novità in ambito di gameplay, cosi come il Vello d’Oro, capace di respingere gli attacchi se usato con il giusto tempismo, e le Ali di Icaro, che permette di coprire grandi distanze e modi più fantasiosi di uccidere i nemici. Anche la trama risulta meglio raccontata, grazie anche a bellissime cutscene in CGI, ricca di colpi di scena e momenti drammatici, arricchita da molte più boss fight e con una durata maggiore. Il comparto tecnico è eccezionale, probabilmente la produzione migliore su PlayStation 2, con ottime texture e, in generale, una pulizia maggiore rispetto al primo capitolo. Sempre nel 2007, God of War II vinse i Premi Bafta come Technical Achievement e Story and Character.

Il brand ebbe un tale successo da essere trasposto, sotto forma di prequel, nella portatile Sony: PSP. Con il sottotitolo Chains of Olympusil God of War su handheld avrebbe raccontato quanto accaduto prima degli eventi di nostra conoscenza, fornendo uno sguardo più ampio su Kratos. Sviluppato da Ready at Down (sviluppatore che vanta anche il discusso The Order 1886), questo titolo mostra tutte le potenzialità della portatile Sony, toccando vette d’eccellenza un po’ dappertutto. Il motore base è quello utilizzato per Dexter ma è servito un aggiornamento apposito del firmware di PSP per far fruttare tutte le idee che aveva in serbo il team di sviluppo.
Qui si assisterà al piano – un po’ contorto, a dir la verità – di Persefone in cerca di vendetta nei confronti di Ade, reo di averla imprigionata, e degli Dei, che non avevano in alcun modo interferito. Il suo obbiettivo è quello di distruggere il pilastro che sorregge la Terra grazie al potere di Elios, grazie anche all’allontanamento di Kratos verso i Campi Elisi, dove il nostro protagonista, rinunciando alla malvagità e i suoi poteri, ha potuto finalmente ricongiungersi alla figlia. Kratos, compiendo una difficile scelta, riuscirà a fermare Persefone e a portare di nuovo la luce nel mondo.
Il team di Ready at Down è riuscito a trasporre un titolo perfetto anche sulla console portatile, a cominciare dal comparto tecnico, impressionante visto il contesto, aiutato sicuramente dallo schermo più piccolo per la pura resa grafica. Gli ambienti, le animazioni e tutto il resto è da primato, portando la PSP ad avere una sua killer application. Anche i comandi, sulla cui resa si temeva non poco, sono stati adattati regalando quasi le stesse sensazioni del DualShock. Ovviamente, rispetto ai titoli principali, questo capitolo ha qualche mancanza, come la durata della campagna tra le 6-8 ore, puzzle e boss più semplici, ma il tutto è comunque rigiocabile per sbloccare i numerosi extra.
È presente anche una specie di trollata: sul libretto d’istruzioni figura un invito a cercare le cosiddette Urne del Potere, in grado di conferire poteri inauditi e difficili da trovare. Peccato solo che nel frattempo gli sviluppatori decisero di eliminarle dal gioco completo per cui, chi non era a conoscenza di ciò, probabilmente ha vagato in cerca di urne che effettivamente non erano presenti.
In ogni caso, Chains of Olimpus fu il gioco piu venduto e con i voti piu alti presente su PSP.

Niente sarà più come prima

Nuovo God of War, nuovo producer, dicevamo: si passa da Cory Barlog a Stig Asmussen, l’art director di God of War II. Siamo al primo salto generazionale per questo franchise, approdando, nel 2010 su PlayStation 3, God of War III, in grado di mostrare tutta la sua potenza in una delle sezioni introduttive migliori di sempre.
Il Monte Olimpo è assediato da Kratos e dai Titani; Poseidone sarà il primo Dio a cadere per mano del deicida ma, subito dopo, Zeus, ricordandosi improvvisamente del suo ruolo, usa tutto il suo potere per ostacolare la scalata del Titano Gaia e il nostro pelatissimo eroe. Proprio quando Kratos si appresta a chiedere aiuto capisce di essere stato una pedina in mano dei Titani, interessati solo alla loro volta vendetta nei confronti degli Dei. Kratos partirà alla ricerca della sua doppia vendetta, eliminando chiunque si opponga alla sua strada, siano essi Dei o Titani, fino allo scontro finale con Zeus che vedrà il protagonista redimersi utilizzando il vero potere del Vaso di Pandora, utilizzato nel primo capitolo per sconfiggere Ares. Si scoprirà come e quando gli Dei divennero malvagi, pieni di istinti omicidi nei confronti di Kratos, e i veri piani di Atena.

