Recensioni

Prey – Quando l’Originalità non Paga (in Senso Stretto)

image_pdfPDFimage_print

In queste ultime settimane uno dei titoli che ha attirato maggiormente l’attenzione del pubblico videoludico è certamente Prey. Sviluppato da Bethesda, questo titolo è da considerarsi come un vero e proprio reboot del Prey del 2006, con alle spalle una storia molto diversa da quello che vediamo quest’oggi. Ci sono voluti ben undici anni di lavoro e di gestazione travagliata: il tanto acclamato sequel era stato infatti annunciato nel 2011 e poi cancellato nel 2014, per poi essere ripreso da Bethesda che decise di rilanciare il brand nonostante molti estimatori storcessero un po’ il naso.
Il gioco del 2006 è davvero migliore rispetto alla controparte moderna? Vediamo assieme di cosa si tratta.

Cherokee in space

L’inizio è di quelli che colpiscono. È una giornata come tante altre dove Tommy, il nostro protagonista e nativo americano Cherokee, lotta con il proprio retaggio e le sue origini, nella stazione di servizio insieme a suo nonno Enisi e la sua ragazza, Jen. Un elemento distintivo di Prey è proprio la caratterizzazione di Tommy: un uomo stanco di vivere come un Cherokee e che sogna di potersi godere la modernità e la libertà del XX secolo anche se, in fondo, capisce l’importanza delle radici e la propria cultura in via d’estinzione. Questi pensieri troveranno una brusca interruzione quando una nave aliena rapisce la maggior parte degli abitanti terrestri, compresi lui, Jen e suo nonno Enisi. Le priorità e sogni cambieranno improvvisamente: importerà solo sopravvivere e salvare ciò che si ama di più.
La storia di Prey è permeata prima di tutto da un percorso di crescita del protagonista, un semplice meccanico che si ritrova invischiato in qualcosa molto più grande di lui, che non diventa un mero espediente per andare da un punto A a un punto B ma un’occasione per accettare se stessi con il fardello delle decisioni difficili da prendere. Una volta arrivati sulla nave aliena, dopo esser stati prelevati da un raggio traente, quello che ci appare davanti è qualcosa di atroce: esseri umani fatti a pezzi e ridotti in poltiglia e la paura che ci soffoca e confonde dove l’unica cosa che ci farà andare aventi sarà Jen, che dopo la morte di Enisi, diventerà il nostro faro e unico motivo per continuare a vivere. Ma la morte forse è solo il principio e qui troverà risposta attraverso un piano esistenziale diverso, profondamente legato alle tradizioni Cherokee che sembra far a pugni con quanto vediamo a schermo, ma che invece regala una delle esperienze più originali del mondo videoludico.
Nonostante le premesse e le ottime idee di fondo, però, nella seconda parte dell’avventura si assisterà a una brusca accelerazione delle vicende e a un finale, sicuramente importante e simbolico, ma che probabilmente avrebbe necessitato di un maggiore approfondimento.
Una scena che fa male è quella post-credits, nella quale si assisterà al palese incipit di quello che avrebbe dovuto essere il secondo capitolo che, come sappiamo, non ha mai visto la luce.
Come detto, un punto forte è la caratterizzazione di Tommy, ma trovano risalto anche Jen e soprattutto Enisi, ultimo legame del protagonista alle sue origini. Grazie a lui sarà possibile interagire con l’aldilà, elemento che sarà molto utile in termini di gameplay, come vedremo in seguito.

Non solo preda

Prey si presenta come un FPS senza fronzoli e diretto discendente di Doom ma, a differenza di quest’ultimo, sono state aggiunte alcune feature interessanti che rendono questo titolo almeno peculiare, mouse o pad alla mano. Sono disponibili diverse armi, tutte di natura aliena e quindi una versione fantascientifica delle tipologie che tutti conosciamo. Ogni arma ha una doppia modalità di fuoco, il che approfondisce le fasi di shooting e rende adattabili alcune strategie in base ai nemici incontrati. Capiterà, ad esempio, di utilizzare il classico fucile d’assalto per falcidiare i nemici vicini ma ecco arrivare spari da molto, molto lontano: click destro del mouse e il nostro fucile diventerà automaticamente un fucile di precisione per colpire anche dalla lunga distanza. Probabilmente oggi non gridereste al miracolo vedendo qualcosa del genere ma state certi che un’introduzione di questo tipo amplia di gran lunga le possibilità di fuoco – e quindi d’approccio – alle diverse situazioni.
Ma oltre alle sparatorie c’è di più, a cominciare dai pavimenti anti-gravitazionali che spesso cambiano completamente l’approccio alla battaglia: trovarsi a testa in giù è abbastanza straniante, soprattutto agli inizi diventa difficile non provare un po’ di mal di mare. L’utilizzo dei pavimenti anti-gravitazionali diventa però strategico, dato che dipenderà spesso da noi se utilizzarli o meno. In ogni caso saranno indispensabili per la risoluzioni di piccoli enigmi e sezioni platform che ovviamente non sono il punto centrale del titolo.
Un’altra cosa ad attirare l’attenzione è l’uso dei portali spazio-temporali, che ricordano molto quelli presenti in Portal del 2007 (addirittura gli stessi colori). Sono visivamente suggestivi perché permettono di passare repentinamente da zone del tutto aperte a corridoi e viceversa, molto spesso con differenti centri gravitazionali.
Un altro tocco innovativo è il cosiddetto sistema Anima: come detto precedentemente, Enisi sarà soprattutto una guida spirituale per il nostro protagonista, al quale verranno insegnati i fondamenti delle cultura Cherokee, come in questo caso l’interazione con un piano esistenziale differente. Alla sola pressione di un tasto, la nostra anima diventerà del tutto indipendente dal corpo (sistema ripreso alla larga da Middle Earth: Shadow of Mordor) e quindi utilizzabile per accedere ad alcuni passaggi altrimenti inaccessibili e, grazie a un arco spirituale, sarà possibile colpire i nemici favorendo una bozza di sezione stealth. Ogni colpo consumerà la barra dedicata e sarà possibile ricaricarla assorbendo l’anima dei nemici sconfitti. Il suo utilizzo dipende molto dalla situazione in cui ci troviamo poiché, una volta abbandonato il corpo, esso stesso sarà un bersaglio facile. Proprio l’anima ci permetterà di essere virtualmente immortali in quanto, ricevendo un colpo critico, saremo sbalzati in un limbo dove potremo ricaricare la salute e la barra dedicata a questo potere colpendo determinati bersagli. Proprio un simile sistema è probabilmente l’unico vero difetto di Prey: non c’è una reale sfida in quanto, dopo essere usciti dal limbo, tutto riprenderà come se nulla fosse accaduto. Si ha veramente la sensazione che la morte non abbia conseguenze, dato che i nemici sconfitti rimarranno tali e chi ha perso molta salute continuerà in quello stato. Forse in questo caso sarebbe stato più furbo fare un passo indietro e lasciare il classico sistema dei checkpoint.
Un altro collegamento al mondo spirituale è Talon, un falco che Tommy possedeva durante la sua infanzia e che qui sarà utile (e del tutto indipendente) per distrarre e attaccare i nostri nemici e a indicarci l’obiettivo.
Infine, sarà possibile utilizzare anche delle navette che ampliano ulteriormente le possibilità offerte in termini di gameplay: saranno presenti in zone prefissate, come degli spazio-porti, e serviranno soprattutto per proseguire nel corso dell’avventura.

