Bulb Boy

Avete presente quei giochi da giocare quando siete soli a casa? Possibilmente di notte, con le luci spente e nel pieno silenzio? Bene, Bulb Boy, della compagnia polacca Bulbware, è esattamente quel tipo di gioco, un titolo in grado di spaventarti  con animazioni, un crescendo sul piano dell’intensità ed elementi ambientali così bizzarri tanto da farti rimanere basito, inorridito ma al contempo affascinato! In compagnia del solo testone luminoso di Bulb Boy ci siamo addentrati in questa particolarissima avventura grafica per Nintendo Switch: cosa c’è dietro a questo oscuro titolo dalle fattezze ludico-cartoonesche ma allo stesso tempo orripilante, oscuro e incredibilmente bello? Scopriamolo insieme, e dato che ci spaventa farlo da soli… teniamoci per mano!

Presenze inquietanti

Una sera Bulb Boy, tolta la dentiera al Nonno, accudito il cane volante (che c’è? Non ne avete mai visto uno?) e spento il televisore va a dormire; poco dopo essersi messo a letto, la sua casetta viene inglobata da una forza malefica, riempiendo la casa di mostri di ogni tipo; anche se parecchio impaurito, Bulb Boy si arma di coraggio e decide di andare alla ricerca del suo caro cagnolino e del generoso nonno all’interno della sua abitazione invasa dagli orribili mostri. Il gioco si pone come un punta e clicca, nel quale è possibile procedere una volta risolto un puzzle all’interno di una stanza nella quale ci si muove tridimensionalmente; le atmosfere generali ricordano anche titoli come Limbo, ma anche alcuni contesti che vedono certe situazioni da risolvere “in fretta” e con un po’ di abilità, oltre che il solo ingegno. La particolarità di Bulb Boy è che, a seconda dell’enigma da risolvere, può smontare la sua luminosa testa per farla semplicemente rotolare o attaccarla in altri corpi come pesci o ragni (non a caso si chiama “Bulb” boy: la sua testa è una sorta di lampadina da montare e smontare dappertutto); grazie a questo aspetto, il gioco offre la giusta (insolita) varietà, con enigmi da risolvere che risultano sempre molto vari e un gameplay che si rinnova, di conseguenza, molto spesso. A ogni modo, ci capiterà spesso, nelle sezioni flashback (che si avvieranno solitamente fra una stanza e l’altra), di controllare il cane e il lentissimo nonno ma queste sezioni durano molto meno rispetto alle parti ambientate nel presente: onestamente nulla di che ma riescono a dare al gioco qualche sfumatura di profondità in più. Il puzzle solving del titolo varia da semplici interazioni con oggetti a schermate ravvicinate in cui è possibile azionare determinati meccanismi con maggior precisione e dettaglio; in entrambe le situazioni avremo comunque modo di utilizzare degli oggetti che troveremo per casa e completare al meglio i puzzle che ci vengono posti. A tal proposito, che il compimento del puzzle risieda nell’attivare determinati elementi in un ordine preciso o in fretta, le soluzioni sono tanto orride quanto facili; per quanto bizzarro possa essere il risultato delle nostre azioni, la soluzione è spesso troppo ovvia e il fattore sfida generale del titolo è veramente basso e lascerà solamente una sensazione d’orrore e non tanto la soddisfazione di avere risolto un puzzle tosto (come in un punta e clicca della Lucasarts o in Chuchel).
Bulb Boy, tutto sommato, è programmato bene, anche se per un attimo abbiamo creduto di aver corrotto il nostro file di gioco: c’è stato un momento in cui, nella stanza col mostro a forma di pollo arrosto (che c’è? Esistono, e sono pericolosissimi!) il protagonista  non interagiva con gli elementi ambientali necessari per procedere nella stanza e perciò cadevamo sempre fra le grinfie del pennuto trapassato. Per risolvere il problema, abbiamo dovuto cancellare il salvataggio (che non cancella l’intero file ma ci riporta all’inizio di una stanza, cancellando dunque i soli progressi che attivano i checkpoint intermedi) ma il problema continuava a sussistere; a questo punto abbiamo semplicemente resettato l’applicazione e, finalmente, Bulb Boy è tornato ad interagire con gli elementi che componevano il puzzle di quella stanza e siamo così riusciti a procedere nella nostra avventura. Si tratta fortunatamente di un piccolo bug, risolvibile con molta facilità, nulla che guasti la nostra esperienza ma comunque abbastanza sgradevole; speriamo che arrivi prima o poi una patch per risolvere questa minuscola imperfezione.

Hai paura del buio?

Bulb Boy si presenta come una sorta di incubo cupo, verdastro e bizzarro ma con una nota cartoonesca che concede alla grafica un tratto distintivo molto forte e al gameplay una sorta di humor bizzarro (seppur molto spaventoso). Come il nome del protagonista ci suggerisce, la testa del nostro protagonista brilla di luce propria e ci permette di illuminare le buie stanze della sua casa; gli effetti di luce − accentuatissimi visto che si gioca quasi al buio − sono veramente sublimi e, in qualunque posizione ci troviamo o in relazione a come ci muoviamo, le ombre si sposteranno in base a come sono disposti gli oggetti nella stanza restituendo in tutto e per tutto la profondità dell’ambiente. Inoltre, è possibile scegliere la luminosità della testa del protagonista e perciò, a seconda di come la regolate, sarà possibile visualizzare più parti della stanza stando fermi; anche questa è un’aggiunta veramente interessante che potrà mettere alla prova il vostro coraggio (e la vostra vista).
Il character design, si mantiene sempre sul bizzarro, i mostri, che riescono a trasmetterci una sorta di paura, hanno sempre quella nota di “non pauroso” che, grazie alle atmosfere e i toni generali del gioco, riescono a inquietarci al punto giusto, un po’ come succede per la paura per i clown… no, tranquilli, qui non ce ne sono (ci mancavano solo i clown per farlo diventare L’uomo senza sonno)! Le animazioni, nonché le interazioni con gli oggetti dell’ambiente, sono sempre molto bizzarre: Bulb Boy non attiverà mai un interruttore con un dito o farà quello che pensiamo possa fare e perciò il gioco ci sorprenderà di continuo quanto ci inquieterà. Per questi motivi il fattore paura funziona e anche in maniera originale: fortunatamente non ci vengono proposti i soliti jumpscare ma il gioco ci inquieta con un suo senso persecuzione dalla quale nasconderci. Non ci troviamo mai senza un’idea su come risolvere un puzzle o sconfiggere un mostro all’interno di una stanza ma siamo sempre sotto costante paura e ansia, un’inquietudine da “paura del buio” che, bisogna ammettere, funziona molto bene. Inoltre, quando il nostro Bulb Boy viene ucciso, le animazioni sono orrende e spesso e volentieri il nostro volto si deformerà con una forte nota di inquietudine; provare per credere!
La colonna sonora di questo titolo si mantiene su un ambient molto dark e tetro, ideale per un gioco del genere; non ci saranno grossi temi memorabili ma giusto delle tetre melodie e accordi che accompagneranno il nostro protagonista attraverso le buie stanze della sua casa e i suoi brevi ricordi. Una particolare menzione va fatta ai terrificanti effetti sonori; i personaggi (quasi) umani non spiccicheranno una parola riconoscibile in nessuna lingua e i versi dei mostri sono veramente spaventosi, ben eseguiti e mai scontati. Un vero peccato, tuttavia, che pochi elementi del comparto sonoro sono davvero memorabili.

Sarà abbastanza luminoso?

Bulb Boy è un titolo più che ok: la sua bella giocabilità, che sorprende ad ogni interazione, e il suo particolarissimo art-style sono sicuramente buone ragioni per comprare, per i soli 7,99€ del prezzo di lancio, questo bel titolo sull’e-Shop di Nintendo Switch. Tuttavia, nonostante tutti questi bei fattori, l’esperienza è semplicemente troppo facile e troppo corta e perciò risulta difficile consigliare questo titolo sia ai neofiti del genere che ai veterani. Il gioco ha certamente i suoi punti di forza ma la sua giocabilità, seppur molto pulita, non offre né nulla di nuovo né nulla di interessante e il suo art-style, che è sicuramente bellissimo, potrebbe risultare trito e ritrito se messo a paragone con altri titoli dalle stesse tonalità come Little Nightmares e Limbo. Bulb Boy è sicuramente un titolo molto interessante e di certo non merita di passare in secondo piano, è solo che, in un certo senso, risulta difficile trovare un target per questo titolo. Consigliamo questo titolo agli amanti delle avventure grafiche? Agli appassionati dei videogiochi e film horror? I casual gamer? Gli hardcore gamer? Gli indie gamer? Per dirvi la verità non lo sappiamo, ma di una cosa siamo certi: il prezzo non è per nulla proibitivo, perciò mettetelo nella vostra wishlist e, qualora vi trovate qualche spicciolo in più o sarà in offerta, prendete in considerazione l’acquisto di questo titolo.




Disc Jam

Vi piace giocare a frisbee con gli amici ma odiate l’afa estiva, la sabbia e i cani indisciplinati che acchiappano il disco volante intromettendosi fra voi e il vostro avversario? Se la risposta è “sì” troverete in Disc Jam il vostro compagno ideale per l’estate, un gioco sportivo fresco, futuristico, frenetico e veramente divertente! Questo spettacolare titolo è stato concepito da High Horse Entertainment, una compagnia fondata dagli ex dipendenti Activision Jay Mattis e Timothy Rapp, i cui curriculum vedono figurare titoli del calibro di Call of Duty, Guitar Hero e Tony Hawk’s Pro Skater; dopo ben vent’anni trascorsi nella leggendaria compagnia americana, i due hanno deciso di mettersi in proprio e concentrarsi, come si può leggere nel loro sito, su giochi arcade vecchio stile per portarli nel XXI secolo. Disc Jam, il loro primo lavoro, incarna perfettamente questi obiettivi e restituisce al giocatore un’esperienza intensa e velocissima essendo ispirato, chiaramente, a Windjammers, gioco della Data East originariamente uscito per le piattaforme Neo Geo (e oggi giocabile su Playstation 4 e PS Vita), e Rocket League per le customizzazioni, la presentazione generale, le atmosfere futuristiche ma soprattutto la sua natura online e cross-platform; è possibile giocare a questo titolo per PS4 e Steam ma noi prenderemo in esame la nuovissima versione per Nintendo Switch.

How to play

Disc Jam mette di fronte due team avversari, in singolo o in doppio, in un’area simile a un campo da tennis e l’obiettivo della partita è vincere due set da 50 punti. Per racimolarli bisognerà mandare il disco nella rete avversaria o farlo cadere per terra nella metà opposta (visto che è diviso da una sorta di rete); a ogni nostro lancio il punteggio, che parte da 5 (ma che arriverà direttamente a 10 se al primo lancio andrà a punti), salirà di un punto, dunque più saranno i passaggi fra gli avversari più sale la posta in gioco: non basterà solamente rimanere concentrati ma anche agire più velocemente possibile. Quando ci si troverà nella traiettoria di un lancio avversario, e si sarà certi di prenderlo, sarà decisivo mandare il disco indietro il prima possibile per sfruttare la sua stessa potenza e far sì che possa viaggiare sempre più veloce; mantenere il ritmo dei lanci è molto importante, perderlo significa fare un lancio più lento e dunque più possibilità per l’avversario di riprenderlo in fretta.
I controlli, di conseguenza, sono molto semplici e pensati per un gameplay veloce e frenetico, facili da imparare anche se un po’ di difficili da applicare in un match online: in offesa si lancia il disco premendo il tasto “B” con direzione, puntando dunque alla rete avversaria o a una parte di essa, oppure “X” per tirarlo in alto e sperare che il nostro rivale non riesca a prenderlo prima che cada per terra; con “ZL” e “ZR” possiamo effettuare dei tiri ad effetto ma premendo “B” e ruotando un po’ la levetta analogica, fra i 90° o i 180°, riusciremo a eseguire gli stessi lanci, talvolta persino più curvi; in difesa invece possiamo fare una scivolata premendo “X” e direzione, che ci permetterà di coprire grossi spazi di campo in poco tempo, oppure, con “B“, possiamo caricare uno scudo di energia che bloccherà la traiettoria del disco mandandolo in aria ma dobbiamo comunque raccoglierlo in tempo per far si che non cada per terra e regali dei punti al nostro avversario. Se carichiamo con anticipo lo scudo o ci posizioniamo nel punto di caduta del disco in tempo (se appunto il nostro avversario ce lo tirerà con “X”) allora avremo la possibilità di fare un super lancio che avrà una traiettoria insolita e andrà incredibilmente veloce.
I lanci dei giocatori saranno molto precisi e risponderanno a ogni inclinazione della levetta; meno, sfortunatamente, lo saranno i movimenti del giocatore stesso. Con buona probabilità, per rendere l’esperienza più accessibile e meno macchinosa possibile, gli sviluppatori hanno fatto sì che il giocatore possa correre o faccia dei semplici passetti a seconda dell’inclinazione della levetta ma i suoi movimenti saranno relegati a sole 8 direzioni, come in un gioco vecchio stile con visuale dall’alto. Bisognerà imparare a gestire bene questi comandi se vogliamo bloccare ogni lancio avversario, specialmente perché se ci arriverà il disco mentre siamo di spalle cadremo per terra, il disco volerà e, cadendo al suolo, darà i punti all’avversario; una meccanica abbastanza realistica – chi vorrebbe mai essere colpito sul collo da un frisbee a questa velocità! – anche se, personalmente, pensiamo sia un po’ eccessiva per un gioco arcade. Per quanto strano possa sembrare, vi consigliamo di seguire passo passo i tutorial del gioco, anche perché non sono obbligatori (non pensate di essere degli esperti solo perché avete divorato Windjammers ai tempi che furono).

Tutti in campo!

