Agony – Pacatamente, come non piace a noi

Quando fu annunciato tramite Kickstarter nel 2016, Agony riscosse un certo interesse tra il pubblico, per via della sua visione molto cruda dell’Inferno e soprattutto, di una direzione che mal si sposava con organi di controllo come l’ESRB (Entertainment Software Rating Board). Infatti, Agony, sin dalle prime battute, era così al di là di ogni titolo horror visto finora che l’organo lo valutò come titolo “per soli adulti”. Una classificazione che al team di sviluppo polacco Madmind Studio non è andata giù, al punto da indurli a cercare in tutti i modi di ottenere una categoria PEGI che non fosse rossa. Una volta ottenuta, le cose non sono comunque andate per il verso giusto: Agony è gradualmente divenuto un titolo potenzialmente castrato sotto quasi tutti i punti di vista e alla sua release definitiva fu valutato con diverse insufficienze. Noi di GameCompass ci siamo presi il nostro tempo, attendendo alcune patch riparatorie e giocato con attenzione questo titolo che però – come vedremo – non merita il paradiso ma nemmeno l’inferno nella misura in cui vi è stato scagliato da molte testate.

Attento a cosa chiedi quando preghi…

Riassumere gli eventi di Agony non è operazione semplice: impersoniamo Amraphel/Nimrod (il protagonista viene chiamato in entrambi i modi, ma il perché non è del tutto chiaro), un’anima dannata, arrivata all’inferno dopo una morte probabilmente violenta. Il suo desiderio è quello di tornare in vita, ma solo la Dea Rossa è in grado di esaudire la sua ambizione. La sua ricerca coincide con il nostro obiettivo, anche se non tutto andrà nel verso giusto. E non ci riferiamo soltanto alla storyline del protagonista, ma anche al gioco nel suo insieme. Tutto è riassumibile con la parola “confusione” e lo svolgimento della trama ne è un chiaro esempio.
Il nostro peregrinare tra le lande degli Inferi sembra non portare da nessuna parte, ogni avvenimento risulta abbastanza slegato da quanto accaduto precedentemente. Ogni nostra azione ha delle conseguenze, ma di questo ce ne accorgeremo una volta scoperto che Agony propone ben sette finali diversi, molto “criptici” e di cui probabilmente uno soltanto – almeno secondo il ragionamento di chi scrive – comunica realmente qualcosa. La “questione delle scelte” è uno dei tanti problemi di game design del titolo e, per far capire meglio di cosa stiamo parlando, è bene procedere con metodo comparativo: prendiamo Prey di Arkane Studios, che ha tra l’altro ricevuto un recente aggiornamento; all’interno del titolo possiamo compiere diverse scelte, alcune di queste “invisibili”. Per intenderci, se in Mass Effect la scelta da intraprendere ci viene letteralmente sbattuta in faccia, in Prey tutto è molto più velato e dipendente davvero dal nostro tipo di gameplay. E in Agony? Nel titolo Madmind risultano invisibili nel vero senso della parola, soprattutto perché si ha sempre la sensazione di non possedere alcun libero arbitrio. Non è chiaro cosa influisca e cosa no, e se da un certo punto di vista può sembrare un’ottima cosa – quasi un espediente meta-ludico – la realtà dei fatti è che questo aspetto non è stato progettato nel migliore dei modi, con il risultato che la confusione regna sovrana. Non bastano nemmeno le tante note sparse qua e là, le quali aggiungono informazioni che si fatica a mettere assieme, finendo facilmente nel dimenticatoio, così come tutte quelle citazioni bibliche volte a crear atmosfera, ma che rimangono tristemente fine a se stesse.
L’offerta ludica di Agony si amplia con altre due modalità: Agonia ci porterà ad affrontare il titolo attraverso ambienti generati proceduralmente, mentre la più interessante modalità Succube ci consentirà di impersonare un demone, portando il giocatore a scoprire nuovi percorsi e nuovi modi di affrontare il gioco. Questa modalità secondaria – a conti fatti – è forse quella più gradevole tra quelle offerte dal titolo.

…potresti ottenerlo

Tutta la struttura ludica di Agony si basa sullo stealth. Come survival horror il gioco riprende i canoni classici che ultimamente siamo abituati a vedere nel genere in termini di gameplay: fare poco rumore, nascondersi ove necessario e scampare dalle grinfie di creature di qualsivoglia natura, in questo caso demoni. Il problema però è che alcune meccaniche inserite non funzionano a dovere, rovinando per la maggior parte l’esperienza. La morte – come ci viene detto – fa parte del gioco e, al suo sopravvenire, abbiamo la possibilità di far migrare la nostra anima verso un ignaro malcapitato e prenderne possesso. Se questa meccanica a prima vista sembra interessante, richiedendo di “scappucciare” i dannati per poter trasmigrare – sempre che sia stata attivata l’opzione “possessione facile”, altrimenti… – una volta inserita la possibilità di possedere un demone crolla l’intero castello di carta. Il survival horror diviene tutt’altro, con quasi la sensazione “di aver rotto il gioco”. La possessione di un demone infatti – se usata con astuzia – può liberarvi l’intero campo dai nemici, trasformando gli inferi in una stravagante vacanza. C’è da dire che la possessione ha un limite di tempo, in cui, se non trovassimo proprio nessun corpo da controllare, scoccata l’ora, sarà game over. Ma anche qui, fatta la legge, si trova l’inganno.
È proprio questo il punto. Agony sembra ancora un work in progress in cui nessuno degli elementi proposti funziona a dovere. Un altro esempio è – l’incredibile – gestione dei checkpoint, mal calibrati in termini di distanza e soprattutto utilizzabili soltanto tre volte. Una volta sfruttati tutti i jolly – morti – dovremo utilizzare quello precedente e, di conseguenza, rifare intere porzioni di gioco. Questo si scontra anche con un level design spesso caotico e in cui risulta difficile orientarsi, dato che molti luoghi soffrono dell’eccessiva ripetitività degli asset. Fortunatamente, in nostro soccorso arrivano i fasci di luce – non quelli del ’25 – proiettati dalla nostra mano e in grado di indicarci la via. Di numero limitato e ricaricabili solo nei checkpoint o raccogliendo idoli sparsi per le mappe, che risultano molto utili a districarsi nei diversi percorsi verso la meta, rappresentando la classica “manna dal cielo” anche se, la direzione indicata alle volte, è quella più scomoda o contraria a quella intrapresa.