Con il terzo capitolo, visto anche un nuovo e più potente hardware, si vantano diverse novità anche dal punto di vista del gameplay. Innanzi tutto magie e armi non sono più elementi separati: ogni arma infatti possiede la sua magia intrinseca, selezionabile grazie alla croce direzionale, con la quale è possibile cambiare arma rapidamente, continuando così le combo senza interruzioni. Inoltre, sono state modificate anche  postura e animazioni del protagonista e l’introduzione di una barra apposita per l’utilizzo di alcuni oggetti come l’Arco di Apollo e gli Stivali di Hermes, oltre che un maggior numero e varietà di nemici.
A livello tecnico è essenzialmente un capolavoro, capace di lasciare sbalorditi ancora oggi nonostante siano passati otto anni. L’utilizzo del nuovo hardware ha permesso un boost spaventoso in tutti gli aspetti del gioco regalando una perla di pregevole fattura. Come detto, è la prima ora di gioco che risulta assolutamente straordinaria e picco più alto di tutta la produzione, difficilmente replicabile. In quell’ora di gioco si è avvolti da God of War alla massima potenza.
Oltre all’eccezionale comparto tecnico non si è badato a spese anche nel sonoro, che si fregia di ben quattro compositori differenti, che sono riusciti ad arrangiare brani dal tono epico in grado di esaltare ogni situazione possibile. Assolutamente impeccabili.
Durante lo sviluppo molte idee furono scartate come una modalità multiplayer o la possibilità di utilizzare gli Stivali di Hermes per correre sui muri alla stessa maniera di Prince of Persia.

Ascensione e declino

Sempre nel 2010 arriva un altro capitolo per PSP, ancora una volta realizzato da Ready at DownGhost of sparta, cronologicamente posto tra il primo God of War e God of War: Betrayal. Qui entrano in scena la madre di Kratos e il fratello, Deimos, apparsi in una visione del neo Dio della Guerra molto sofferenti. Kratos cercherà di trovare spiegazioni nella Città di Atlantide, eretta in nome di Poseidone e culla della conoscenza umana. Durante il suo pellegrinaggio verso il tempio del Dio dei Mari, Kratos “ritroverà” sua madre e avrà varie informazioni sul fratello, scoprendo che è stato rapito da Atena ed Elios per via di una profezia che narrava di come un uomo con la faccia dipinta avrebbe posto fine agli Olimpici. Essendo Deimos l’unico con queste caratteristiche, viene rapito causando anche la famosa cicatrice di Kratos sull’occhio. Deimos è prigioniero di Tanatos, il Dio della Morte, e, dopo una bellissima  e coreografica boss fight in coop, e una volta “uccisa” la Morte, Kratos diventa un vero “Distruttore dei Mondi” – una sorta di Robert Oppenhaimer  ma con la faccia dipinta–. Nel frattempo scopriamo anche che il padre di Kratos è Zeus.
Ghost of sparta rappresenta il canto del cigno di PSP, una gioia per gli occhi sia dal punto di vista meramente tecnico che artistico, anche se purtroppo non raggiunge le cifre di vendite degli altri capitoli.
Questo capitolo e Chains of olympus furono poi rimasterizzati nella Origin Collection per PS3.