Fin qui abbiamo spiegato come si svolgono le partite in sé, ma ci sono ancora molte cose di cui parlare; Disc Jam, similarmente a Rocket League, offre diverse customizzazioni e stili di gioco diversi. Per prima cosa i personaggi selezionabili hanno caratteristiche differenti, a differenza del popolare indie cui i modelli delle auto non hanno variazioni sostanziali fra loro, ma solo stilistiche, e ognuno di loro gode dunque di un diverso stile che può accentuare meglio le diverse abilità dei giocatori: Gator, per esempio, è un giocatore a tutto tondo che può permettere un gioco bilanciato anche se nessuna delle sue abilità spicca in particolare; Haruka, abbastanza indicata per i principianti, è una giocatrice veloce e riesce a coprire tutto il campo da gioco in poco tempo ma i suoi lanci non sono fra i migliori; Stanton, al contrario, ha dei lanci potenti e fa delle scivolate molto lunghe ma non è velocissimo nella corsa; i più esperti, alla fine, potranno usare Makenna, una giocatrice veloce, molto tecnica e che fa dei tiri ad effetto insuperabili ma, proprio per gestire questa particolare abilità, bisognerà saper coordinare bene il tasto di lancio con la levetta analogica.
Ci sono poi altri due altri giocatori ma questi sono sbloccabili per 25000 Jamoleons, la valuta principale del gioco, ottenibili alla fine di ogni incontro o scambiabili per dei soldi veri dal Nintendo E-Shop; i soldi del gioco, sfortunatamente (al di là di questi due specifici giocatori), ci permetteranno di ottenere una ricompensa casuale dalla macchinetta dei premi per 1000 J e purtroppo dobbiamo attenerci all’outcome random di quest’ultima. La vera disgrazia di questo sistema è che gli unici elementi comuni a tutti sono solamente la skin del disco, l’emblema e il tag del giocatore (e il super tiro ma, momentaneamente, ci sono solo 3 traiettorie e nessuna di queste è sbloccabile dalla macchinetta o acquistabile separatamente); tutto il resto, ovvero lo stile della tuta, taunt e posa di vittoria, sono unici per un solo personaggio giocabile. Pertanto, come avviene in molti (forse anche troppi) giochi di oggi, bisognerà tentare e ritentare la sorte per ottenere quello che realmente vogliamo per il nostro giocatore. È possibile comprare gli elementi casuali con dei red ticket, ma questi sono ottenibili solamente, stando a quanto scritto da High Horse Entertainment su Steam, qualora la macchinetta dei premi ci dia un “doppione” e ogni premio ha il suo valore anche in questa valuta; come potremo constatare dall’in-game store, i taunt e le pose di vittoria valgono 25 red tickets, le skin del disco 125, i tag 5, etc… almeno il gioco, al di là dell’outcome random della macchinetta, ci permette di ottenere dei doppioni per poterli scambiare in un’altra valuta: una buona alternativa anche se è ugualmente tediosa.
Personalizzato il nostro personaggio possiamo finalmente scendere in campo per dei match infuocati con gente di tutto il mondo! Il sistema di matchmaking funziona per punti classifica (che ovviamente otterremo a fine partita e ci posizioneranno in punti più alti in graduatoria) e per continente, da selezionare prima di avviare la lobby; più è vicino il nostro avversario, migliore sarà la trasmissione della nostra partita. La comunità è attiva, ci sono molti giocatori anche se, essendo nuovo nella libreria di Nintendo Switch, sul piano numerico Disc Jam non è ancora ai livelli di grossi brand multiplayer come Rocket League o Fortnite, non c’è grossa affluenza in tutte le ore della giornata; se siete degli “scalatori di classifiche online” vi converrà armarvi di una buona dose di pazienza oppure usufruire del “ghost arcade”, che consiste in match singoli o doppi contro AI modellate dallo stile di giocatori reali, o delle partite private, se conoscete persone che come voi hanno comprato questo gioco; riguardo a quest’ultima modalità, servirà solamente creare una stanza, darle un nome, una password e cedere questi dati a i vostri amici. Purtroppo non abbiamo potuto testare realmente questa funzione perciò non vi sappiamo dire se questa funzione sfrutta il cross-platforming; stando ad alcuni post su Reddit, visto che il sito ufficiale di High Horse Entertainment non dà alcuna informazione a riguardo, al momento questa specifica feature non è disponibile, ma sembra che gli sviluppatori stiano lavorando per far sì che i match privati possano avvenire anche tra una piattaforma e l’altra. È possibile, inoltre, se un vostro amico è in visita a casa vostra, staccare un Joycon e competere insieme in match singoli in locale o doppi in online; nonostante si tratti probabilmente i match più divertenti, questi sono meno frequenti, perciò, anche se escluderete i match singoli dalla ricerca avversari, non sempre avrete la possibilità di beccare quattro giocatori che hanno le vostre stesse intenzioni.
Le partite, che siano match 1v1 o 2v2, sono sempre infuocatissime ma, come dicevamo all’inizio, è importantissimo imparare i comandi; anche se il matchmaking funziona a dovere e segue semplici logiche matematiche troverete moltissimi giocatori, anche molto vicini alla vostra posizione in classifica, che sono dei veri e propri assi e anticipano ogni vostra singola mossa. I controlli sembrano attecchire meglio con alcuni giocatori e meno con altri e forse chi scrive (e ciò che segue è una personalissima opinione generata dall’esperienza personale) non si trova fra i primi; non fraintendete, ci si diverte tantissimo con questo titolo, e la buona fan base attuale dimostra quanto il suo gameplay si ben congegnato; tuttavia, forse per la sua natura frenetica e veloce, questo titolo non fa per tutti. Oggi ci sono un sacco di giochi multiplayer che appartengono alla medesima categoria, e Disc Jam non è che un nuovo titolo che si aggiunge al catalogo; se gradite di più i giochi in cui la componente online è quella portante o se vi piacciono quelli in cui bisogna pensare e agire in fretta, specialmente se sportivi, allora questo gioco farà sicuramente per voi.

Blernsball? Mi dispace, è domani!

Disc Jam si presenta come uno sport futuristico, veloce, emozionante e in cui ogni secondo conta. A supporto di ciò abbiamo una bella grafica 3D molto pulita, sviluppata con Unreal Engine 4, che riesce a mantenersi a 60 FPS stabili sia in modalità portatile che in dock da dove i diversi colori e dettagli “high-tech” dell’arena, come gli ologrammi, la rete che mostra il livello del punteggio o i guardrail laterali, spiccano molto di più; i modelli dei personaggi sono molto curati, un filo over-the-top ma ognuno, specialmente con le skin e i taunt collezionabili, con una giusta dose di personalità. La sola cosa che un po’ delude della grafica è la sua staticità, soprattutto per l’inclusione di una sola arena e per il fatto che si vedano sempre gli stessi 4 personaggi (al massimo 6, se incrociate qualcuno che abbia sbloccato i due personaggi acquistabili); nonostante la sua bellezza e le diverse personalizzazioni dei personaggi, Disc Jam non offre molta varietà visiva (almeno non per ora).
Il comparto musicale, così come la sua presentazione generale (persino nei menù), ricorda molto quello di Rocket League; da buon e-sport che si rispetti i suoi temi includono sonorità molto moderne ed energiche, che si affacciano per lo più alla musica elettronica, al rock ma soprattutto alla dubstep. Sia nel menù che durante le partite, avremo modo di ascoltare dei temi molto curati e belli, specialmente quello del secondo (o terzo) set che ricorda per certi versi Stinkfist dei Tool, anche se, un po’ come accade per il comparto grafico, questi sono sempre gli stessi e, in questo caso, è veramente possibile contarli in una mano sola: allo stato attuale c’è solamente il brano del menù, primo set, secondo set e menù di fine partita… Ecco qua l’intera soundtrack! I giocatori non hanno linee di dialogo ma a ognuno di essi è stata data una voce e la si può sentire a ogni lancio o scivolata; nulla di che, ma serve a dare la giusta profondità a un match duro e faticoso (anche se la voce di Haruka, personalmente, risulta davvero insopportabile!).

Manca ancora qualcosa

Si potrebbero stare ore a elogiare questo titolo, il primo di questa neonata compagnia il cui futuro pare già da qui prospettarsi luminoso e interessante; Disc Jam non ha molti difetti e per il suo prezzo di lancio di 14,99€ sul Nintendo E-Shop è davvero regalato (sempre se non ne vogliate spenderne altri per i Jamoleon). Tuttavia, quello che delude è ciò che non c’è, specialmente a un anno dal lancio nelle altre piattaforme; per quanto divertente possa essere il titolo della High Horse Entertainment, questo, allo stato attuale, offre veramente poco: 6 giocatori (di cui 2 acquistabili separatamente), una sola arena e due sole modalità di gioco. A un anno dalla sua uscita, Rocket League offriva già altre modalità, come l’arena per l’hockey e quelle sperimentali, elementi per le customizzazioni sempre nuovi e DLC sempre ben graditi; dunque se paragoniamo la vita di Disc Jam al titolo di Psyonix sembra che, forse, gli sviluppatori non ci stiano credendo tanto, ma è più probabile che non abbiano abbastanza fondi.
Questo titolo non ha nulla da invidiare a molti altri, merita tante nuove modalità di gioco (anche una semplice arena ghiacciata, risulterebbe divertente e piena di imprevisti), maggior varietà di personaggi e magari un sistema di acquisizione delle ricompense meno tedioso di quello attuale; anche se il titolo non è (ancora) ai livelli di Rocket League o di Fortnite non sembra che il supporto da parte dei fan stia mancando, e, dunque, speriamo di vedere nuovi aggiornamenti in Disc Jam per rendere quello che è già un bel gioco ancora più profondo ed entusiasmante.
Se siete stanchi dei classici giochi di sport e siete alla ricerca di un titolo in grado di mettervi alla prova e che possa entusiasmarvi con poco (perché comunque, allo stato attuale, rimane comunque un gioco molto bello), allora troverete in Disc Jam una sfida alla vostra altezza. Ma ricordate: se ci incontrate, o siete con noi o siete contro di noi… e noi non scherziamo proprio!

(Lui è il volto di GameCompass in Disc Jam. Quando lo vedrete…  tremate!)



Dusty Rooms: la tragedia di Sonic X-Treme

Oggi il Sega Saturn è decisamente una delle console più gettonate fra i retrogamer e sta vivendo una seconda vita grazie a internet e alla condivisione di informazioni riguardanti tutti quei giochi oscurati dalle più popolari Sony PlayStation e Nintendo 64, molti dei quali mai arrivati dal Giappone. Tuttavia, in molti concordano nel dire che uno dei più grandi fattori che ha sancito il fallimento di quest console, insieme ad altri fattori riguardanti il complesso hardware e le pubblicità poco convincenti, è stato quello di non avere un titolo dedicato a Sonic, la mascotte che riuscì a dar filo da torcere a Mario e Nintendo. Nel Sega Saturn è possibile trovare Sonic Jam, una compilation contenente i quattro titoli per Sega Mega Drive ottimizzati per la nuova macchina, Sonic 3D Blast, essenzialmente un porting del titolo per la precedente console 16-bit, e Sonic R, un discutibile gioco di corse (senza veicoli) con i personaggi della saga; nessuno di questi titoli fu mai posto come principale della saga da lanciare, se non altro, contro Super Mario 64 e il nuovo Crash Bandicoot. Poteva mai Sega pensare di lanciare la sua nuova console senza un gioco di Sonic? Ovviamente no. Sonic X-treme sarebbe dovuto diventare non solo il nuovo titolo principale del porcospino blu ma anche la killer-app che avrebbe lanciato il Saturn una volta per tutte, ma purtroppo il gioco non uscì mai. Ma come mai Sega cancellò un progetto così grande e perché la loro console 32-bit rimase senza un gioco dell’iconico porcospino?

Verso il 3D

La storia di Sonic X-Treme comincia nel 1993: Sonic è in capo al mondo con ben tre titoli principali (Sonic the Hedgehog, il suo sequel e Sonic CD), altri due giganteschi titoli in uscita (Sonic the Hedgehog 3 e Sonic & Knuckles) e un’infinità di spin-off su Mega Drive, Master System e Game Gear. Yuji Naka, ideatore del personaggio, e Hayao Nakayama, presidente di Sega in quel periodo, chiamarono il Sega Technical Institute, lo studio di Sega negli Stati Uniti che si occupò della saga dopo il primo capitolo insieme al Sonic Team, chiedendo un nuovo rivoluzionario titolo del porcospino blu basato sulla serie a cartoni animati della ABC per una nuova console Sega (che ai tempi non aveva chiaro quale sistema, fra 32X e Sega Saturn, lanciare). Lo studio americano non aveva idea di cosa proporre in Giappone, soprattutto per il mancato sviluppo di Sonic & Knuckles. Sega Technical Institute si divise letteralmente in due: una parte rimase negli Stati Uniti per completare l’ultimo titolo 2D di Sonic per Sega Mega Drive mentre l’altra andò in Giappone per proporre nuove idee per un titolo principale. Furono proposte 3 idee:

  • Sonic 16: titolo 2D e proponeva un insolito gameplay basato sullo stealth. Un gioco decisamente interessante, ma nulla a che vedere con il velocissimo gameplay dei giochi precedenti e perciò venne scartato. A ogni modo, molte parti della sceneggiatura, apparse su internet più tardi, vennero prese come spunto per essere utilizzate più in là con il progetto di Sonic X-treme.
  • Isometric Game: al di là di non avere neanche un vero nome, questo progetto non superò mai lo stadio concettuale e non venne presentato alcun gameplay. Di questo progetto ne presero gli asset, alcuni anni più tardi, per Sonic 3D Blast ma quel sistema di gioco, un po’ sperimentale, non poteva mai andare oltre lo stato di spin-off.
  • Sonic Mars: fra i tre progetti questo era considerato il più valido in quanto era concepito totalmente in 3D e sul 32X ma Yuji Naka, anche se approvò il progetto, non era totalmente impressionato da ciò che vide. Fu l’unico progetto a passare allo sviluppo ma alcune dispute interne, insieme all’insuccesso dell’ultimo add-on per Mega Drive, portarono all’abbandono del capo programmatore e al momentaneo alt generale. Chris Senn, che lavorò all’eccellente Comix Zone, fu messo a capo del progetto: scartò il tema del cartoon ABC e interruppe un’altra volta lo sviluppo in attesa che Sega definisse meglio il successore del Mega Drive. Come i precedenti 3 progetti, anche questo, fu cancellato.

Malgrado tutto, Sonic Mars mise il team di sviluppo sul giusto binario, ovvero sul Sega Saturn, e un nuovo definitivo progetto fu avviato… e ancora una volta cancellato! Sonic Saturn non uscì mai dallo sviluppo né fu mai annunciato ufficialmente ma alcuni concept art e immagini dei prototipi confermarono la grafica 3D, l’idea per un bonus stage che fu usato, più in là, per Sonic 3D Blast e uno stile molto realistico e un po’ più serioso dei precedenti titoli (i fan si accorsero inoltre che alcune piastrelle dei pavimenti furono usate più tardi per Sonic R). A questo punto, per l’ennesima volta, il Sega Technological Institute dovette non solo ricominciare da capo ma dividersi ulteriormente: un primo team capitanato da Chris Senn e Ofer Alon (che chiameremo più in la “Team-A“) avrebbe sviluppato i livelli mentre un secondo capitanato da Chris Coffin (che chiameremo “Team-B“) avrebbe sviluppato gli scontri contro i boss, utilizzando un motore preesistente per 32X, ed entrambi sarebbero stati supervisionati da Mike Wallis. Finalmente esisteva un assetto definito per poter sviluppare il titolo definitivo di Sonic per Sega Saturn ma questo schema, prima o poi, si sarebbe rivelato poco efficace.

(La demo di Sonic Mars su 32X)

Uno sviluppo faticoso

Quello che si creò dalla divisione in due team… furono ulteriori divisioni! All’interno dei gruppi di lavoro si crearono altri piccoli sottogruppi e mantenere una comunicazione costante fra i due team era molto difficile per il numero generale dei dipendenti e le suddivisioni; nonostante tutto, entrambi i team stavano facendo un bel lavoro e i primi risultati stavano venendo fuori. Il Team-A aveva sviluppato un motore su un computer Mac che animava i personaggi, resi con un 3D prerenderizzato simile a Donkey Kong Country, e produceva una prospettiva “fish eye” (in italiano diremo a grandangolo) che davano ai livelli una rotondità mai vista prima (che avremmo visto molto più tardi in giochi come Super Mario Galaxy). L’ambiente girava intorno a Sonic e questa sarebbe stata la caratteristica chiave del nuovo titolo Sega. A un certo punto dello sviluppo sarebbero stati introdotti dei livelli specifici per altri personaggi: Knuckles sarebbe stato protagonista di alcuni livelli con una prospettiva top-down (simili a quelli di Contra 3: the Alien Wars), Tails avrebbe affrontato dei livelli simili a quelli che sarebbero stati i suoi in Sonic Adventures per Dreamcast e per Tiara, un nuovo personaggio femmina introdotto in Sonic Mars, stavano programmando dei livelli classici in 2D. Il motore grafico, prima prodotto su Mac e poi utilizzato su Windows, restituiva un azione fluidissima su computer ma i programmatori sopravvalutarono le capacità del Saturn; il prototipo, a detta dei programmatori che ci lavorarono, girava fra i 3 e i 4 FPS sulla console e perciò dovettero ricorrere a un aiuto.
A questo punto il Team-A aveva bisogno di supporto e fu così che coinvolse la casa produttrice Point of View. La nuova compagnia propose al team un loro motore mostrando l’immagine di un Sonic poligonale sopra una superfice a scacchi e una sfera in aria; Chris Senn non fu totalmente impressionato dalla loro tecnologia e non aveva intenzione di scartare il motore alla quale aveva lavorato tanto perciò lasciarono perdere la loro offerta. Tuttavia, su consiglio di Ofer Olan, la Point of View fu coinvolta nel progetto preesistente per migliorare il motore del Team-A e farlo funzionare meglio su Saturn e così, da una costola del suddetto team, si formò un Team-C capitanato da Chris Senn (uscendo definitivamente dal suo team originale).