Se non vedi non ci credi

Uno degli elementi maggiormente castrati è la direzione artistica dell’Inferno e delle sue creature. La ricostruzione degli ambienti rende l’insieme molto tangibile, soprattutto nei luoghi chiusi, nei quali si può notare anche una certa ripetitività di oggetti e strutture. Fortunatamente è anche in grado di offrire scorci di un certo spessore, in cui si ha davvero l’impressione di viaggiare in un luogo trascendentale. Ma questi bei momenti, in cui si può assistere a ottimi giochi di luce e direzione artistica ispirata, sono anche – e per la maggior parte – di un anonimato disarmante. Molto di quanto mostrato sa di già visto, e anche le creature realizzate ad hoc per il titolo non sono certo memorabili. Questo nonostante alcuni riferimenti cristiani palesi e soprattutto l’intento di portare il tutto verso il concetto di lussuria, anche se a volte in maniera quasi volgare e posticcia.
Gli aspetti strettamente tecnici presentano elementi senza infamia e senza lode, dove le ultime patch hanno messo la pezza su alcuni problemi – ormai classici – da day one: il framerate risulta abbastanza stabile e i vari filtri funzionano discretamente bene. È un titolo che non colpisce per pura potenza tecnica, e quel che è presente non viene nemmeno risaltato da un impianto luci di livello; la maggior parte delle volte faremo veramente fatica a vedere cosa succede. Tutto è buio… anche con una torcia in mano. Manca una vera e propria rifinitura anche dopo alcune patch riparatorie, visibile soprattutto nella gestione dei geo data e nella fisica.
Anche l’audio non spicca particolarmente, vantando un discreto doppiaggio inglese (sottotitolato in italiano) e un’adeguata campionatura di suoni “classici” da horror.

In conclusione

Dove si posiziona dunque Agony? Come potete aver capito, non è un titolo affatto eccelso, ma non si tratta nemmeno di quell’ “agonia” di cui si è spesso parlato riferendosi al titolo. È un lavoro che merita senza dubbio il Purgatorio, in attesa di una versione (Agony Unrated) che probabilmente non arriverà mai. Alla fine della fiera dunque, Agony  è un classico menù scozzese: poca roba e nulla di veramente interessante, prendere o lasciare. Vi farà arrabbiare? Probabile. Vi chiederete cosa succede? Sicuramente. Vi lascerà qualcosa? Difficile, ma non «lasciate ogne speranza, voi ch’intrate».

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10.




42: Quando il videogioco si fa duro

Noi tutti siamo a conoscenza della trasposizione cinematografica di molti videogiochi che, tra alti e bassi – soprattutto questi ultimi – hanno contribuito a fornire una visione diversa del mondo del gaming. Sono migliaia le trasposizioni in diverso formato, tra fumetti, romanzi e… porno. Esatto, proprio lui. Inutile far finta che non esista: una delle industrie più grandi al mondo non poteva esimersi dalla sua visione del gaming, rendendo videogiochi preferiti, eroi ed eroine dei nostri sogni, entità su cui il nostro occhio si posa con maggiore attenzione. Queste vere e proprie parodie sono dei concentrati di trash allo stato puro, un modo per divertirsi in allegrie e allenare uno dei due arti superiori. Del resto la notizia che la nostrana Valentina Nappi parteciperà all’adattamento hard di Final Fantasy VII, interpretando Tifa, non è che l’ultima trovata di un settore in piena espansione.

La fine di Sirio il Dragone

Se esiste “X”, allora su Internet esiste pornografia basata su X. Se non esiste ancora, verrà creata. Questa è in sostanza la regola numero 34 di Internet, ed è davvero difficile da controbattere. Basta fare un giro su alcuni siti tematici – non vi diciamo che dovete farlo, ma che potete – per accorgersi di quante versioni amatoriali e non di un determinato prodotto esistano, a cominciare appunto da quello videoludico.
Diciamoci la verità su: tutti noi, sia maschietti che femminucce, abbiamo fantasticato su alcuni celebri personaggi. Basti pensare a Miranda Lawson di Mass Effect 2 e al suo “lato B”, o la giunonica Lara Croft e l’ammiccante Bayonetta, per passare dall’indimenticabile Mai Shiranui e delle tante poco vestite combattenti dei vari Tekken o Dead or Alive. Tutte loro – metterei qualche personaggio maschile, ma preferisco lasciar decidere voi donne – sono entrate nei nostri desideri più reconditi, trovando na naturale traslazione nel porno.
Era il lontano 1993, e il primo film a luci rosse che vagamente parodiava un videogioco fu Prince of Persia, con protagonista Tanya Summers alla ricerca delle perle, simbolo di autorità, in grado di far riunire il proprio paese divenendo così regina. Ovviamente, del gioco Ubisoft non vi è nulla, ma è stato un primo tentativo di sfruttamento del brand. La storia avrà un lieto fine e potete immaginare tranquillamente voi stessi come farà a ottenere le sue preziose perle.
E Super Mario? Immancabile. Super Hornio Brothers è uno delle poche parodie pornografiche a esser ufficialmente riconosciute, avendo anche a disposizione una pagina ufficiale IMDB e Wikipedia. In questo film abbiamo niente meno che Ron Jeremy interpretare Squeegie Hornio che, insieme a suo fratello, dovranno salvare la Principessa Perlina (Peach) dalle grinfie di King Pooper (Bowser). Come da tradizione, Nintendo ci mise del suo, acquisendo i diritti di distribuzione (è assolutamente vero), rendendone impossibile la pubblicazione. Visto la sua rarità dunque, è considerato il Sacro Graal dei collezionisti, non solo di film porno, ma di quelli Nintendo.
Ma non poteva mancare nemmeno Grand Theft Auto, che con Vice City Porn ha reso disponibile la verità celata dalle auto molleggianti.

Venendo ai giorni nostri

Di pari passo con l’evoluzione dell’industria videoludica, anche quella pornografica si è data da fare. Prima o poi le mani non potevano che posarsi su Tomb Raider e sull’iconica Lara Croft, regina di tutte le fantasie sconce dei ragazzini da 20 anni a questa parte. Tante sono state le parodie, ma una si è distinta per qualità: Tomb Raider XXX: A Exquisite Films Parody del 2012, con Chanel Preston nei panni della protagonista, accompagnata da un cast d’eccezione come Nicole AnistonKagney Linn Karter ed Evan Stone. Lara farà di tutto per sconfiggere la Natla Technologies e recuperare i tesori perduti. Detta così sembra perfino meglio dell’ultimo lungometraggio con Alicia Vikander.
Anche in tempo di guerra si trova tempo per “sfogarsi” e nel 2012 arriva un titolo che è tutto un programma, Call of Booty: Modern Whorefare (i titoli sono la cosa migliore). Anche CoB vanta un cast di tutto rispetto, Flower Tucci, Bobbi Starr e Gracie Glam anche se un po’ tutto molto casareccio. Insomma, anche qui vi è semplicemente uno sfruttamento del brand. Niente a che vedere con Cock of Duty: A XXX Parody, di casa Brazzers, con Monique Alexander, Jasmine Jae e Stella Cox, accompagnate da Danny D che, da ora in poi sarà protagonista di questo articolo.
Quando si ha voglia si possono sfornare piccole chicche di qualità, e Brazzers su questo fronte è in prima linea. Cominciamo con la parodia di Overwatch, uno dei brand maggiormente sfruttati, in cui Aletta Ocean nei panni di Widowmaker sfiderà sino all’ultima goccia di sudore un fortunato Reaper, interpretato da Mr. Danny D. Brazzers, che con questo Oversnatch, ha realizzato i sogni di moltissimi fan; è una tendenza, quella del colosso del porno, che si sta facendo sempre più marcata, producendo parodie di tutto ciò che riguarda la sfera nerd. Continuando abbiamo anche Metal Rear Solid: The Phantom Peen, parodia dell’ultimo lavoro Kojima in casa Konami. Boss (Charles Dera) e Hushy (Casey Calvert), se le daranno di santa ragione, realizzando tutte le fantasie della sexy cecchina e, infine, un piccolo capolavoro: stiamo parlando di  The Bewitcher: A DP XXX Parody prodotto da Digital Playground, per festeggiare i 10 anni del brand. Ella Hughes, Olive Glass e Clea Gaultier, insieme all’ormai immancabile Danny D, saranno chiamati a ridar vita a un villaggio desolato, nella sola maniera che la natura ci ha insegnato. Geralt of Vulvia ci saprà fare, quasi quanto la sua versione originale. 