Nuovo God of War, nuovo producer, come da tradizione: la palla passa da Stig Asmussen a Todd Papy. Arriviamo all’utimo God of War uscito finora, Ascension, un prequel di tutto quanto visto fino a questo momento.
Avendo tradito il patto siglato con Ares, Kratos è prigioniero di tre Furie, esseri impegnati nel “gestire” traditori e colpevoli.  In questo meno riuscito capitolo, vediamo Kratos agli inizi, subito dopo aver siglato il patto con Ares e tormentato in maniera violenta dalle visioni. Kratos verrà aiutato da un’altra Furia, Orkos, che, resosi conto della crudeltà del patto, aiuterà il protagonista fino al sacrificio finale che renderà finalmente Kratos libero.
Ascension non vanta una trama che lascia il segno: sì, è ben raccontata, ma avara di colpi di scena risultando piuttosto prevedibile. Ovviamente il comparto tecnico anche qui è fuori scala, nonostante PS3 sia ormai sul viale del tramonto, con qualche piccola innovazione dal punto di vista del gameplay come avvenuta sul tasto cerchio del pad, non più adibito alle prese ma alle armi secondarie, che è possibile raccogliere durante il gioco. Anche i diversi amuleti, che potremmo utilizzare lungo il corso dell’avventura, diventano fondamentali ai fini del gameplay: quello di Uroboro, per esempio, permetterà di distruggere o ricostruire elementi dello scenario, mentre quello di Orkos permetterà di sdoppiarsi. Tutte ciò regala una boccata d’aria fresca alle sezioni platform, molto lunghe e costruite sulla base dei suggerimenti degli sviluppatori di Uncharted. Ma la vera novità è il comparto multiplayer, sia competitivo che cooperativo: una volta scelto il personaggio ci verrà richiesto a quale divinità votarci, avendo così da parte di queste un potere unico. Le modalità di gioco sono molte e permettono una buona progressione. Forse il multiplayer risulta a conti fatti un po’ forzato, visto che il franchise ha sempre puntato forte sul single player, ma è anche vero che David Jaffe ha sempre desiderato includere una modalità cooperativa sin dal primo capitolo, modalità che fu sempre scartata poiché Kratos rischiava di essere snaturato.
In Ascension, sono presenti tante novità ma, complice una trama non particolarmente ispirata ed elementi che sanno di già visto, questo God of War risulta il meno riuscito dell’intera saga.

Sei davvero tu?

Siamo nel 2018 e come al solito tocca a un nuovo producer, ma questa volta a una vecchia conoscenza: Cory Barlog è pronto a rilanciarsi con un nuovo capitolo dal semplice titolo di God of War che sposta parecchi focus su altrettanti elementi. Si passa infattidalla mitologia greca a quella norrena, in un futuro in cui Kratos ha ormai una certa età, prendendosi cura di Atreus, suo figlio. Cambiano completamente anche il combat system e il sistema di telecamere, non più fisso, ma spostato direttamente alle spalle del protagonista. Tutti questi cambiamenti rendono questo God of War effettivamente un altro gioco e difficilmente paragonabile ai titoli precedenti ma, da quanto abbiamo potuto vedere, di qualità sembra essercene tanta e non vediamo l’ora di reimpersonare la Potenza, ancora una volta.

Dopo sei giochi, uno mobile, un romanzo, una serie a fumetti, un lungometraggio sempre in cantiere, remastered e un nuovo capitolo pronto a stravolgere tutto, con Kratos apparso un po’ in giro in diversi altri media, ci si rende conto di quanto God of War sia entrato nella storia di questo mondo. Pensate che tra i piani di Santa Monica la serie doveva concludersi con il secondo capitolo, quando Kratos, dopo aver sterminato gli Dei greci avrebbe continuato la sua caccia ad altre deità di altre mitologie come quella nordica e addirittura quella cristiana. Infatti, riferimenti in tal senso, sono presenti in God of War II, in un dipinto che raffigurava i Tre Magi e un’arma, chiamata Lancia del Destino, come quella che trafisse Gesù crocifisso. Dopo tutto ciò, Kratos sarebbe diventato la Morte in persona, con le sue due lame che sarebbero diventate una falce, appunto come quella della morte.
Il nuovo Kratos è ora pronto a sfidare gli dèi nordici, e non più da solo.

 




Nuovo Bioshock in arrivo?

Dopo l’arrivo delle remastered e dei rumor che indicavano un grosso ritorno su un importante franchise da parte di 2K Games, sembra che un nuovo capitolo di Bioshock sia in dirittura d’arrivo. Secondo quanto affermato da Jason Schreier, giornalista di Kotaku, questo progetto è affidato a un “reparto segreto” della software house, il che – mettendo assieme tutte le tessere del puzzle – farebbe pendant con un’altra notizia, ovvero il rientro del figliol prodigo Shawn Elliot, sviluppatore della famosa saga. Tutto quindi fa presuporre che un nuovo Bioshock potrebbe arrivare nel giro di quanche anno.
Che arrivi qualche annuncio “a sorpresa” al prossimo E3?




Attack on Titan 2 – JÄGER!