(Il motore dei livelli del Team-A e Team-C)

L’ira dal Sol Levante

Nel Marzo del 1996 Hayao Nakayama programmò un volo per gli Stati Uniti per controllare il lavoro del Sega Technical Institute. Il Team-C, malgrado tutto, riuscì a ottimizzare il motore per il Saturn, lavorando giorno e notte fino all’arrivo del presidente di Sega. Chris Senn e Ofer Alon si diressero al meeting per trovare un Nakayama furioso che camminava verso il senso opposto; stupiti dalla reazione del presidente capirono che il meeting era già avvenuto e il Team-A aveva presentato una versione vecchissima del loro lavoro, una di quelle che girava fra i 3 e i 4 FPS. Tuttavia, Nakayama fu soddisfatto dal lavoro del Team-B, e decise che il gioco doveva essere sviluppato tramite quel motore (che non aveva la caratteristica chiave del motore del Team-A poiché basato sulle boss fight); Chris Senn e Ofer Alon tentarono in tutti i modi di mostrare al presidente la versione più recente del loro lavoro ma egli aveva già lasciato l’edificio mettendo così un punto definitivo al lavoro del Team-A e Team-C sollevando allo stesso tempo i due programmatori e Point of View dai loro incarichi.
Il progetto si avviò verso una fase più definitiva: il Team-B, il cui capo Chris Coffin sarebbe diventato il nuovo lead programmer, avrebbe condotto il resto del progetto (che assunse la nuova denominazione “Project Condor“) e questo sarebbe dovuto essere pronto per Natale, in tempo per competere contro Super Mario 64 e Crash Bandicoot. A questo punto della storia c’è un evento che coinvolge il motore grafico di Nights into Dreams… ma non si sa esattamente cosa sia successo; tutti i fatti riguardanti questo progetto sono state fornite da Chris Senn nel suo sito Sonic X-treme Compendium (oggi offline) ma da questo punto in poi egli non è più presente e perciò il prossimo evento è un po’ avvolto nel mistero. Essendo stata fissata una data per Natale, il Team-B aveva bisogno immediatamente di mezzi per completare il loro gioco. Avrebbero chiesto dal Giappone il motore per Nights into Dreams… ma, apparentemente, senza alcun permesso da parte di Yuji Naka che sviluppò il popolare gioco per Saturn; il noto creatore di Sonic bloccò immediatamente i lavori mettendo un punto ai progressi fatti col suo motore grafico. Si dice anche che il motore di Nights non fu mai utilizzato in sé ma bensì plagiato, scatenando ugualmente l’ira di Yuji Naka. A ogni modo, di tutte le versioni, questa è l’unica versione trapelata su internet e, a oggi, è possibile scaricare l’immagine per poterla provare sul proprio Sega Saturn o su un emulatore. La iso è giusto una sorta di tech demo e perciò si può giusto correre per delle collinette, attraverso un fiume, collezionare una cinquantina di anelli e non c’è alcun nemico.

(La tech demo giocabile, realizzata col presunto motore di Nights into Dreams…)

La fine

Project Condor, ancora una volta, dovette ripartire da zero. Erano solamente rimasti alcuni modelli di grafica 3D e Chris Coffin doveva immediatamente fare qualcosa. Lavorò giorno e notte insieme al veterano della saga Hirokazu Yasuhara per poter arrivare alla scadenza e il gioco, arrivati a questo punto, assunse una grafica puramente 3D e cominciava a prendere una forma deliziosa; sfortunatamente, proprio per l’assiduo impegno che stava dedicando al progetto, si beccò una grave polmonite ad Agosto e i dottori dissero che se avesse continuato sarebbe potuto persino morire. Chris Coffin dovette annunciare a Mike Wallace che il gioco non sarebbe stato pronto per il tempo stabilito e così il progetto fu cancellato definitivamente. Sega, in vista del Natale del 1996, decise di fare un porting di Sonic 3D Blast per Mega Drive e Nights into Dreams… divenne il titolo più venduto per Saturn. Chris Senn tentò di salvare il progetto chiedendo a Sega di poter continuare lo sviluppo per un rilascio su PC ma le sue richieste non furono ascoltate. Più in là, vedendo un interesse dei fan riguardo a Sonic X-Treme, annunciò Project-S, un gioco indipendente ispirato a ciò che sarebbe stato questo gioco ma purtroppo cancellò il tutto nel 2010.

(La fase finale del progetto)

Cosa rimane

Finita l’esperienza di Sonic X-Treme, il Sonic Team si potè concentrare su Sonic Adventure per la futura Dreamcast. La lezione era stata imparata e il nuovo titolo Sega uscì senza problemi dovuti alla comunicazione o alla programmazione. Tuttavia, nel 2010, venne rilasciato Sonic Lost World per Nintendo Wii U, 3DS e Windows, titolo non scelto a caso poiché, appunto, presenta dei mondi rotoscopici e sferici proprio come il gioco che non uscì mai (appunto “Lost World“). Non sapremo mai come sarebbe stato Sonic X-Treme ma vorremo comunque porre una domanda: avrebbe potuto questo titolo salvare il Sega Saturn? La concorrenza era spietata e sia Crash Bandicoot che Super Mario 64 erano giochi incredibilmente belli; per poter mettere il Saturn in un piano di rilevanza Sega avrebbe dovuto mettere un gioco competitivo e, vista la programmazione frammentaria, probabilmente Sonic X-Treme sarebbe stato pieno di difetti e troppo differenziato. Bisogna anche ammettere che la mancata uscita di questo titolo ha permesso però a Saturn, molti anni dopo, di spiccare come console da collezione: grazie alla mancanza di un vero gioco di Sonic, molti Developer (interni ed esterni) hanno provato a far spiccare la loro IP per dare alla console Sega un identità diversa dalla competizione e dunque oggi abbiamo una libreria di giochi con una varietà impressionante. Solo su Saturn possiamo trovare Nights into Dreams…, Panzer Dragoon Saga, Virtua Fighter 2, Fighters Megamix, Guardian Heroes, Radiant Silvergun e molti altri. Sotto questo aspetto la mancata uscita di Sonic X-Treme potrebbe persino rappresentare un bene per la console ma è ovvio che la cancellazione del progetto non ha potuto dare all’hardware un vero volto per coloro che volevano saperne di più sulla console. Chissà se almeno, verso la fine, il gioco sarebbe stato davvero all’altezza della competizione; purtroppo non lo sapremo mai.




Dusty Rooms: la triste storia del 3DO

Verso la metà degli anni ’90 i nomi che componevano la scena videoludica erano ben di più di delle semplici Microsoft, Sony e Nintendo (se è per questo la prima non c’era proprio). Al di là delle leggendarie Sega e Atari, di tanto in tanto entrava qualche nome che provava a sfondare nel mercato videoludico ma non sempre lasciava un’impronta decisiva: gli arrivi degli hardware Casio, Philips o Apple (eh sì… un giorno ne parleremo) fecero storcere il naso a molti giocatori – tanto è vero che come arrivavano dal nulla, svanivano nel nulla ­– ma nel 1993 una console ebbe la possibilità d’inserirsi nel mercato, piantare radici e, chissà, a oggi poter essere ancora presente. Tutto cominciò quando Trip Hawkins, fondatore di Electronic Arts, si incontrò nel 1989 con Dave Needle e R.J Mical, designer dei computer Amiga e Atari Lynx, per creare una console in grado di imporsi nel mercato, dettare gli standard per le generazioni a venire e che il pubblico, sempre più interessato alla grafica poligonale, avrebbe apprezzato. L’esperienza del fondatore di EA, trascorsa a produrre giochi per console e PC dell’epoca, unita all’abilità di due designer che portarono alla nascita di due potentissime macchine da gioco, avrebbe dovuto essere una garanzia per una console spettacolare; fu così che da un tovagliolo di un ristorante nacque il progetto del 3DO, macchina che di lì a poco sarebbe diventata realtà.

(Trip Hawkins)

Un modello rivoluzionario?

3DO Company, fondata principalmente per sviluppare l’hardware, presentò la nuova console nel Computer Electronics Show del 1992 richiamando non poca attenzione da parte di fan, critici e persino stampa nazionale essendo stato discusso nella sezioni business del New York Times e Chicago Tribune. La console, il cui supporto ottico erano i compact disc, aveva un processore a 32-bit che girava a 12.5 MHz, in grado di garantire ben 20.000 poligoni dotati di texture, un’ottima risoluzione di 640×480, supportato anche dal segnale S-Video proprietario, e un chip sonoro in grado di campionare le tracce audio a 44.1 KHz; il controller, che ricalcava lo stile e il design di quello del Sega Mega Drive, includeva 5 tasti, un jack per gli auricolari e la seconda porta per i giochi multiplayer (in grado da poter collegare un numero indefinito di controller alla console… altro che conga!). Trip Hawkins era ambizioso e perciò aveva offerto ai developer un accordo imbattibile, ovvero il pagamento di soli tre dollari di royalty a 3DO Company per ogni gioco venduto, molto più competitivo rispetto alla concorrenza Nintendo (15$) e Sega (13$). Più di trecento developer firmarono per produrre su questa nuova potentissima macchina, anche se non tutti rispettarono il loro accordo. Sul fronte hardware invece la compagnia avrebbe ceduto le specifiche tecniche a terze parti affinché queste, con i loro mezzi, producessero la loro versione del 3DO. Pertanto, Trip Hawkins si rivolse alle maggiori compagnie giapponesi sia per produrre una console con componenti di qualità, che per sfruttare l’ottima reputazione di quest’ultime. I suoi obiettivi principali erano Sony e Panasonic ma riuscì solamente a firmare con la seconda (in quando la prima stava già lavorando al progetto PlayStation) anche se in compenso riuscì anche a coinvolgere Sanyo e Goldstar (che sarebbe divenuta più tardi LG). Nell’Ottobre 1993 il primo modello di 3DO, il Panasonic FZ-1 (ed è per questo che spesso l’intera console è spesso attribuita a questa compagnia), fu rilasciato al pubblico in bundle con Crash ‘n Burn, il primo gioco di Crystal Dynamics, e stando alle previsioni di Trip Hawkins avrebbe dovuto stravolgere il landscape videoludico grazie alla sua spaventosa potenza; tuttavia i problemi cominciarono dal day one.

Badaboom!

Il 3DO fu promosso in televisione e nelle riviste con pubblicità competitive e “toste”, similarmente alla competizione nel mercato e pertanto, puntavano allo stesso target demografico di Super Nintendo e Sega Mega Drive. Tuttavia, sebbene la libreria di giochi fosse abbastanza valida, il prezzo di 699,99 dollari era ben fuori dalla loro portata. Il motivo di questo sovrapprezzo era dovuto principalmente al coinvolgimento delle compagnie produttrici di hardware: Panasonic, Sanyo e Goldstar non avrebbero ricevuto nulla dalla vendita dei giochi e perciò dovettero gonfiare il prezzo affinché potessero ottenere dei profitti da questo progetto. Ci furono inoltre problemi di reperibilità hardware e software: Crash ‘n Burn finì per essere l’unico gioco disponibile al lancio della console per via del fatto che l’hardware finale è stato cambiato fino all’ultimo momento e perciò, i developer che avevano promesso delle uscite per lancio, non poterono testare i loro titoli rimandando così l’uscita a data da destinarsi. Per via dei cambi all’ultimo minuto, inoltre, si potevano spiegare anche le poche unità presenti nelle maggiori catene di negozi di elettronica; vennero distribuite circa due unità per negozio alienando così quei già pochi che potevano permettersela. A tutto questo si dovette aggiungere anche l’annuncio di Sony PlayStation, Sega Saturn, Nintendo 64 e Atari Jaguar, che sarebbe uscita un mese dopo il 3DO; anche se nessuna di queste console sarebbe stata reperibile in tempi brevi, i giocatori già in possesso delle console 16-bit erano più propensi ad aspettare e, semplicemente, lasciar perdere questa nuova costosa macchina che ben presto si sarebbe rivelata obsoleta.
Già nel 1994 il 3DO era in pericolo e perciò dovevano essere presi dei provvedimenti: ispirato dalle compagnie già esistenti, Trip Hawkins decise di contrattare con Panasonic per vendere le console in perdita recuperando così con la vendita dei giochi. Il prezzo passò da 699 a 499 dollari e più tardi, sempre nel 1994, Goldstar vendette la sua versione del 3DO per 399, che era per altro il prezzo di lancio del Sega Saturn. Nonostante questi saggi cambiamenti e una libreria di giochi rispettabilissima, verso la fine del 1994 3DO Company rimaneva a galla per miracolo e le loro azioni in borsa crollarono da 37 a 23 dollari a Dicembre. Il 1995 si aprì abbastanza bene per 3DO Company in quanto riuscirono a registrare delle buone entrate (anche se ancora non bastavano per coprire tutti i costi finora sostenuti) e videro il rilascio di alcuni dei suoi migliori giochi ma il periodo di rinascita cessò ben presto: Sega annunciò e rilasciò il Saturn nel Maggio del 1995 per 399 dollari e più tardi, a Settembre, Sony rilasciò la PlayStation all’imbattibile prezzo di 299. Questo fatale 1-2 segnò praticamente la fine del 3DO, sia in termini di competitività hardware che software in quanto molte delle loro migliori uscite finirono poco dopo su PlayStation e Saturn. Electronic Arts, che era il developer di bandiera del sistema, decise di abbandonare il progetto di Trip Hawkins definitivamente e così, deluso dalla decisione della sua stessa azienda, la abbandonò fondando 3DO Studio per poter produrre nuovi giochi di qualità per la sua console e per quella successiva. Nel 1996 infatti, venne annunciato un successore del 3DO chiamato M2: la console sarebbe stata prodotta esclusivamente da Matstushita e fu proprio con l’annuncio del nuovo hardware che la 3DO Company registrò il suo primo profitto di 1.2 milioni di dollari. Tuttavia la competizione era spietata e PlayStation dominò per tutto il 1996; a questo punto, nel 1997, non rimase altro che chiudere la divisione hardware e concentrarsi esclusivamente come software house per le altre console, fino alla bancarotta di 3DO Company nel 2003. Trip Hawkins, nonostante avesse perso la partita, fondò Digital Chocolate, compagnia tuttora attiva sotto il dominio della RockYou, che ha prodotto diversi giochi per mobile e Facebook; abbandonata la presidenza nel 2012 a oggi è professore di pratica nel corso di “technology managment” dell’università di Santa Barbara in California.

