Thronebreaker: The Witcher Tales

Dai creatori della serie The Witcher, CD Projekt RED, arriva uno spin-off dedicato al single player del  gioco di carte Gwent, introdotto come mini game in The Witcher 3: Wild Hunt.
Questa volta, a differenza di Gwent (il quale è esclusivamente un titolo multiplayer) il gioco è suddiviso in due parti distinte, una esplorativa e una dedicata al combattimento; in quest’ultimo caso, le battaglie sono rappresentate sotto forma di scontri di carte in pieno stile Gwent, mentre la fase esplorativa consiste più che altro nel muoversi in una mappa isometrica, interagire con personaggi e raccogliere delle risorse, senza particolare libertà di scelta, avvicinandosi quasi alle dinamiche di una visual novel.

Il gioco è ambientato prima della trilogia dedicata allo Strigo, e ci fa vestire i panni di Meve, regina di Rivia e Lyria, la quale deve fermare l’avanzata dell’impero nilfgardiano; per fare ciò, dovrà compiere delle scelte che influiranno con il corso della nostra storia, la quale conta ben 20 finali differenti.
Non affronteremo soltanto i nilfgardiani durante la storia, ma potremo incontrare dei banditi o dei mostri appartenenti alla mitologia della famosa saga dello Strigo, oppure dovremo sedare delle rivolte dei nostri stessi sudditi. La storia è ben raccontata, con tanti dialoghi, ed è presente anche l’italiano fra le lingue selezionabili.

Il gioco è rappresentato interamente in grafica bidimensionale, con sprite disegnati a mano, non richiede grande potenza di calcolo, può girare su macchine non particolarmente potenti senza sforzo: tuttavia il colpo d’occhio è piacevole, e le animazioni svolgono il loro lavoro egregiamente.
Il comparto sonoro è di buon livello, con musiche già presenti nella saga di The Witcher e nel gioco Gwent, con l’aggiunta di alcuni brani anche originali. Il doppiaggio è ottimo anche in italiano, cosa che farà felici molti giocatori, considerando che i giochi dedicati allo Strigo non hanno mai goduto di un doppiaggio nella nostra lingua.

Come già accennato, il gameplay si divide in due fasi, quella esplorativa e quella più improntata al combattimento: in quest’ultima, dicevamo che gli scontri sono rappresentati sotto forma di partite di carte in stile Gwent, ma, oltre alle partite usuali vinte al meglio di 3 turni, possiamo trovare dei veri e propri puzzle che dovranno essere risolti in un solo turno giocando un limitato numero di carte nell’ordine giusto. Questo tipo di scontri sono spesso più impegnativi e richiedono una buona conoscenza del gioco di carte, e questo rappresenta un ulteriore elemento di sfida per gli appassionati di Gwent. Se si preferisce giocare godendosi soltanto la narrativa, o se gli scontri risultano troppo ostici al giocatore, è possibile scegliere il livello di difficoltà più basso, nel quale è possibile saltare i combattimenti a piacimento.
Dopo ogni vittoria saremo ricompensati con dei premi, che potranno essere risorse per il nostro esercito, oppure delle carte che potremo usare nel gioco, o ancora altre carte che potremo usare nel gioco dedicato al multiplayer.
Il gioco ha una durata di circa 20 ore, e ha una buona dose di rigiocabilità, grazie ai 20 finali differenti che si possono raggiungere effettuando scelte differenti durante la partita.

CD Projekt RED con questo titolo prova a far conoscere il gioco di carte Gwent agli amanti del single player, che oltre agli scontri contiene anche una parte esplorativa con una storia ben narrata antecedente alla trilogia di The Witcher. Tutto sommato è un buon gioco, ma a nostro avviso non è esattamente per tutti date le sue commistioni con i card game, quindi, se si cerca un RPG di stampo più classico, conviene guardare altrove. Per gli amanti di Gwent, Thronebreaker: The Witcher Tales è un ottimo gioco che offre un buon livello di sfida e che può servire come lungo tutorial per il multiplayer.




Valkyria Chronicles 4

Nonostante gli episodi usciti su PSP, Valkyria Chronicles 4 si collega direttamente al primo episodio uscito nel lontano 2008 in esclusiva su PS3, un ibrido tra JRPG e strategico a turni con una grafica in cel-shading molto gradevole ai tempi dell’uscita. Nonostante le ottime recensioni, il gioco non fu un vero e proprio successo, e i seguiti furono dirottati sulla console portatile di casa Sony, i quali ebbero ottimi riscontri in Giappone ma non in Occidente, e dopo le scarse vendite del secondo episodio, uscito nel 2010, SEGA decise di non distribuire il terzo episodio se non in terra nipponica. Dopo anni la tendenza sembra essere cambiata, e oltre ad aver rilasciato l’intera saga di Yakuza e la remaster dei primi 2 Shenmue, nonostante il deludente spinoff Valkyria Revolution, SEGA ci riprova con il quarto episodio della saga principale di Valkyria Chronicles.

Il gioco non è un vero e proprio sequel: si svolge parallelamente al primo episodio, ma con un punto di vista differente, l’ambientazione è collocata in una realtà alternativa nella quale l’Europa del 1935 è al centro di una guerra che vede come antagonisti non più la Gallia e l’Impero del primo episodio, ma l’Impero e la Federazione Atlantica (di cui noi faremo parte). A differenza del primo episodio però non dovremo più difenderci dall’impero ma saremo impegnati ad attaccarlo (almeno nelle prime fasi di gioco), nei panni del comandante Claude Wallace, il quale essendo molto giovane commetterà degli errori che si ripercuoteranno nei rapporti con il resto della squadra, i personaggi sono caratterizzati dal tipico stile anime, presente anche negli altri episodi, e anche la storia si adatta benissimo a questo stile, alternando situazioni comiche ad altre dure e tragiche come solo gli anime giapponesi riescono a fare.