Come potete aver capito, il mondo videoludico è ormai transmediale, sempre sulla cresta dell’onda  e con milioni, se non miliardi di fan in giro per il mondo. Basta unire dunque l’utile al dilettevole, l’industria pornografica sta semplicemente prendendo la palla al balzo, sfornando sempre più parodie dei titoli più famosi. Di materiale ce n’è in abbondanza: Assassin’s Creed, Mass Effect e Dragon Age, Life is Strange, God of War e tanti altri. Aspettiamo dunque di vedere cosa sfornerà la geniale e perversa mente del mondo a luci rosse.




Prey: Mooncrash (DLC) – Abuso di “Vivi, Muori, Ripeti”

Circa un anno fa, Prey tornava sui nostri schermi grazie all’egregio lavoro di Arkane Studios, team che ha confezionato un titolo vario, appagante e soprattutto sorretto da un impianto narrativo di prim’ordine. Del Prey originale, targato 2006 (e piccolo flop commerciale) non è rimasto nulla, e anche questo reboot ha fatto fatica a farsi strada nel combattutissimo mercato videoludico moderno, trovando comunque il favore della critica, che lo ha elevato a uno dei migliori titoli del 2017. Mooncrash è il primo DLC del franchise, concepito in uno stile rouguelike che inaspettatamente ben si sposa con le atmosfere del gioco, e, che risulta soprattutto ben giustificato. Seguirà più avanti Typhon Hunter, espansione che per la prima volta aggiungerà componenti multiplayer a un titolo già strutturato come Prey.

Vivi, muori, ripeti

Dopo aver vestito i panni di Morgan Yu, in questa espansione saremo Peter, un hacker che dovrà fare luce sui misteri della stazione lunare segreta Pytheas, con la quale la TranStar ha perso i contatti. Per risolvere la faccenda, Peter dovrà rivivere gli ultimi momenti di cinque membri dello staff della stazione, attraverso una sorta di realtà virtuale. Vivremo dunque altrettante storie parallele che, se ultimate con successo, riveleranno anche l’epilogo del protagonista. Questa è la base su cui poggia la narrativa del DLC ma, come  Arkane insegna, ci sarà ben molto di più da scoprire, al fine di collegare tutte le tessere del puzzle e fare luce sui misteri della Pytheas.
L’intera stazione lunare è l’hub delle nostre disavventure, abbastanza estesa e varia e con nuovi nemici come lo Squalo Lunare – detto così fa ridere, ma una volta incontrato avrete soltanto voglia di scappare – e nuove armi come le Granate GLOO. All’interno della mappa gli elementi saranno sempre variabili, da posizione e numero dei nemici alla distribuzione e reperibilità di materiali e consumabili.
Ogni run si presta a essere un’esperienza unica ed estremamente appagante con ognuno dei cinque personaggi disponibili; questi vantano a loro volta peculiarità uniche e verranno sbloccati una volta terminata una sessione, oppure saranno “trovati” lungo il percorso. Ognuno di essi avrà inoltre obbiettivi specifici, che innalzano il livello di varietà e longevità dell’espansione.
Ogni potenziamento, disponibile grazie alla valuta di gioco e a nuovi progetti scoperti, potrà renderci vere macchine di morte, ma ovviamente questo non si traduce in invincibilità: l’IA dei nemici sembra imparare dalle nostre azioni, modificando il comportamento e rendendo tutto ancor più difficile. La morte in questa espansione fa semplicemente parte del gioco. La natura roguelike del contenuto si fa sentire senza mai risultare frustrante: se all’inizio la meccanica sembra rispondere a logiche di “trial and error“, basterà entrare in confidenza con le i meccanismi di gioco per essere nuovamente rapiti dallo stile di Prey.
Riguardo al resto, rimane tutto quel che abbiamo imparato a conoscere del titolo principale, dove le fasi di puro shooting non raggiungono l’eccellenza, ma tutto il  resto bilancia bene questa lacuna, aggiungendo anche un nuovo sistema di danni semi-permanenti al protagonista, dal sanguinamento alle fratture, curabili solamente con specifiche soluzioni. Il nuovo sistema trova spazio non solo in questa espansione ma anche nel gioco base, rendendo Prey – soprattutto per chi l’affronta per la prima volta – ancor più profondo e complesso.

Ti porto sulla Luna

Dal punto di vista tecnico, la base lunare Pytheas è un bel vedere, ricca di elementi particolareggiati, ambienti vari e con un ottimo level design. Il CryEngine fa anche qui il suo bel lavoro, inficiato da momenti di “bloodborniana” memoria nelle fasi di caricamento, così lunghe da poter includere potenzialmente un altro DLC al loro interno.
Anche questa espansione vanta un ottimo doppiaggio italiano e un’attenta localizzazione, così come lo è la realizzazione degli effetti sonori.

In conclusione

Prey: Mooncrash rispecchia la voglia di sperimentale del team Arkane che, dopo i Dishonored, continua a essere all’altezza della sua nomea, confermandosi uno degli studios più talentuosi della scena videoludica. Questa espansione è solo la prima parte in vista del Typhon Hunter che porterà grossi cambiamenti all’interno del franchise, magari anche in vista di un eventuale futuro secondo capitolo. Al prezzo di lancio di 19,99€, Mooncrash è un’ottima occasione per riprendere in mano uno dei migliori titoli del 2017: non un semplice compitino, ma un DLC vario, con nuove sfide e capace di intrattenere. Attenderemo i prossimi mesi per verificare l’impatto dato dall’avvento del multiplayer.

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Sekiro: Shadows Die Twice

Presentato allo scorso VGA con un piccolo teaser, il nuovo titolo From software, come da tradizione, ha aperto le porte a mille speculazioni e desideri: la scritta “shadows die twice” poteva riferirsi a qualsiasi cosa, se armati di di buona fantasia. Demon Souls II, Dark Souls IV, Bloodborne II e Tenchu erano le idee più gettonate, sino a quando la possibilità che si trattasse di una nuova IP si fece strada. Sekiro: Shadows Die Twice è il nuovo titolo From, fresco fresco di presentazione alla conferenza Microsoft e che ha incuriosito non poco, non solo per la struttura da souls-like ma anche per la partership con Activision, un’associazione che probabilmente nessuno poteva immaginare.