Attack on Titan – o Shingeki no Kyojin per i più pignoli – è stato un fulmine a ciel sereno: l’opera di Hajime Isayama ha subito conquistato il Giappone, divendendo vero e proprio cult e piazzandosi nelle zone alte della classifica dei manga più venduti. A dare man forte al successo ci ha poi pensato l’anime, prodotto da Wit Studio, capace di rendere al meglio ed esaltare quanto avvenuto nel manga, restando fedele all’idea originale.
Nonostante il target sia rivolto ai ragazzi (shonen), è un’opera a tutto tondo, volta a esplorare le profonde paure dell’uomo e come questo si pone alle più grandi difficoltà, quelle dalle quali sembra non esserci via di scampo. Lo stile, così come la qualità della narrazione, sono valsi a Isayama numerosi riconoscimenti, elevandolo a uno dei migliori autori degli ultimi anni.
Ovviamente non poteva mancare una trasposizione videoludica: Shingeki no kyojin: Hangeki no tsubasa e altri titoli per Nintendo 3DS, ma soprattutto Attack on Titan: Wings of Freedom, hanno permesso di provare “in prima persona” l’ebbrezza del movimento tridimensionale, prendendo le vesti dei protagonisti della saga.
Attack on Titan 2 non è solo un sequel ma rappresenta la presa di coscienza di Omega Force di avere tra le mani un brand dal grande potenziale. Ecco quindi che tutte le feature del gioco precedente sono state potenziate, trasformando questo titolo quasi in un vero e proprio reboot. Ma vediamo tutto più nel dettaglio.

Io sono Nessuno

Le vicende di Attack on Titan si svolgono in un mondo ormai tenuto sotto assedio dai misteriosi quanto temuti Giganti, esseri divoratori di uomini nonostante non gli servano come nutrimento. Quel che resta dell’umanità è arroccato in un’unica immensa città costituita da tre mura concentriche alte 50 metri (Maria, Rose e Sina) e sostenuta da tre corpi militari atti a proteggere le stesse mura e i cittadini: il Corpo di Guarnigione, il Corpo di Gendarmeria e il protagonista principale di manga e anime, il Corpo di Ricerca. Dopo 100 anni di pace, l’apparizione del Gigante Colossale e del Gigante Corazzato riporteranno scompiglio nell’umanità, ed è da qui che partiranno tutte le vicende. Attack on Titan 2 riprende interamente la narrazione dall’inizio, ma utilizzando un nuovo punto di vista dato dalla creazione di un nostro personaggio che avrà un suo background e interagirà con il cast del manga. Questo espediente mitiga un po’ l’effetto di “già visto” derivante dall’aver giocato gli stessi eventi nel capitolo precedente Wings of Freedom, portando nuova luce ma forzando anche alcuni eventi che invece hanno seguito tutt’altro percorso. Il racconto in generale rimane abbastanza fedele nonostante un’evidente censura, grazie all’utilizzo di buone cutscene che riproducono quasi alla perfezione i momenti salienti dell’anime, fino al termine della seconda stagione. Dunque, niente utilizzo dei nostri beniamini con le loro peculiarità, (come, per esempio, la potentissima trasformazione in Gigante) relegate alla Moldalità Alternativa, in cui potremo scegliere (una volta sbloccati nella campagna principale) ogni personaggio della saga.
Entra in scena anche il Multiplayer Online: dalla semplice co-op quattro giocatori in cui il vincitore sarà chi eliminerà il maggior numero di Giganti, una co-op che interessa in parte la modalità storia, ripercorrendone dunque le vicende e infine, l’interessante Modalità Predatore, dove guideremo un’orda di Giganti con il solo intento di divorare più umani possibili. Queste modalità funzionano abbastanza bene, con pochi elementi di disturbo come lag o disconnessioni improvvise. C’è da dire però, che i giocatori connessi non erano poi così tanti.