L’impatto del 3DO

Cosa rimane oggi del 3DO? Fare una top ten dei migliori giochi di questa console, come abbiamo fatto per il precedente Dusty Rooms, è un po’ inutile in quanto molti di essi sono apparsi su altre console e le vere esclusive, non sono proprio fantastiche. Il 3DO è stata la casa di bellissimi porting da PC, come Alone in the Dark, Myst e Lemmings, alcuni arcade, come Samurai Showdown e il porting definitivo di Super Street Fighter II Turbo, e altri titoli originali che sono apparsi poi sulle altre console dell’epoca e PC come Return Fire, The Need for Speed e Killing Time. Su 3DO è possibile giocare ai primissimi giochi di Crystal Dynamics come il già citato Crash ‘n Burn, Total Eclipse e il fantastico Gex. Tuttavia, e questo può anche essere citato come uno dei motivi del fallimento della console, 3DO ha ospitato una marea di giochi FMV (full motion video) che a oggi risultano bizzarri, brutti… E semplicemente fantastici! Come non si possono amare titoli come Night Trap, Mad Dog McCree e The Daedalus Encounter con le loro recitazioni di basso livello e il gameplay tutt’altro che user-friendly? E che dire dell’orrendo Plumbers don’t Wear Ties? Se vi addentrerete in questo genere vi garantiamo risate a mai finire!
A ogni modo: quanto vale l’acquisto di un 3DO di seconda mano? La nostra risposta è: dipende. Il prezzo, a oggi, è certamente invitante in quanto potrete aggiudicarvelo per una frazione di quel che costava all’epoca; tuttavia la libreria di titoli è veramente particolare e non sono giochi che potrebbero piacere a tutti, specialmente perché alcuni di essi sono reperibili in altre console. Inoltre, il 3DO è una console molto fragile dunque, se ne considererete l’acquisto su internet, fate in modo che il venditore vi mostri la console funzionante (sempre se il viaggio non la danneggi). Se siete interessati ad avere questo hardware originale e magari siete appassionati della scena videoludica di nicchia a cavallo fra il ’93 e il ’96 allora il 3DO è la console che fa per voi.
La tecnologia del 3DO M2, prima della sua cancellazione, era stata ceduta per lo sviluppo e perciò esistono alcuni giochi arcade Konami, usciti regolarmente nelle sale giochi, che girano su quell’hardware: fanno parte di questa rosa Polystars, Total Vice, Battle Tryst, Evil Night e Heat of Eleven 98. Inoltre, ma questa è una chicca per i soli “Indiana Jones” del retrogaming, sono stati prodotti anche dei prototipi dell’M2 ed è possibile vederli funzionare su YouTube; tuttavia, trovarli su eBay sarà pressappoco impossibile.




Dusty Rooms: uno sguardo al MSX

L’obiettivo di questa rubrica è principalmente quello di far scoprire quelle parti di retrogaming curiose, interessanti e, possibilmente, non ancora prese in esame. Oggi, qui a Dusty Rooms, daremo uno sguardo ai computer MSX, un sistema ancora non comune e che forse non lo sarà mai, probabilmente per via della sua scheda madre, un prodotto da vendere su licenza a terze parti affinché la producessero con i loro mezzi. Certo, il Commodore 64, l’Amstrad, l’Apple II e i computer Atari sono stati sicuramente i più popolari negli anni ’80 ma se oggi lo scenario dei personal computer è come lo conosciamo, lo si deve principalmente a queste favolose macchine MSX che finirono per dettare degli standard in quanto a formati e reperibilità dei software. Per capire l’innovazione portata da questi computer, utili sia per il gaming che per la programmazione, bisogna dare uno sguardo allo scenario tecnologico di quegli anni.

Non fare il Salame! Compra un computer!

Negli anni ’80 i computer cominciarono a far parte della vita di milioni di persone e, sia in termini di costi che di dimensioni, erano decisamente alla portata di tutti; in Nord America si assistette a un’impennata per via del crollo del mercato dei videogiochi del 1983, in quanto i genitori erano più propensi a comprare un PC per i loro figli con la quale poter sia giocare che studiare, e in Europa, e molte altre parti del mondo, avevano preso piede ancor prima delle console rudimentali come Atari 2600, Philips Videopac (Magnavox Odyssey 2 in Nord America) o il Coleco Vision. Tuttavia, in negozio, scegliere un computer rispetto a un altro era un impresa tutt’altro che facile: ogni macchina era in grado di leggere videogiochi e eseguire programmi gestionali, creativi o educativi ma, ogni compagnia, proponeva il proprio sistema e linguaggio di programmazione e perciò, senza uno standard, la compatibilità fra le macchine era pressoché nulla; il tutto era aggravato inoltre dalle centinaia di pubblicità che proponevano sempre il loro computer come il più veloce e generalmente migliore rispetto alla concorrenza. Lo scenario era ben diverso da quello odierno in cui sono presenti principalmente due sistemi operativi dominanti e, indipendentemente dal modello fisico che si prende in esame, è molto più facile orientarsi in un mercato che dà meno alternative e in cui la compatibilità è sempre più ampia.

(Pensate, compravate un Commodore 64 per la vostra azienda ma poi, una volta a casa, accendevate la TV e c’era Massimo Lopez che vi proponeva il suo migliore computer SAG e voi entravate in paranoia!)

Negli anni ’70 un giovane Kazuhiko Nishi, studente dell’Università di Waseda, cominciava a interessarsi al mondo dei computer, software ed elettronica con il sogno di costruire una console con i propri giochi e poterla rivendere ma, dopo una visita alla fabbrica della General Instruments, capì che non poteva comprare dei chip in piccole quantità per poter sperimentare e perciò dovette rinunciare momentaneamente al suo sogno. Cominciò a scrivere per alcune riviste d’elettronica affinché potesse mettere a disposizione la sua conoscenza per la programmazione ma, se voleva trarne il massimo vantaggio da questa attività, doveva necessariamente fondare una sua compagnia e fare delle sue pubblicazioni. Dopo aver lasciato l’università, Nishi fondò la ASCII per poter pubblicare la sua nuova rivista I/O, che trattava di computer, ma nel 1979 la pubblicazione cambiò nome in ASCII magazine che si interessava più generalmente di ogni campo dell’elettronica, inclusi i videogiochi. Con il successo della rivista Kazuhiko Nishi poté tornare al suo progetto originale, ovvero creare una macchina tutta sua, ma per farlo aveva bisogno di un linguaggio di programmazione; egli contattò gli uffici Microsoft riuscendo a parlare, con la prima telefonata, con Bill Gates e più tardi, quello stesso anno, riuscirono a incontrarsi. Entrambi avevano la stessa passione per l’elettronica, più o meno lo stesso background sociale (entrambi avevano lasciato gli studi accademici) e dopo diversi meeting aderirono per fare del business assieme. ASCII diventò la rappresentante di Microsoft in Giappone e Kazuhiko Nishi divenne vicepresidente della divisione giapponese della compagnia americana. Grazie a questa collaborazione Nishi poté inserire il BASIC nel PC 8000 di Nec, la prima volta che veniva incluso all’interno di un computer, ma nel 1982, quando Harry Fox e Alex Weiss raggiunsero Microsoft per poter creare dei software per il loro nuovo computer chiamato Spectravideo, egli vide le basi per coniare il suo progetto iniziale e cominciare a produrre una linea di PC compatibili fra loro visto che la macchina era costruita intorno allo Zilog Z80, un processore che faceva da punto in comune fra diversi computer e persino console (essendo incluso nel Coleco Vision, console che, prima dell’avvento del NES, andava molto forte). Kazuhiko Nishi voleva che il suo computer fosse piccolo, come quelli che aveva prodotto alcuni anni prima per Kyocera, doveva contenere almeno uno slot per delle cartucce ROM, essere facilmente trasportabile ed espandibile e doveva contenere una versione di BASIC migliore dei computer IBM; così composto era la sua perfetta visione di computer in grado di poter garantire uno standard fra queste macchine. Poco dopo Nishi contattò tutte le più grandi compagnie giapponesi come Casio, Mitsubishi, Fujitsu, Kyocera, SonySamsung e Philips, rispettivamente, che decisero di investire in questo nuovo progetto; fu così che nacque lo standard MSX.

(Kazuhiko Nishi e Bill Gates)

Software per tutti!

Come abbiamo già detto, le macchine MSX nascono dall’unione di ASCII e Microsoft nel tentativo di fornire uno standard per i manufattori di PC. Era parere comune, ai tempi, che “MSX” stesse per “MicroSoft eXtended” ma Kazuhiko Nishi, più tardi, smentì queste voci dicendo che la sigla stava per “Machine with Software eXchangeability“. Con questo nuovo standard, tutti i computer che esponevano il marchio MSX erano dunque compatibili fra loro; perciò, cosa rendeva un’unità uguale a un’altra? Per prima cosa la CPU 8-bit Zilog Z80A, chip creato dall’italiano Federico Faggini e che ne costituisce il cervello della macchina, poi abbiamo la VDP (Video Display Processor) TMS9918 della Texas Instrument che offre una risoluzione di 256 x 192, 16 colori per sprite di 32 pixel, il chip sonoro AI36910 della Yamaha che offre tre canali e tre ottave di tonalità e infine la ROM di 32kb contenente il BASIC di Microsoft; il computer è comprensivo di tastiera ed è possibile attaccare mangianastri, strumento essenziale per i computer dell’epoca, lettore floppy, almeno una porta per i joypad e ha anche una porta d’espansione. Tipico di molti MSX era un secondo slot per le cartucce che, inserendone una seconda, permetteva miglioramenti, cheat e persino espansioni per un determinato software (dopo vi faremo un esempio). Per via delle diverse aziende che producevano i computer MSX è difficile arrivare a un numero preciso di computer venduti nel mondo ma, per darvi un idea, nel solo Giappone sono stati venduti ben cinque milioni di computer, praticamente la migliore macchina da gaming prima dell’arrivo del Famicom. Le macchine ebbero successo anche in altri paesi come Olanda, Spagna, Brasile, Corea del Sud, Arabia Saudita e persino in Italia e Unione Sovietica. Al fine di proporre una macchina sempre più potente, ci furono ben altre quattro generazioni di MSX: MSX2, rilasciato nel 1985, MSX2+, nel 1988, e MSX TurboR nel 1990. La differenza nelle prime tre stava nel nuovo processore Z80 che poteva permettere molti più colori su schermo e una velocità di calcolo maggiore, mentre l’ultimo modello presentava un processore 16-bit R800 ma purtroppo, essendo a quel punto rimasta solamente Panasonic a produrre gli MSX, non fu supportato a lungo. Come abbiamo accennato, i computer MSX erano le macchine dominanti per i videogiochi casalinghi in Giappone, anche se per poco tempo visto che il Famicom arrivò poco dopo, lo stesso anno; tuttavia, nonostante il dominio generale della console Nintendo, il sistema fu supportato fino all’ultimo e tante compagnie, come Hudson Soft e Compile, sfruttarono ogni capacità di questa curiosa macchina; l’eccezione va fatta per Konami che, nel 1983, fondò un team dedicato per produrre giochi su MSX, un anno prima di firmare per Nintendo. Finita la festa, nel 2001 Kazuhiko Nishi ha annunciato il revival del MSX rilasciando liberamente l’emulatore MSXPLAYer, dunque, eticamente, siamo liberi di goderci questi giochi sul nostro PC (anche perché il Project EGG, una piattaforma simil Steam per i giochi per computer giapponesi, qui non c’è); tuttavia, nulla vieta di recuperare l’hardware originale anche se dovete tener conto dell’alto prezzo dei giochi; un’ultima buona alternativa è recuperare la Konami Antiques MSX Collection per Sony PlayStation e Sega Saturn che vi permetterà di giocare a molti titoli (la versione per la prima è divisa in quattro dischi mentre la seconda include tutti i giochi). Diamo uno sguardo a 10 giochi essenziali di questa macchina (ci scusiamo in anticipo se la maggior parte dei giochi saranno Konami!).

10. King’s Valley 2

Un platformer che unisce elementi puzzle alla Lode Runner. Per procedere ai livelli successivi servirà collezionare tutte le pietre dell’anima sparse negli stage utilizzando i vari strumenti presenti, cui potremmo utilizzarne solo uno per volta. Man mano che si procede, gli scenari diventeranno sempre più grandi e difficili perciò non bisogna prendere questo gioco sottogamba. Una feature interessante, molto avanti per i suoi tempi, era l’editor dei livelli: una volta completati si potevano salvare in un floppy e scambiarli con gli amici.

9. Treasure of Usas

Un action platformer poco conosciuto ma comunque molto curioso che potrebbe interessare molto ai fan di Uncharted e Tomb Raider. Wit e Cles sono due cacciatori alla ricerca del tesoro di Usas e dovranno attraversare cinque città antiche per poterlo ritrovare. Il primo ha una pistola e migliori abilità nel salto mentre il secondo è un maestro di arti marziali e più agile. Le loro abilità sono migliorabili collezionando le monete negli stage e il gioco presenta la curiosa meccanica degli umori:  nello stage infatti, sono sparse le cosiddette carte dell’umore che, una volta raccolte, cambieranno i nostri attacchi. Una vera chicca se siete amanti di Castlevania o Mega Man.

8. Penguin Adventure

A Hideo Kojima game… ebbene si! Prima di Snake e i loschi tipi di Death Stranding (di cui non sappiamo ancora nulla) il noto programmatore ha prodotto questo gioco “puccioso” in cui dobbiamo far riunire Pentaro alla sua amata principessa. Nonostante il gioco abbia una struttura arcade apparentemente semplice, ovvero una sorta di platformer automatico simil 3D  (oggi potremmo definirlo un runner per smarphone), questo gioco ha molte meccaniche intriganti come un in-game store, warp zone, tanti easter egg e persino un finale alternativo. Mai giudicare un libro dalla sua copertina!

7. King Kong 2

Essendo liberamente ispirato al film King Kong Lives (o King Kong 2), controlleremo Hank Mitchell alla ricerca di Lady Kong. Raccomandiamo questo titolo ai fan del primo The Legend of Zelda in quanto molto simile e con tante caratteristiche interessanti che lo rendono davvero un bel gioco. Siate sicuri di trovare la rom patchata” poiché non è mai stato rilasciato in Europa.

6. Vampire Killer

Sembrerebbe un porting per MSX2 di Castlevania per NES ma così non è; sebbene il gioco abbia più o meno la stessa grafica, esso presenta un gameplay totalmente diverso. Questo titolo, anziché concentrarsi nelle sezioni di platforming, è più basato sull’esplorazione e il puzzle solving: per avanzare bisognerà trovare la skeleton key e per farlo ci serviranno armi, oggetti e chiavi per aprire forzieri contenti power up che si riveleranno utili allo scopo. Il gioco ha un pacing ben diverso dall’originale per NES ed è raccomandato ai giocatori più pazienti (anche perché le vite sono limitate e mancano i continue) ma anche ai più accaniti fan della saga.

5. Aleste

Unico gioco non Konami di questa lista, è uno shoot ‘em up sensazionale di Compile; uscito originariamente per Sega Master System, questa versione presenta due stage extra e una difficoltà più abbordabile. Di questo gioco stupiscono principalmente la grafica, la strabiliante colonna sonora resa con un chip FM montato sulla cartuccia e l’azione velocissima (tipica della serie) che da vita a battaglie in volo spettacolari. Provare per credere!

4. The Maze of Galious – Knightmare II

Concepito originariamente per competere con Zelda II: The Adventure of Link, The Maze of Galious è un difficilissimo metroidvania per i più allenati. In questo popolarissimo titolo per MSX, bisognerà esplorare un castello immenso alla ricerca delle dieci sub aree, dove risiedono demoni da sconfiggere, ma anche degli oggetti sparsi nel castello che espanderanno le abilità dei nostri Popolon e Aphrodite. The Maze of Galious è il secondo titolo della saga Knightmare, il cui primo titolo era un top down shooter alla Ikari Warriors e il terzo un RPG (per MSX2), ed è certamente il più bello. Nel 2002, questo titolo è stato soggetto di un curioso remake non ufficiale e il suo acclamato gameplay è stato ripreso nel similissmo La Mulana, considerato il suo sequel spirituale. Se siete fan dei metroidvania questo è certamente un titolo da giocare, anche per coloro che apprezzano le vere fide come Ghosts ‘n Ghouls, il già citato Zelda II o, chissà, magari anche Dark Souls! Vi raccomandiamo di giocarci con un walkthrough o almeno una mappa del castello; se siete dei masochisti fate pure senza!