Prey ottimo direi

Prey utilizza lo stesso motore di Doom 3 e Quake 4 ma qui ulteriormente potenziato. L‘id Tech 4 regala degli ottimi scorci, e con modelli poligonali ricchi di dettagli: personaggi, ambienti, nemici e soprattutto le armi aliene con le loro continue animazioni, portano questo titolo ai vertici della qualità grafica non solo su PC, ma anche su Xbox 360.
Una nota di merito va al comparto degli effetti speciali, davvero ottimi, soprattutto se si pensa all’anno di uscita di questo videogioco: molto spesso capiterà infatti di essere abbagliati da quanto vediamo su schermo, non solo per il buon sistema di luci, ma anche grazie al contorno di esplosioni, scintille, dissolvimento dei nemici e ancora una volta nell’uso e nella visione delle armi.
Il lato artistico mostra, invece, un po’ il fianco a eccessive somiglianze con lo stesso Doom 3, soprattutto negli ambienti, molto simili tra loro, e su alcuni nemici – ma solo alcuni – per niente ispirati. Piccole macchie in un mondo che comunque risulta credibile e in una società aliena che basa la propria tecnologia sulla biomeccanica e su alcuni espedienti puramente fantascientifici che, come abbiamo visto, oltre che funzionali, sono alche molto interessanti da vedere.
In un titolo di questo livello non può ovviamente mancare un comparto audio eccellente a cominciare dalle musiche, create da Jeremy Soule, già famoso per aver composto brani per i vari lungometraggi di Harry Potter e dei vari The Elder Scrolls. Ognuno di essi avvolge sapientemente la situazione che stiamo vivendo, dalla caotica alla più drammatica, aggiungendo quel qualcosa in più al percorso di Tommy. Anche il doppiaggio si attesta su ottimi livelli (inglese con sottotitoli) non solo riguardo i protagonisti ma anche riguardo le varie voci aliene dei nemici e dei comprimari. La qualità si vede anche da questi dettagli em se ancora non bastasse, ogni suono alieno – che siano armi, i passi sui pavimenti anti-gravitazionali e persino la semplice apertura di una porta – è stato campionato apposta, proprio in nome della credibilità citata poc’anzi.

Commento finale

Il Prey del 2006 è un agglomerato di storie tristi, non solo per la trama ricca di tragedie, ma anche per la sua realtà commerciale e di sviluppo che ha visto nella cancellazione del sequel il suo apice.
Prey appartiene a un’epoca profondamente diversa da quella odierna, un tempo dove c’era ancora spazio per qualcosa di nuovo non solo in termini di gameplay ma anche di narrativa, mischiando generi diversi magari a un primo sguardo in contrasto ma proprio per questo dando vita a un risultato originale e accattivante. Nonostante l’alta qualità raggiunta in tutti i settori, Prey fu un flop commerciale e questo non fece altro che mettere una pietra tombale sull’intero progetto che, come sappiamo, è stato ripreso in questi anni da Bethesda.
In conclusione, è davvero migliore del titolo del 2017? Probabilmente sì: la voglia di osare di Human Head Studios, il team di sviluppo originale, rende il Prey del 2006 sicuramente più memorabile. Il Prey di Bethesda è senza alcun dubbio uno dei migliori giochi che potrete giocare quest’anno, eccelle in molte cose, gli puoi voler bene ma in fondo non lo ami. Consiglio a tutti di recuperare il primo Prey, capostipite di un’epoca che di lì a poco avrebbe visto l’entrata in scena di titoli come Bioshock, Mass Effect, Gears of War, Dead Space e altri entrati di diritto nella storia dei videogame.

Processore: Intel Core I7 4930K
Scheda video: Nvidia Gigabyte GTX760 4GB
Scheda Madre: MSi X79A
RAM: Corsair Vengeance 16GB
Sistema Operativo: Windows 10

Articolo PrecedenteIn arrivo Project Rap Rabbit