Lo stile grafico si rifà ai precedenti episodi, proponendo un cel-shading convincente, anche se con poche migliorie rispetto al prequel uscito su PS3, la conta poligonale non fa gridare al miracolo, ma la direzione artistica di gran livello permette di passare sopra a questo difetto, di certo non è un titolo per gli amanti della grafica ultra pompata.
Sul fronte sonoro ci troviamo anche vicini al prequel, con il quale il titolo condivide buona parte della colonna sonora insieme ovviamente a brani originali, anche gli effetti sonori sono molto simili, e il doppiaggio in inglese fa un discreto lavoro (questa volta però sono presenti i sottotitoli in italiano per la gioia di chi non mastica bene la lingua anglosassone), per chi invece volesse il doppiaggio in giapponese dovrà scaricare un dlc gratuito per poterlo attivare.

Purtroppo le similitudini (negative) con il primo capitolo non si riscontrano soltanto sul piano tecnico: il gameplay è praticamente invariato, con poche novità; è presente come nel prequel la “modalità libro“, dove possiamo sfogliare le pagine contenenti cutscene che sono fondamentali per capire la storia ma anche prendere parte alle missioni principali e secondarie, nonché accedere alla caserma, dove possiamo personalizzare la nostra squadra e addestrare i soldati, i quali possono aumentare di livello e apprendere nuove abilità grazie all’esperienza accumulata in battaglia. Risulta importante formare una squadra con dei membri che abbiano affinità tra di loro: non tutti vanno d’accordo fra loro, e questo può essere deleterio per la riuscita delle missioni.
Nelle missioni dovremo prima schierare la squadra esattamente come nel primo capitolo, e dovremo scegliere tra varie classi, anch’esse invariate rispetto al prequel con l’unica eccezione rappresentata dal granatiere, il quale può lanciare granate a lungo raggio con una potenza devastante, ma deve perdere molto tempo a ricaricare.
Le missioni si svolgono a turni, le unità possono muoversi fin quando la barra del movimento non si consumerà e poi attaccare, ognuna di loro avrà delle abilità uniche a seconda della classe e anche a seconda del personaggio stesso (ci sono ad esempio personaggi che potranno avere dei malus quando sono presi dal panico e via dicendo).
Il gameplay è quindi rimasto sostanzialmente invariato rispetto al primo capitolo, dicevamo, con leggerissime differenze, ma questo non deve necessariamente essere considerato un difetto, in quanto stiamo parlando di un ottimo gioco, con un bel ritmo e missioni molto impegnative, quindi anche se non innova rimarremo comunque soddisfatti dalla lunga campagna che dovremo affrontare.

In conclusione, Valkyria Chronicles 4 è un ottimo titolo che ci riporta alle origini della saga, sia perché è contemporaneo al primo capitolo, ma anche perché ha un gameplay sostanzialmente in continuità, seppur con qualche eccezione: il gioco è impegnativo al punto giusto, la storia è  ben raccontata e ci terrà incollati fino alla fine dell’avventura di Claude Wallace e della sua squadra.




Red Dead Redemption II

Ci sono pochi titoli in grado di generare hype quanto le produzioni di Rockstar GamesRed Dead Redemption II ne è la prova lampante. Oltre a essere stato premiato unanimemente dalla critica mondiale, il gioco ha venduto circa 17 milioni di copie nei primi otto giorni, una cifra pazzesca non soltanto per il mondo dei videogiochi ma dell’intrattenimento in generale.
In questa recensione cercheremo di analizzare il gioco a freddo, dopo l’ondata iniziale di hype che ha colpito anche noi, elencando sia gli innegabili numerosi pregi e anche qualche difetto.

Nel gioco, ambientato nel 1899, impersoniamo Arthur Morgan, un fuorilegge facente parte della banda di Dutch Van Der Linde,  che vede tra le sue file una vecchia conoscenza:  John Marston, protagonista del primo capitolo (come avrete capito dalle date e i personaggi, questo è un prequel di Red Dead Redemption).
Il gioco inizia con la banda di Dutch in fuga da una rapina non riuscita alla banca della città di Blackwater, i fuorilegge sono costretti a scappate sulle montagne innevate, alcuni membri della banda sono dispersi e altri sono morti durante la fuga; la situazione è abbastanza tragica e noi, nei panni di Arthur, dobbiamo aiutare i superstiti a cercare un rifugio, per poi poter andare a cercare i dispersi.
Sin dalle prime ore di gioco, si nota l’alto  livello narrativo e la bravura dei doppiatori (il gioco è doppiato soltanto in lingua inglese), i quali riescono a dare ai personaggi una credibilità raramente vista in un videogioco. Proseguendo con la storia, si abbandoneranno le montagne innevate per raggiungere un accampamento vicino la piccola città di Valentine e, da qui in poi, inizierà il vero viaggio, dove avremo la piena libertà di esplorare la mappa e dedicarci a tutte le attività secondarie.
Il comparto narrativo è qualcosa che mai si era visto in un titolo Rockstar:  la storia riesce a essere avvincente nonostante la sua lunghezza e con alcuni momenti riflessivi, necessari a farci calare nei panni del protagonista e farci empatizzare con gli altri componenti della banda. Non mancheranno infatti “festicciole” nell’accampamento – di solito dopo un colpo ben riuscito – in cui potremo sederci insieme ai compagni e bere una birra, oppure cantare insieme agli altri, giocare a poker e tantissimo altro.
Durante questi momenti, scopriremo dei risvolti dei nostri alleati che altrimenti non verremo mai a sapere durante la storia principale e il gioco è pieno di queste chicche, dove elencarle tutte risulta praticamente impossibile, sottolineando l’immenso lavoro del team di sviluppo. Alcuni giocatori probabilmente non riusciranno mai a vedere buona parte dei contenuti, rimanendo comunque soddisfatti da qualcosa che raramente si è visto in un videogame.
Andando avanti con il gioco ci saranno una moltitudine di avvenimenti, sia comici, che emozionanti, e momenti duri come un pugno allo stomaco, il tutto accompagnato da una colonna sonora indimenticabile composta da Bill Elm e Woody Jackson con brani azzeccatissimi, che ben si sposano con l’ambientazione di tipo western; inoltre, durante la storia, potremo ascoltare anche delle musiche originali, come l’indimenticabile That’s the way it is di Daniel Lanois.