3. Nemesis 2 e 3 + Salamander

Un pari abbastanza assurdo ma vi assicuriamo che non c’era modo per rendere giustizia a questi tre spettacolari titoli. I primi due sono dei sequel di Gradius mentre il Salamander proposto su MSX è completamente diverso dalla controparte per NES. Questi titoli della saga di Gradius su MSX presentano, insieme a delle colonne sonore squisite espresse con l’esclusivo chip SCC, un gameplay profondissimo attraverso power up espandibili, oggetti e sezioni bonus nascosti nei livelli e lo storytelling più dettagliato della saga. In Salamander, inoltre, per ottenere il finale migliore bisognerà inserire la cartuccia di Nemesis 2 nel secondo slot per completare il vero livello finale e mettere fine alla minaccia dei bacterion; altro che DLC e Amiibo! Nemesis 2 e Salamander sono i titoli più difficile mentre Nemesis 3: The Eve of Destruction è il più accessibile, perciò, se volete provarli, vi consigliamo di partire da lì. Tuttavia, dovrete abituarvi allo scrolling “scattoso” di questi titoli in quanto gli MSX, prima della seconda generazione, non erano in grado di offrire un’azione fluida e senza problemi;

2. Metal Gear e Metal Gear 2: Solid Snake

È più che risaputo che la saga di Metal Gear ha origini nel MSX2 e che quelli per NES non sono i veri punti iniziali della saga (per Snake’s Revenge, sequel non canonico del primo titolo, Hideo Kojima non era neppure stato chiamato per lo sviluppo del gioco). Entrambi i Metal Gear, soprattutto il secondo, sono dei giochi incredibili per essere dei giochi in 8-bit e, nonostante in molti ignorino questi due titoli, sono fondamentali per la fruizione dell’intera saga. Molte degli elementi visti in Metal Gear Solid come le chiavi sensibili alla temperatura, l’assalto all’interno dell’ascensore, l’abbattere l’Hind-D con i missili stinger e lo sgattaiolare nei condotti d’aria erano già stati introdotti in Metal Gear 2: Solid Snake; altri due titoli immancabili per MSX e giocabili persino in Metal Gear Solid 3: Subsistence. Non avete scuse per non giocarli!

1. Space Manbow

Questa rubrica si chiama Dusty Rooms e, pertanto, lo scopo è quello di farvi riscoprire titoli dimenticati e particolarmente interesanti; considerate quest’ultima entrata come un nostro personale regalo. Space Manbow è uno shoot ‘em up strabiliante pieno d’azione e retto da una grafica dettagliatissima per essere un gioco 8-bit, una colonna sonora spettacolare resa col chip SCC e un gameplay vario e mozzafiato, reso ancora più intrigante grazie allo scrolling fluido del MSX2 (cosa di cui i titoli di Gradius non poterono godere). Nonostante le lodi di critica e fan, Space Manbow rimane, a tutt’oggi, relegato a MSX e Konami, al di là di qualche cameo in qualche altro titolo, non ha mai preso in considerazione l’idea di un sequel (anche se ne esiste uno non ufficiale fatto dai fan uscito tanti anni dopo su MSX2), né allora né tanto meno adesso. Diamo a questo capolavoro l’attenzione che merita!

Honorable mentions

Che dire? Dieci posizioni sono veramente poche per una console che ha dato così tanto ma qui, vi vogliamo dare un altro paio di titoli da rivisitare su MSX:

  • Snatcher & SD Snatcher: altri due titoli di Hideo Kojima. Il primo è una visual novel mentre l’altro ricalca la stessa storia ma in veste RPG. Recuperate il secondo su MSX2 ma giocate Snatcher altrove in quanto la versione per MSX è incompleta e inconcludente.
  • Xevious: Fardraut Saga: da un semplice coin-op per arcade a uno SHMUP moderno con trama ed espansioni varie. Un titolo decisamente da recuperare!
  • Eggerland 2: il secondo gioco della saga di Lolo e Lala. Un puzzle game da capogiro per riscoprire le origini dello studio Hal.
  • Ys (I, II & III): una delle saghe RPG più strane e sottovalutate di sempre. Giocare questi titoli su MSX non è raccomandabile per via della barriera linguistica ma il loro aspetto su questo computer è decisamente sensazionale.
  • Quarth: un puzzle game Konami molto interessante che metterà alla prova il vostro ingegno. Un’altro bel gioco da recuperare

(Per finire, vi lasciamo con questa bella intervista con Bill Gates e Kazuhiko Nishi riguardo i computer MSX)

(E questa fantastica pubblicità italiana!)



Speciale E3 2018: Conferenza Nintendo

Ed eccoci qua! Dopo le conferenze Ubisoft, Sony e Pc Gaming parte la conferenza Nintendo, un direct pieno di sorprese e a un orario veramente comodo per gli spettatori italiani. Diamo uno sguardo ai titoli annunciati e che, nei prossimi tempi, giocheremo sui nostri Nintendo Switch.

Si comincia con una ip non Nintendo totalmente nuova: Marvelous Entertainment ci ha presentato Daemon X Machina, un gioco incentrato sulle battaglie fra mech alla Gundam e che ricorda vagamente Virtual On. Una delle sorprese più belle di questa conferenze e che ci lascia onestamente con molta curiosità. Davvero interessante!

Un regalino per chi gioca Xenoblade Chronicles 2 e ha acquistato il season pass: un prequel intitolato Torna – The Golden Country e disponibile dal 21 Settembre. Il gioco avrà anche una versione fisica per chi volesse acquistare il pacchetto completo sin dall’inizio; una vera chicca per chi non ha ancora preso in esame l’acquisto di Xenoblade Chronicles 2.

Finito il trailer è apparso Reggie Fils-Aime che, dopo una bella introduzione sulle diverse opzioni di gioco che offre Nintendo Switch, ha mostrato Pokémon Let’s go Pikachu e Pokémon Let’s go Eevee: il presidente di Nintendo of America ha illustrato le funzionalità di condivisione con Pokemon Go e le battaglie competitive con gli amici, per la prima volta, su un sistema solo. Ma ciò che ha rubato la scena è decisamente la Pokeball Plus, mostrata nei trailer qualche settimana fa ma il cui utilizzo rimase un po’ ignoto: al di là dell’utilizzarlo come sostituto per un Joycon, sarà possibile portare con voi un Pokémon dal gioco e utilizzarlo al di fuori dal suo contesto originale. Chi acquisterà questo gadget, che uscirà il 16 Novembre 2018, avrà inoltre Mew in regalo, uno dei Pokémon più rari di sempre.

Abbiamo poi una sorpresa del tutto inaspettata, il ritorno di uno dei giochi più divertenti del panorama Nintendo: Super Mario Party. Al centro dell’attenzione è l’interattività fra più schermi di Switch se utilizzati in modalità portatile: l’azione potrà dividersi e dare a tutti i giocatori una prospettiva diversa dei divertentissimi minigiochi che contraddistiguono da sempre il gameplay di questo divertentissimo brand.

E dopo un titolo mobile e un musou, ecco che arriva Fire Emblem: Three Houses, un gioco che riprende la forma più classica di questo brand Nintendo. Apparentemente nulla di nuovo ma il trailer mostrato è senza dubbio esaustivo, mostrando un buon comparto tecnico e delle belle cutscene in stile anime; si aspetta questo titolo per la primavera 2019.

Preannunciato, aspettato e certi di vederlo a questa E3 2018: la frenesia di Fortnite arriva integralmente su Nintendo Switch, una console che, senza dubbio, saprà utilizzare la sua natura online e cross-platform (che, secondo le ultime indiscrezioni, funziona con tutte le console eccetto la PlayStation 4). Tuttavia, la più grande sorpresa è che il gioco è già disponibile negli store di tutto il mondo; perciò, agguantate i controller e cominciate pure a scendere in campo!

Dopo questo bel trailer, Reggie è tornato sotto i riflettori, introducendo una serie di titoli indipendenti per Nintendo Switch: si aprono le danze con Overcooked! 2, un sequel che introduce nuove ricette, personaggi, cucine, abilità, come quella di lanciare gli ingredienti, modalità e la possibilità di giocare con gli amici in cooperativa locale o online.

L’attenzione si è poi spostata a Killer Queen Black, un gioco originariamente per arcade e che sta per fare il suo debutto su Nintendo Switch; il suo originale gameplay è molto simile a Joust e, contrariamente al titolo storico di Williams, sarà possibile giocare in due squadre da 4 giocatori ciascuno, per un totale di otto. La sua uscita è prevista per il 2018 ma non è stata annunciata una data precisa.

Altro titolo che potrete giocare già oggi (per 14,99€) è Hollow Knight, un metroidvania sensazionale e pluripremiato che, come tipico del genere, si divide fra sezioni di esplorazione e azione infuocata; la versione per Nintendo Switch includerà inoltre tutti i DLC rilasciati originariamente PC.

Ancora un aggiornamento per Octopath Traveler che, come annunciato nello scorso Direct, arriverà giorno 13 giugno esclusivamente su Nintendo Switch: proprio il giorno dopo sarà possibile scaricare una nuova demo che includerà il primo capitolo di ogni personaggio.

Dopo questi tre titoli, il presidente di Nintendo of America ci ha riempito con una valanga di titoli per Switch, alcuni in uscita e altri già disponibili: Starlink (10 Ottobre) con il suo DLC esclusivo a tema Star FoxArena of Valor (autunno 2018), Minecraft (21 Giugno), Sushi Striker: the way of Sushido (già disponibile), il DLC Donkey Kong Adventure per Mario + Rabbids: Kingdom Battle (26 Giugno), Pixark (autunno 2018), l’annuale Just Dance 2019 (25 Ottobre), Dragon Ball Fighterz (imprecisato 2018), Splatoon 2: Octo Expansion (Estate 2018) Captain Toad Treasure Tracker (13 Luglio), Crash Bandicot: N-sane Trilogy (29 Giugno), Ninjala (primavera 2019), Carcasonne (2018), l’update per FIFA 18 contenente il Mondiale di Russia (già disponibile), FIFA 19 (28 Settembre), Ark: Survival Evolved (autunno 2018), Wasteland 2: Director’s Cut (autunno 2018), Paladins: Champions of the Realm (già disponibile), Fallout Shelter (già disponibile), Dark Souls Remastered (estate 2018), SNK Heroines: Tag Team Frenzy (7 Settembre) Monster Hunter Generation Ultimate (28 Agosto), Wolfenstein II: the New Colossus (29 Giugno), The World Ends with You (autunno 2018), Mega Man 11 (2 Ottobre) e Mario Tennis Aces (22 Giugno).

Dopo una breve parentesi di Shinya Takahashi, general manager della divisione entertainment planning & development, la parola è passata a Masahiro Sakurai che ha mostrato in dettaglio il gameplay del nuovo Super Smash Bros. Ultimate. Sarà il più vasto titolo della saga, in quanto includerà ogni personaggio mai apparso nei capitoli precedenti; ciò significa che troveremo, oltre ai più classici Mario, Link, Samus, Kirby e Captain Falcon, anche tutti quei personaggi non-Nintendo, come Snake, Pac Man, Mega Man, Bayonetta, Ryu e Cloud. Saranno inclusi diversi costumi alternativi e i nuovi echo fighters che, al di là del semplice cambio di skin, avranno anche delle piccole differenze in termini di gameplay: sarà possibile, per esempio, scegliere Daisy da Peach, Lucina da Marth e Dark Pit da Pit; inoltre, molti Smash finali e caratteristiche di alcuni singoli personaggi verranno ridisegnati per bilanciare il gameplay. Torneranno, ovviamente, tutti gli stage classici, fra cui il popolare Big Blue, il Castello di Peach e le Cascate di Donkey Kong, insieme ad alcuni nuovi, come la Torre delle Origini di The Legend of Zelda: Breath of the Wild e tutti gli stage, avranno una forma Battlefield e una forma Omega; come se non bastasse, riavremo tutte le armi classiche e gli assist trophy, fra cui il nuovissimo Bomberman insieme a molti altri. Verso la fine ci vengono svelati ancora nuovi dettagli riguardanti il gameplay più puro, come aggiornamenti riguardanti le schivate e gli smash, ci viene garantita la compatibilità con gli Amiibo e, come fu per il precedente Super Smash Bros. for Wii U & 3DS, col controller del GameCube (anche se non capiamo se sarà installabile direttamente via USB). Finita la lunghissima presentazione ci vengono svelate due fantastiche sorprese: la prima è l’inclusione di Ridley, lo pterodattilo a comando dei pirati spaziali nella saga di Metroid, e la seconda è la data d’uscita fissata per il 7 Dicembre, giusto in tempo per averlo per le feste natalizie.




Dusty Rooms: la saga di Thunder Force

Come abbiamo ribadito in molti altri nostri articoli, la retromania è in piena attività; molti titoli vengono riscoperti e sempre nuovi modi per giocarli, che riguardino nuovi hardware come le retroconsole, le console originali o altri discussi nella precedente rubrica, vengono proposti ai giocatori più nostalgici. Oggi, specialmente su Nintendo Switch e Steam, un vecchio genere videoludico sta tornando di moda e i più appassionati sperano ogni giorno nel ritorno delle loro saghe preferite, che siano sequel, remake o remastered: parliamo degli shoot ‘em up, uno dei generi più antichi del gaming e uno dei più iconici. Negli anni ‘80 e ’90, sia nelle arcade che a casa, titoli come Gradius, R-Type, 1943, Darius, Pulstar e molti altri erano sulla cresta dell’onda e appassionati e casual hanno sempre apprezzato questo genere per la sua natura avvincente e tosta difficoltà; nonostante il genere fosse in continua evoluzione (vedi l’avvento, più tardi, dei Bullet Hell) e continuavano a uscire titoli sempre più raffinati, come Radiant SilvergunEinhänder, Darius Gaiden, Ikaruga, Gradius V e R-Type Final, in occidente fu messo da parte poco per volta e molte nuove uscite furono riservate al giappone dove gli SHMUP (abbreviazione comunissima di “shoot ‘em up”) sono sopravvissuti nonostante il calo nelle arcade (che per loro non fu destabilizante). A oggi il genere è abbastanza in fermento grazie alle uscite indie, come Crimzon Clover: World Ignition e Super Hydorah, e ai colossi del genere, come CAVE , G.Rev e Treasure, che allietano gli appassionati con vecchie e nuove uscite, di questi tempi in tutto il mondo grazie a piattaforme come Steam, ma le sage storiche degli anni ’90, soprattutto Gradius e R-Type, sembrano in stallo.
Una delle saghe di cui si sente di più la mancanza, e una fra le più amate degli appassionati degli SHMUP, è certamente Thunder Force di Technosoft, un developer che regalò ai giocatori molti shooter come Herzog Zwei, Hyperduel e Blast Wind ma anche altri titoli come Devil’s Crush, che era un gioco pinball, e Nekketsu Oyako, un beat ‘em up; a ogni modo, Thunder Force era certamente il loro franchise di punta, una saga di titoli in grado di dettare legge sul fronte degli SHMUP e uno di quei tanti titoli della libreria del Sega Mega Drive/Genesis in grado di far voltare la testa ai possessori del Nintendo Entertainment System e persino Super Nintendo.

