Hellsign

È possibile lanciare sul mercato un videogioco utilizzando degli asset base? Un videogioco che miscela trama horror, investigazione e azione in un composto forse troppo confusionario. Il paranormale è una bella attrattiva, così come il sistema di investigazione, semplicistico ma ben realizzato, al contrario di quanto avviene con le dinamiche di combattimento.
Hellsign, un esperimento di Ballistic Interactive, risulta un po’ troppo confusionario su diversi fronti: partendo dai comandi, molto macchinosi e poco precisi, fino ad arrivare alla gestione dei menù e sottomenù annessi per lo sviluppo del personaggio e la raccolta dati.

Perché Hellsign

A causa di una voglia sulla pelle, il nostro personaggio sarà destinato a divenire un “Hunter”, notizia che sembra non preoccupare minimamente il nostro alter-ego (come se fosse normale essere dei predestinati) ma, mancanza di pathos a parte, la strada è lunga e tortuosa prima di poter accedere ai privilegi di essere un vero cacciatore. Inizieremo il percorso facendo da “scout” a un team di Hunter professionisti ed è proprio da qui, che parte l’avventura di Hellsign. Dopo un brevissimo tutorial, vieni abbandonato a te stesso senza alcuna cognizione di causa: non avrai un “questlog“, né un riassunto dei compiti da svolgere durante le missioni (il ché è già abbastanza frustrante di suo) in più, anche nelle missioni che richiedono il “ranking” più basso, si affrontano nemici difficili da eliminare; tutti elementi questi, non fanno altro che portare a frustrazione, portandoci non  riprovare mai più l’incarico.

Il Gameplay

Le meccaniche di combattimento sono semplici, si spara e si schiva, ma il sistema di puntamento impreciso e scomodo, va a discapito della giocabilità in un’opera con visuale isometrica. Capiterà spesso e volentieri di far fuoco in un punto piuttosto che in quello desiderato. In Hellsign sono previsti diversi tipi di missioni o “contratti”, accessibili comodamente da una mappa riassuntiva della città, capaci di indurci a esplorare in cerca di indizi o cacciare a seconda dell’incarico, spesso in abitazioni abbandonate e infestate da entità sovrannaturali delle peggiori specie. Abitazioni che però, sin da subito, daranno l’impressione di essere identiche le une alle altre, il ché rende il tutto monotono e ripetitivo.
È presente anche un albero delle abilità da poter sviluppare per riuscire meglio nelle nostre imprese: è da notificare però, la difficoltà eccessiva per riuscire ad acquisire “skill point” adatti ai nostri scopi.

Tecnicamente parlando

Il comparto grafico di Hellsign è interessante, ma non va oltre. Una grafica pulita che con i giusti giochi di luce e ombra si colloca benissimo nella scena horror in cui vuole posizionarsi il gioco. Le animazioni invece, sembrano esser state utilizzate senza lavori di ottimizzazione: praticamente semplici asset, davvero basilari e scialbi.
Durante i nostri incarichi saremo accompagnati da un tappeto musicale composto di sonorità “ambient and noise”, accompagnato a sua volta, da “magistraliFX come il suono dei nostri passi completamente aritmici e buttati lì a casaccio.

Concludendo

Hellsign sarebbe un ottimo free-to-play, ma purtroppo non lo è. Su Steam si trova a 14,99 euro, tanto quanto Fallout 4 di Bethesda sulla stessa piattaforma per intenderci –mi pare sia abbastanza ovvio l’impossibile paragone no? –. Purtroppo è un tentativo fallito di proporre qualcosa di nuovo: pur carina e originale l’idea di base, rimane il fatto che sia stata completamente corrosa da una cattivissima gestione dei contenuti del gioco.




Robbotto

Ultimamente mi sono dato alla macchia con i tripla A, per dedicarmi anima e corpo a quella tonnellata di titoli indie tra i quali, a volte, è possibile anche trovare delle perle di non poco interesse. Oggi è la volta di Robbotto, sviluppato da JMJ interactive; è un simpatico – e allo stesso tempo odioso – arcade-platform chiaramente ispirato a quel vecchio gioco arcade dei due draghetti sparabolle, chi di voi lo ricorda? Infatti personalmente, definirei Robbotto quasi la versione “Dark Souls” di Bubble Bobble: ovviamente non mi riferisco al genere “souls” in sé, bensì al fatto che sia davvero impegnativo riuscire a proseguire oltre un certo livello.
Dopo questa piccola premessa, andiamo a vedere più da vicino di cosa si tratta.

Cos’è Robbotto?