Red Dead Redemption II non è soltanto un gioco incredibile dal punto di vista tecnico: il mondo di gioco è realizzato con una cura maniacale, ogni cosa rappresentata su schermo è ricca di dettagli che possono sfuggire anche dopo diverse ore di gioco; ad esempio, nei saloon il nostro protagonista può sgranocchiare delle noccioline prendendole da un piatto e, ogni volta che ne prende una, esse diminuiscono fino a quando il piatto non diventa vuoto. C’è un’infinità di esempi simili e sicuramente, ce ne sono tanti altri da scoprire per chi scrive.
Oltre a tutte queste minuzie, Rockstar ci delizia con dei personaggi principali (alcuni personaggi secondari non raggiungono purtroppo lo stesso livello) modellati alla perfezione, con animazioni facciali tra le migliori in un gioco open world, paesaggi idilliaci abitati da una fauna ricchissima e realizzata con cura e luoghi abitati che vanno da piccoli villaggi sporchi con case di legno a città lussureggianti come Saint Denis, in cui tra le altre cose, è possibile assistere a spettacoli teatrali sempre diversi con attori, ballerine di Can-Can, prestigiatori e via dicendo.
I centri abitati sono ricchi di personaggi che svolgono svariate attività a seconda dell’orario, come i negozianti che chiudono di notte per poi riaprire la mattina seguente; inoltre si ricordano di noi e del nostro comportamento nei loro confronti, relazionandosi con il nostro alter ego in maniera positiva, aggressiva o timorosa a seconda della situazione.

Il gioco offre tantissime cose da fare, contornato da un ottimo gameplay, anche se non perfetto da questo punto di vista. Infatti può capitare spesso di commettere dei crimini senza volerlo a causa dei controlli, visto che con lo stesso tasto si possono aprire delle porte ma anche aggredire altri personaggi: capita infatti, che dietro una porta passi qualcuno e premendo lo stesso tasto due volte lo attaccheremo subito dopo aver aperto la porta, commettendo immediatamente un crimine, venendo così ricercati dalle forze dell’ordine, che ci arresteranno o inizieranno a spararci se non ci arrenderemo. Quando siamo in un centro abitato si deve fare anche attenzione a non urtare le persone mentre siamo a cavallo: basta anche sfiorarle per commettere un crimine e questi, sono solo due esempi, ma possono capitare tante altre situazioni simili in cui bisogna abituarsi ai comandi.
Per quanto riguarda il gunplay, i giocatori abituati a TPS come Tomb Raider o Uncharted noteranno una certa lentezza nelle animazioni, le quali per rendere realistico il gioco, rallentano i movimenti del nostro protagonista, che ogni volta che deve sparare ad esempio, perderà del tempo per ricaricare l’arma. Inoltre la gestione delle coperture non è all’altezza dei due titoli sopra citati e tutto ciò, potrebbe far storcere il naso ai giocatori abituati a un’azione più frenetica.
Come nel titolo precedente è qui presente il Dead Eye, ovvero un bullet time in cui potremo uccidere chiunque si trovi davanti, dandoci il tempo di mirare ai punti vitali mentre i nemici saranno quasi paralizzati, rappresentando l’unico “potere sovrumano” del nostro protagonista insieme all’Occhio dell’Aquila, palesemente “preso in prestito” da Assassin’s Creed, in cui possiamo analizzare il paesaggio che ci circonda per trovare punti di interesse o seguire tracce esattamente come nel titolo Ubisoft.
A parte i difetti citati in precedenza, il titolo eccelle in quasi tutto il resto: le missioni sono davvero tante e ben strutturate, comprese le secondarie che non hanno nulla da invidiare alle missioni principali; anzi sono in grado di approfondire il background del nostro personaggio valorizzando il suo cammino di redenzione. Ogni missione ha una storia ben scritta e non capita mai di affrontarne due simili tra loro.
Oltre a queste possiamo dedicarci a una moltitudine di attività secondarie: possiamo andare a caccia, a pesca, organizzare rapine a banche o diligenze, giocare a poker, a domino o domare cavalli per poi utilizzarli o venderli. C’è così tanto da fare che la longevità raggiunge vette di tutto rispetto e se aggiungiamo la modalità online, compresa nel prezzo, siamo sicuri che si parlerà ancora di questo gioco nei prossimi anni, alla stregua di GTA V.

Il titolo Rockstar Games rappresenta con molta probabilità quanto di meglio possa offrirci l’attuale generazione videoludica. Contando anche i difetti citati in fase di recensione, non può che essere premiato a pieni voti, i quali non vogliono indicare la perfezione assoluta, ma la qualità generale dell’opera, una spanna sopra il resto delle produzioni odierne, nella sua totalità.
Non possiamo che consigliare a tutti i possessori delle console targate Sony e Microsoft l’acquisto, i quali rimarranno soddisfatti da questa lunghissima avventura ricca di momenti memorabili che difficilmente verranno cancellati negli anni a venire.