Sembra Tenchu ma non è

Il trailer mostratoci mostra già molte delle caratteristiche del nuovo lavoro From Software, a cominciare dall’ambientazione che nei primi istanti, molti utenti, collegarono a un nuovo Tenchu appunto, ma anche a Nioh II, giusto perché non si sa mai.
Il Giappone Feudale non è certo un periodo storico poco sfruttato ma da quanto si è potuto vedere, il lavoro fatto sugli scenari e la ricercatezza dei dettagli è sempre di primo ordine, pur non vantando una potenza grafica d’eccezione. Gli ambienti sembrano decisamente più vasti e sviluppati anche in altezza, involgiando il giocatore all’esplorazione, pur facendo attenzione ai mille pericoli presenti sul suolo giapponese.
Tutto richiama, in forma più o meno voluta, le gesta intraprese nei vari souls, a cominciare dal protagonista, un anonimo guerriero (o qualunque altra cosa visto che probabilmente saranno presenti diverse classi) che dovrà compiere il proprio destino, anche se ancora del contesto narrativo non si sa praticamente nulla, se non per il fatto che saremo chiamati a salvare il nostro maestro, vendicandoci di chi ci ha mozzato il braccio a inizio trailer. Anche la resurrezione del nostro alter ego presenta caratteristiche particolari: forse, invece di ritornare al “classico falò” potremo riprendere immediatamente dal punto in cui ci abbiamo lasciato le penne, magari con qualche malus  non meglio specificato. Si tratta ovviamente di speculazione, ma nei titoli From è la norma.

Il problema del rampino

Uno degli elementi che ha colpito maggiormente è il braccio meccanico del protagonista, che sembra esser munito di numerosi gadget o che comunque potranno esser inseriti all’interno di esso. Una sorta di coltellino svizzero malefico che permette di utilizzare uno scudo (molto simile a quello di Kratos nel nuovo God of War), un’accetta e, soprattutto, un rampino. Quest’ultimo elemento è quello che lascia un po’ perplessi i puristi, abituati a procedere guardinghi lungo le vie di Lordran, Drangleic e così via. Il suo utilizzo è chiaro: velocizzare il gameplay e permette nuove strategie. È possibile utilizzarlo in aperta esplorazione, raggiungendo mete altrimenti inavvicinabili, e soprattutto in combattimento, catapultandoci verso i nemici anche da lunghe distanze. Se questo elemento si sposa bene con il genere è ancora presto per dirlo, ma potrebbe portare una ventata di aria fresca in un contesto forse fin troppo statico.
Ovviamente si tratta di scontri all’arma bianca, abbastanza spettacolari e che si avvicinano più a Nioh che ai Souls. Più dinamicità e spettacolarizzazione del tutto (… Activision) potrebbe risultare una carta vincente, soprattutto per avvicinare utenti fin troppo spaventati dal freddo approccio dei classici titoli From.
Elemento da non trascurare e che anzi ha avuto una certa enfasi nel trailer, è la componente stealth che sembra collocata direttamente nelle fasi di gioco. Appiattirsi lungo i muri o trovare vie alternative (di conseguenza maggiore complessità nel level design) sembrano tecniche utilizzabili a discrezione del giocatore, anche se il loro reale impatto resta da valutare.

In conclusione

Il nuovo lavoro di Hidetaka Miyazaki ha attirato la nostra attenzione, nonostante l’ambientazione, inevitabilmente, sa di già visto. Poco più di due minuti di trailer ci hanno dato alcune risposte ma, come da tradizione, ci ha lasciato anche con il doppio delle domande, a cominciare dal processo di resurrezione. Gameplay più spettacolare e nuove idee sono in grado di collocare Sekiro: Shadows Die Twice a metà strada tra un souls-like e un action, e potrebbero essere le giuste scelte per attirare maggior pubblico, pur non perdendo di vista gli affezionati, proponendo maggior libertà d’azione in un mondo che non aspetta altro di essere esplorato.




Speciale E3: la conferenza EA

L’E3 2018 ha finalmente aperto i battenti e a dare il benvenuto è stata Electronic Arts con il suo EA Play, una conferenza però, meno scoppiettante del previsto, con una cattiva gestione dei tempi e scelte comunicative poco azzeccate. Ma andiamo con ordine.

Ad aprire le danze è stato il nuovo Battlefield V, che dopo la presentazione di poche settimane fa, in cui si è visto davvero poco, non è andata meglio durante l’EA Play: il general manager di DICE Oskar Gabrielson e il senior producer Lars Gustavsson, hanno illustrato brevemente le nuove feature del titolo, come l’ampia distruttibilità degli scenari in più stadi, saltare attraverso le finestre per sorprendere i nemici, la conferma della mancanza di loot box e premium pass e soprattutto, la presenza della Battle Royale, un feature richiesta dai fan ma che purtroppo non è stata mostrata.
Piccolo focus anche sulla campagna single player, dedicata a uomini e donne che con coraggio si sono opposti alle atrocità della Seconda Guerra Mondiale.
Per vedere del gameplay appuntamento stasera alla conferenza Microsoft, che ovviamente seguiremo in diretta dalle 21:30.

Un trailer d’impatto, accompagnato dall’arrangiamento della celeberrima OST della Champion’s League a cura di Hans Zimmer, ci ha introdotto alla presentazione ufficiale di FIFA 19, calcistico annuale che da quest’anno potrà vantare le tanto agoniate licenze U.E.F.A., comprese Europa League e Super Cup.
La massima competizione tra club europei sarà il fulcro dell’esperienza, a cominciare dalla modalità Il Viaggio che vedrà Alex Hunter toccare con mano il palcoscenico più prestigioso. Anche l’Ultimate Team avrà feature collegate alla nuova licenza ma come non ci è dato ancora saperlo. Abbiamo però una data d’uscita, il 28 settembre, quasi un mese dopo il suo rivale PES 2019.
Poichè il Mondiale di Calcio è ormai prossimo, EA ha pensato bene di promuovere il suo DLC gratuito dedicato al trofeo più importante al mondo, dando modo a tutti gli utenti di provare una versione demo di FIFA 18 e il contenuto aggiuntivo World Cup, su PlayStation 4, Xbox One e PC.

Spazio anche a Origin Access Premiere, una sorta di Game Pass che porterà tutti i titoli EA all’interno del pacchetto a cominciare da Madden NFL 19, che dopo 11 anni tornerà su PC, assieme a Battlefield V, FIFA 19 e Anthem. Inoltre si avrà a disposizione l’intera libreria del Vault che conta ormai decine di titoli, provenienti da Electronic Arts e altri pubblisher. Il lancio è previsto per fine estate di quest’anno.

A un certo punto, la presentatrice della conferenza Andrea Rene, si è seduta accanto a Vince Zampella di Respawn Entertainment, che ha preso le redini del progetto Star Wars sviluppato a suo tempo da Visceral Games. Nel punto più strano e basso della conferenza veniamo a scoprire il titolo della nuova IP: Star Wars: Jedi Fallen Order. Del gioco non si sa ancora molto ed è probabile che i progetti siano ancora in fase preliminare. L’unica cosa certa è che impersoneremo uno Jedi, armato come da tradizione dalla sua inseparabile spada laser, ambientato durante lo sterminio dei Jedi da parte dell’Impero, collocabile tra Episodio III ed Episodio IV. Svelato anche il periodo d’uscita, per la fine del 2019. Ma ci fidiamo?
Ma Star Wars è anche Battlefront II, che nonostante le numerose critiche, per lo più rivolte alla gestione delle microtransazioni, ha continuato a esser discretamente supportato, fino all’annuncio di un nuovo pacchetto presentato dal design director di DICE Dennis Brännvall. Il nuovo aggiornamento prevede un sistema a squadre per giocare più facilmente con i propri amici. Un’altra aggiunta è la modalità Caccia Stellari, in cui potremo salire a bordo delle astronavi più iconiche della saga, tra inseguimenti e battaglie aeree. Ma l’aggiunta più importanete è l’introduzione di personaggi, mappe e mezzi provenienti dalla Guerra dei Cloni, periodo storico dell’universo Star Wars richiesto a gran voce dai fan. Questa espansione conterrà la mappa più grande mai creata del franchise su pianeta Geonosis ed eroi come il Generale Grievous, Obi-Wan Kenobi, il Conte Dooku e un giovane Anakin Skywalker.