Partiamo dal fatto che il titolo del gioco, nasce semplicemente dall’unione dei nomi dei due robot che possiamo utilizzare: Robb e Otto – … già, non ditelo a me –.
Robbotto è, come già scritto, un arcade-platform con grafica in stile 8-bit con livelli procedurali, sempre più complessi andando avanti nel gioco. È possibile giocarlo in singolo o in coppia in modalità co-operativa (online o locale).
I comandi sono molto semplici: in definitiva c’è un tasto per saltare, uno per sparare un dardo elettrico e un’altro per spruzzare acqua una volta elettrizzato il nemico, in maniera da metterlo completamente fuori gioco. Attraverso i 100 livelli di gioco, si incontreranno venti diversi nemici da affrontare, ognuno con le proprie caratteristiche, offensive e non. Robbotto è uno di quei giochi che lascia illudere i propri avventori: diciamo che i primi dieci livelli alimenteranno semplicemente la vostra autostima come arcade player, i successivi faranno un po’ vacillare la vostra autostima da pro-player, per poi arrivare a maledire il giorno in cui avete deciso di iniziare a videogiocare! Oltretutto questo, è un gioco che spinge l’utente a continuare a oltranza la propria partita, anche una volta perse le tre vite a disposizione: infatti al “gameover“, si potrà continuare perdendo solo il punteggio accumulato e i progressi dell’ultimo livello in corso; in pratica senza rendervene conto potreste giocare e rigiocare lo stesso livello anche per venti, quindi, “chapeau” agli sviluppatori per la vincente strategia applicata.
Al decimo livello e poi per ogni suo multiplo, si affronterà una boss-fight, più o meno semplice (personalmente ho spesso trovato più difficoltosi i livelli di intermezzo che non le boss-fight).

Oldstyle in tutto e per tutto

Che dire, uno stile retrò, mantenuto e rispettato in ogni suo canone: la colonna sonora, peraltro acquistabile anche separatamente su Steam, è composta da suoni sintetizzati, che accompagnano perfettamente il ritmo di gioco che, con i suoi colori sgargianti e quello stile 8-bit, in qualche modo, esplicitano ulteriormente la natura “arcade” di Robbotto.

In definitiva, ritengo che il titolo proposto da JMJ Interactive, sia un ottimo arcade, divertente, immediato e che può dare il meglio in co-op locale, ma credo anche che possa esserci un “gap” tra il prodotto offerto e il prezzo suggerito, forse troppo alto. Robbotto viene venduto a circa 10 euro sull’eshop di Nintendo Switch8 euro su Steam.




Coffence

Ma è un picchiaduro? No! Ma allora cos’è?
Dovremmo chiederlo direttamente agli sviluppatori di Sweet Bandits Studio, perché noi, vi giuro, non lo sappiamo davvero.
Adesso chiudete gli occhi, inspirate con il naso lentamente e buttate fuori con la bocca; ripetete il processo un paio di volte, chiudete gli occhi e provate a immaginare: pessima giocabilità, grafica da far accapponare la pelle ai modelli poligonali dei calciatori di Actua Soccer, longevità che neanche fai in tempo a dire «oh ma sto gioco è proprio una…» che, toh, lo hai già completato con tutti e 5 i personaggi, altrettanto bruttini a dirla tutta. Magari sei stato così veloce che hai anche provato a giocarlo online, senza successo (fino al momento della scrittura di questa recensione ho cercato ripetutamente giocatori online senza mai trovarne uno).

Insomma, Coffence è tutto quello che di peggio potevo aspettarmi da un videogioco.

Il gioco

Andiamo per gradi, partendo però dal presupposto che del “cos’è Coffence“, io non lo so davvero. Una storia asettica e insensata nella sua completezza, ci narra di 5 baristi – di cui uno, attenzione, è un cane – che sono alla ricerca del chicco di caffè perfetto per la loro miscela. I fantastici 5 quindi, arriveranno perfino a scontrarsi nello spazio (suppongo sulla luna, ma mi raccomando, che non vi venga in mente di chiedervi COME siano riusciti ad arrivarci) e successivamente, all’interno dell’astronave di CUPernicus (il ridicolo boss finale che si rigenera, senza alcun motivo, per ben 3 volte; in effetti, visto che il gioco è così divertente, questo aiuta sicuramente!). La durata del completamento dell’intero roster di personaggi e quindi del gioco, è di circa 15 minuti.

La Giocabilità

In Coffence, ci dovremo scontrare a suon di “tazzate” – attenzione amici, perché questo termine si avvicina molto a quello che penso di questo gioco – cercando di colpire la tazza del nostro avversario per fargli cadere o far volare per aria le gocce di caffè al suo interno, vincendo in questo modo il match. Il gioco prevede diversi tasti funzione sul joypad, personalmente ho giocato per tutto il tempo utilizzando sempre 2 tasti e saltellando qui e la giusto per raccogliere le gocce, non ho assolutamente sentito la necessità di trovare altre strategie di attacco. Le mie partite si posso descrivere così: scivolata, tazza rotante, salto e goccia (la felicità…).

Se proprio devo spendere 2 parole a favore del gioco, credo che ci si possano passare dei bei secondi di divertimento nella modalità multiplayer in 4 giocatori, una sorta di “brawl” tutti contro tutti. Ricordando però, che nei server non c’è nessuno a giocare, e dovrete quindi trovare altri 3 amici per giocare in locale, o altri online, su invito, sempre che siano disposti ad acquistare il gioco.

Graficamente?

Per me va bene tutto, ma sono fermamente convinto che concepire un gioco nel 2018, deve sottintendere anche il rispetto di un certo standard qualitativo. Modelli poligonali, texture e animazioni lasciano l’amaro in bocca sotto ogni punto di vista. Anche artisticamente, la caratterizzazione dei personaggi non ha alcun senso, un cane, la donna pirata, il tipo affarista, un boscaiolo e un nerd: prendiamo un po’ di qui, un po’ di li e frulliamo per benino. Ma cos’è, la sagra del minipimer?