Assassin’s Creed: Odyssey

Un anno dopo l’uscita dell’ottimo Assassin’s Creed: Origins, il quale ha rappresentato un netto cambiamento con il passato grazie a un combat system riveduto e all’inserimento di alcuni elementi ruolistici, Ubisoft prova ancora a percorrere questa strada spingendo l’acceleratore ancora di più verso la componente ruolistica con Assassin’s Creed: Odyssey, che può essere considerato il primo vero RPG appartenente alla saga.

Dopo una breve introduzione ambientata ai giorni nostri, il giocatore è chiamato a scegliere il proprio personaggio, cosa che rappresenta un netto cambiamento con il passato: possiamo scegliere se impersonare un personaggio femminile o maschile,  Kassandra o Alexios, anche se Ubisoft ha dichiarato che Kassandra è la protagonista canonica di questo episodio. In ogni caso la storia sarà la medesima a prescindere dal personaggio che si sceglierà, risultando come una scelta puramente estetica.
Il nostro protagonista è un misthios ovvero un mercenario di origini spartane (il gioco è ambientato nell’antica Grecia circa 400 anni prima di Origins) il quale, sopravvissuto alla morte da bambino, andrà alla ricerca della famiglia e della verità. Dopo un breve capitolo introduttivo ambientato nella piccola isola di Cefalonia, in cui impareremo a familiarizzare con i comandi  e a intraprendere le prime missioni, il nostro protagonista partirà  attraversando l’intera Grecia, da Atene alla Macedonia, passando ovviamente per Sparta.
Come da tradizione per il franchise, incontreremo personaggi celebri come Socrate, Erodoto e Pericle, con cui potremmo interagire tra alleanze e scelte discretamente rilevanti visto che, per la prima volta nella saga, abbiamo a disposizione dialoghi a scelta multipla, che potranno portare a un diverso esito di alcune quest e a finali differenti.
La narrazione purtroppo non è il punto forte di questo titolo: la lunga avventura che dovremo affrontare non è raccontata con maestria e le interazioni con i personaggi di spicco dell’epoca risultano forse poco credibili con inoltre, una difficoltà palese a empatizzare con il protagonista il quale, essendo un mercenario, è in grado di schierarsi e combattere a piacimento con una fazione o l’altra (spartani o ateniesi) salvo poi ottenere successivamente, missioni anche dalla fazione nemica appena affrontata, come se nulla fosse accaduto.
Inoltre la trama ambientata nei nostri giorni, con protagonista la Leyla Hassan conosciuta in Origins,  assume un ruolo ancor più marginale con i rimandi alla mitologia della saga, relegati alla parte finale dell’avventura.

Il mondo di Assassin’s Creed: Odyssey è il più vasto dell’intera saga, ed è interamente esplorabile sin dalle prime ore di gioco anche via mare, grazie alla nostra nave: l’Adrestia. Inoltre, la cura per i dettagli è paragonabile a quella del prequel, offrendo scorci mozzafiato, pur rimanendo ancorato ai 30 FPS (provato su PS4 Pro).
I personaggi, anche se  ben realizzati, non risultano validi rispetto al capitolo precedente, con animazioni facciali a volte discutibili e accompagnati da una minore espressività; lo stesso discorso vale anche per i personaggi secondari, che non godono di dettagli e modellazione su alti livelli.
Anche il comparto sonoro, pur vantando una colonna sonora orecchiabile, non riesce a suscitare le stesse emozioni avutesi con Origins e anche i dialoghi in italiano sembrano soffrire dello stesso problema: infatti, si può notare alcune frasi, che dovrebbero appartenere allo stesso dialogo, vengano recitate con tonalità molto differenti, e forse accentuata da Jolanda Granato, la doppiatrice di Kassandra.  Di ottima fattura invece la controparte inglese, con tonalità e accenti adatti alle ambientazioni greche.

Il vero punto forte del gioco è rappresentato dal gameplay: gli sviluppatori hanno preso quanto di buono fatto in Origins, migliorandolo, trasformando il titolo  in un gioco di ruolo al 100%. I miglioramenti partono dal combat system, che ripropone gli stessi comandi del prequel, con l’impossibilità di utilizzare uno scudo; quindi potremo soltanto schivare o deflettere i colpi ricevuti con la nostra arma e questa modifica, rende molto più frenetici e divertenti gli scontri. Vengono inoltre introdotti diversi colpi speciali sia per gli attacchi corpo a corpo che per gli attacchi con l’arco,oltre ovviamente che per l’assassinio: potremo specializzare il nostro personaggio in una delle tre discipline attraverso altrettanti alberi delle abilità, spendendo i punti guadagnati con l’aumento di livello. Infatti ai livelli più bassi, risulta davvero difficile eliminare alcuni nemici con un colpo solo come accadeva in precedenza senza spendere adeguatamente dei punti nelle abilità di assassinio ma possiamo anche rendere più efficaci le nostre frecce spendendo punti in abilità con l’arco. Insomma, la scelta è ampia.
La libertà di personalizzazione è uno dei punti forti del gioco e spinge i giocatori a provare le diverse discipline grazie anche all’equipaggiamento che può offrire diversi bonus sia alle armi che al tipo di combattimento. Come ogni gioco di ruolo che si rispetti però, si avrà la necessità di aumentare di livello per potere affrontare nemici sempre più forti e quindi sarà richiesto al giocatore di compiere diverse missioni secondarie per poter essere del livello adatto per proseguire nella storia principale.
Per “aiutare” i giocatori, Ubisoft ha inserito un boost all’esperienza di gioco permanente, acquistabile con denaro reale: tale pratica, già presente in Origins, nonostante il gioco possa essere portato tranquillamente a termine senza il suo utilizzo, basta soltanto fare qualche missione secondaria di tanto in tanto per accumulare i punti esperienza necessari, senza grosse fatica. La presenza di questo tipo di microtransazioni mette  gli sviluppatori sotto una cattiva luce, essendo il gioco venduto a prezzo pieno, e chiedere al giocatore di pagare un prezzo maggiore per renderlo più facile è una pratica che a nostro avviso rovina l’esperienza di gioco. Speriamo venga eliminata nei titoli seguenti.
A parte questa spiacevole parentesi, Assassin’s Creed: Odyssey è un gran bel gioco, che offre svariate ore di divertimento, con numerosissime missioni secondari che garantiscono tante ore di gameplay. In questo gioco inoltre sono state inserite anche diverse missioni da affrontare in mare, in cui saremo al comando della nostra nave (come accadeva in Assassin’s Creed IV: Black Flag) che è possibile potenziare per renderla più efficace contro avversari di livello più alto che incontreremo nei nostri viaggi.
Per portare a termine la storia principale serviranno almeno 50 ore, ma non è tutto: infatti, oltre a quella, verranno sbloccati altri due filoni principali che dovranno essere affrontati a un livello avanzato e che sveleranno importanti elementi della trama. Considerato dunque che per completare anche queste storyline impiegheremo diverse ore e se aggiungiamo l’enorme quantità di missioni secondarie, il quantitativo di ore totali necessarie a completare il tutto supera abbondantemente il centinaio.