Annunciato, e già disponibile all’acquisto Unravel Two, un’evoluzione di quanto visto nel suo prequel. Non saremo più soli, ma accompagnati da un nostro simile che potrà essere guidato con la levetta analogica destra – simil Trine – oppure, permetterà un vero e proprio co-op, in cui due giocatori dovranno coordinarsi per poter salvare “la lana”.
Un altro indie interessante a cura di un nuovo piccolo team di Berlino, Jo-Mei, è Sea of Solitude, un gioco che punta a mostrare come le persona possano vivere diversi tipi di solitudine e come questa venga vista dai propri amici o familiari, in un contesto post-apocalittico in cui l’umanità, per qualche ragione ancora ignota, ha cominciato a trasformarsi in qualcosa simile a bestie. Arriverà nel 2019.

Dopo un piccolo spazio dedicato al mobile Command & Conquer Rivals, ampio spazio è stato dedicato ad Anthem. Il titolo di punta di Electronic Arts, che arriverà il 22 Febbraio del prossimo anno, è un gioco complesso, sia dal punto di vista del gameplay che narrativo. Sotto la supervisione di Bioware, la storia potrà prendere diversi percorsi, creando legami a cui il giocatore potrà interfacciarsi, sentendosi parte integrante della storyline. Confermati meteo dinamico e ciclo giorno/notte e un mondo mutevole, che cambierà anche attraverso le nostre azioni. Oltre al focus sul single player spazio anche al multiplayer in forma di MMO, in una struttura simile a Destiny e The Division. Colpisce dal punto di vista tecnico e nell’uso delle exo-suit denominate Javelin, intercambiabili a discrezione dell’utente.

Con Anthem quindi si è conclusa una conferenza per certi versi strana, capace di intrattenere per la maggior parte del tempo ma povera di contenuto. Strane scelte hanno portato a non veder nulla di Battlefield V, spostando il tutto alla conferenza Microsoft, e FIFA 19, limitato alla presentazione della Champion’s League. Inspiegabile il trattamento riservato al nuovo Star Wars di Respawn Entertainment, un titolo che ha evidenti problemi di sviluppo ma annunciato quasi con svogliatezza, senza nemmeno il logo ufficiale. Tanto spazio anche al mobile, ma che, in una conferenza dell’E3 non è quello che i fan seguono con attenzione.
Sono mancati i cosiddetti “botti”; nessun nuovo blockbuster tripla AAA e nessuna novità in grado di far sognare. Insomma, si spera che questa sera Microsoft alzi un po’ il tiro.




Reverse: NieR: Automata al contrario

Dopo aver percorso la storia di God of War a ritroso, scoprendo che effettivamente potrebbe funzionare anche raccontata al contrario, ecco lanciarci su un titolo estremamente ambizioso e diretto da quel Yoko Taro che, come ogni game director giapponese di successo, deve essere estremamente eccentrico.
Il suo NieR: Automata ha sorpreso critica e pubblico grazie al suo design e soprattutto al stile narrativo, che è riuscito a risaltare una trama interessante, ma che non ha brillava per originalità. Raccontare la storia di Automata può essere arduo, ma riassumendo: migliaia di anni nel futuro, l’umanità è quasi estinta a causa di un’invasione da parte degli alieni prima e delle biomacchine da loro create poi. Per riprendersi il pianeta gli umani creano degli androidi con elevate capacità di combattimento, e i nostri protagonisti 2B, 9S e A2 cercheranno di svelare gli innumerevoli misteri dietro questa guerra.
Il risultato, una volta terminate le run principali, è una storia affascinante e pervasa di teatralità. Ma vediamola al contrario, avvisandovi come sempre, della massiccia dose di spoiler da qui in avanti.

Il gioco comincia con una particolarità: improvvisamente, nonostante il menu sia stato appena avviato, tutto l’equipaggiamento, le risorse e anche l’intero salvataggio di gioco viene immesso all’interno del titolo. Vieniamo introdotti da un filmato, dove alcuni droni Amazon del futuro smembrano i corpi di una coppia, evidentemente non  umana ma circondati da un alone di adulterio e, una donna, che guardando l’alba, aspetta il ritorno del suo amato. Improvvisamente però, cominciano a spuntare migliaia di palline che sparano altre palline, rettangoli e nomi, provocando le stesse sensazioni di un trip di LSD durante una partita dell’Inter. Se il buongiorno si vede dal mattino…

Tutto questo è preludio di una trama molto articolata, e che molto probabilmente vi terrà inchiodati allo schermo: veniamo accolti dalla vita quotidiana di un mondo che ne ha passate tante ma che ha trovato modo di ricominciare. La vera coppia di androidi, protagonista delle vicende, si risveglia dopo un probabile amplesso che solo Yoko Taro potrebbe apprezzare ma che è indubbiamente finito male. I due, come se nulla fosse, si risvegliano, estraendosi le spade dal corpo e cominciando a litigare a suon di katana.
Nel frattempo compare dal nulla un’enorme struttura attorno ai due contendenti il cui nome scopriamo essere 9S e A2. Proprio il primo, che evidentemente rappresenta tutti i canoni della schizofrenia (da cui la S del nome appunto), e protagonista della prima cutscene, comincia a blaterare cose senza senso e, correndo al contrario, riuscirà a uscire dalla struttura, trovandosi davanti a due gemelle in lotta con strane macchine. Sono forse due buttafuori in preda a badare un’enorme folla che cerca disperatamente di entrare? Putroppo non c’è dato saperlo.
Passiamo ad A2 e al suo sobrio completino. La vera protagonista di questa storia, si ritroverà a salvare uno strano villaggio composto da biomacchine e il cui leader Pascal, di chiara origine francese, ringrazierà l’eroina indicando il punto preciso in cui si farà trovare la sua rivale in amore, anch’ella presente nella prima cutscene insieme a 9S. Nonostante liti e incomprensioni però, 9S e A2 si vogliono molto bene, malgrado lei sappia della fissazione del suo ragazzo per la loro cameriera.
A2 (A è solo un intercalare con cui viene chiamata 2) non si farà scappare l’occasione, trafiggendo senza pietà la sensuale cameriera che probabilmente, in un lontano passato, ha sedotto il cuore del giovane 9S. Ma la nostra protagonista è subdola: prendendo il posto della sua ultima vittima, è convinta di poter riconquistare per sempre il cuore del suo amato e, fingendo di essere ferita, camminerà al contrario (ancor più difficile coi tacchi alti) pur di ricongiungersi a lui.