Almeno l’audio

Quantomeno il sonoro del gioco, purché sia molto ordinario, accompagna bene il ritmo dei combattimenti. Gli FX purtroppo invece, non splendono certo per la loro  bellezza: dopo diversi minuti di gioco infatti, avrete in testa solo il rumore delle gocce di caffè all’interno delle tazze o per terra (riproducendo praticamente lo stesso suono).

Concludendo

Mi sento di dire che in tutta onestà, non consiglierei mai l’acquisto di Coffence. Un videogioco che costa davvero troppo (12,99 € su Steam) per la pochezza che trasmette al giocatore. Potrebbe trovare la sua vera dimensione nel multiplayer in 4 giocatori, ma non credo che in ogni caso ne possa valere la spesa.




Megaquarium

Correva l’anno 1997 quando uscì Theme Hospital sul mercato, quello che per me era (e credo possa rimanere) il miglior gestionale di sempre. Difficile emularlo, difficilissimo riuscire a ricreare quel clima di gioco frenetico – ricordo ancora quando iniziavano a entrare pazienti di continuo, era in quelle occasioni che dimostravi di essere un vero uomo – e divertente allo stesso tempo. Nell’agosto di quest’anno è uscito Two Point Hospital, un gestionale chiaramente ispirato a Theme Hospital ma in chiave un po’ più moderna.
Oggi in tema di gestionali si trova veramente di tutto in commercio: ma avete mai provato a gestire un acquario?

Una Piacevole Scoperta

Megaquarium, sviluppato da Twice Circled, è un coloratissimo gestionale che ci vedrà impegnati nello sviluppo di un acquario in diversi contesti geografici. Dalle calde acque tropicali a quelle gelide dell’Artico si dovranno soddisfare i requisiti necessari per il corretto funzionamento di ogni acquario, prestando particolare attenzione a quali siano le condizioni imposte da ogni esemplare marino per poter esistere e/o coesistere con le altre specie all’interno dello stesso ambiente acquatico.

Ogni pesce ha un proprio habitat ideale e il suo mangime, ma richiede anche la temperatura dell’acqua (calda o fredda), così come anche la purezza della stessa: infatti per ogni acquario che costruiremo, si dovranno abbinare, di base, almeno un filtro (per la pulizia dell’acqua) e un termostato (per la temperatura), oltre ai contenitori adatti di mangime. Più avanti nel gioco si sbloccheranno anche diverse combinazioni di filtri più potenti, pompe di flusso e altri macchinari per i pesci più esigenti.

Lo Scopo del Gioco

L’obiettivo è quello di totalizzare il maggior numero di punti in modo da poter andare avanti nel gioco sbloccando le specie più rare e i macchinari migliori. Ci sono tre tipologie di punti: punti stella (ci faranno salire di rango dandoci accesso ad accessori, macchinari e pesci sempre più rari), natura (per sbloccare i pesci) e scienza (per i macchinari), ottenibili più agevolmente dai grandi acquari più decorati e popolati. Ma in questo gioco non saranno solo le specie ittiche a richiedere la nostra attenzione: come dei bravi gestori di una attività che si rispetti, dovremo curarci anche dei nostri affezionati avventori! Si dovranno costruire bagni, corner-shop, panche e distributori di bevande e viveri. Inoltre, grazie ai fondamentali operai che si potranno assumere durante la sessione di gioco (i quali variano di numero in base alla grandezza dell’acquario che andremo a costruire), ci prenderemo cura dei nostri pesci, dei macchinari e della galleria stessa costruendo ripostigli, banchi da lavoro e lavabi.

Uno dei tratti interessanti dei nostri piccoli operai, è sicuramente il fatto che andando avanti nel gioco, potremo sviluppare le loro skill, in modo da migliorare quelle in cui sono già più ferrati, oppure dargliene di nuove per ricoprire più incarichi all’interno della galleria. Quasi come fosse una sorta di semplicistico schema di sviluppo RPG, davvero molto originale per la tipologia di videogioco proposta dal developer.

In conclusione

Anche se graficamente il gioco non è al passo con i suoi antagonisti, come lo stesso Two Point Hospital, e la colonna sonora si riduca a una orecchiabile melodia, d’altro canto è evidente come Megaquarium punti sull’immediatezza e sul divertimento, in modo da poter offrire agli appassionati quel “quid” che li stimolerà a rimanere incollati allo schermo un po’ più del previsto – per intenderci quando pensi tra te e te: «sì ok dai faccio questo e stacco… ok, ok, completo solo questo magari e poi vado via… ma sì dai, la mia fidanzata potrà andarci anche sola a far la spesa no?».
Ecco, avete trovato il gioco che fa per voi.




Monster Prom

Direttamente dalla Spagna, più precisamente dalla software house catalana Beautiful Glitch, arriva Monster Prom: una simpatica visual novel in cui ci ritroveremo nei panni di liceali che dovranno prepararsi al ballo di fine anno!

Chi scelgo?

Già il nome, Monster Prom, lascia poco spazio all’immaginazione, i protagonisti del gioco sono tratti dai mostri più comuni: vampiri, fantasmi, zombie, lupi mannari e simil-Frankenstein e qualche altra aberrazione di contorno. Il gioco ci mette sin dall’inizio davanti alla scelta del nostro personaggio, selezionabile tra 4 dei giovani mostri a disposizione.