Tanta carne al fuoco

La novità più evidente di Attack on Titan 2 è la creazione di un proprio alter ego, personalizzabile in diversi aspetti, da quello fisico al vestiario. La sua creazione consentirà di vivere le vicende da un punto di vista esterno, alla stregua di quanto avvenuto negli ultimi Dragon Ball Xenoverse, interagendo con i protagonisti anche attraverso dialoghi a scelta multipla che possono plasmare non solo il rapporto con i nostri compagni ma anche il nostro carattere. L’interazione e la vita tranquilla in città sono dunque elementi fondamentali in quanto potremo approfondire certi aspetti caratteriali poco sviluppati in manga e anime ma, soprattutto, una volta aumentato il cosiddetto grado di amicizia, verranno sbloccati perk che potremmo inserire nel nostro inventario, migliorando le nostre caratteristiche. I perk variano da un aumento degli attributi fisici all’aumento dell’inventario e il loro utilizzo dipenderà esclusivamente dal nostro livello di esperienza.
Oltre a questo, entra in gioco una maggiore personalizzazione delle armi e degli elementi utili al movimento tridimensionale, molto più varie rispetto al capitolo precedente e potenziabili una volta acquisito le componenti necessarie, che variano in base alla rarità. Sono tanti quindi gli aspetti di cui tener conto, e in questo Attack on Titan 2 si dimostra un gioco estremamente ricco e vario, senza considerare i punti esperienza derivanti dalla cattura e lo studio dei Giganti, le missioni secondarie e tanti altri piccoli aspetti che vi lasciamo il gusto di scoprire. Una volta preparato il tutto, saremo pronti a dare battaglia ai tanto temuti Giganti.
Tutto ruota attorno al movimento tridimensionale, una delle caratteristiche fondanti del brand e veramente spettacolare a vedersi, portando una certa fluidità e teatralità nelle azioni di manga e anime. Renderlo in un videogioco non è un compito semplice in quanto sono tanti gli elementi che devono coincidere per rendere l’esperienza poco frustrante: una buona gestione di fisica e telecamere, risposta dei comandi e via dicendo, sono fondamentali e, fortunatamente, vista anche l’esperienza derivante dal capitolo precedente, l’insieme funziona abbastanza bene.
Il gameplay risulta estremamente dinamico, ci fermeremo solo per sostituire le lame e le bombole di gas consumate durante il corso della battaglia. Grazie ai rampini potremmo arrampicarci dappertutto con estrema facilità e sfruttare l’effetto dondolo, permettendo di muoverci velocemente da un punto a un altro della mappa come un novello Tarzan o Spider-Man, a voi la scelta. Tutto ciò non è ovviamente possibile in campo aperto, dove l’utilizzo del nostro fedele cavallo sostituirà il movimento tridimensionale che sarà nuovamente disponibile non appena avvistato il nostro bersaglio.
Questi movimenti fanno da preludio allo scontro con i Giganti, diversi per altezza e movimenti e quindi capace di variare il giusto i combattimenti, colpendo il loro unico punto debole dietro la nuca. Di altra pasta sono i boss, dal Gigante Femmina a quello Corazzato, terrificanti e davvero difficili da abbattere. Fortunatamente verranno in aiuto i nostri compagni, richiamabili attraverso il dorsale sinistro, e a cui potremmo impartire l’ordine di attaccare, di catturare o di potenziarci, in relazione alle loro caratteristiche base. Formare un team adeguato in base ai loro attributi, aiuterà – e non poco – la nostra sopravvivenza. Un ulteriore aiuto arriva dalla costruzione di determinate edifici, come cannoni automatici e manuali, recupero materiali e tanto altro.

Col tempo migliora

Nonostante il titolo mostri una certa beltà nel restituire al meglio i contenuti dell’anime, migliorando in generale quanto visto nel capitolo precedente, non si può che storcere il naso di fronte ad alcuni deficit tecnici: prima di tutto il framerate, mai stabile, soprattutto nei momenti più concitati. Una volta circondati da Giganti e NPC, i frame saranno fin troppo ballerini, provocando a volte disagio, visto che il movimento tridimensionale esige la massima fluidità per eseguire al meglio manovre fondamentali per l’eliminazione o il mettersi al riparo dai nemici. Ma è un po’ tutto il gioco a risultare poco rifinito, e ciò è visibile anche dall’utilizzo di filtri che faticano a “pulire” quanto vediamo a schermo e l’eccessivo pop-up anche da distanze ridicole, senza parlare di bug e glitch di vario tipo. Anche la gestione della fisica non risulta perfetta, comportando imprecisione nelle movenze e di conseguenza frustrazione del giocatore.
C’è da dire però che la resa generale risulta abbastanza gradevole: tutto, dagli ambienti sino ai Giganti e le loro movenze e fattezze sono ben riprodotti, dando effettivamente la sensazione di trovarci all’interno del manga di Isayama. Da lodare l’enorme varietà dei Giganti, mentre si poteva far qualcosa in più sui modelli dei comprimari e dei cittadini, davvero troppo pochi.
Sul piano audio, spiccano le voci del cast originale dell’anime, che svolgono un ottimo lavoro nonostante il “trasporto” da un medium all’altro, e anche le musiche finalmente rendono giustizia all’opera originale, anche se siamo ben lontani dalle vette toccate dalle puntate animate.
A completare il tutto un comparto sonoro preciso e in grado di riprodurre egregiamente tutti i suoni che ormai siamo abituati a sentire, dalla fuoriuscita dei rampini ai colpi di spada che trafiggono la nostra vittima.