Le umili origini e il Mega Drive

Al contrario di ciò che si possa pensare, il primo Thunder Force uscì nel 1983 su molti computer giapponesi come lo Sharp X-1 e il NEC PC 8801, anni prima di Gradius e R-Type (cui, solitamente, vengono considerati gli innovatori del genere); nonostante il precoce arrivo sul mercato, il gioco era un semplice “top down shooter”, sulla scia di Bosconian e Sinistar ma con i bersagli in superfice come in Xevious (dunque ben lontano da ciò che il genere sarebbe diventato più in là), e l’obiettivo era volare nell’area di gioco, con la nostra navicella della federazione spaziale, per distruggere le basi dell’Impero Orn. Un po’ come Steet Fighter (l’omonimo titolo che diede il via alla nota saga picchiaduro), il primo Thunder Force non ebbe grande risonanza nel mondo degli shooter e ciò che avrebbe reso grande la saga Technosoft doveva ancora arrivare.
Quattro anni dopo arrivò il sequel Thunder Force II, prima sul (fantastico) computer giapponese Sharp X68000 e poi su Sega Mega Drive, dove in Nord America fu inserito nella linea dei titoli di lancio. L’arrivo sulla console 16-bit fu molto importante non solo perché la saga arrivò ai giocatori di oltreocenao ma anche perché Technosoft fu uno dei primi developer a firmare per Sega ed erano pronti a evidenziare tutte le grandi caratteristiche del Mega Drive. Il titolo introdusse tantissime novità che caratterizzarono la saga di fronte alla spietata concorrenza delle altre case videoludiche: gli stage top-down vennero affiancati da degli stage sidescroller tradizionali (alla Gradius), venne inserito il sistema di power up tipico della saga ma soprattutto il nuovo timbro caratteristico dell’audio e delle composizioni (su uno stile molto rock/metal) contribuì a dare al gioco una colonna sonora, per l’epoca, spaventosa. La strategia chiave del gioco, ma più precisamente di tutta la saga, si cela soprattutto nel tirar fuori le giuste armi nel momento più propizio: come ogni SHMUP che si rispetti, in Thunder Force II bisogna collezionare i power up in volo ma, a differenza di molti altri titoli simili, tutti rimangono disponibili al giocatore ed è dunque possibile riselezionarli, durante il gameplay, a seconda della situazione che ci viene posta davanti; ogni arma, che variano a seconda del tipo di gameplay, ha i suoi pregi e difetti e pertanto conoscere ogni singolo power up (e dunque icona del gioco) è essenziale per gestire ogni tipo di situazione anche perché, se verremo colpiti, perderemo ogni power up collezionato ripartendo col pattern d’attacco base. Le due versioni sono semi-identiche ma preferire l’una o l’altra è questione di gusti personali: la versione per Sharp X68000 ha una grafica migliore, delle cutscene di presentazione, qualche power up in più e alcune clip vocali tagliate dalla versione per Mega Drive (come la famosa: «Shit!»); la seconda presenta degli stage sidescroller più ampi in larghezza, qualche arma esclusiva, una difficoltà più abbordabile e, a oggi, è possibile reperirlo con più facilità. Dopo un inizio un po’ sottotono il nuovo titolo della Technosoft era decisamente più definito e l’occidente accolse più che positivamente Thunder Force II (seppur nessuno giocò mai al primo titolo) rimanendo affamato per un nuovo titolo.

Thunder Force III e l’arrivo nelle arcade

Nel 1990 arriva Thunder Force III e anche questo, come il predecessore, porta diverse novità: ci fu un grosso miglioramento sul fronte del comparto grafico, quando si perde una vita viene perso solamente il power up che si stava usando al momento dell’esplosione, è possibile cambiare la velocità della navetta durante il gameplay e, il più importante, i livelli top-down vengono soppiantati definitivamente in favore di dei livelli sidescroller eccellenti.
Il successo di Thunder Force III, sempre fortemente caratterizzato dalle “sonorità Technosoft”, fu tale da ricevere un porting per il mercato arcade che prese il nome di “Thunder Force AC”, il primo titolo della compagnia per le sale giochi. Questo titolo era più o meno un porting della versione per Mega Drive ma furono cambiate alcune cose come l’interfaccia grafica per la selezione dei power up e i punteggi (che adesso si trovavano in basso) e due stage che furono ridisegnati e accompagnati da nuovi brani; Thunder Force AC uscì più in là per Super Nintendo con il nome di Thunder Spirits ma il porting che ne uscì fu problematico e certamente non all’altezza né del cabinato né dell’originale per Mega Drive. Il gioco soffriva di rallentamenti quando le schermate erano troppo “affollate” (chiamarli cali di framerate è errato per questo tipo di console) e, nonostante il superiore chip sonoro, non riuscì a restituire le sonorità tipiche della saga; titoli come questo confermarono con più decisione che lo SNES era, sì, una macchina superiore al Mega Drive ma il suo processore (più lento rispetto alla concorrenza) non riusciva a restituire l’azione frenetica tipica degli SHMUP e pertanto la console Sega ne ospitò diversi, uno più bello dell’altro. La migliore versione casalinga è indubbiamente quella per Mega Drive e Thunder Force III rimane a oggi uno dei migliori shoot ‘em up per il sistema.

L’eccellenza di Thunder Force IV

Thunder Force IV, rilasciato nel 1992, perfezionò un concept già eccellente di suo, portando il Sega Mega Drive, per cui ne era esclusivo, al limite delle sue capacità. Gli sviluppatori trassero il massimo sia in termini di potenza, mantenendo un azione sempre al massimo della velocità, che in termini di qualità grafica grazie a un ingegnosissimo uso dei diversi layer di scorrimento della console Sega, dando una sensazione di profondità come pochi altri titoli per i tempi; inoltre, Thunder Force IV fu uno dei pochissimi titoli del Mega Drive a essere ottimizzato per il 50Hz, il che significa che la versione PAL non solo girava a 60HZ, come un gioco NTSC, ma non aveva neppure le bande nere al di sopra e al di sotto dello schermo. I tre compositori della colonna sonora (Toshiharu Yamanishi, Takeshi Yoshida e Naosuke Arai) composero ben oltre un’ora e mezza di musica, sempre dalle sonorità rock, metal, jazz e fusion, e si avvalsero non solo del chip FM, tipico del Mega Drive, ma anche del chip PSG che era presente all’interno della macchina per permettere la compatibilità con i titoli per Master System; il risultato che ne uscì fu semplicemente strabiliante!
Thunder Force IV non fu un gioco soltanto un gioco impressionante in termini di potenza ma anche in termini di gameplay, in quanto presenta, probabilmente, i livelli più belli della serie e una nuova arma che si ottiene dopo il livello 5, e anche in termini di storytelling in quanto la scena finale lasciò i fan della saga nel dubbio più totale in quanto non si capì esattamente cosa successe al Rynex, la nave pilotata dai giocatori, al termine della cutscene di chiusura. Secondo molti, anche tenendo conto delle specifiche dell’hardware e delle tecniche utilizzate per svilupparlo, questo titolo rappresenta il punto più alto della serie; l’unica pecca di questo gioco, circoscritta solamente per il mercato Nord Americano, è il cambio del titolo in Lightening Force: Quest for the Darkstar, scritto per altro con un errore ortografico (la grafia corretta è “lightning“), e perciò, nonostante le ottime recensioni e riscontri nei negozi, pochi fan sapevano che questo titolo era in realtà il sequel di Thunder Force III.

Il salto al 3D

Con l’arrivo del Sega Saturn, prima di rilasciare il successivo episodio della saga, Technosoft decise di rilasciare nel 1996, in Giappone, una bellissima collezione, divisa in due volumi, contenente tutti i titoli della serie (escluso il primo): Thunder Force Gold Pack 1 conteneva Thunder Force II e III, mentre il Gold Pack 2 conteneva Thunder Force AC e VI. Il nuovo Thunder Force V, uscito nel 1997 per la console 32-bit di Sega, fu il più profondo in termini di storyline: il Rynex vagò per secoli nello spazio in condizioni critiche e fu trovato da dei terrestri che ripresero il controllo della nave grazie a un’intelligenza artificiale sulla luna che, più avanti, si sarebbe ribellata e avrebbe dichiarato guerra alla terra. In termini di gameplay fu introdotta una bellissima nuova arma chiamata “Free Range” e la possibilità di mandare il propri power up in “over weapon”, rendendoli temporaneamente più potenti ed efficaci rispetto alla loro forma base. La maggior parte degli elementi sullo schermo, soprattutto la nave pilotata e i nemici, furono resi in 3D ma il gioco mantenne il suo stile 2D e ciò lo rese impopolare di fronte al nuovo scenario videoludico più interessato in giochi esplorabili in tre dimensioni; neppure la versione per la più popolare Sony PlayStation, rilasciata l’anno successivo in tutto il mondo, sembrò attecchire con i fan, specialmente con i più casual di cui solitamente la saga riusciva ad attrarre facilmente a sé.
Thunder Force V è un titolo a ogni modo solidissimo e la sua colonna sonora è fra le più spettacolari della sua saga, specialmente grazie supporto ottico che permise una qualità audio nettamente superiore ai chip sonori delle console della vecchia generazione. Anche qui, come un po’ per Thunder Force II, scegliere l’una o l’altra versione è questione di gusti: la versione per Sega Saturn (uscita solo in giappone) ha la migliore grafica, migliori effetti grafici e qualità sonora mentre quella per PlayStation, seppur soffre nei comparti in cui la concorrenza è migliore, ha un miglior rendering dei filmati, effetti sonori più complessi, modalità di gioco, artwork e easter egg aggiuntivi e può vantarsi di meno cali di framerate.

Un ritorno sottotono e tardivo

Un sesto Thunder Force era in programma per il Sega Dreamcast ma con il fallimento della console il progetto fu scartato; tuttavia, nonostante non esista uno screen di questo progetto, la colonna sonora fu rilasciata con il nome di Broken Thunder.
A ogni modo, Technosoft si tirò fuori dall’industria videoludica e chiuse i battenti nel 2001 reincarnandosi nella società “Twenty-one company” che si occupa di ricerca e sviluppo e detiene i diritti delle loro IP; Sega riuscì ad acquisire i diritti per Thunder Force VI e in seguito fu sviluppato per PlayStation 2 e rilasciato esclusivamente in Giappone nel 2010. Nonostante contenesse numerosi riferimenti ai vecchi titoli, Il gioco, che uscì abbastanza tardi per essere un gioco della generazione dei 128-bit, fu ampiamente criticato per la facilità generale del gioco, dal momento che il giocatore aveva accesso a tutte le armi sin dall’inizio, per la mitezza degli stage e dei movimenti della telecamera poco curati. Il rilascio per una console considerata obsoleta e circoscritta al Giappone non aiutò la serie a riemergere dal dimenticatoio.

Nuovi propositi

Dopo questa breve riapparizione della saga, Sega ha annunciato nel 2016 di aver comprato le IP della Technosoft dalla Twenty-one company e perciò possono sviluppare le loro IP per dei futuri progetti; quello stesso anno Thunder Force III prese parte all’ultima parte di Sega 3D Classic Collection per Nintendo 3DS ma di recente, esattamente lo scorso aprile, hanno annunciato che Thunder Force IV sarà parte della collana Sega AGES per Nintendo Switch. Visti dunque gli ultimi risvolti, avremo presto un Thunder Force VII?
Beh, noi non lo sappiamo (e forse non è ancora il momento) ma vi possiamo dire con certezza che se c’è un momento per recuperare questa fantastica serie shoot ‘em up è proprio adesso. Ogni titolo di questa saga contiene sempre il giusto equilibrio fra azione e difficoltà e pertanto è una serie adatta sia ai veterani che ai neofiti del genere. Se volete affacciarvi al panorama SHMUP i giochi Thunder Force (specialmente il terzo e il quarto) rappresentano un ottimo punto di partenza e vi offriranno una sfida che, al giorno d’oggi, è semplicemente assente.




Dusty Rooms: Il retrogaming oggi: storia, prodotti, metodi ed etica

Precedentemente, in uno dei nostri speciali, abbiamo dato delle linee guida molto generali su come mettere su una collezione retrò, che sia di grandi o piccole dimensioni (quello dipende dal vostro portafoglio); sempre rimanendo in tema retrogaming, oggi vogliamo discutere un po’ della “storia del retrogaming moderno” e dei mezzi che vengono usati per godersi l’esperienza retrò, che siano legali, diffusi o, perlomeno, poco ortodossi. Non tutti disponiamo di grandi quantità di denaro né, tantomeno, spazio per custodire console, giochi e accessori e pertanto finiamo per utilizzare stratagemmi discutibili che talvolta risultano essere l’unico modo per giocare alcuni titoli (vedi Panzer Dragoon Saga). Come dobbiamo approcciare qualora ciò che ci interessa, in ambito di retrogaming, è al di fuori della nostra portata?

L’evoluzione della scena del retrogaming

Con l’arrivo della grafica 3D, più specificatamente con la quinta generazione di console (Sony PlayStation, Sega Saturn e Nintendo 64), il 2D, seppur non è mai stato abbandonato, ha perso il suo smalto e ha assunto uno status di “poco rilevante”; per quanto Castlevania: Symphony of the Night, Tombi, Mischief Makers o Silhouette Mirage fossero dei giochi spettacolari erano sempre eclissati, nelle riviste, nel primordiale internet o semplicemente nelle chiacchiere fra gli appassionati, da più grossi titoli come Metal Gear Solid, Final Fantasy VII o The Legend of Zelda: Ocarina of Time. Con l’avvento della sesta generazione il 3D raggiunse livelli eccellenti e i generi più classici sulla quale si fondarono le precedenti generazioni, quelli più collegati al 2D, vennero totalmente trascurati, divenendo quasi esclusiva delle console portatili; sono stati pochissimi – se ci fate caso – i titoli platform sidescroller su console di quell’epoca e quelli che uscirono, come Mega Man: Network Transmission o Contra: Shattered Soldier, passarono totalmente inosservati nonostante l’interessantissimo gameplay. Insieme ai platform, ovviamente, erano in crisi anche gli shoot ‘em up, le avventure grafiche, il cui disinteresse distolse totalmente la Lucasarts dal suo genere di punta (vi consigliamo, per tanto, di dare un’occhiata al nostro speciale sulle avventure grafiche), i beat ‘em up classici, eclissati dai più moderni hack and slash, etc… Tuttavia, nel 2006 avvenne una rivoluzione che, in retrospettiva, è stato uno dei motivi per cui il retrogaming (e di conseguenza anche la scena indie più tardi) è divenuto così popolare: stiamo parlando proprio della Virtual Console, servizio online lanciato insieme al Nintendo Wii: per la prima volta, dopo tanti anni, non solo un infinità di titoli per NES, SNES, Nintendo 64, Sega Master System, Mega Drive, Commodore 64 e molti altri tornavano disponibili in formato digitale ma si trovavano di nuovo sotto ai riflettori. I titoli retrò si rivelarono un successo e il servizio (che sfortunatamente terminerà definitivamente il 31 Gennaio 2019) diede voce ai moltissimi giocatori intenti sia a giocare ai titoli del passato e sia a quelli desiderosi di un gameplay più classico; il “ritorno dei pixel”, per ciò che riguarda i giochi moderni, fu sancito, infatti, definitivamente da Mega Man 9, rilasciato nel 2008 più o meno per tutti gli store digitali per console, e da allora sempre più developer fecero volentieri un “passo indietro” con risultati sempre positivi.
La “retromania” cominciò e oggi, sia per quanto riguarda le vecchie release che i giochi moderni in salsa vintage, stiamo godendo del suo massimo splendore; giocare ai titoli del passato ormai è una vera passeggiata e in ogni parte, che sia in uno store digitale o un semplice negozio di elettronica, troviamo sempre qualcosa per placare la nostra fame di retrogaming. Per prima cosa, per le console attuali e pc, si possono trovare tanti di titoli del passato, sottoforma di remastered o in formato originale (sugli store digitali), ma oggi si trovano soluzioni più convenienti nelle collection, con contenuti spesso migliorati per le TV di oggi e tanti extra: Mega Man Legacy Collection I & II, Rare Replay, e le imminenti Street Fighter 30th Anniversary Collection e Shenmue I & II sono solo alcuni dei bundle per riscoprire questi titoli che hanno fatto la storia del gaming. Se invece desiderate un’esperienza un po’ più vicina a quella originale sfruttando i joypad originali e le tv attuali (sfoggiando anche un po’ di sfarzosità) allora ci sono le mini console: NES e SNES Classic Mini vi offriranno, rispettivamente, ben 30 e 21 giochi, tutti in qualità HD e con componenti di qualità, il Sega Mega Drive Flashback di AT Games che, nonostante non raggiunga la qualità Nintendo in termini di hardware, vi darà una buona base di 85 giochi e la possibilità di utilizzare le cartucce e i controller originali, l’Atari Flashback 8 Gold, sempre di AT Games, con ben 120 giochi e caratteristiche simili alle console precedentemente citate, il prossimo Neo Geo Mini (annunciato ufficialmente da SNK) dalla forma di un cabinato con schermo, joystick arcade e casse integrate. La lista andrebbe avanti ancora per molto ma per ora vogliamo soffermarci solo, diciamo, ai canali e alle soluzioni “pubblicizzate”.