Assassin’s Creed: Odyssey è un gioco di ruolo immenso e segna un cambiamento netto con il passato, forse anche troppo per gli appassionati. Se però lo si guarda come gioco a sé stante non si può negare l’enorme impegno degli sviluppatori nel realizzare il titolo, che offre il  gameplay migliore di tutta la saga e tantissime ore di gioco. Alcuni difetti però, negano al titolo di arrivare all’eccellenza  e speriamo che Ubisoft in futuro, possa regalarci l’Assassin’s Creed perfetto che gli appassionati aspettano da lungo tempo.




Dragon Quest XI: Echi di un’era perduta

La saga di Dragon Quest può essere considerata come quella che ha definito il genere JRPG nella sua accezione più classica, persino la saga di Final Fantasy ha tratto ispirazione dal titolo targato Enix uscito nel lontano 1986 su NES, sebbene siamo giunti all’undicesimo capitolo, sono passati ben tredici anni dall’ultimo episodio puramente single player (Dragon Quest VIII uscito su PS2), in questa recensione cercheremo di analizzare i pregi e difetti di quest’opera mastodontica.

Come in ogni Dragon Quest che si rispetti, la storia ha il tono di una favola, in cui l’eroe che rappresenta la luce (il Lucente in questo caso) dovrà sconfiggere il male che rappresenta l’oscurità e riportare la pace nel mondo con l’aiuto di altri eroi.
Il gioco inizia con la nascita del nostro protagonista, principe del regno di Dundrassil, nato con una strana voglia che si illumina sulla mano sinistra; i genitori capiscono presto che è la reincarnazione del Lucente, il quale in un periodo passato aveva salvato il mondo dall’oscurità. Ben presto il castello verrà attaccato da mostri demoniaci, e la regina, nel tentativo di salvarlo, lo affida a un’ancella, la quale però non riesce a proteggerlo e lo affida alle acque di un fiume. Il piccolo verrà trovato e accudito da un vecchietto e da sua figlia che non gli riveleranno le proprie origini finché non sarà abbastanza grande da poter combattere e andare in giro per il mondo.
L’opera di Yūji Horii, benché possa sembrare banalotta, riserva dei colpi di scena degni di nota e tiene sempre vivo l’interesse del giocatore per tutta la durata del gioco, alternando momenti comici a momenti drammatici con maestria.

Gli sviluppatori hanno utilizzato l’Unreal Engine 4, e il risultato è veramente una gioia per gli occhi, la grafica cartoonesca ben si sposa con il character design del maestro Akira Toriyama (il quale ha lavorato anche ai titoli precedenti) i dettagli su schermo sono numerosi, le texture molto dettagliate e specialmente su PS4 Pro grazie alla maggiore risoluzione è difficile notare segni di aliasing, a mio avviso la miglior grafica in stile anime mai vista su console.
La stessa cosa non può essere detta per il comparto audio, specialmente per una colonna sonora che rappresenta il punto negativo del gioco, realizzata in un formato midi che richiama in maniera incongrua certi giochi per Super Nintendo, con brani sono molto ripetitivi, al punto che chi scrive ha dovuto mutare la musica a causa dell’effetto nauseante dopo tante ore di gioco: che sia una scelta per evocare la nostalgia dei vecchi titoli (anche gli effetti sonori sembrano essere usciti da una console a 16 bit) o una mossa del compositore Koichi Sugiyama atta a vendere i cd musicali con la colonna sonora del gioco suonata da un’orchestra, sta di fatto che il risultato stona con la grafica di ultima generazione e anche con le voci doppiate (in lingua inglese).