In conclusione

Attack on Titan 2, nonostante qualche difetto, riesce a portare avanti il progetto videoludico del manga di Isayama. L’espediente dell’ater ego del giocatore funziona discretamente bene, fornendo il più delle volte un nuovo punto di vista delle vicende e soprattutto un approfondimento della caratterizzazione dei personaggi. Un gameplay capace di regalare momenti esaltanti, chiudendo un occhio su alcune mancate rifiniture, restituiscono agli appassionati e non, le gesta del Corpo di Ricerca in tutte le sue sfumature, diventando un titolo imprescindibile per i fan dell’opera di Isayama.

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.




Top 5: I migliori videogame dedicati a Dragon Ball

Tra Super e FighterZ, il mondo di Dragon Ball è ritornato di moda. Oltre a manga e serie animate di successo, numerose sono le trasposizioni videoludiche della saga, sin dai tempi del Nintendo NES. Tanto tempo è passato da allora e tanti sono i titoli apparsi su altrettante console. Vediamo dunque quali sono i migliori cinque videogame dedicati alle storie create da Akira Toriyama.

#5 Dragon Ball Z: Burst Limit (2008)

Uno dei titoli più sottovalutati dell’intero franchise, Burst Limit segna il debutto di Dragon Ball nelle console della precedente generazione. Nonostante un roster risicato,  il gioco è riuscito a conquistare una nicchia di pubblico per via delle sue meccaniche di combattimento che purtroppo furono abbandonate con i successivi – e deludenti – Raging Blast. Il titolo fa della teatralità il suo punto di forza, vantando ottime sequenze cinematiche e soprattutto una delle migliori colonne sonore mai apparse in un videogioco della saga.

#4 Dragon Ball Xenoverse 2 (2016)

Tutti abbiamo sognato di far parte delle vicende raccontate in Dragon Ball, magari combattendo al fianco di Goku e Vegeta per salvare il pianeta Terra. Xenoverse riesce a realizzare questo piccolo sogno, permettendo la creazione e la personalizzazione del proprio alter ego come un vero RPG. La scelta intelligente di rendere la narrazione qualcosa di nuovo è un vero colpo da maestro ma purtroppo questo titolo pecca, la maggior parte delle volte, nel restituire le vere emozioni scaturite dal far parte della cerchia dei Guerrieri Z.

#3 Dragon Ball FighterZ (2018)

Ultimo arrivo in casa Bandai, FighterZ ha già conquistato i cuori degli appassionati, portando la migliore esperienza visiva di Dragon Ball fino a ora. Ogni moveset è stato riprodotto alla perfezione e i numerosi easter egg nonché l’approfondimento di alcuni personaggi portano questo titolo a essere una piccola pietra miliare per gli amanti di Goku e Co. Ma oltre alla componente tecnica c’è di più: un combat system accessibile ma stratificato e la ricercatezza della perfezione da parte degli utenti più smaliziati sono un bel biglietto da visita da presentare anche a chi non è amante della saga.

#2 Dragon Ball Z: Budokai Tenkaichi 3

Con oltre 160 personaggi giocabili, Budokai Tenkaichi 3 è essenzialmente il videogioco più vasto dedicato al franchise. Il roster è appunto il primo elemento di forza del titolo, spaziando dalla saga originaria fino alla serie GT, ricoprendo anche gli amati/odiati OAV. Anche le modalità di gioco sono innumerevoli e il combat system è quanto di più bilanciato si sia visto in un picchiaduro della serie. Non arriva al gradino più alto del podio solo per la scelta di riassumere in modo eccessivo la modalità “Storia“, punto focale per ogni fan delle Sfere del Drago.

#1 Dragon Ball Z: Budokai 3 (2004)

Chiedete a qualunque fan di Dragon Ball quale sia il suo gioco preferito: salvo qualche opinione eccentrica, la risposta sarà indubbiamente Budokai 3, capace di portare l’esperienza della saga di Akira Toriyama ai massimi livelli. L’utilizzo delle Capsule ha permesso al gioco di evolversi, espandendosi e migliorarsi, aggiungendo statistiche ai personaggi, arene e modalità. Ma è la passione degli sviluppatori che trasuda da ogni pixel la vera gioia del titolo, con elementi riprodotti alla perfezione come la caratterizzazione del roster fino alle fantastiche fusioni che rappresentano un godimento per ogni giocatore.