Prima di chiudere questo capitolo, però, non dobbiamo dimenticarci di altri grossi fattori culturali che hanno permesso la riscoperta delle vecchie console: stiamo parlando dei siti internet dedicati come Screwattack, Retroware, Classic Game Room (il cui show partì già nel 1999) e delle personalità a esse collegate, che diventarono parallelamente star del primordiale YouTube, come James Rolfe (ovvero l’Angry Video Game Nerd), Patrick Contri (Pat the Nes Punk), Chris Bores (Irate Gamer, oggi Chris Neo), Projared, Angry Joe, Mark Bussler e molti altri. In un epoca in cui si guardava al futuro, le arcade si svuotavano in favore del gioco online e la risoluzione HD diventava obbligatoria per il gaming queste persone rispolveravano le loro vecchie console, rievocando, anche con un po’ di rabbia, i loro ricordi a essi connessi e rivendicando un passato più semplice fatto prima di esperienze, di giochi comprati giudicando dalla copertina e da qualche debole descrizione sulla scatola o su qualche rivista, di chiacchiere a scuola e poi di tecnologia; i loro buffi show ebbero, per l’epoca, un grossissimo riscontro poiché per molti fu motivo di condivisione, un “tornare bambini” dopo una giornata di duro lavoro, magari trovare recensito quel gioco che si possedeva tanto tempo fa e non sentirsi l’unico a “rimanere bloccato in quel punto”. È impossibile non dare a YouTube, alle piattaforme indipendenti citate (nonché al succeso di Facebook e i gruppi di retrogaming ad esso collegati) buona parte del merito per l’esplosione del retrogaming.

Le terze parti, l’emulazione, le Everdrive e le modifiche

La retromania su internet spinse sempre più persone ad andare su eBay e cominciare a mettere su la propria collezione; ma come la retromania diventava sempre più popolare anche i prezzi su eBay crescevano di conseguenza e perciò cominciarono ad apparire le prime alternative agli hardware originali e persino ai giochi troppo rari sotto forma di reproduction cartdrige; alcune compagnie, come Hyperkin e Retro-Bit, sono sorte proprio per colmare molte delle esigenze relative al retrogaming, fornendo ai giocatori cavi e joypad di qualità, accessori di ogni tipo e anche console in grado di leggere cartucce di più sistemi, come appunto il Retron-5 o il Super RetroTRIO. In molti, soprattutto i puristi, non sono grandi estimatori di questi nuovi sistemi poiché, per via dell’emulazione, sono spesso presenti alcuni problemi minori per ciò che riguarda la risoluzione (nonostante molte abbiano l’uscita HDMI) e il sonoro. Gli hardware interni, poiché gli originali sono spesso difficili da riprodurre, sfruttano dei sistemi operativi proprietari e spesso questi copiano l’immagine della cartuccia inserita e li emulano nei propri sistemi.

L’emulazione, soprattutto su PC, è stata per molti anni l’alternativa per non comprare dei sistemi obsoleti su eBay e, per un certo verso, non è stato eticamente troppo sbagliato; fino a quando, con gli store online delle console e PC, i singoli giochi non sono stati resi di nuovo disponibili per la vendita, essa ha permesso la sopravvivenza di questi sistemi e questi giochi per gli appassionati e, senza di loro, oggi probabilmente non avremmo avuto cose come la Virtual Console, le mini console o il neo-annunciato catalogo online di giochi NES per Switch. In alcuni casi l’emulazione, e tutta la hacking scene a essa collegata, hanno permesso la sopravvivenza di alcuni titoli che altrimenti sarebbero andati persi per sempre: ne sono un esempio i titoli per l’esclusivo add-on giapponese Satellaview per il Super Famicom, dalla quale era possibile giocare via streaming a Radical Dreamers, una side-story di Chrono Trigger, BS Legend of Zelda e il suo sequel Ancient Stone Tablets, o l’intera scena arcade prima dell’arrivo dei titoli per Xbox Live Arcade; grazie al MAME, emulatore creato dall’italiano Nicola Salmoria, è stato possibile salvaguardare le schede che contenevano i giochi arcade e renderli disponibili fino all’arrivo dei canali ufficiali, tanto è vero che non è mai stato avviato alcun processo per violazione per copyright per i creatori del MAME. Ma se ad alcuni basta giocare su computer con una tastiera ai giochi più classici, ad altri questo non basta e allora si ricercano metodi per poter avere una riproduzione più fedele possibile senza dover spendere un capitale.

(Il Nesticle fu il primo emulatore gratuito NES mai concepito per PC. Uscito nel 1997 girava su Windows 95 e Dos)

Una delle soluzioni meno invasive e che negli ultimi anni hanno preso piede, soprattutto per le console pre-compact disk, sono le sempre più popolari Everdrive. Questi dispositivi, similarmente alle notissime R4 per Nintendo DS e 3DS, non sono altro che cartucce, modellate per ogni singola console vintage, con uno slot per le schede SD da dove è possibile inserire le rom scaricate da internet. È vero che gli store online di console e PC offrono molti dei giochi che potrebbero essere giocati legalmente ma questo è, tuttavia, un metodo per risalire alla fonte e dunque poter giocare con la risoluzione originale (ammesso e concesso che avete un televisore CRT), i joypad originali e, soprattutto, la console originale. Le Everdrive, tuttavia, sono un ottimo metodo per giocare in un insolito modo “originale” ai giochi hack (delle versioni di un gioco modificato dai fan) e con le rom di quei titoli mai usciti al di fuori del Giappone tradotti dai fan; è importante, in ogni caso, sapere che non tutti i giochi sono compatibili con le Everdrive in quanto, alcune volte, le cartucce originali includevano dei chip aggiuntivi per una migliore resa dell’esperienza (come il chip FX incluso in Star Fox o il chip SA-1 incluso in Kirby’s Fun Pack) e perciò, non potendo emulare questi pezzi di hardware, è bene conoscere quali titoli, specificatamente, non funzionano in questi curiosi dispositivi.
Esistono tuttavia, come si sa, altri metodi per rendere l’esperienza di gioco sempre più conveniente e non sempre sono molto etici: stiamo parlando ovviamente delle modifiche interne che, a differenza di quel che si possa pensare, possono servire a diversi scopi. Le console mod sono esistite sin dall’alba dei tempi e queste sono servite per motivi più o meno leciti: il taglio del quarto piedino del chip 10NES del NES europeo per permettere la lettura di tutti i giochi PAL (poiché nel continente c’erano due diverse codifiche a seconda della zona: PAL-A e PAL-B), la rimozione di due pezzettini di plastica all’interno dello slot delle cartucce dello SNES americano per renderlo, praticamente, compatibile coi giochi giapponesi, l’over clocking del Sega Mega Drive/Genesis per poter cambiare, con un interruttore, la codifica del video ma le più comuni sono quelle per leggere i backup nelle console che leggono i compact disk. Nonostante la lettura dei backup può rivelarsi un ottimo metodo per accedere all’intera libreria di giochi per console obsolete (dunque non più supportate) come Sony PlayStation, Sega Saturn e PlayStation 2, noi ve le sconsigliamo vivamente al di là dell’etica perché il dover toccare con mano i componenti potrebbe comunque danneggiare, talvolta irreversibilmente, le vostre console. Per tanto noi non contempliamo nulla di tutto ciò e, per quel che riguarda le console come queste, comprate sempre giochi originali o, se esistono, applicate una modifica software che sia facilmente applicabile e reversibile.

Qual è il nostro parere sulla “retro-etica”? Come già ribadito, viviamo in un epoca di riscoperta (potremmo addirittura chiamarlo rinascimento videoludico) e pertanto è facilissimo trovare i videogiochi retrò che ci interessano, che siano sotto forma di software digitali negli store di console e pc, all’interno di collezioni o incluse nelle spettacolari retroconsole che stanno spopolando fra gli appassionati; dall’altra parte, per ciò che riguarda il possedere gli hardware originali o dei cloni moderni con feature più vicine ai TV set moderni (come l’Analogue NT o l’AVS di Retro USB), esiste una scena attivissima sempre in evoluzione in grado mantenere vivi i vostri vecchi sistemi. Il nostro consiglio è semplicemente quello di scegliere le strade più etiche e corrette e dunque, che ci sia una grande compagnia come Nintendo o Hyperkin dietro a qualche progetto di retrogaming, sempre finanziarle e comprare tutto in maniera ufficiale, non solo per supportarle ma tanto più per far sentire la nostra voce da retrogamer e far capire che la scena a essa legata rimanga in totale attività. Lo stesso vale per le console moderne e ricordate sempre che la pirateria è un reato e pertanto comprate sempre tutto in maniera ufficiale per voi e per chi per anni ha lavorato allo sviluppo di un gioco e dunque a dissociare da ogni tipo di metodo illecito.




Dusty Rooms: La storia di Panzer Dragoon Saga

Sfuggire ai giochi classici, a oggi, è quasi impossibile; grazie alle mini console, ai remake, remastered e re-relase, che siano virtuali o fisiche, è possibile ripercorrere a ritroso la strada che ci ha portato al gaming moderno. Ci sono però casi in cui è impossibile recuperare un determinato gioco, come ad esempio quando un titolo ha una particolare licenza o è impossibile risalire al developer o publisher originale, e per tanto sperare in un rilascio odierno, che sia migliorato o “al naturale”, diventa molto difficile. Come se non bastasse, alcuni titoli, cui all’assenza nelle console odierne si unisce a una probabile magra tiratura, finiscono per costare un accidente su eBay e perciò recuperare certi titoli per gli hardware originali diventa semi-impossibile… Si passa praticamente dalla padella alla brace! Grazie all’avvento di internet, emulatori e hard/softmod varie per retroconsole è stato possibile riscoprire molti titoli dimenticati e tanti franchise, dati ormai per dimenticati, sono inaspettatamente tornati; ne sono esempio Splatterhouse, l’imminente Shaq-Fu, Shenmue 3 o Nights: Journey of Dreams.
Tuttavia, nonostante siamo in piena riscoperta del retrogaming, manca ancora all’appello un gioco, uno che appare di continuo nelle liste dei migliori RPG di tutti i tempi e persino fra i primi 50 migliori 100 giochi di tutti i tempi su IGN (nel 2005 e 2007) e che, a oggi, ha assunto uno status semi-leggendario; stiamo parlando di Panzer Dragoon Saga (o Azel: Panzer Dragoon RPG in Giappone), titolo del 1998 sviluppato dal Team Andromeda e pubblicato da Sega sulla loro console dei tempi: il Sega Saturn. Molti dei titoli della sfortunata console 32-bit, che nel tardo 2000 è diventata una delle console più in voga fra i retrogamer, hanno visto diversi rilasci per Xbox Live Arcade o PSN (vedi Guardian Heroes, Radiant Silvergun e Fighting Vipers) ma questo particolare titolo è rimasto relegato al Saturn e forse lo sarà per sempre. Come mai non è possibile fruire di questo titolo in un media moderno?

La bestia in catene

Il Sega Saturn ebbe un discreto successo in occidente ma decisamente migliore in Giappone, tanto da vendere più del Nintendo 64 in quello specifico territorio; Panzer Dragoon, lo sparatutto su rotaie sullo stile di Star Fox, era uno dei titoli più in voga e uno di quelli in grado di vendere il sistema e Sega, ne prese atto. Nel 1995, poco dopo il rilascio del primo titolo, il Team Andromeda, che era dietro il suo sviluppo, su decisione del produttore Yoji Ishiji si divise in due: uno, meno numeroso, lavorò al sequel “puro”, ovvero Panzer Dragoon Zwei, l’altro, quasi il doppio, avrebbe dovuto usare l’immaginario dell’universo di Panzer Dragoon per farne un RPG. Si sapeva già che Squaresoft stava già lavorando su Final Fantasy VII e sapendo che il VI (Final Fantasy III negli Stati Uniti) era stato un successo strepitoso, non solo dovevano lanciare un competitore nel mercato ma anche fare di tutto per superarlo. Il gioco, anche se era già pronto nel 1997 e la sua uscita fu posticipata per non competere con Grandia (che fino al 1999 rimase un’esclusiva per la console Sega), fu rilasciato nel Gennaio 1998 in Giappone e Aprile e Giugno, rispettivamente, in Nord America e Europa; nonostante il Saturn fosse già semi-abbandonato in occidente non mancarono alcuni speciali in alcune riviste ma il suo rilascio, nonostante non fu totalmente sottotono, fu totalmente eclissato dai più accessibili titoli PlayStation. Il progetto era molto ambizioso e anche dalle sole immagini promozionali e di gameplay, dall’art-style e dal semplice fatto che il gioco fosse “diviso” in 4 compact disc – eh si… i tempi in cui le dimensioni contavano! – si capiva che non era un gioco come tutti gli altri. Panzer Dragoon Saga fu uno dei primi RPG della generazione 32/64-bit interamente in 3D e il “famoso 2D” del Saturn fu usato solo per rendere pochi effetti come i raggi laser del drago o i colpi di pistola del personaggio. Altri RPG, come Grandia o il concorrente Final Fantasy VII, ricorrevano alla grafica 3D prerenderizzata e il direttore del titolo, Yukio Futatsugi, disse persino che un gioco del genere era impossibile da produrre su PlayStation, specialmente per la sua particolare palette di colori (più cupa rispetto ai colori solari della concorrenza). Il Sega Saturn espresse il suo vero potenziale in termini di grafica, che sulla carta superava la console Sony in molti aspetti, ma i veri punti di forza di questo titolo erano indubbiamente la storia e il suo unico sistema di combattimento.
Panzer Dragoon Saga narra la storia di Edge, un mercenario assunto dall’Impero per proteggere una squadra di archeologi in cerca di reliquie di un’antica civiltà tecnologicamente avanzata; gli scavi portano alla luce una lastra in cui una strana ragazza, che poi scopriremo chiamarsi Azel, è “incastonata” al suo interno (un po’ come Han Solo nel blocco di carbonite), ma un misterioso commando criminale capitanato da un certo Lord Craymen stermina tutte le persone sul luogo e ruba la preziosa scoperta. Edge viene colpito da un colpo di pistola e cade in una profondissima gola ma, sorprendentemente, riesce a sopravvivere e lì, proprio quando viene circondato da dei misteriosi droni ancestrali si fa avanti un misterioso dragone alato che lo salva e lo riporta in superfice; i pensieri di Edge e del drago sono stranamente sincronizzati, riesce a controllarlo senza dovergli dire nulla ed è come se esistesse una precedente affinità con la creatura volante. Il nostro protagonista, in groppa allo strano dragone, va alla ricerca della ragazza sperando di vendicare, nel processo, i suoi amici ma l’impero conosce il valore di ciò che Craymen ha rubato e perciò è disposto a seminare il panico in tutti i suoi territori per impossessarsi della ragazza e raggiungere la misteriosa torre, di cui si parla tanto all’inizio della narrazione, prima della flotta ribelle.