Monster Prom metterà alla prova le nostre abilità seduttive per portare a compimento l’obiettivo del gioco, ossia riuscire a convincere uno dei compagni di liceo a venire con noi al ballo di fine anno… niente di più difficile! Ambientato interamente all’interno di un liceo stereotipale, con mensa, teatro, aule e tutto il contorno, Monster Prom è un gioco basato sulla scelta multipla, che ovviamente alla fine influirà sull’esito della partita. Partendo dal presupposto che è possibile iniziarlo e finirlo in un’unica sessione, il gioco propone, a ogni modo, 2 versioni: breve o lunga (ovviamente la breve è quella che si apprezza di più, perché volendo si potrebbero fare più tentativi, ma scoprirete che proprio per la sua scarsa longevità, molto spesso potrebbe rivelarsi difficile portare a casa la vittoria.)

È tutta una questione di dialettica

Il gioco è suddiviso in giorni, gli stessi che ci dividono dalla data del ballo. Il tempo viene scandito tramite lo svolgimento di una singola azione, ogni giorno, al termine della quale si passerà al giorno successivo e così via, senza alcuna possibilità di riavviare, o ripetere gli eventi già trascorsi, fino al termine della sessione in atto. Come abbiamo detto precedentemente, Monster Prom è completamente ambientato in un liceo, ogni giorno, si potrà scegliere dove voler passare la giornata: libreria, auditorium, classe, giardino, palestra o bagni.

Per riuscire nel nostro difficile intento, dovremo ricorrere alle nostre strategie migliori, scegliere sempre le opzioni giuste che ci porteranno punti a favore dalla persona che desideriamo portare al ballo: prendere le sue difese, appoggiarla nelle discussioni importanti o semplicemente essere buffi o divertenti. La nostra personalità viene ricavata da un paio di domande che ci verranno poste prima che il gioco inizi, e caratterizzerà il nostro main character per quella sessione, determinando anche il personaggio al quale dovremmo indirizzare la nostra attenzione. Una volta definito il profilo del nostro protagonista, ci verranno dati dei punteggi per ognuna di 6 diverse caratteristiche, che aumenteranno o diminuiranno, in base all’andamento dei nostri dialoghi.

La nostra abilità, dovrà essere quella di fare sempre le scelte giuste, che a loro volta genereranno punti caratteristica e/o punti “cuore”, a favore di quel preciso personaggio, in modo da poter assicurarci una compagna, o compagno, per il tanto ambito ballo di fine anno.

Il gioco fornisce anche la possibilità di giocare in multiplayer localmente, o tramite connessione internet creando una partita e generando un ID da comunicare agli altri giocatori con cui desiderate condividere la partita. Purtroppo nulla di interattivo: infatti la modalità “online”, prevede le stesse funzioni di quella locale, quindi semplicemente che da 2 a 4 giocatori, partecipino a una stessa sessione di gioco mediante i turni.

Grafica e Audio

Non c’è che dire, la caratterizzazione dei personaggi è eccezionale; inoltre volerli proporre in questo stile anime/ultimicartonidisneychenonsembranoaffattodisney, risultano molto piacevoli alla vista, un’ottima scelta cromatica per questo horror cartoonesco, con colori che si sposano bene con l’ideologia del teenage-horror movie. Musicalmente il gioco è accompagnato da una melodia allegra che però, rimane sempre la stessa, risultando alla lunga monotona.

Concludendo

Non sono un grandissimo fan delle visual novel, non riesco mai ad appassionarmi a questo stile di gioco ma, d’altro canto, devo anche ammettere che, vuoi per la leggerezza dei temi trattati o dell’ebbrezza nello sfidare il mio ego, ormai sopito da teenager, Monster Prom è stata una delle poche visual novel che non mi hanno costretto al “rage-quit” (aka Alt+F4) dalla partita a causa magari di quei dialoghi interminabili di cui solitamente giochi del genere sono farciti.




Mini Metro

Perché sviluppare l’ennesimo tedioso gestionale ferroviario, quando, con lo stesso concept, si può ideare qualcosa di veramente innovativo e divertente? Sarà questo che si saranno chiesti i ragazzi di Dinosaur Polo Club durante la fase di sviluppo?

Non un gestionale, non un puzzle-game

Mini Metro è qualcosa che non si era mai visto in precedenza, innovativo e fuori dagli schemi. A primo acchito potrebbe sembrare anche banale, solo qualche linea colorata, su sfondo bianco, minimalista, troppo potrebbe pensare qualcuno, basta unire i punti e il gioco è fatto. Mini Metro è in realtà ben altra roba, uno sposalizio perfetto tra ingegno e divertimento, strategia e rompicapo, pensato per un pubblico un po’ più spassionato e alla ricerca di un buon passatempo, magari da giocare in metro, perché no.
Abbiamo avuto modo di provare la versione per Nintendo Switch, non cambia molto dalle altre versioni a parte la comodissima “tattilità” ovviamente.

Piano! Piano! Non spingete!