Il loro ricongiungimento, darà vita a una nuova fazione denomitata YoRHa (Young Rising Hallelujah)  all’interno di una stazione spaziale da loro costruita. L’inizio è un po’ traumatico, ma pian piano ogni tassello andrà al proprio posto, inneggiando il credo del vero amore.
Ma questo sentimento è minacciato dall’avvento di una coppia di fatto, che può minare le basi della nuova società creatasi. Con i nomi presuntuosi e provocatori di Adam ed Eve decidono di dare battaglia a 9S e A2 per sancire una volta per tutte chi detiene il diritto di poter creare una famiglia. Ovviamente non poteva mancare l’intervento della Santa Biomacchina Ecclesia, la quale, appresa la notizia dei nuovi Adamo ed Eva, ha reagito in maniera vigorosa, battezzando nuovi fedeli e dando vita a numerosi seguaci, culminando con l’elezione del un nuovo Papa Kierkegaard.
Il supporto della Chiesa sarà fondamentale (almeno agli occhi dei fedeli), ma non basterà. Pur di vivere assieme al suo Eve, Adam costruisce un’intera città, un nido da d’amore interrotto dall’arrivo in moonwalk di A2, giusto poco prima di dare un tocco di vernice ai vari edifici.
La nostra eroina ritroverà 9S rapito da Adam solo per dimostrare di essere un fedele cristiano, nonostante ami lo stesso sesso. Nonostante tutto risulti abbastanza grottesco, A2 finalmente capisce: non importa che tu sia un crotalo o un pavone, l’importante è che se ami, va bene comunque. Per suggellare la ritrovata consapevolezza, A2, 9S e tutti gli androidi dell’associazione YoRHa, con il patrocinio della Santa Biomacchina Ecclesia, costruiscono un enorme pesce biomeccanico, atavico simbolo della cristianità, millenni prima.
Sul finire, le coppie ormai createsi e libere di vivere il loro amore, decidono di andare ognuna per la propria strada. A2 e 9S sugellano la loro unione con viaggio di nozze al Luna Park, accolti dalla più grande cantante lirica del momento Simone, capace di attirare su di sé lampi e fuochi di ogni genere prima di ritirarsi definitivamente.
Ma la loro natura è un’altra: sentono che manca qualcosa e quel qualcosa è un figlio. Proprio sul finale, un’immensa luce scaturita dal loro amore darà vita a Engels, una gigantesca biomacchina che, successivamente, aiuterà il proprio popolo tramite intervento divino; ma questa è un’altra storia. Non somiglia per niente al padre; che anche A2 nasconda qualcos’altro? Forse la risposta verrà data nell’eventuale sequel.
Inoltre, non sapremo mai che fine abbiano fatto Adam ed Eve, ma siamo certi che ovunque essi siano, vivano il proprio amore in totale libertà, così come A2 e 9S, anche se quest’ultimo, non saprà mai la vera identità della sua cameriera.

Non trovate sia più bella così? NieR: Automata può divenire una storia ricca di simbolismi e del tutto attuale, invertendo il percorso narrativo.




Call of Duty: Black Ops 4 e la presa di coscienza

Sono passati dieci anni da quando il primo Call of Duty: Black Ops arrivò sui nostri schermi, riuscendo a sorprendere critica e pubblico per un single player accattivante e un multiplayer che però, con i successivi capitoli, venne stravolto, sfruttando elementi fantascientifici che ne minarono la qualità.
Call of Duty: Black Ops 4 era atteso, soprattutto per avere conferma alle tante dicerie susseguitesi in queste ultime settimane. «È il CoD più ricco e rigiocabile di sempre»; questa è stata la frase più ricorrente nella conferenza di presentazione dedicata direttamente alla community. Black Ops 4 dunque rivoluziona il franchise e forse, è il primo di una nuova stirpe di FPS, completamente dedicata all’online. Partiamo proprio da qui, da quell’abbandono della classica campagna che essenzialmente, risponde un po’ alle mode del momento. Lo stesso David Vonderhar (Game Designer Director di Treyarch) non si è sbottonato più di tanto sui perché di tale assenza, forse in fin dei conti, non ce n’era bisogno: sentiamo da mesi, forse anni, che il single player così come lo conosciamo, non si sposa più con le esigenza della massa. Fortunatamente le eccezioni esitono (basti vedere Prey o Wolfenstein II: The New Colossus), ma la tendenza è ormai segnata.
Questo non vuol dire però che Call of Duty: Black Ops 4 non sarà dotato di impianto narrativo: il tutto sarà ambientato tra il secondo e terzo capitolo, con linee sottili di trama che collegheranno tutto l’impianto ludico del titolo. Tutto si baserà su degli incarichi che fungono da pretesto per prendere confidenza con le novità, scoprendo nel frattempo, piccoli retroscena sui vari personaggi. Ma basterà a darne un senso?

Tutti giù per terra

È inutile girarci intorno: la novità più apprezzata dalla community è sicuramente l’abbandono del jetpack. Nonostante sia sempre ambientato nel futuro, Black Ops 4 segna un netto distacco col passato, favorendo un gameplay più classico e sicuramente meno frenetico. Tutto ciò ovviamente non avrà un minimo di fondamento narrativo – e ci mancherebbe… – e sancisce una volta per tutte come la community di un videogioco sia fondamentale nello sviluppo di un nuovo titolo.
Se a prima vista, tutto sembra esattamente com’era, facendo attenzione si scorgono tante piccole novità, a cominciare da un numero più elevato di specialisti e abilità che portano il gioco ad avvicinarsi a concorrenti un tempo distanti: è possibile utilizzare onde d’urto in grado di spazzar via i nemici o estendere in men che non si dica barriere in grado di difendere noi e i nostri compagni; queste e altre migliorie, portano il titolo a essere più tattico, anche se sempre legato a vecchi stilemi, fatti di frenesia e pluri uccisioni come Steven Segal insegna. Modifiche sostanziali sono intervenute nel feeling con le armi e al loro rinculo, reso sicuramente più accentuato e meno “arcade” nella sua gestione. Questo porta a rivedere le proprie considerazioni sulle armi  in dotazione: Black Ops 4 avrà la più vasta gamma di armamenti mai vista in un CoD, contando su tutte quelle presenti nei capitoli precedenti più, ovviamente, le novità presenti in questo. Con una così vasta scelta, e il loro aggiornato comportamento, sperimentare tutto l’armamentario presente porterà ancora più profondità o magari riscoprire l’utilizzo di qualcosa che prima scartavamo a priori.

Benvenuti a Zombieland

Prima di arrivare al piatto forte delle novità, dobbiamo fare una sosta in una delle modalità più sorprendenti di Call of Duty: la modalità Zombie. Elemento più caciarone dell’offerta, questa modalità si è districata tra tanti capitoli e via via ha riscosso sempre più successo; era naturale un ulteriore e massiccia evoluzione in Black Ops 4. Prima di tutto partiamo dalla mole di contenuti, ben tre campagne disponibili già al lancio, più altre rilasciate tramite DLC successivamente. Probabilmente, l’aver lasciato da parte la modalità single player, ha permesso di usufruire di maggiori risorse e questo, lo si vede sopratutto nel gameplay, con maggiore enfasi dato al melee e alla maggiore fisicità.
Tutto si basa sui viaggi nel tempo e sull’inedità crew estremamente diversificata. Abbiamo avuto modo di vedere ambientazioni all’interno del Titanic e nell’antica Roma, estremamente diverse sia nel level design che negli obbiettivi.
Sembra esserci tanta carne al fuoco, ma bisognerà verificare l’effettiva varietà e il supporto post-lancio.