Fatta un po’ di pratica con i comandi base, visto che nelle fasi di esplorazione in volo dovremmo tenere conto degli ambienti anche in altezza, ci verrà fatto un lungo tutorial sul sistema di combattimento. A primo acchito può sembrare troppo minuzioso ed eccessivo ma a ogni battaglia impareremo tranquillamente a sfruttarne ogni aspetto (senza contare che questo è rivisitabile in ogni momento). Nella schermata di combattimento, per ciò che riguarda l’attacco, dobbiamo aspettare che almeno una delle nostre tre barre, similarmente a Final Fantasy, si riempia e una volta piena possiamo far corrispondere un’azione: fra queste troviamo l’attacco laser del drago, che prende di mira più obiettivi ma non potentissimo, una raffica di proiettili della pistola di Edge, che ne prende di mira solo uno per un attacco più potente e concentrato, l’utilizzo di un oggetto dall’inventario, il cambio dell’arma impugnata e gli attacchi speciali detti “Berserk”, che consumano punti magia (in questo gioco propriamente chiamati Berserk points). A questi è collegata l’ultima e la più interessante azione, ovvero il cambio della classe del drago. Negli RPG classici si combatte spesso in team e ognuno dei suoi componenti ha delle qualità che compensano le mancanze di altri: il guerriero è forte ma non pratico con le magie, il mago può scagliare degli incantesimi ma cade giù come una pera cotta, il ladro è tattico ma manca di forza fisica, etc… In Panzer Dragoon Saga siamo soli con il nostro drago e perciò, qualora una barra sarà piena, possiamo cambiare le sue peculiarità: possiamo renderlo più forte in attacco diminuendo la potenza delle sue magie, possiamo puntare tutto sulla difesa sapendo che ciò farà riempire le barre più lentamente, puntare tutto sullo spirito (ovvero la magia) trascurando gli attacchi principali e colpire solo con gli attacchi berserk, etc… Il cambio della classe, a ogni modo, è totalmente modulare e perciò è possibile investire, ad esempio, quel che basta nell’attacco senza sacrificare troppo l’agilità e lo spirito. A seconda di come sistemeremo qualità del drago avremo dei diversi degli attacchi berserk (che piano piano il nostro drago imparerà salendo di livello): potremmo scagliare dei laser incontrollabili se dominerà l’attacco oppure semplicemente rinforzare la nostra corazza se decideremo di puntare di più sulla difesa. Insomma, le possibilità sono infinite a seconda del nostro stile di gioco.

Ma la vera peculiarità del sistema di combattimento di Panzer Dragoon Saga, che lo fa spiccare fra tutti gli RPG concorrenti, è il suo sistema di azione in tempo reale. Le battaglie si svolgono sempre in aria e perciò i nostri nemici sono sempre in movimento. in basso al centro della schermata d’azione, accanto alle tre barre, c’è una sorta di radar circolare che indicherà la nostra posizione rispetto al nemico che è rappresentato al centro; a sua volta, questo cerchio è diviso in 4 settori che si illumineranno di verde o rosso a seconda della “pericolosità della posizione” (esistono anche le zone di nessun colore che rappresentano il neutro): le prime sono zone sicure e stando lì, se il nemico attacca, si subiscono meno danni ma non è detto che siano anche le migliori per attaccare; ci sono volte in cui sono proprio i settori in rosso, i più rischiosi, dove potremo infliggere più danni al nemico perciò, quando si presentano situazioni di questo tipo, ci toccherà attaccare e subito spostarci in una zona più sicura per evitare i loro attacchi più potenti. Infine, così come i nostri obiettivi hanno le nostre stesse tre barre (anche se non sono visibili), i nemici possono decidere di spostarsi stravolgendo i settori perciò, parallelamente a costruire la nostra strategia durante la battaglia, dobbiamo sempre stare attenti a ciò che succede nel campo di battaglia e, pertanto, muoversi di conseguenza. Sono pochi gli RPG di stampo giapponese in grado di restituire un’azione così veloce, così vicina a un action e il sistema di combattimento di Panzer Dragoon Saga non è stato ancora emulato in nessun altro titolo. Le battaglie sono chiaramente l’attrattiva principale e, nonostante possa sembrare complicato, molti neofiti di questo genere videoludico possono trovare in questo titolo delle meccaniche accessibili, che prendono tanto dallo rail-shooter (genere, appunto, dei primi due titoli della saga) e dunque che possa essere una perfetta transizione da un gameplay frenetico, alla quale si potrebbe essere solitamente più abituati, a uno in cui bisogna pensare prima di agire, sempre, però, con una certa velocità. I veterani del genere troveranno in questo capitolo un diamante nascosto, un RPG da un art-style finissimo, una storia spettacolare che prende un po’, oseremo dire, da Star Wars, Blade Runner e Mad Max, una colonna sonora mastodontica che sposa in tutto e per tutto ciò che è questo gioco e un sistema di combattimento, che abbiamo elogiato abbastanza, semplicemente al di fuori di ogni normale schema e pertanto che merita assolutamente di essere riscoperto. Ovviamente non vogliamo anticiparvi alcun risvolto di trama ma vi assicuriamo che ogni battaglia, anche la più insignificante, sarà sempre emozionante ed è ciò che rende Panzer Dragoon Saga semplicemente un gioco fuori dal comune.

I tesori… costano!

Ma ora, purtroppo, dobbiamo toccare un lato incredibilmente spiacevole per coloro che si sono incuriositi leggendo queste righe e vogliono mettere le mani su questo spettacolare RPG, ovvero la reperibilità. Alle poche unità di Saturn in occidente sono corrisposte altrettante poche unità di questo spettacolare titolo: in Nord America sono state prodotte 20.000 copie che sono state liquidate in pochissimo tempo e perciò ne sono state prodotte poche altre migliaia ma, ovviamente, non si arriva di certo al milione; in Europa la situazione è ancora più tragica in quanto, in tutto il territorio PAL, sono state prodotte solamente 1000 copie, senza alcuna ristampa successiva. Panzer Dragoon Saga, sebbene accontentò i non pochi possessori di Saturn, non riuscì ad attirare nessun nuovo giocatore nonostante i punteggi positivissimi sulle riviste. Matt Underwood, che lavorò alla localizzazione di questo titolo, disse che i toni post-apocalittici del gioco e l’art-style particolarissimo allontanò persino coloro che avrebbero potuto prendere in considerazione l’acquisto della console; le visual del gioco erano ben distanti da ciò che andava di moda ai tempi (basta guardare lo stile anime dei personaggi di Final Fantasy VII) e perciò, secondo lui, Panzer Dragoon Saga rimase un gioco di nicchia per la nicchia, un gioco forse così “avant-garde” da non poter essere goduto dallo scenario del gaming di quei tempi. I prezzi per le copie PAL e NTSC-U sono ormai alle stelle, fra le 500 e le 600€, perciò chi ha intenzione di possedere questo gioco dovrà sborsare parecchio! Una soluzione per i collezionisti si potrebbe presentare con la copia giapponese, decisamente più accessibile in termini di denaro, ma potrete usarla solo in una console NTSC-J o in Saturn europei o americani muniti di Action Replay o di una qualche modifica; inoltre, essendo un RPG, sarà importantissimo seguire la storia e perciò, se non conoscete la lingua giapponese, dovrete probabilmente lasciar perdere anche questa copia.
E allora, visto che questo gioco è così popolare su internet e fan di ogni dove chiedono questo gioco a gran voce a Sega: perché questo titolo è ancora un esclusiva Saturn? Ricordate quando all’inizio dell’articolo quando abbiamo detto che certi giochi non possono essere ripubblicati per diversi motivi? Uno di questi è la perdita del codice sorgente e Panzer Dragoon Saga rientra proprio in questo caso; Yukio Futatsuji è a conoscenza della grosso “culto” formatosi nell’era post-Saturn ma a causa della perdita di quest’ultimo è impossibile fare un porting a meno che non si ricostruisca il gioco dalle fondamenta e, con buona probabilità, Sega difficilmente finanzierà un progetto di una saga, purtroppo, nota a pochi. Arrivati in questi casi, ed è veramente uno estremo, se non volete spendere oltre le 500€ per una copia usata (sempre che sia in condizioni buone) non ci resta altro che scaricare, ahimè, la ISO della versione europea, o americana, del titolo e giocarla su computer o masterizzarla e godersela più fedelmente in una console in grado di leggere i backup. I giochi per Saturn ormai non sono più in commercio da tantissimo tempo e dunque, anche se ciò che faremo non è proprio etico, non arrecheremo alcun danno economico a Sega. Fra le due alternative vi consigliamo la seconda perché l’emulazione del Saturn, nonostante siano passati diversi anni, è ancora imperfetta per via del complicato sistema degli 8 processori interni; soltato i computer più potenti sono in grado di emulare bene i giochi per questa console e perciò la migliore soluzione potrebbe presentarsi con un insolito acquisto dell’hardware originale. Sarebbe fantastico poter giocare a Panzer Dragoon Saga con la confezione e i dischi originali ma se i prezzi su eBay sono decisamente fuori dalla portata del giocatore medio e Sega non ha alcuna intenzione di fornire questo prodotto in maniera ufficiale per PlayStation 4, Xbox One, Nintendo Switch o Steam; a noi non rimangono altro che queste strade poco ortodosse. Purtrppo, forse, Panzer Dragoon Saga è e sarà per sempre un’esclusiva per Sega Saturn.




Rumor sul Neo Geo Mini: leak delle immagini e pareri

Siamo in un era in cui il richiamo nostalgico è più forte che mai, un’epoca in cui, nei negozi, le confezioni di Playstation 4, Xbox One e Nintendo Switch sono affiancate da SNES Mini, Atari Flashback 8 Gold, Sega Mega Drive Mini e Commodore 64 Mini, perché una grossa fetta di mercato è sia intenta a rivisitare le gioie dei tempi passati che a riscoprire i classici su cui si fonda il gaming moderno. A questo party, non poteva mancare SNK, importantissima compagnia giapponese che rilasciò titoli eccezionali che rivoluzionarono il mercato arcade, sia in termini di gameplay che in termini di innovazione tecnologica; SNK, fra i retrogamer, è uno dei marchi più amati e uno di quelli, di cui oggi se ne sente di più la mancanza.

Un po’ di storia

la Shin Nihon Kikaku (traducibile in inglese come “New Japan Project”) fu fondata nel 1973 e cominciarono a produrre videogiochi dal ’79 per tutti gli anni ’80 ma fu negli anni ’90 che diventarono dei protagonisti del gaming di quegli anni. Popolari nell’home market ma soprattutto nelle arcade, la SNK rilasciò il Neo Geo MVS (che sta per Multi Video Sistem) nel 1990 segnando così un punto di svolta nel mercato; similarmente a un cabinato Nintendo PlayChoice 10, che permetteva di provare (alcune volte in anteprima) una selezione di titoli per il NES per un tempo limite dall’inserimento del gettone, era possibile installare nella macchina più di una scheda di gioco (più simile ad una cartuccia) e ciò si traduceva in più scelte per i giocatori e risparmio di spazio, energia elettrica e soldi per i proprietari delle sale giochi. La loro estrema popolarità nel mercato arcade, grazie a titoli come Fatal Fury, The King of Fighters, Samurai Showdown o Metal Slug che mostravano una grafica insuperabile e dal gameplay “easy to learn, hard to master“, portò SNK a puntare anche nel mercato casalingo e così “trasformarono” il “big red monster” nel più piccolo e presentabile Neo Geo AES (Advanced Arcade System) che riproponeva la stessa identica esperienza nella comodità di casa propria; tuttavia, nonostante il concept geniale (basti pensare al controller arcade incluso con la console), i costi di produzione per la console e per i giochi erano simili a quelli del più grande MVS e dunque l’AES finì per diventare un piacere per pochi, soprattutto per i più abbienti (senza contare le deboli campagne pubblicitarie). Per ovviare a questo problema SNK produsse il Neo Geo CD ma finì per essere una console casalinga ancora più impopolare della precedente; sebbene i CD costituivano un risparmio sia per i produttori che per i giocatori, la nuova console soffriva di tempi di caricamento lunghissimi, non includeva lo spettacolare arcade stick incluso con l’AES e il suo prezzo, nonostante tutti questi tagli per minimizzare i costi di produzione, andava ancora ben oltre la disponibilità di un giocatore medio. SNK provò un’ultima volta con le console portatili Neo Geo Pocket e Pocket Color ma, nonostante fossero sempre delle console all’altezza della concorrenza, passavano sempre in secondo piano rispetto al GameBoy Color e al popolare Bandai Wonderswan; la ­SNK dichiarò bancarotta nel 2001 ma i suoi asset furono acquisiti da Playmore di Eikichi Kawasaki, uno dei fondatori chiave della compagnia originale, e dar vita così alla nuova SNK Playmore. Perso l’interesse verso il mercato hardware e quello arcade, che piano piano diventava sempre più debole, la nuova incarnazione si concentrò soprattutto sul fronte software third party, identità che non abbandonarono mai neanche durante l’era degli MVS e AES (molti dei loro titoli uscivano tranquillamente su SNES, Mega Drive, Playstation e Saturn), e anno dopo anno la compagnia tornò in perfetta salute finanziaria; soltanto dal Dicembre 2016 la SNK Playmore ha riassunto lo storico nome “SNK” e riadottato l’originale slogan che recita: «the future is now».

Oggi…

Giusto lo scorso mese è stato confermato lo sviluppo del Neo Geo Classic Edition, stuzzicando i fan con un’immagine di qualcosa simile a un mini-cabinato, grande più o meno quanto l’iCade, coperto da un velo con il logo dello storico cabinato; tuttavia, qualche giorno fa, lo youtuber SpawnWave ha rilasciato un video in cui avrebbe mostrato delle immagini della console da lanciare a breve dategli da una fonte attendibilissima, che preferisce tenere anonima, seppur non collegata direttamente alla SNK. Le immagini mostrano un versatilissimo mini-cabinato comprendente di joystick arcade, schermo quadrato da 3 pollici e mezzo (per mantenere il rapporto dimensione dei giochi originali), casse integrate, due ingressi ai lati per i controller (non riusciamo a scorgere il connettore esatto); sul retro troviamo una porta USB C per l’alimentazione, un’uscita HDMI, il tasto d’accensione e, stranamente, anche il jack per l’uscita audio; le foto della mini-console sono state accompagnate da un’immagine dei controller, che si rifanno a quelli del Neo Geo CD, e una lista di ben 40 classici SNK, tutti giochi, a oggi, costosissimi se volessimo giocarli sull’l’hardware originale. Al di là delle immagini non è stato fornito alcun dettaglio: nessun immagine di schermata di selezione dei titoli, nessuna data di rilascio e nessun prezzo suggerito.
Ci piace pensare che le immagini mostrate da Spawn Wave siano, sì, potenzialmente veritiere ma non definitive; qualcosa ci dice che abbiamo di fronte una sorta di concept, specialmente vista l’astrusa posizione dell’uscita audio anche se, essendo la mini-console molto piccola, i cavi degli auricolari possono girarci attorno senza problemi. Anche se la fonte si presume essere molto attendibile, stiamo sempre parlando di un leak e dunque nulla è certo fino a quando la SNK non darà nuove informazioni a riguardo in maniera ufficiale. Nel frattempo possiamo solo godere di queste immagini e sperare che il prodotto finale sia più vicino possibile a quello mostrato nelle foto (anche perché l’uscita audio sul retro sarebbe veramente scomoda).