Dragon Quest XI è un JRPG di stampo classico, con combattimenti a turni, in cui si potrà attaccare con le armi oppure lanciare incantesimi di attacco o di cura, si potranno anche usare gli oggetti come le classiche pozioni di salute o di mana e via dicendo. La vera novità è rappresentata dalla possibilità di diventare “pimpante” per i personaggi che controlliamo, ovvero uno stato in cui si avrà un’attacco e una difesa maggiore e si potranno effettuare delle mosse speciali anche combinando le abilità fra diversi personaggi anch’essi pimpanti, le combinazioni sono tantissime e aumentano di potenza in base al numero di personaggi che ne fanno parte e anche alle abilità che si possono sbloccare con l’aumentare del livello.
Per buona parte del gioco gli scontri avranno un livello di difficoltà molto basso, basti pensare che non ho mai avuto bisogno di usare dei consumabili fino all’endgame, in cui la difficoltà è rappresentata maggiormente dal livello superiore dei nemici, è possibile al primo avvio del gioco modificare dei parametri che cambieranno il livello di difficoltà del gioco, come ad esempio togliere la possibilità di scappare via dai combattimenti, potenziare i nemici o guadagnare meno punti esperienza con gli scontri; non è possibile aggiustare certe opzioni a partita iniziata, se si desidererà una maggiore difficoltà in fase avanzata di gioco sarà necessario iniziare da capo.
Il titolo offre un vasto mondo da esplorare, con tantissime città da visitare, in cui incontreremo validi alleati o preziosi mercanti o personaggi che ci faranno affrontare delle missioni secondarie, fuori dalle città potremo viaggiare sia su cavalcature che a piedi, troveremo sparsi nel mondo anche dei falò in cui potremo riposare, forgiare armi o armature e salvare il gioco. Le attività saranno tantissime e, grazie anche alla semplicità del gioco non saranno mai noiose, tutto sommato è proprio l’essenzialità uno dei punti forti del gioco, non si avvertirà mai senso di frustrazione e l’avventura, anche se lunghissima, scorrerà via senza alcuno sforzo, anche grazie alle numerose attività.

Tirando le somme, Dragon Quest XI: Echi di un’era perduta è probabilmente il miglior episodio dell’intera saga, e anche uno dei migliori JRPG degli ultimi anni, che non raggiunge l’eccellenza a causa di una colonna sonora pessima in formato midi, e una difficoltà un po’ troppo bassa, ma nel complesso è un gioco che consigliamo a tutti i possessori di PS4 (la versione per 3DS purtroppo non è arrivata in occidente) senza remore, che potranno godere di questa avventura di circa 100 ore che scorreranno via senza fatica e frustrazione.




Marvel’s Spider-Man

Insomniac Games, ha prodotto tantissimi giochi principalmente per le piattaforme Sony, ma non è mai riuscita ad avere la risonanza di studi first party come Naughty Dog o Santa Monica; potrebbe però aver fatto il salto qualitativo con Marvel’s Spider Man, titolo che ha destato un grandissimo interesse nei giocatori sin dal suo annuncio all’E3 del 2016. Ricordiamo che Spider-Man è uno degli eroi più famosi dell’universo Marvel, e le vendite iniziali fanno ben sperare. In questa recensione proveremo a elencare cosa ci ha colpito positivamente, e cosa secondo noi dovrebbe essere migliorato in un potenziale seguito.

Gli sviluppatori si sono avvalsi dell’aiuto di sceneggiatori che lavorano anche nei fumetti Marvel, uno dei quali (Dan Slott) è anche il creatore di Mister Negativo, uno dei principali antagonisti del gioco.
Fin dall’inizio si vede l’amore degli sviluppatori per l’Uomo Ragno, dalla cura dei dettagli della cameretta di Peter Parker ai numerosissimi easter egg presenti in gioco. La storia, pur non raccontando nulla di trascendentale, svolge il suo compito in maniera egregia: il nostro Spider-Man vive in un universo creato appositamente per il gioco, non si parte più dalle sue origini, Peter è un ventitreenne, ha già assistito alla morte dello zio Ben, e ha alle sue spalle una notevole esperienza nei panni del tessiragnatele, ha già avuto una relazione con la bella Mary Jane Watson, la quale, a differenza dei fumetti, lavora come giornalista per il Daily Bugle e non fa dunque la modella.
Il gioco parte subito con la caccia e seguente cattura di Kingpin, famosissimo antagonista di Spider-Man e DareDevil: questa sezione serve da vero e proprio tutorial, sia per quanto riguarda l’utilizzo delle ragnatele per volteggiare tra i grattacieli, sia per i combattimenti, nonché per le fasi stealth.
Da qui in poi inizia la vera storia, in cui incontreremo moltissimi volti noti agli appassionati, alcuni dei quali in ruoli inediti, e assisteremo anche a momenti drammatici e alcuni colpi di scena (prevedibili per chi conosce i personaggi in questione).

L’impatto grafico è notevole, specialmente mentre si esplora la mappa: volteggiare tra i grattacieli di Manhattan è una goduria, particolarmente su PS4 Pro (la quale garantisce una maggiore risoluzione) con HDR attivo, il nostro protagonista è realizzato in maniera pressoché perfetta, sia per quanto riguarda la modellazione poligonale, sia per quanto riguarda le animazioni, tutto scorre nella maniera più fluida possibile anche nei combattimenti, il frame rate è sempre ancorato ai 30 fps sia su PS4 base che su Pro.
Anche le cutscene sono ben realizzare con ottime animazioni facciali, pur non risultando ai livelli delle produzioni targate Naughty Dog.
Il comparto audio è degno di nota, la colonna sonora composta da John Paesano è all’altezza di un blockbuster supereroistico, con dei brani che si adeguano perfettamente al contesto, ad esempio la musica che parte automaticamente ogni volta che esploriamo Manhattan usando le ragnatele aiuta moltissimo a calarci nei panni del personaggio, sembra quasi di essere in un film.