Lo scopo del gioco è quello di riuscire a creare una fitta rete di interconnessione per riuscire a trasportare più passeggeri possibile evitando il sovraffollamento delle stazioni. Questo almeno vale per la modalità di gioco “normale“, nella quale si dovrà appunto mantenere un basso livello di affollamento nelle stazioni, per evitare di veder terminare la nostra sessione di gioco prematuramente.
Mini Metro propone al momento ben 20 località differenti, di cui 3 (Londra, Parigi e New York) ambientate anche tra gli anni ’40 e ’70. Ogni location ha una diversa conformazione geologica, con corsi d’acqua più o meno invadenti che ci costringeranno a utilizzare ponti o tunnel per i nostri collegamenti. Per sbloccare le location successive, bisognerà riuscire a portare a casa un discreto risultato nelle precedenti e non sempre sarà cosa facile.
Inizieremo ogni partita a Mini Metro con sole 3 stazioni da connettere sul campo, che aumenteranno con il trascorrere del tempo e verranno posizionate in luoghi casuali della mappa. Noi avremo a disposizione 3 diverse linee ferroviarie, riconoscibili per il diverso colore e un certo numero di motrici o locomotive e ponti o tunnel, che variano in base alla location che stiamo affrontando. La partita viene scandita dal tempo, suddiviso in giorni della settimana, al termine di ognuna delle quali, al fine di sviluppare una più complessa ed efficiente rete di collegamenti, verremo premiati con una serie di bonus: una nuova motrice/locomotiva e, a scelta, una nuova linea, un vagone aggiuntivo oppure dei ponti/tunnel.
Se desiderate rilassarvi invece, c’è a vostra disposizione la modalità “illimitata“, nella quale le stazioni non si sovraffolleranno, si giocherà in maniera completamente libera e i bonus verranno dati mediante un moltiplicatore che conteggia il numero di passeggeri trasportati.
Nella modalità “estrema” giocheremo come in quella “normale” ma la differenza sostanziale sta nel fatto che i collegamenti creati saranno permanenti, quindi, una volta fissata una linea ferroviaria, non potremo più muoverla o modificarla in alcun modo.
Per finire potremo cimentarci nella consueta sfida “giornaliera“: in una mappa casuale dovremo impegnarci al massimo per scalare la classifica mondiale (sfida interessante ma fine a se stessa).

Minimale è bello!

Minimalismo, questo è il leitmotiv di Mini Metro. Tutto è ridotto all’osso in questo piccolo, grande gioco. Grafica piatta ma che cattura, forse proprio per la sua semplicità e pulizia. Il suo scorrere fluido e interminabile di elementi capta l’attenzione, quasi a volervi ipnotizzare con i suoi movimenti. Minimale anche l’audio, giusto qualche fx casuale qua e là, quasi come fossero riprodotti dai metro stessi a creare una colonna sonora, flebilmente udibile.




F1 2018

Ormai è come una specie di appuntamento fisso, ogni anno un dovere morale spinge a giocare il nuovo Formula 1, anche se ormai, personalmente, verso la competizione non ho più la stessa attrattiva di una volta, complice il nuovo sistema eccessivamente elettronico, oppure una serie di auto che ormai sono tutte maledettamente uguali. Intere gare in cui le bagarre sono talmente scontate che sembrano essere state pianificate a tavolino. Non so se vi ricordate, ma a me sembrano quasi macchinine Polistil su binari. Nonostante il calo di appeal verso i piloti in carne e ossa, per fortuna non ho mai perso la voglia di giocare i titoli di Codemasters, sicuramente nella top delle software house che sviluppano titoli automobilistici, vuoi per la voglia matta di potermi trovare dentro una monoposto, vuoi perché le passioni sono dure a morire.

La “formula” giusta

Tecnicamente di gran lunga superiore al suo predecessore, F1 2018 regala sensazioni uniche, si avvicina vertiginosamente a quello che potrebbe essere un simulatore di guida, o quasi, per le innumerevoli quantità di modifiche che è possibile effettuare alla monoposto nella fase pre-gara, oltre che per l’enorme albero del settore di ricerca il quale ci permetterà di rafforzare man mano alcuni parametri della nostra monoposto che magari possono essere carenti in quella determinata scuderia di appartenzenza, quali: motopropulsione, resistenza, aerodinamica e telaio. Nel sistema di sviluppo delle migliorie, è presente la così chiamata “fog of war” che non ci permetterà momentaneamente di vedere a cosa porteranno le modifiche che stiamo facendo inizialmente, le quali man mano, andando avanti nella stagione e sbloccando le migliorie già disponibili, renderanno visibili ulteriori parametri da potenziare – per intenderci la “fog of war” sarebbe la nebbia scura che nasconde le parti delle mappe ancora inesplorate, per esempio nei più comuni giochi strategici. Inoltre, andando avanti nel settore della ricerca, riusciremo a sbloccare delle migliorie tecniche da poter sviluppare per la fase finale della stagione o addirittura per quella successiva.