Quello che volevate (e che meritate)

Siamo in piena era battle royale e ovviamente questo successo, non poteva che minare le basi su cui poggiano i franchise più importanti. Il primo a cedere alla moda del momento è dunque Call of Duty: Black Ops 4 che, con la sua modalità Blackout, vuole dire la sua in questo difficile campo di battaglia.
Non si sa ancora molto: la mappa di gioco sarà grande 1500 volte Nuketown e conterrà tutti gli elementi che hanno caratterizzato tutte le precedenti mappe. Nella volontà di Treyarch c’è quella di voler inserire tutti i mezzi possibili, tra aerei, veicoli su ruote e navali. Tutto ciò si scontrerebbe con diversi fattori: il primo è il ritmo di gioco, ben lontano dalle caotiche partite principali e sarà interessante testare l’efficacia del gameplay da questo punto di vista. Il secondo è quello tecnico: si vociferà già delle limitazioni in termine di numero di partecipanti, massimo 32 giocatori contro i consueti 100. Siamo ancora nel campo dei rumor, ma di certo gli sviluppatori non aiutano, asserendo che per il momento “non vogliamo parlare di numeri”. Staremo a vedere.
Infine, è la piega che potrebbe prendere il mercato: sta forse passando un po’ sottotraccia, ma in fin dei conti, stiamo assistendo a un colosso come Activision adeguarsi alle circostanze, senza provar a far qualcosa di nuovo. Se sul piano economico è un mossa tutt’altro che discutibile, considerando anche che non sappiamo ancora quali siano le effettive novità apportate al genere (ammesso che ce ne siano), fa specie come uno dei più grossi esponenti dell’industry non abbia tirato fuori un asso dalla manica, in grado di far vera concorrenza ai vari Fortnite e Player Unknown Battlegrounds. Forse può essere considerato un segno di debolezza pericoloso, lanciando la tendenza “dell’andare sul sicuro” che rischia di appiattire ancor di più il mercato, preferendo i soldi alle idee. Certo, può anche esser visto nel senso opposto, quello in cui vede Treyarch fare la voce grossa, “dando una bella lezione” ai protagonisti del momento. Anche qui, non ci resta che attendere gli esiti.

Call of Duty: Black Ops 4 segna dunque un decisivo cambio di rotta per lo sparatutto Activision. Numerose novità, anche azzardate, come l’abbandono del single player, potrebbero segnare una nuova via per gli FPS, aspettando anche il reveal del suo concorrente diretto Battlefield V. L’interesse più grande ricade sopratutto nella modalità Blackout, che segna l’entrata in scena di CoD nelle battle royale, sperando di vedere nuova linfa per il genere.
Call of Duty: Black Ops 4 arriverà il 12 Ottobre su PS4, Xbox One e PC, ma non dove ve lo aspettereste. Questo capitolo segna anche l’addio a Steam per abbracciare Battle.net. Questo permetterà, oltre a risparmiare il 30% dei ricavi destinati a Valve, anche di usufruire di tutti gli aspetti social del portale. La versione PC conterà inoltre di server dedicati. Anche questo passaggio di consegne è abbastanza rilevante: se da un lato si guadagnerebbe di più, dall’altro, si potrà contare su un numero inferiore di utenti. Ma per questi calcoli, dobbiamo attendere i primi dati.




A novembre sarà il turno di RIDE 3

Con RIDE, Milestone ha sicuramente fatto centro: un “Gran Turismo delle moto”, riportando in auge quanto fatto dalla stessa Polyphony Digital con Tourist Trophy su PlayStation 2. Se il primo capitolo è stato un buon tentativo è col secondo che le cose si sono fatte interessanti, con una struttura ludica più matura e soprattutto la realizzazione di un gran numero di moto, vincendo il Guinness World Record per il maggior numero di moto su licenza presenti in un videogame.
RIDE 3 alzerà ulteriormente l’asticella e, puntando ancor di più sull‘Unreal Engine 4, porterà la migliore esperienza motociclistica videoludica mai vista.
Il numero delle moto arriverà a 230, suddivise in sette categorie mentre, le piste saranno 30, di cui 12 inedite. Nella realizzazione dei circuiti reali è stata utilizzata la tecnologia Drone Scanning System, utilizzata anche in MotoGP 18, per una riproduzione certosina di ogni minimo dettaglio. La varietà è garantita, spaziando da piste famose come Laguna Seca, a tracciati su sterrato e cittadine e per la prima volta, gare in notturna.
Ancora più importanza è stata data alla personalizzazione, non solo estetica: oltre 500 parti saranno modificabili, dai freni ai cerchioni più un editor per le livree, da condividere all’interno della community.
L’utilizzo del nuovo motore grafico permetterà un’evoluzione tecnica tangibile, con una migliore qualità di rendering, migliori effetti particellari e nuovo sistema di luci.

RIDE 3 uscirà l’8 Novembre su Steam, PS4 e Xbox One.




Annunciato F1 2018

Come poteva mancare l’annuale gioco dedicato alle vetture più veloci al mondo. F1 2018 sarà un’ulteriore evoluzione di quanto sviluppato con l’ottimo F1 2017 che, a detta di Paul Jeal (F1 Franchise Director di Codemasters) è stato fondamentale per per mettere le basi al capitolo migliore di sempre.
Tra le novità annunciate, vi sarà una maggiore attenzione alla modalità carriera, con molte aggiunte richieste dai fan, che verranno svelate più avanti. Inoltre verranno realizzate più auto storiche, spaziando ancor di più tra le diverse epoche dello sport motoristico più famoso al mondo.
Il gioco vedrà il suo rilascio il 24 Agosto in concomitanza con il Gran Premio del Belgio, a Spa-Francorchamps




FIFA 19: cosa aspettarci dal nuovo titolo EA?

Ogni anno, durante le fasi finali di campionati e coppe, comincia a delinearsi un altro scontro importante, combattutto sin dall’alba dei tempi dai due calcistici per eccellenza: FIFA e Pro Evolution Soccer. Oggi ci occuperemo di analizzare il titolo EA che, nonostante manchi ancora di presentazione ufficiale – come invece accaduto per il rivale made in Konami – i rumor cominciano a essere insistenti, soprattutto per una licenza in particolare, che potrebbe segnare molto prima del previsto il vincitore di questa stagione calcistica digitale.