Insomniac Games si è ispirata ad altri titoli nel realizzare il gioco, in particolare Spider-Man 2 sviluppato da Treyarch nel 2004, del quale riprende la modalità in cui Spider-Man volteggia con la ragnatela (seppur con notevoli miglioramenti) e la serie Batman: Arkham di Rocksteady, della quale riprende il combat system, adattandolo allo stile dell’Uomo Ragno, sfruttando la maggiore agilità del personaggio per schivare gli attacchi dei nemici invece che contrattaccare come l’uomo pipistrello.
Fin quando controlliamo il nostro eroe il gioco esprime il suo massimo potenziale, dalle innumerevoli acrobazie durante le fasi esplorative si passa ai combattimenti che sono impegnativi al punto giusto e anche molto divertenti e ci spingono a sperimentare nuove mosse o gadget da utilizzare contro i nemici. Ma non è tutto: possiamo infatti anche utilizzare un approccio stealth, con cui è possibile far fuori i nemici con un solo colpo prima che si accorgano della nostra presenza.
Il nostro eroe può anche salire di livello e potenziarsi tramite un albero di abilità nel quale sono possibili miglioramenti sia per i combattimenti, sia per le acrobazie attuabili in fase di esplorazione.
La storia principale ci terrà impegnati per almeno 15 ore, ma saranno presenti un grandissimo numero di missioni secondarie o oggetti collezionabili che ci aiuteranno a sbloccare nuove tute per il nostro eroe, le quali, oltre a cambiare l’estetica del personaggio (sono realizzate in maniera impeccabile), offrono dei poteri unici che possono essere sfruttati in combattimento.
La nota dolente è invece rappresentata dalle missioni in cui si controllano altri personaggi tra cui Mary Jane, le quali, oltre a risultare piuttosto noiose, sono anche lunghe e non offrono praticamente nulla di interessante, potendo benissimo essere sostituite da delle cutscene.
Infine gli scontri con i boss risultano ben realizzati, anche se non offrono molta varietà eccetto un paio che sono invece spettacolari.

Possiamo dire che Insomniac Games ha realizzato il miglior gioco di Spider-Man di sempre, anche se non è un titolo perfetto: infatti alcune missioni secondarie ne smussano un po’ la qualità, ma grazie alle elevate vendite che sta registrando, possiamo essere quasi certi che ne uscirà un seguito, magari senza i difetti sopra citati e che porti finalmente questo studio talentuoso al successo che merita.




Più di mille licenziamenti nel settore videoludico nell’ultimo anno

Gli ultimi 12 mesi sono stati segnati da diverse chiusure nel settore dell’industria videoludica, con più di 1000 sviluppatori che hanno perso il proprio lavoro.
Dopo la quasi chiusura di Telltale Games, PC Gamer ha stilato una lista degli studi che sono stati costretti a chiudere da Settembre 2017, includendo (se noto) il numero di persone rimaste disoccupate.

  • Telltale, anche se non ha chiuso definitivamente, è rimasta con un team di sole 25 persone, che stanno lavorando per ultimare il loro ultimo progetto; ma dopo il licenziamento di almeno 250 persone, la compagnia non è altro che uno spettro di quello che era in passato.
  • A Ottobre, Electronic Arts ha deciso di chiudere Visceral Games, gli sviluppatori di Dead Space, con almeno 80 licenziamenti.
  • Motiga, gli sviluppatori del MOBA Gigantic, sono stati costretti a licenziare circa 70 persone a Novembre, rimanendo con un team di poche persone che mantengono in vita il gioco, anche se a Febbraio ne hanno annunciato la chiusura.
  • CCP, lo studio di EVE Online, ha annunciato di aver abbandonato il mercato VR, chiudendo lo sede di Atlanta e riducendo lo studio di Shanghai con circa 100 licenziamenti.
  • Gazillion Entertainment, lo studio dietro a Marvel Heroes, è stato costretto a chiudere a Novembre  a causa della fine della partnership con Marvel, lasciando disoccupate circa 200 persone.
  • The Bartlet Jones Supernatural Detective Agency, lo studio di David Jaffe che ha sviluppato Drawn to Death, ha chiuso a Febbraio, licenziando lo staff.
  • Boss Key Productions, , lo studio di Cliff Bleszinski, ha chiuso a Maggio, meno di un anno dopo il debutto del loro titolo LawBreakers. Lo studio aveva circa 60 dipendenti.
  • Wargaming, conosciuto prima come Gas Powered Games, ha chiuso lo studio di Seattle a Maggio, licenziando circa 150 persone.
  • Carbine Studios, sviluppatori di WildStar, hanno chiuso dopo più di un decennio, annunciando che il loro MMO andrà offline da Novembre.
  • Infine la chiusura dei creatori di Dead Rising, Capcom Vancouver; lo studio aveva 158 impiegati.

Le chiusure e i licenziamenti sono una triste realtà dell’industria videoludica, specialmente in questi ultimi  12 mesi. Fortunatamente, l’industria spesso corre in aiuto agli ex dipendenti di compagnie che hanno dovuto chiudere, come recentemente dimostrato dall’hashtag #TelltaleJobs che circola sui social media.




Slitta l’uscita del Sega Mega Drive Mini

Mentre Sony ha annunciato nelle scorse ore l’uscita di PlayStation Classic (che uscirà il 3 dicembre 2018), Sega ha al contempo reso noto il ritardo del lancio del Mega Drive Mini al 2019.
Sega aveva dichiarato ad aprile che il rilascio della mini console sarebbe avvenuto entro la fine del 2018.
La ragione di tale ritardo è da attribuire principalmente alla richiesta in territori al di fuori del Giappone e su ulteriori lavori di design dell’hardware e sul software, che hanno richiesto l’ingrandimento del team di sviluppo con nuovi talenti esperti nello sviluppo.




Yakuza Kiwami 2

Yakuza Kiwami 2 è (come il prequel uscito nel 2017) il remake di Yakuza 2, uscito su PS2 in Giappone nel 2006 e in Occidente nel 2008. A differenza del primo Kiwami questa volta gli sviluppatori hanno usato lo stesso motore di Yakuza 6 ovvero il Dragon Engine, con un risultato è a dir poco spettacolare, specialmente considerando la differenza tra la versione originale e la attuale.