Testato con il volante Thrustmaster T300RS, senza aiuti alla guida, se non il – che sia benedetto – TCS, sono rimasto piacevolmente colpito e soddisfatto dal trasporto che esercita il gioco utilizzando una periferica diversa dal solito joypad. Il force feedback funziona benissimo ed è calibrato alla perfezione, sovrasterzo e sottosterzo non sono messi a caso e sono strettamente legati al nostro comportamento alla guida, dando la massima sensazione di fedeltà al volante, per esempio salendo sul cordolo o sfiorando l’erba a bordo pista.
Perché parlo di “simulatore di guida”? Ci sono molteplici aspetti da tenere in considerazione durante le gare – e no, non sto parlando del cambio gomme e rifornimento carburante ai box – come il cambio di strategia per il pit-stop, che è una variabile strettamente connessa all’andamento della gara, o il tipo di miscela da utilizzare, da secca a grassa per una maggiore spinta negli ultimi giri, e l’elettronica ERS, sempre per rimanere in tema “altissima fedeltà”, tramite l’attenta gestione della quale saremo in grado o meno di poter attingere a quel surplus temporaneo per poter effettuare un sorpasso all’ultimo cordolo (per esperienza personale, vi capiterà spesso di rimanere a secco di energia e dover studiare quindi al volo una strategia di sorpasso per poter conquistare la posizione). Tra le già tantissime modifiche da poter apportare alla monoposto, c’è l’interessantissima possibilità di schematizzare il cambio gomme per tutte le gare a venire in modo da avere una pianificazione quasi totale delle nostre fermate ai box.
Le modalità di gioco presenti in F1 2018 sono davvero tante, ma spicca per interesse ovviamente la modalità carriera, nella quale potremo cimentarci in un intero campionato sostituendo uno dei due piloti ufficiali con il nostro avatar virtuale. Cercando di vincere le gare e rispettando gli obbiettivi faremo crescere la nostra fama tra le varie scuderie, oltre che per quella con cui corriamo. Un altro aspetto altamente variabile è l’atteggiamento del nostro pilota, che potrà oscillare tra “sportività” o “spettacolarità”: dopo ogni gara infatti, si verrà intervistati da una giornalista per rispondere ad alcune semplici domande di rito,  con risposta multipla e proprio in base alle nostre risposte daremo forma alla personalità del nostro pilota. L’intervista servirà anche a far crescere la considerazione dei vari reparti della scuderia: aerodinamica, meccanica etc.

Per i più nostalgici F1 2018 offre diverse gare singole a obbiettivi o campionati storici, eventi  tramite i quali potremo salire nelle vecchie monoposto di un tempo, passando dalla Lotus 72D (1972) alla McLaren MP4-13 del 1998 di Mika Hakkinen fino ad arrivare alla più recente RedBull Racing RB6 (2010).

Tornando a parlare delle varie modalità di gioco, sicuramente non poteva di certo mancare il multiplayer, tramite il quale si potrà affrontare il campionato online, oppure una più semplice gara singola. I server su PS4 sono molto stabili, e non ho riscontrato alcun problema durante il test della modalità multigiocatore. Come per la maggior parte dei giochi, ovviamente il livello dei giocatori online è molto alto, vi suggerisco quindi di imparare bene a domare i vostri bolidi e prendere un po’ di confidenza con il sistema di guida prima di intraprendere la vostra esperienza online, che altrimenti potrebbe risultarvi leggermente frustrante.

Grafica da Pole Position

Graficamente F1 2018 riesce a distaccarsi un po’ dalla versione 2017. Niente di particolarmente innovativo rispetto al predecessore. Stiamo comunque parlando di 2 titoli che si trovano già, a mio parere, nell’eccellenza per quanto riguarda il comparto grafico, con texture ad altissima risoluzione e modelli 3D praticamente perfetti in ogni minimo dettaglio. La miglioria più evidente a livello fisico è il nuovo sistema di luci dinamiche. La loro integrazione, contornate da nuovi effetti volumetrici, regalano una visione più realistica di ciò che vediamo su schermo con una maggiore precisione delle ombre delle vetture e oggetti di scena ma anche nelle variazione dovute ai cambiamenti meteorologici: che sia caldo afoso che pioggia battente, i nuovi upgrade si sentono e, sorprendentemente, senza appesantire in.maniera evidente il sistema. I miglioramenti si allargano alla nuova vegetazione, più dettagliata e realistica, maggiori elementi in pista e nuove cutscene, per rendere il tutto ancor più televisivo.

L’introduzione del sistema di sicurezza “Halo” introdotto dalla FIA quest’anno – che sarebbe la barra montata sopra la testa dei piloti – è una delle novità del 2018 che, come nella realtà però, è odiata da tutti i piloti, e si è fatta odiare anche dal sottoscritto in quanto risulta molto fastidioso vederla utilizzando la visuale in prima persona: fortunatamente per noi piloti virtuali, tramite il menù di gioco è possibile disattivare il sistema Halo, liberando in questo modo la nostra visuale di gioco.

Audio fedele? Fedelissimo!

Potrebbe non interessare molto un focus sull’argomento e per questo non lo farò, ma vorrei darvi giusto un consiglio: il titolo va giocato con le cuffie per una immersione totale nel vostro abitacolo. I suoni ambientali di contorno come la voce del meccanico che comunica con te durante la gara, lo stridio delle gomme sull’asfalto o quello prodotto passando sui cordoli, così come l’urlo del motore ad alti regimi, sono riprodotti davvero fedelmente e tutto questo rende molto più bello e coinvolgente il gioco.