L’urlo dei campioni

Partiamo proprio da qui, da quella Champion’s ed Europa League che tanto si accosta al nuovo FIFA 19. Di ufficiale non vi è ancora nulla, sia ben chiaro, ma se tre indizi fanno una prova, allora la probabilità di vedere la coppa per club più prestigiosa al mondo tra i menu del titolo Electronic Arts si avvicina alla certezza.
Sappiamo già che il contratto che lega le competizioni UEFA a Konami scadrà non appena una tra Real Madrid e Liverpool alzerà la “coppa dalle grandi orecchie”, ma è chiaro che i giochi siano stati già decisi. Del resto una licenza così importante non può essere acquisita nel giro di qualche settimana.
Ecco quindi che, se tutto andrà come previsto, con una presentazione in grande stile all’E3 di Los Angeles, FIFA 19 potrà vantare la più grande esperienza calcistica mai vista su console e PC, contando, oltre già le numerose licenze di squadre e campionati in possesso, anche il torneo più prestigioso. L’implemetanzione di tale feature permetterebbe infatti in aumentare ancor di più il coinvolgimento nelle numerose modalità presenti: pensate alla terza stagione del Viaggio di Alex Hunter, pronto a solcare anche il palcoscenico della UEFA Champion’s League, o le varie trasposizioni della modalità carriera che, oltre ad avere miglioramenti generali, vanterebbe una resa indubbiamente migliore, facendo vivere la stagione dei sogni al proprio club.
Insomma, l’entrata in scena di questi due tornei, oltre alla UEFA Super Cup che vedrà scontrarsi la vincitrice della Champion’s League e la vincitrice dell’Europa League, porterebbe, oltre a un evidente aumento del “contorno”, anche un’ulteriore varietà nei già innumerevoli contenuti del titolo EA, e vivere il sogno di realizzare un vero Triplete.
Del F.U.T. ci occuperemo più avanti, ma l’implementazione delle nuove licenze potrebbe portare una ventata di aria nuova, con tornei appositi e nuove feature da abbinare ai nostri campioni.

L’abito non fa il monaco

Fin qui tutto interesante ma un gioco di calcio deve innanzitutto divertire e appagare. Lo scontro tra i due colossi non è più accessa come qualche anno fa e l’evoluzione del gameplay ne ha risentito. Certo, l’entrata in scena di nuovi motori grafici quali Fox Engine e Frostbite, hanno permesso numerose migliorie, soprattuto dal punto di vista “fisico”.
Siamo al terzo anno nell’uso del motore DICE nel calcistico EA ed è evindente che molti si aspettino il vero salto di qualità: FIFA 17 e 18 potrebbero essere solo stati un assaggio di quel che il 19 si appresta a presentaci, contando soprattutto su una maggiore esperienza e su console più performanti quali PS4 Pro e Xbox One X. L’anno scorso, si è spinto molto sulla differenziazione di calciatori e squadre più importanti, con movenze e tattiche distinte in grado di far riconoscere al volo le caratteristiche del proprio avversario e approcciarci di conseguenza. Queste, sono risultate però meno incisive del previsto, soprattutto con i successivi aggiornamenti che, in base ai suggerimenti – un modo educato per dire feroci lamentele – da parte degli utenti, hanno un po’ appiattito il tutto, influenzando sopratttuto la velocità della manovra. Ma l’idea, sviluppata già da Konami con PES 2015, è assolutamente da portare avanti e su più squadre e calciatori, soprattutto nella nostra Serie A.
Nonostante sia uno dei campionati più importanti al mondo, il nostro torneo è stato sempre un po’ snobbato, un po’ per colpa nostra – ovvero la FIGC –, un po’ per la mancanza di stadi di proprietà per la maggior parte e per quella mancanza di appeal che la Serie A ha perso da qualche anno a questa parte. Qualche stadio in più dunque, oltre ai classici San Siro, Olimpico e Allianz Stadium sarebbe ben gradito, realizzando almeno il Marassi di Sampdoria e Genoa e la Dacia Arena dell’Udinese, un vero gioiellino da questo punto di vista. Inoltre, rimane la questione annosa della riproduzione dei volti dei calciatori nostrani, lasciata troppo in disparte, anche per calcatori con notorietà mondiale.
Da questo punto di vista, dalla scorsa edizione, EA ha sviluppato un nuovo sistema di scan 3D dei volti, che oltre a renderne più precisa e realistica la realizzazione, ha anche velocizzato il processo. l’uso di questo nuovo tipo di scansione è stato sicuramente ampliato per FIFA 19, sperando che non sia stato trascurato il nostro campionato.
Per questa nuova e auspicata resa della Serie A, è necessario anche un netto miglioramento del commento del duo Pardo-Nava. Il problema principale, riscontrabile un po’ da tutti, è il numero di frasi ma soprattutto la lettura del copione, accentuato fin troppo dall’ex difensore del Milan. Il commento inglese, affidato a Martin Tyler e Alan Smith, probabilmente rimarrà inarrivabile, soprattutto perché vario e naturale. “Andare a braccetto”, cosa che a Pardo riesce più che bene, porterebbe quella ventata di freschezza alle partite, rendendole più reali anche da un punto di vista sonoro.

Il pallone è nostro amico

Infine, addentriamoci nel rettangolo di gioco e nell’Ultimate Team. FIFA è costantemente aggiornato ma alcune criticità permangono. Non ci addentreremo in leggende metropolitane e complotti come il momentum, che segnerebbe le partite in maniera del tutto arbitraria, falsando il gioco. Basterebbe ragionare un attimo per capire che tale meccanica sia frutto della fantasia di Adam Kadmon; del resto, se tutto fosse vero, non si spiegherebbe come molti utenti riescano a vincere centinaia di partite semplicemente impegnandosi. Ma andiamo avanti.
La caratteristica più riuscita è sicuramente la totale libertà di movimento permessa al giocatore, affinata costantemente durante il corso degli anni e che ha visto ulteriori implementazioni, come difesa tattica e la maggiore precisione sul tocco palla. Ma proprio il pallone o meglio, la sua fisica, è  quella che ha impressionato meno negli ultimi anni, risultando molto al di sotto come resa rispetto al suo rivale. Probalmente è necessario restiuire maggiori feedback dalla sfera, dal suo peso e magari uno studio approfondito sui suoi movimenti, soprattutto sulla sua dinamica, influenzata magari dall’Effetto Magnus. Resta inoltre la questione velocità di gioco, sempre molto elevata – per noi italiani sicuramente troppo – anche nei minuti finali di partita. PES 2019 porterà novità da questo punto di vista, rendendo la fatica estremamente visibile, influenzando dunque le capacità di calciatori e squadre nell’imbastire nuove azioni. Se anche FIFA riuscisse nell’intento, porterebbe quel realismo in più che ogni tanto viene meno, restituendo partite ancor più varie e, in un certo senso, tattiche.
Ma veniamo al F.U.T., vera pietra miliare del calcistico EA. Tralasciando le polemiche sulle loot box – probabile che aggiusteranno il tiro da questo punto di vista –, sarebbe ora che si implementasse maggiore personalizzazione del proprio team, a cominciare da un editor di maglie e loghi. Il senso dell’Ultimate Team è proprio questo, realizzare la squadra dei propri sogni e tutto ciò che ne consegue ma, in fin dei conti, l’appartenenza verso la propria squadra decade quando dobbiamo scegliere kit e loghi di squadre già esistenti. Importare o editare noi stessi, con appositi strumenti, ciò che ci rappresente sarebbe la “trovata” definitiva per una delle modalità più giocate al mondo: lo scontro non solo di calciatori digitali ma anche di ideogie e creatività, rendendo gli avversari ancora più umani.

Manca poco dunque alla presentazione ufficiale. La presenza di UEFA Champion’s League e UEFA Europa League potrebbe realizzare il sogno di molti utenti e segnare già l’andamento di mercato per quanto riguarda i calcistici.
Konami di certo non starà a guardare e l’anticipo della data di lancio al 30 Agosto del suo PES 2019 mostra la volglia del team giapponese di dare battaglia fino alla fine, magari evitando di rimanere bloccato “al confine”. Ma questo, lo vedremo al prossimo articolo.