Doppio Drago

Il gioco è ambientato un anno dopo gli eventi di Yakuza Kiwami: mentre Kiryu si trova (insieme ad Haruka) nel cimitero per visitare la tomba del padre adottivo Shintaro Kazama, incontra il nuovo capofamiglia del clan Tojo, Yukio Terada, il quale però subisce un attentato sotto gli occhi del protagonista.
Scoperti gli artefici del crimine, gli esponenti del clan Omi (che opera nel quartiere fittizio di Osaka chiamato Sotenbori), Kiryu si recherà a Osaka per incontrare il capofamiglia: lì conoscerà Ryuji Goda, imponente figlio adottivo del capo clan, il quale viene chiamato il drago del Kansai, tra i due si instaurerà da subito una forte rivalità in quanto può esistere soltanto un drago (ricordiamo che Kiryu è chiamato il drago di Dojima) a detta di Ryuji.
I due si scontreranno diverse volte durante una storia raccontata con maestria e piena di colpi di scena e momenti molto drammatici, rappresentando probabilmente l’apice dell’intera saga.

Un Dragon Engine migliorato

Gli sviluppatori hanno ricreato come nel prequel, oltre all’intero mondo di gioco, anche le cutscene, ma questa volta hanno utilizzato il nuovissimo Dragon Engine, il motore di Yakuza 6, e il colpo d’occhio risulta migliorato anche rispetto a quest’ultimo titolo, in quanto si ha un antialiasing migliore e anche il frame rate risulta molto più stabile, sempre ancorato ai 30 fps; anche la nuova area di Sotenbori (vista anche in Yakuza 0) trae un grande giovamento grazie al nuovo motore, il quale garantisce una migliore gestione dell’open world, adesso come in Yakuza 6 si può entrare negli edifici, e gli scontri non necessitano di caricamenti (che nei giochi precedenti rappresentavano una perdita di tempo e motivo di frustrazione) e possono essere affrontati anche all’interno dei negozi, dove è possibile sfruttare gli environment per eseguire determinate mosse speciali.
Come ci ha abituato la saga, le cutscene sono molto ben realizzate, e le animazioni facciali sono tra le migliori delle recenti produzioni provenienti dal Sol Levante (siamo ancora siamo lontani da un Uncharted, ma la differenza si fa meno marcata).
Una nota negativa è rappresentata dal riciclo di tanto materiale proveniente da Yakuza 6, compreso il modello di Kiryu che è identico, e questo fa un po’ storcere il naso se si pensa che il gioco è ambientato circa 10 anni prima.
Anche la colonna sonora è migliore delle precedenti, con nuovi brani realizzati appositamente e che ben si sposano con ogni situazione di gioco, mentre la qualità recitativa dei doppiatori giapponesi (anche questo titolo ha solamente il doppiaggio in giapponese con sottotitoli in inglese) è sempre ai massimi livelli, in linea con gli altri episodi.

In termini di combat system si ha un’evoluzione di quanto già visto in Yakuza 6, con un solo stile di combattimento, ma molte più mosse che è possibile imparare e scontri adesso risultano molto più impegnativi, che ci spingeranno a utilizzare una più ampia gamma di combo per uscire vittoriosi; è stato anche aggiunto il Colosseo (grossa assenza in Yakuza 6), dove potremo affrontare fortissimi avversari e affinare la nostra tecnica oltre a ottenere diversi premi.
Rispetto al gioco originale manca una piccola zona, ma è stata aggiunta una nuova modalità, in cui controlleremo il co-protagonista di Yakuza 0, il cane pazzo di Shimano, Goro Majima, in una storia in tre atti, in cui scopriremo dei retroscena inediti della storia principale: lo stile di combattimento di Goro, anche se semplificato rispetto a Yakuza 0, risulta molto divertente (anche se un po’ troppo potente).
Inoltre sono state aggiunte moltissime missioni secondarie, alcune delle quali servono al nostro protagonista ad acquisire nuove mosse o vari tipi di equipaggiamento: sono presenti come di consueto una miriade di attività e mini giochi, come i giochi arcade in cui sono presenti Virtua Fighter 2 e Virtual On, oppure potremo gestire un night club in cui potremo guadagnare grandissime quantità di denaro, o potremo aiutare l’impresa di costruzione di Goro Majima in un mini game strategico, o ancora potremo affrontare delle missioni secondarie lavorando come buttafuori in un locale.
Queste sono soltanto alcune delle attività che possiamo svolgere in Yakuza Kiwami 2, elencarle tutte in questa recensione sarebbe praticamente impossibile, il che garantisce una longevità degna di nota per un gioco del genere, un centinaio di ore potrebbero anche non bastare.

Conclusioni

Ci troviamo a mio parere davanti a quello che è l’apice dell’intera saga, sia per quanto riguarda il comparto narrativo, sia per quello tecnico, e l’elevata longevità, unita a un gameplay molto vario e divertente, rende Yakuza Kiwami 2 un acquisto consigliato per tutti coloro che conoscono la lingua inglese e non disdegnano la cultura giapponese, di cui il titolo rappresenta una vetrina molto invitante e ricca di contenuti.




The Void creerà delle esperienze VR per Marvel e Disney

The Void, compagnia che sviluppa software per la realtà virtuale e aumentata, ha annunciato che realizzerà cinque esperienze “mixed reality” basate su IP Disney e Marvel Studios.
Ultimamente sembra che l’interesse delle compagnie verso il mixed reality stia aumentando, creando esperienze più accessibili agli utenti anche se, nonostante i visori  VR/AR/MR costino sempre meno, sono ancora in gran parte ignorati dalla massa.
Come riportato da Fast Company, oltre alla partnership con ILMxLAB (ramo entertainment di LucasFilm), la prima esperienza in mixed reality sarà basata sul prossimo film Disney Ralph spacca internet – Ralph Spaccatutto 2 , che debutterà a Novembre.
Questa non è la prima volta che The Void collabora con Disney: l’anno scorso ha creato un’esperienza MR a tema Star Wars.
Sarà interessante vedere se questo tipo di esperienze incoraggeranno le masse ad adottare nuove tecnologie VR.