Fermandoci ai Box

F1 2018 è ufficialmente sul podio insieme ai simulatori di guida più acclamati, merita molto per tutto quello che riesce a offrire. Ci si possono passare davvero diverse ore tra una corsa in campionato o in modalità carriera e una partitella online. Giocandolo mi è venuta una gran voglia di provarlo insieme a una di quelle costosissime postazioni di guida da F1: chissà, magari un giorno…




Dead Cells

Sarebbe uno sbaglio definire Dead Cells come “l’ennesimo metroidvania con grafica retro 2D“. Il titolo dei francesi Motion Twin ha qualcosa di diverso dagli altri: Dead Cells è, infatti, il padre fondatore di un nuovo genere, che molte voci autorevoli del settore non hanno esitato a definire “roguevania”, un felice incontro tra uno dei generi più inflazionati degli ultimi anni (il metroidvania, appunto) e il roguelike (dinamico): dopo ogni morte del nostro personaggio, ricominceremo il gioco da capo conservando solamente le abilità che siamo riusciti a sbloccare nel corso delle nostre partite, ma perdendo ogni accessorio, arma o potenziamento trovati in giro per la mappa durante l’avventura, aspetto che personalmente non ho apprezzato affatto, probabilmente perché sono troppo legato alla modalità più classica, ma che effettivamente, per i giocatori più pazienti e caparbi, potrebbe diventare un espediente per non stancarsi di giocare.

Tutto inizia sempre dalla cellula

Come i primi esseri viventi immersi nel brodo primordiale, anche noi all’inizio del gioco saremo solo un ammasso di cellule, con la sottile differenza che le nostre saranno putride. Dopo una brevissimo intro in cui vedremo l’ammasso di cellule impossessarsi del povero cadavere di un soldato senza testa, saremo pronti per iniziare il nostro cammino e sbrogliare finalmente la matassa che cela il mistero della nostra esistenza: chi siamo, dove siamo e perché. La storia sarà una sorta di puzzle da comporre man mano, scopriremo andando qualche porzione, trovando pergamene o altri indizi qua e là nel corso del gioco. La narrativa non è da premio Pulitzer, ed è parecchio marginale: ma poco male, sarete più impegnati a godervi il gameplay che a seguire la storia.

Taglia lì, squarcia qui

Dopo la prima partita, che sarà quasi un tutorial, rinasceremo all’interno di una stanza (stanza che sarà differente ogni volta che ricominceremo la partita), gremita di strane ampolle e vasi pendenti; ogni volta che riusciremo a sbloccare una nuova abilità o arma, verrà inserita in uno di questi contenitori.
Lo scopo del gioco è quello di scoprire la nostra provenienza passando attraverso diversi livelli (13 in tutto, ma per completare il gioco non sarà necessario visitarli tutti). Non mancano le bossfight al termine delle quali potremmo ricevere importanti “drop” dal boss in questione, come armi rare o progetti per la creazione delle stesse. I boss non tantissimi, ma gli scontri sono congegnati in modo da regalare attimi di pura adrenalina, anche perché sappiamo già che essere sconfitti durante un combattimento segnerà la fine della partita in corso.
È interessante il sistema di livellamento delle abilità, acquisibili o potenziabili scambiando con uno strano essere chiamato “Il Collezionista” (che incontreremo in alcuni punti random della mappa) tutte le anime raccolte dai precedenti scontri con i mostri (sì, il discorso della raccolta di anime è un po’ un cliché, ma che volete farci?).
Per quanto riguarda le armi invece, più avanti nel gioco si sbloccherà anche il Fabbro, tramite il quale potremo migliorare quelle che abbiamo in dotazione ma non siate troppo entusiasti, perché non importa quale potentissima spada o arco abbiate trovato o creato: dopo la morte ogni vostra conquista andrà perduta e, volta per volta, quando ricominceremo il livello, potremo scegliere solo le armi base, costringendoci quindi a una sfrenata ricerca di armi più potenti in giro per il livello. Esiste un altro modo per trovare dell’ottimo equipaggiamento, ed è possibile grazie all’acquisto di armi o accessori presso i “mercanti”, presenti in punti sempre diversi della mappa: in questo caso lo scambio avviene tramite il denaro o le gemme preziose raccolte durante la partita. Può risultare frustrante a volte perdere denaro e anime dopo una morte inaspettata, quindi, una volta raggiunta una ingente quantità di materiali preziosi, grazie ai portali che man mano si andranno a sbloccare in giro per il livello, diventerà opportuno teletrasportarsi nei pressi di un mercante o di un “Collezionista”, in modo da poter investire quello che abbiamo faticosamente accumulato prima che sia troppo tardi.

Il Design è tutto

Per il titolo di Motion Twin non si parla di comparto grafico come qualcosa a sé stante, ma di qualcosa che risulta un tuttuno con game e level design.
L’utilizzo degli sprite, che rievoca uno stile retro molto in voga, sembra ormai esser diventato uno degli aspetti più comuni tra le etichette indipendenti, tanto che la medesima scelta è stata fatta anche per giochi come Slain! Back from Hell, Axiom Verge o ancora l’acclamato Bloodstained: Curse of the Moon.
La vera differenza del “moderno” modello retro di Dead Cells sta nelle animazioni degli sprite, fluide e ben dettagliate. I livelli sono molto caratteristici, e ognuno diverso dall’altro, e ci porteranno dalle fetide fogne a dungeon intricati e cupi. La grande varietà e quantità di elementi su schermo lascia intravedere un profondo studio e una cura del dettaglio da parte degli sviluppatori, caratteristica che fa ancor più apprezzare il lavoro svolto dagli sviluppatori.
Il comparto audio è globalmente buono, con una soundtrack abbastanza coinvolgente, anche se alla lunga potrebbe risultare leggermente ripetitiva in alcuni leitmotiv, SFX di armi effetti video ed esplosioni riprodotti in maniera eccezionale, che riescono a rendere bene l’idea della potenza sprigionata dalle azioni del nostro personaggio.

A conti fatti

Dead Cells è risultato essere uno dei migliori metroidvania/roguevania mai sviluppati, niente e nessuno dovrebbe impedirvi di far vostro questo piccolo grande capolavoro videoludico. Abbiamo testato questo titolo su PC (Steam), ma sono fermamente convinto che un gioco del genere veda un’ottima espressione del proprio potenziale su Nintendo Switch, console sulla quale è presente insieme a PS4 e Xbox One.




Dead Cells e l’importanza del marketing

Recentemente si è tenuto il PAX Dev, un incontro a porte chiuse tra sviluppatori e stampa. Steve Filby, ex responsabile marketing di Motion Twin, racconta il percorso di Dead Cells, uno dei giochi più discussi del momento.
Inizialmente concepito come tower defense, grazie una minuziosa ricerca di marketing su Steam da parte di Filby per rendersi conto di quello che realmente la gente voleva,  Dead Cells cambiò totalmente rotta: venne accantonato il progetto originario e si puntò a qualcosa di commercialmente più appetibile e, dopo aver valuto quello che i concorrenti avevano da offrire, si decise di creare qualcosa che fosse un’intersezione perfetta tra un roguelike e un metroidvania, generando in questo modo qualcosa di totalmente fuori dagli schemi, un “roguevania”.

Non rimaneva dunque che organizzare il piano di marketing del prodotto, anche se non ancora completo. Solitamente le software house più grandi pagano fior di quattrini per far giocare il proprio titolo agli streamer più quotati ma, ovviamente, questo non poteva essere il caso di Motion Twin. Così Filby decise di concedere la demo a pochi streamer di basso rango che in poco tempo crebbero esponenzialmente aumentando così le richieste di chiavi di gioco.

Ovviamente ricevere una recensione su riviste specializzate di settore fa sì che un gioco acquisti molta più credibilità agli occhi dei videogiocatori. Filby si soffermò a controllare da dove arrivasse il proprio flusso di utenza, scoprendo che la stragrande maggioranza delle persone che avevano giocato a Dead Cells non erano altro che ragazzi che lo avevano acquistato al day one, giocato e scritto una recensione. A questo punto, l’unico obiettivo, era quello di attirare gli occhi della stampa su Dead Cells, mettendo a punto un piano marketing che prevedeva innanzitutto un pesante pressing sui social media, in modo che nessuno potesse dire di non aver mai sentito parlare di quel gioco, ma anche una serie di eventi organizzati da Motion Twin per la promozione del titolo, con un costo totale di circa 60.000$.

Questo fece sì che gli occhi di Valve, Nintendo, Sony e Microsoft, puntassero su questo promettente gioco.
In early access, solo durante la prima settimana, Dead Cells ha oltrepassato le 100.000 copie, così per il lancio definitivo gli sviluppatori hanno voluto dare qualcosa in più: una funzione di streaming con Twitch integrata nel gioco, tramite la quale altri utenti potrebbero curare il personaggio o rendere il livello di sfida più alto aggiungendo altri nemici. Su Twitch Dead Cells, un mese prima del lancio del gioco definitivo, aveva già maturato oltre 181 milioni di minuti di visualizzazioni, raggiungendo l’incredibile cifra di 325 milioni di minuti dopo neanche un paio di settimane.

Ma Steve Filby, lasciò Motion Twin durante l’uscita del gioco per potersi dedicare alla sua agenzia di marketing IndieCatapult. Il più era fatto.




GT Sport: Mercedes-Benz e-cup 2018

La serie Gran Turismo non è nuova ai tornei e-sport, né a eventi di spessore come la GT Academy, evento organizzato in collaborazione con Nissan e Sony che miscela l’esperienza virtuale a quella reale, con la possibilità di poter pilotare una vera auto da corsa della casa automobilistica giapponese.
Questa volta, anche se non con le stesse modalità, tocca a Mercedes-Benz prendere il testimone: da qualche mese infatti, è partito il primo torneo italiano di e-sport dedicato a Gran Turismo, un e-cup (quindi completamente virtuale), che si è svolto in più battute e con tre diverse modalità di partecipazione.

Il torneo ha avuto un gran successo tra i fan della serie, anche per la modalità di partecipazione FFA (Free For All), iniziato con il One Day Cup, un evento tenuto settimanalmente per tutto il periodo da Luglio a Settembre tramite il sito PlayStation Italian League, al quale si potrà partecipare dalla propria postazione di gioco e che darà l’accesso alla finale a sette tra i piloti più veloci.

Sono inoltre previsti altri due eventi dal vivo per la qualificazione alla finale, uno che si è già concluso (il GP di Monza), organizzato in occasione del Gran Premio di Monza, tenutosi alla Darsena dal 29 Agosto all’1 Settembre e che ha già eletto i tre piloti più performanti mentre, il secondo è il Last Chance Qualifier, che si terrà dal 5 al 6 Ottobre durante il Milan Games Week, evento che darà la possibilità ad altri due aspiranti piloti di poter partecipare alla finalissima.

L’evento finale quindi vedrà scontrarsi i 12 piloti migliori per salire sul podio e un succoso montepremi.